Riflessioni sulla risposta di Mauricio Y. Marassi al mio articolo Alla scoperta della via maestra.
Credo che la risposta di Mauricio Y. Marassi alla mia recensione de La via maestra contenga alcuni spunti rilevanti e meritevoli di una analisi più approfondita. L’accolgo, dunque, come un’occasione per chiarire meglio il tipo di riflessione che da tempo sto conducendo sul buddhismo e che hanno fatto da sfondo alle considerazioni da me proposte nella citata recensione.
Su di un punto, tuttavia, mi sembra opportuno replicare esplicitamente: trovo perlomeno contraddittorio attribuirmi l’attitudine di combattere “Lucifero”, così resuscitandolo, proprio mentre viene condivisa la mia affermazione che “bisogna maneggiare l’orgoglio con molta cura, con grande delicatezza”. Mi sembra piuttosto evidente che quella cura e quella delicatezza traducono proprio l’atteggiamento di non contrapposizione caldeggiato dallo stesso Marassi, e non vedo proprio come esso possa essere trasformato in bellicoso per il semplice fatto che considero l’orgoglio universale e “l’essenza del problema fondamentale dell’uomo”. Che l’uomo navighi in acque perigliose in ragione di un suo “problema” esistenziale fondamentale è addirittura il predicato delle prime due Nobili Verità del buddhismo, e da ciò non consegue alcuna automatica definizione dei contenuti e della modalità della cura. Per quello che mi riguarda, anni di pratica nella vipassana mi hanno insegnato che l’unico modo per accostarsi a ciò che viene avvertito come un problema esistenziale è esserne consapevoli, accoglierlo in modo equanime e lasciare che sia, così com’è, osservando ciò che accade nel nostro corpo-mente e, nel caso, rendendo oggetto di consapevolezza anche l’attitudine della mente a volersene sbarazzare. La mia concezione dell’orgoglio è perfettamente coerente con questo atteggiamento fondamentale.
Il fatto è che io, a differenza di Marassi, non trovo affatto “alquanto simpatico” Lucifero, e la ragione potrà apparire paradossale solo se non si è compreso il senso della mia argomentazione: perché non credo per nulla alla sua esistenza – e, a fortiori, al suo “illuminare il cammino”. Al di là dell’ironia che pervade le considerazioni di Marassi sul “portatore di luce”, io ritengo che sia questo il punto in cui si rivela la sostanziale diversità fra le nostre due impostazioni, e che a mio parere non è affatto irrilevante, perché concerne la diagnosi della causa di dukkha, ossia, nientedimeno, che la seconda Nobile Verità..
Non c’è dubbio che la mia convinzione che sia l’orgoglio, e non l’ignoranza o il desiderio, alla radice di dukkha è debitrice del cristianesimo, ma in un senso affatto diverso da quello che conduce i “tanti agitati predicatori cattolici” di cui parla Marassi a redarguire un’umanità in preda al peccato. Per me – ma chiunque avesse l’interesse e la pazienza necessaria potrà constatare che la mia interpretazione corrisponde esattamente sia al testo biblico, sia a quanto affermato da molti Padri della Chiesa – l’orgoglio, che non ha nulla a che vedere con la presunzione, di cui è invece la perfetta antitesi, si sostanzia nel rifiuto della propria vulnerabilità, impermanenza e dipendenza, che spinge all’emulazione di un modello di perfezione, ritenuto incarnare le qualità ambite dell’autonomia, dell’autosufficienza e del potere. Già da questa breve descrizione appare evidente la compatibilità dell’orgoglio, inteso in questo modo, con l’affermazione buddhista che a generare tutta la sofferenza dell’uomo è la brama di possedere un io autonomo ed autosufficiente.
In questo senso, Lucifero – o, più correttamente, Satan (letteralmente “l’accusatore”, per cui ad “accusare”, a combattere Satana si diventa come lui), ossia ciò che diventa l’angelo più luminoso dopo una caduta determinata proprio dall’orgoglio: “Tu dicevi in cuor tuo: Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio…, sarò simile all’Altissimo” (Is. 14:12-14) – è il simbolo di questa attitudine tipicamente umana, perché descrive il processo per cui, l’ambizione a divenire “come Dio” (Gen. 3:5), porta di fatto alla negazione del proprio semplice esistere, così come si è e, in nome dell’acquisizione di un’autonomia assoluta e divina, proprio perché nega l’essere in nome di un fantasticato dover essere, in realtà porta alla “caduta”, trascina verso il basso, fino all’autodistruzione.
So bene che il termine di “autonomia” è sempre “correlativo a ‘dipendenza’”, ma proprio questo è il problema di ogni orgoglioso: sa di essere dipendente dal maestro-modello e vuole diventare come quello s’immagina che sia, autonomo ed autosufficiente. Il paradosso dell’orgoglio è che si coltiva una dipendenza col fine ultimo di divenire infine totalmente in-dipendenti. Naturalmente l’orgoglioso si vergogna della sua attuale dipendenza per cui, in genere, o la dissimula accuratamente, pretendendo di essere già autonomo nel proprio giudicare e scegliere, oppure denuncia solo modelli nobili e approvati culturalmente (come un “maestro” zen). E’ anche vero che tutto ciò è paradossale, perché mostra “l’assurdità di una relazione pretesa liberante ma che, invece, crea dipendenza”, ma questa assurdità è proprio il gioco dell’orgoglio, la satanica e sottile omeopatia del voler sacralizzare se stessi coltivando una dipendenza che liberi da ogni dipendenza. In questo senso più profondo, dunque, l’autonomia non è il contrario della dipendenza, perché il binomio autonomia-dipendenza è tutto interno alla logica dell’orgoglio, ne rappresenta la più autentica sostanza. In questo contesto, chiunque si faccia paladino dell’autonomia e possegga una certa autorevolezza, diviene automaticamente un candidato a rivestire il ruolo di modello agli occhi dell’orgoglioso, perché quell’autonomia è, ripeto, proprio ciò che, emulandolo, il discepolo ambisce ad acquisire.
E a nulla giova ricordare che l’autonomia “corrisponde a ‘prendere rifugio in se stessi’”, perché quel “prendere rifugio” non avviene nel vuoto esistenziale, non determina automaticamente la liberazione dalla vocazione a sbarazzarsi della propria vulnerabilità in nome di un modello di perfezione. Al contrario, finché l’orgoglio non viene dissepolto e reso consapevole, è la pratica che viene messa al servizio delle sue mire, e l’insegnante-maestro diviene il nuovo modello di perfezione, più o meno occultato dalla parola d’ordine – rassicurante per l’orgoglio – di “prendere rifugio in se stessi”. Va rilevato, infatti, che la dinamica maestro-discepolo, così acutamente svelata e descritta da Marassi nel suo libro, non è una caratteristica tipica dello zen occidentale ma, per limitarmi a un esempio di cui ho esperienza diretta, si ritrova anche nella vipassana, in forma più sottile ma anche più invasiva e difficile da riconoscere, perché s’instaura proprio laddove vi è la minore enfasi possibile sulla figura dell’insegnante, definito quale semplice “amico spirituale” (kalyanamitta). E proprio la tradizione Theravada, col suo mettere al centro la pratica meditativa, il “prendere rifugio in se stessi”, rappresenta una riprova estremamente pregnante della pervasività dell’orgoglio. Il quale, giova precisarlo, non è un’attitudine della mente rozza e mondana, ma propriamente religiosa, è l’essenza del religioso tradizionale (mi si consenta, in questa sede, questa semplificazione), perché si sostanzia nello sforzo di trasformare se stessi applicando diligentemente i dettami – etici, rituali, sacramentali o meditativi – propri di una qualche via religiosa. Va da sé che quei dettami sono sempre veicolati da una persona in carne ed ossa, comunque lo si chiami: maestro, insegnante, amico, guida spirituale.
L’orgoglio, dunque, è un’attitudine esistenziale e non morale e, in via di principio, addirittura incompatibile col “peccato” (l’errore), perché si nutre proprio dello sforzo di emendarsi da ogni imperfezione o traccia di vulnerabilità e, dunque, anche dalla vulnerabilità all’errore. Il “peccatore” e l’orgoglioso sono due tipi radicalmente diversi: il primo sa di non rispettare le regole della propria religione e non si erige a giudice di nessuno, mentre è l’orgoglioso che è predisposto a divenire un “agitato predicatore”, perché ha un senso abnorme e paradossale dell’errore (o del peccato), trasfigurato in ambiguo segnale lungo la via: da un lato è ciò che testimonia della distanza dall’ideale perseguito; dall’altro è ciò su cui occorre lavorare, che bisogna “combattere”, in sé e negli altri, al fine di addivenire alla perfezione. Al contrario, la consapevolezza dell’orgoglio, essendo inscindibile dall’accettazione della vulnerabilità, genera uno sguardo compassionevole sulla propria e altrui fallibilità, vede nell’errore o nel peccato niente di più che l’inevitabile conseguenza di essere creature limitate, né onnipotenti né onniscienti, insicure ed esposte alla prevaricazione in difesa del proprio piccolo, fragile, impermanente e tuttavia prezioso io. Proprio quello sguardo di cui sono incapaci i “tanti agitati predicatori cattolici”, che solitamente censurano moralisticamente le umane debolezze in nome di principi assoluti di cui, naturalmente, si ritengono i più autentici interpreti, e per i quali sovente chiamano a raccolta battaglioni armati fino ai denti.
Ma anche costoro vanno compatiti e non giudicati, e tanto meno si può ironizzare sul loro comportamento, perché rivelano, con la loro intransigenza, la lacerazione interiore che li devasta e che consegue dal continuo giudizio di conformità fra ciò che sono e ciò che vorrebbero, o pretendono, essere. Nell’ergersi a modelli, mostrano di aver lungamente logorato ed isterilito se stessi nella diuturna opera di emulazione del loro ideale, e di pretendere che tutti combattano la medesima battaglia contro la loro stessa umanità.
In questo quadro, l’unico modo per aiutare l’orgoglioso è mostrargli (o meglio, suggerire una via che gli consenta di vedere in se stesso all’opera) questo gioco perverso e assurdo, che produce solo la proroga e l’intensificarsi di una dipendenza auto-distruttiva e generatrice di sofferenza. Consapevolezza che apre non all’autonomia, ma alla serena accettazione dell’universale ed irrimediabile interdipendenza, nel bene come nel male, nella bontà e nell’errore, nell’orgoglio come nell’umiltà. Tutta la storia umana può essere letta con la chiave della lotta contro la nostra vulnerabilità. I sogni di immortalità, di potere, di fama, di successo, di ricchezza, di bellezza imperitura e così via altro non sono che traduzione della fuga dalla condizione fragile e insicura che irrimediabilmente ci appartiene, talmente imprevedibile che “perfino” da un pervicace orgoglioso ci si può aspettare un po’ di luce. Ma non in quanto tale, piuttosto perché, nel suo rivelare, pagandone lo scotto sulla sua pelle, la sfrenata ambizione alla sacralizzazione, può apprendere e diffondere un po’ di compassione e di saggezza.
Ha ragione Marassi, nel ricordare il Sutra del Diamante, ad affermare che il segno “buono” è “quello della non esibizione dei non segni”. Ma, “quanto al resto”, il parlare che è profanare riguarda solo la pretesa di comprendere e di enunciare la verità, di afferrare la vita – ambizione che, non casualmente, caratterizza sempre coloro i quali finiscono per divenire dei modelli. Ma c’è un parlare che non profana, ed è quello che ci aiuta a comprendere il nostro errare, ciò che turba ed agita il nostro cuore-mente (citta), e che può sostenere con una conoscenza più adeguata delle proprie difficoltà l’investigazione pratica, consapevole e accogliente di sé (come ben mostra la sequenza circolare e sinergica dei fattori dell’Ottuplice sentiero, dove la retta visione “precede” i fattori più propriamente pratici, per esserne, poi, a sua volta nutrita e trasformata). Invece, il ritenere che, in nome dei “nondue” buddhisti, questo “prendere rifugio in se stessi” che costituisce il nucleo della pratica sia, sempre e comunque, inscindibile dal “risultato”, per cui non se ne possa parlare cercando di comprendere i termini ed il contesto esistenziale in cui inevitabilmente la pratica viene accolta, non nobilita il discorso in dialettico ma, se si vuol essere realmente conseguenti, consegna solo al silenzio assoluto.
Nel commento all’”Arpa Birmana” mi pare sia necessaria una chiarificazione.
Dapprima mym scrive:
Tuttavia i temi religiosi sono due, intrecciati, per cui è bene distinguerli per non confonderli.
e via col primo tema che è quello della religiosità Birmana. OK
Poi, il secondo tema è introdotto dalla frase:
Ma qui inizia l’intreccio con l’altro tema: lo “spirito” giapponese.
che, come si evince proseguendo nella lettura, è qualcosa di profondamente settario, nazionalistico. Ed il ragionamento è sviluppato senza capovolgimenti dialettici.
Ora, secondo me, dovrebbe essere spiegato meglio cosa ci sia di ‘religioso’ in una visione profondamente settaria e nazionalistica della vita e della morte (perché di ciò si parla nel film); o almeno quale uso viene fatto in questo contesto del termine ‘religioso’.
Il tema è probabilmente interessante, ma detto così non posso che trovarmi in disaccordo.
Il tema proposto da Paolo è interessante e complesso. Prima o poi occorrerà occuparsene in modo sistematico perché le implicazioni particolari (influenza diretta sul buddismo giapponese e perciò anche sullo Zen) e generali (concetto di religione) sono tutte in gioco ed hanno una valenza che non deve essere ignorata…
Grazie.
Sì, potevo essere un poco meno irruente… più amorevole nei confronti del vecchio Fromm.
Su un altro piano si può dire che “interdipendenza” intesa come pratītyasamutpāda ha come fondamento il vuoto/śūnya, né essere né non essere, per cui essenzialmente diciamo la stessa cosa: la differenza parrebbe tattica, come si diceva una volta. Un aspetto interessante nella risposta è l’invito a ripensare al ’68 (numero che è sineddoche) in termini attuali: con occhi che -in parte grazie al ’68- hanno “visto” anche il buddismo.
Ringrazio il direttore Torrero per le parole di apprezzamento che ha scritto a proposito del libro sul Buddismo Mahāyāna. Parole che pubblico per completezza, essendo parte integrante del suo articolo.
Non so come mai nella chiesa manchi la religiosità che fa gridare alle abitudini oscene di allevare animali con metodi contro natura e di trattare la loro vita come giocattolo.
Al cuore della religiosità biblica c’è il sacrificio, ossia l’immolazione della vita di un essere vivente. Ciò è nato proprio dall’aver percepito che la vita, negli animali come negli uomini, è sacra e tale santità custodisce intimamente la funzione di sacrificarsi per le altre forme di vita.
La vita è ricevere e dare, ma in una legge santa, insegnata dalla natura. Nessuna vita vive per se stessa, ma nell’economia della vita universale. Così molti animali vivono di altri animali; così anche l’uomo nell’equilibrio della sua funzione si nutre della carne degli animali di cui ha cura. Solo come atto sacro, per la conservazione di un equilibrio naturale. L’unica usanza contro natura che fa gridare la chiesa, purtroppo, è quella circa la genetica umana: ciò è ovviamente giusto, ma la legge che guida la genetica umana anima tutta la vita nelle sue forme.
Tra l’altro, la chiesa non si rende conto che il separare il valore della genetica umana dalla economia universale della vita indebolisce il suo insegnamento, perché appare snaturato.
Se avete lo stomaco forte e volete capire che cosa prova un cacciatore quando alla fine dell’appostamento – con grande eroismo e sangue freddo – riesce a piazzere il colpo perfetto, potete leggere la cronaca dell’abbattimento di un capriolo o ancora meglio di un cinghiale o di un altro capriolo.
Nel Paleolitico l’istinto primordiale ha indirizzato alla caccia in quanto unico mezzo per assicurare la continuità della specie umana che, in seguito, ha trovato per garantirsela mezzi ben più intelligenti e adeguati a una specie, appunto, intelligente. Alcuni individui dell’età paleolitica sono sopravvissuti fino ad oggi, senonché, all’interno di civiltà più avanzate, hanno dovuto travestire l’ormai inutile istinto primordiale con la maschera di una nobile attività sportiva e di un sano divertimento…
Cristina
Sottoscrivo caldamente quanto dice Mauricio: sparare ad un animale non può essere come dilettarsi al tiro al piattello. Desidero però introdurre una piccola ma significativa integrazione, dovuta anche al fatto che vivendo io sull’Appennino (e amando questi luoghi) ho a cuore pure il problema dell’abbandono di queste terre e del fatto che stanno diventando sempre di più zone depresse.
Leggo dal quotidiano “La Repubblica”, di domenica 25 giugno 2006, dall’articolo di Giampaolo Visetti, dal titolo “Messner-Corona. Addio Alpi” (sottotitolo: Il re degli Ottomila e l’alpinista-scrittore in cammino insieme per lanciare un allarme. La cultura delle nostre montagne sta per essere cancellata da avidità e ignoranza.): “Prendiamo la caccia – sta parlando Mauro Corona, scrittore, scultore ligneo, alpinista e arrampicatore, nonché sopravvissuto alla tragedia del Vajont – poche balle, una montagna di carne è una risorsa. Come i pesci nel mare: perché lasciarla marcire nei boschi? Sulle Alpi la selvaggina può far vivere osterie, salumifici, macellerie, piccole concerie. I primi a non sprecare la fauna sono i montanari. Nelle capitali si è pubblicamente ambientalisti e privatamente vandali”.
Ecco, mi sta bene pure quello che dice Corona. No dunque alla caccia come gioco, ma sì come attività legata alle radici di un luogo. (Ad esempio: perché non consentire la pratica della caccia solo ai residenti in quella determinata area?)
Consiglio a tutti coloro che ne hanno la possibilità di frequentare il Corso di Laurea specialistica in Sociologia della multiculturalità dell’Università di Urbino.La mia seconda laurea è infatti quella in Antropologia ed Epistemologia delle Religioni, antesignana dell’attuale corso di laurea nel quale si è trasformata. E’ un corso di laurea veramente interessante e molto, molto formativo. Il presidente del corso, il Prof. Alfieri è un’istituzione ad Urbino ed è una persona veramente squisita dal punto di vista umano (oltre che professionale).
Capisco che cosa vuol dire Federico. A suo tempo avevo letto anch’io le parole di Corona e non mi erano piaciute. Considerare gli animali selvatici dei boschi “carne” che addirittura “marcisce” se non viene macellata a fucilate mi pare eticamente identico al pretendere di cacciare per passione o divertimento perché si è pagata la tassa venatoria o perché si è sempre fatto così: è l’uomo che tratta la natura, il mondo attorno a sé, acqua, aria, alberi, animali come cose a sua disposizione. Per il piacere o per la borsa.
Vorrei si provasse a ragionare in modo differente. Per quanto possa essere scomodo e poco economico, affrontare la vita in armonia con la vita, con le altre vite, dovrebbe essere primario a quasi tutte le altre valutazioni, economiche, politiche, ideologiche, dottrinali. Che cosa questo significhi non è possibile dirlo prima, caso per caso, momento per momento occorrerà prendere delle decisioni almeno riducendo il danno che l’esistere di una vita causa alle altre vite. Respirando inquino, mangiando uccido e distruggo. Accendendo la luce aumento la necessità di sconquassare l’ambiente con centrali sempre più potenti, comprando il giornale causo l’abbattimento degli alberi necessari per la carta, uscendo in automobile… ecc. ecc. Siccome così stanno le cose, se pensassi che non c’è nulla da fare potrei dedicarmi al cannibalismo, magari di bambini, più teneri e delicati delle coriacee carni degli adulti. Se non lo faccio, se riconosco un limite al danno che il mio esistere può causare alle altre vite, è possibile un discorso diverso. Chiamiamolo di riduzione del danno. Non necessariamente a partire da una base etico religiosa quale potrebbe essere il non voler, per principio, nuocere ad altre vite, o il non voler versare sangue.
Si potrebbe pensare in termini di interesse personale in modo più ampio che l’incasso immediato di piacere, denaro, carne o nutrimento. La sostenibilità della vita, nel suo complesso, del pianeta Terra, così come vanno le cose, non è più possibile. Al primo posto certamente la pretesa di crescere ad ogni costo, anche a quello di distruggere la razza umana. Le guerre, che sempre più appaiono un modo per non dover fare i conti con il diritto dei terzi e dei quarti mondi a “consumare” come i primi e i secondi, o guerre più “semplicemente” dettate dall’esigenza di mantenere il controllo di risorse strategiche e impedire che il prezzo delle materie prime (che cosa determina il “prezzo” del petrolio?) possa calare. In mezzo a tutto questo c’è anche la caccia. Non è un problema primario, ma è un simbolo, la faccia esposta del sistema di rapina su cui si basa buona parte del nostro mondo.
mym
“Caprioli, la caccia non è l’unica soluzione”
Fulco Pratesi Presidente del WWF:
L’ARTICOLO di Francesco Merlo sui caprioli piemontesi pubblicato [su La Repubblica] in prima pagina il 5 agosto, merita qualche considerazione, al di là degli atteggiamenti disneyani (comunque degni di rispetto) o di scherno.
Il nostro è un paese che certamente, in alcuni contesti territoriali, ha per qualche specie di animali problemi di soprannumero di capi. Sono comunque animali che pagano scelte dell’uomo, il quale – sterminando i predatori naturali o facendo reintroduzioni sbagliate per motivi venatori -ha alterato quegli equilibri che governano i rapporti tra le varie specie. Quando però si tratta di gestire questi problemi, la scelta cade sempre sulla caccia. Si chiamano abbattimenti selettivi, ma sempre caccia è.
Le catture e altri possibili interventi per limitare l’espandersi delle popolazioni, ricercando comunque soluzioni alternative, sono ipotesi che non vengono neppure prese in considerazione. E vero che spostare questi caprioli all’interno di tanti parchi che ne sono privi e li ricercano per reintrodurli, come proposto oltre che dal ministro dell’ambiente anche dal Wwf, non risolverà il problema (anche se per i cinghiali le catture sono molto più efficaci delle fucilate per contenerne il numero). Ed è anche vero che altre specie vengono abbattute senza sollevare analoga emotività.
Ma altrettanto vero è che rispondere in qualche modo all’indignazione che molti hanno avuto per l’ennesima mattanza significa affermare che una società civile può e deve cercare e darsi soluzioni, magari a medio o a lungo termine, per gestire questi problemi senza necessariamente dover imbracciare una carabina, oltretutto in periodi di caccia chiusa.
(La Repubblica, 8 agosto 2006)
[…] (a seguito delle recenti dichiarazioni del Dalai Lama apparse su La Stampa del 8/8/2006, fa seguito questo articolo, sempre su La Stampa, il giorno dopo) […]
[…] Eccoci, ci siamo, il DRM sta entrando nelle nostre vite in modo massiccio: attraverso i telefonini, quale migliore opportunità per un controllo totale ? Non vogliamo creare falsi allarmismi, ma la situazione delineata in questo precedente articolo è obiettivamente preoccupante. […]
[…] A proposito dei due articoli recentemente apparsi su questo sito riguardo la successione al Dalai Lama (Dalai Lama eletto per sfidare la Cina e Il Dalai Lama: dopo di me basta con le reincarnazioni), M.Y.Marassi ci spedisce questo commento. […]
Non so come si aggiungono commenti ai commenti, ma, sapendolo, direi a “Doc” (mi par di non ignorare lo pseudonimo) che se ha meglio da fare che aspettar sera lo può fare tranquillamente, e se poi ce lo vuole anche dire, finalmente, cosa di meglio ha da fare, lo ascolteremo con grande interesse (mentre aspettiamo sera…)
Brilla la tavernetta
mentre la sera aspetta:
dice un antico adagio
che chi comincia bene
a metà l’è del viagio;
gli risponde il cinese
che se di cento miglia
devi fare una strada,
calcolare conviene
che la metà del tutto
sia circa a novantotto.
Se la vedano loro,
di rane insulso coro:
noi non facciamo conti
né domandiamo sconti…
ma gli auguri sinceri
graditi riceviamo
con la voce del cuore
squillanti ricambiamo.
[…] Dubito che questi consumatori di carni appartenenti ad animali appena nati (nella tradizione romana l’abbacchio non deve avere più di 20 giorni), abbiano mai visto un macello, un mattatoio o anche solo l’uccisione di un agnello, di un capretto. Non sarebbe sciocco vedere per sapere. Rendersi conto delle conseguenze, anche di sofferenza, dovute alle nostre scelte alimentari non può che affinare le motivazioni legate a tali scelte. Chi produce, immette sofferenza nel mondo -ovvero in un sistema interconnesso- si assume una grave responsabilità. Da altri punti di vista, abbiamo già preso in considerazione il problema con un post e nell’introduzione ad un recente libro. […]
Grazie per l’articolo. L’atto di uccidere un qualsiasi animale non può lasciarci indifferenti; molti mangiano la carne, ma pochissimi hanno visto uccidere un animale: è atroce! Non si può fare a meno di specchiarsi in quegli occhi.
Buona Pasqua
[…] Condividendo la posizione espressa da «La Stella del Mattino» aderiamo volentieri alla campagna «Lasciami vivere» lanciata da Gattivity e Species invitando la blogosfera a fare un post contenente il banner realizzato da Veganitalia… […]
E’ una bella domanda. Direi che le cose, le cose umane almeno, non siano dotate di moto proprio e vadano come e dove uomini e donne le fanno andare: finché scene come quella che ha “sorpreso” l’amico Y. riempiranno le chiese di gente e faranno accorrere i fedeli a gremire le piazze, avranno ogni diritto di riprodursi. Molti secoli or sono tale monaco Francesco si presentò davanti a Papa e Cardinali e, sconvolto e sbigottito, esclamò: “Guardate i gigli del campo!”. Ma nemmeno la sua risposta fu sufficiente, la povertà sua sposa restò solo a caratterizzare un ordine religioso… Che fare? Bisogna modificare le norme per modificare gli esseri umani, o è necessario che questi ultimi cambino per cambiare le norme?
Ricordate nel film “Roma” di Fellini: quella surreale sfilata di moda per gli alti prelati? In effetti siamo per certi versi un po’ nel surreale, ma nel “secolare” anche l’arte e lo styling chiedono la loro parte, gli italiani poi…
…ho letto il nuovo post: se la cosa ti fa piacere (ma dovrebbe allarmarti, tale sintonia…) quelle cose lì che scrivi me le sto chiedendo sempre più spesso, da un po’ di tempo a questa parte.
Però anche tua moglie e tua figlia hanno ragione: i rivoluzionari che abbattono i riti, poi ne introducono degli altri… l’umanità non si “accontenta” di un muro bianco o un fiore che sboccia. sono riusciti a ritualizzare perfino il buddismo, e perfino il cristianesimo, fondato da Uno che, proprio il giorno di pasqua, è stato definito il Non-è-qui.
Il miglior commento che mi sento di farti è questa poesia dell’amico leo (Leopoeto):
TEATRINO
I
Sulla scena della vita
la farsa e la tragedia
si recita infinita.
Della prima non si rida
comparse tutti figuriamo,
nell’altra non si pianga
protagonisti recitiamo.
Il finale, già scontato
pare sempre inaspettato.
Il successo è assicurato.
II
Mostrando l’aspetto
aspettando la mostra
incorniciati ci ammiriamo
l’apparire non ci costa
disprezzato già il richiamo
di un oblio senza risposta.
Come servi di una droga
impiegata per la vita
in ufficio compiacente,
nessun vuol essere schiavo
basta esser dipendente.
Ho visto la foto … Da chierichetto qual ero (monaguillo in spagnolo, vero?) tutta questa pompa mi piace, fa molta atmosfera… Tutta questa magnifica fuffa mi evoca le stesse sensazioni che mi risveglia un bel melodramma italiano: pieno di sentimenti eroici, di grandi emozioni, pianti e urla, di morti santi e malvagissimi cattivi, e fondamentalmente senza senso.
Caro mym sei troppo democratico 🙂
Non c’è paragone, qui è tutto molto più essenziale, indubbiamente.
Sono stato invece in qualche tempio tibetano e ho visto tantissimi tessuti finemente disegnati e colorati da tutte le parti. Ma era un bel vedere e rallegrava la vista. Sarò io lo strano?
L’abito non fa il monaco, dice un adagio nostrano: vuol dire, credo, che non si deve giudicare una persona da come si veste, ricca interiormente se di splendidi abiti addobbata, indigente di cuore se di laceri panni rivestita. Anche se non è lo specchio dell’anima, l’abito non è però sempre innocente: vestirsi per un rito religioso non è indossare a caso la prima cosa che si trova nell’armadio: c’è dietro una scelta, un’intenzione. La domanda dunque è lecita e solo in parte retorica: perché tanti prelati di tante religioni si conciano, per celebrare riti che simboleggiano la libertà dello spirito, in modo da suscitare, alla vista, non il raccoglimento e l’ardore, ma incredulo ironico stupore? La vanità è un peccato, e pazienza, nessuno è perfetto: ma il ridicolo è letale, perché non suscita lo stimolo al perdono.
Caro Mauricio, hai fatto una buona Pasqua? Mi immagino la danza di colori delle colline marchigiane!
Sono stato occupato in questi giorni […]
Hai chiesto il mio parere sull’olocausto degli agnelli pasquali. Anzitutto mi domando quanti agnelli debbano nascere ogni anno soprattutto per l’iid el kebir, la grande festa del sacrificio, che i musulmani celebrano un mese circa dopo il Ramadan. (Nel mondo cristiano l’agnello pasquale è molto ridotto al confronto).
Gesù ha celebrato l’ultima cena col pane e col vino, e lo fece non assecondando l’usanza registrata e prescritta dall’Esodo e dal Deuteronomio biblico. Il Vangelo non è certamente caratterizzato dal sacrificio degli animali; anzi presenta il sacrificio volontario di Gesù come perfetto una volta per sempre. Quindi l’agnello pasquale senz’altro è da un richiamo ebraico e rende opaca la novità della cena pasquale di Gesù proiettata tutta sulla morte e vita di cui si compone l’esistenza umana.
Tuttavia io so per esperienza (quando facevo le elementari anche mio padre teneva un gregge di un centinaio di pecore che pascolavano lungo il fiume Taro) che quella metà di agnelli nati maschi durante l’inverno, ben presto ad alcuni mesi di vita percependo l’energia sessuale cominciano a darsi cornate senza pietà. Ricordo una volta che impietosito tentavo di separarli e allora ambedue i contendenti si sono messi a dare cornate al sottoscritto. La natura non permette che a pochi agnelli maschi di crescere nella normalità. Se l’uomo o gli animali rapaci non intervengono, si creano l’equilibrio fra di loro e letteralmente si abbattono l’un l’altro. Io credo che l’uomo abbia cominciato a nutrirsi di carne vedendo quello che facevano gli animali.
Io mi chiedo che significhi il fatto che senza la legge predatori – prede non ci sarebbe l’equilibrio della vita. Alcuni ritengono che però l’essere umano, dotato di riflessione, debba prendere le distanze da questa legge del mondo dei viventi. Io li rispetto, mentre da parte mia scelgo di mangiare la carne in media una volta la settimana (ma non è che ne ho fatto una norma). Ricordo mio padre, allevatore e contadino, come trattava gli animali come membra della sua famiglia. Eppure il sabato un abitante dell’aia veniva sacrificato. Mio padre mangiava le zampe della gallina, perché non voleva che si buttasse via niente. Certamente il guardare negli occhi la gallina mentre le si tira il collo è un dovere naturale e religioso. Il sapere che la mia vita mi è nutrita dalla vita sacrificata degli altri esseri viventi mi insegna molto e anche mi commuove. So che deve essere anche della zanzara a cui indispettito dò la manata fatale.
Mauricio, auguri e arrivederci.
Sono appena rientrato dal sesshin, dopo una discussione animata su questo tema.
Il consumo della carne ci fa riflettere sulle diverse sensibilità individuali, siamo fatti soprattutto di esperienze, io non riesco a vedere un film dove si picchia una donna, probabilmente perché ho assistito in casa a scene di questo tipo e ad averle subite.
Spesso, non sempre, ho una reazione analoga di fronte alla carne: forse perché ho vissuto in campagna dagli zii e ho potuto assistere all’uccisione di animali, non posso fare a meno di immedesimarmi. Ho riflettuto a lungo se questo non fosse frutto di un’idea di me stesso da difendere e a dire la verità non sono ancora giunto a una risposta definitiva, comunque spesso la vita non ti da il tempo di capire, si deve agire e chiarire come nel caso della discussione che abbiamo avuto in comunità. Bene, sono giunto al punto che chiederò al responsabile della comunità se quest’ultima continuerà, durante i sesshin, i ritiri, a consumare carne; dopo di che deciderò se continuare quest’esperienza danzando sul filo di un rasoio. Oppure, data la mia sensazione di “disagio” decidere molto dolorosamente di interrompere questa esperienza.
Con Padre Luciano, che stimo e saluto, abbiamo già discusso di questo e anche nei confronti della religione cristiana il fatto di avere essa il simbolo della passione e crocifissione di Gesù (e della sua resurrezione, in verità) ha creato a me non poche difficoltà. L’uccisione di un animale penso sia accettabile solo in caso di necessità. Comunque la storiella del buon predatore e un po’ ridicola; la necessità di uccidere gli animali per chissà quale equilibrio non è plausibile se il 99% della carne che si mangia viene dagli allevamenti, smettiamo di allevarla.
Grazie dell’opportunità
Ringrazio Yushin per aver accettato di aprire questo piccolo dibattito e raccolgo la sua esortazione a non lasciarlo morire senza qualche ulteriore arricchimento.
Sono effettivamente un po’ stupito dalla sua presa di posizione così netta, almeno nelle conclusioni; cerco quindi di capire perché ritenga opportuno sbilanciarsi così.
La prima cosa che mi salta agli occhi è che, dato il ruolo che svolge, Yushin non poteva dire molto di più: dopo aver onestamente confessato il ‘peccato’ (seduto da solo 13 anni…) tenta di balzare al di là della contraddizione assestandosi in una posizione ‘politicamente corretta’. E certamente il consiglio che se ne ricava, cioè che è meglio soprassedere allo sedersi da soli in quanto pratica sterile, è un consiglio di buon senso e di prudenza; come missionario di una scuola (o tradizione o chiesa che dir si voglia) quale lo Soto Shu, effettivamente mym non poteva che prenderla da quel verso. Un buon padre dà sempre consigli sensati e di prudenza. Corretti. E pensa alla sua famiglia.
Già, è proprio il politically correct, in questo caso meglio il ‘religiosamente corretto’, che per cominciare mi lascia perplesso, poiché in nome di quella sorta di ideologia oggi assolutamente dominante, controllata ed alimentata a sua volta dei ‘media’, che mi spingerei provocatoriamente a chiamare ‘idolatria del sociale’, si rischia di banalizzare ogni argomento senza penetrarne più di tanto la superficie.
Pensiamo – ad esempio – alla parola ‘interdipendenza’, sempre più utilizzata come traduzione del termine pratityasamutpada, che è stato a lungo tradotto in italiano con ‘co-produzione condizionata’ o ‘produzione condizionata’ o ‘originazione dipendente’: perchè si preferisce oggi questo brutto termine (interdipendenza)? La mia preoccupazione, anche considerando i contesti nei quali viene per lo più utilizzato e l’età generazionale di coloro che oggi pensano e scrivono sull’argomento (pur senza scomodare il ’68), è che con l’uso di questo termine si insinui di fatto, non dico coscientemente o volutamente, una valenza ‘sociale’ all’idea che pratityasamutpada vuole esprimere. Si colora così, inconsciamente e sottilmente, di tinte formente sociali/sociologiche e quindi umano-centriche la chiave di volta dell’impianto dottrinale buddista (la produzione condizionata); la si ontologicizza perdendo di vista il tratto distintivo di pratityasamutpada che è sostanzialmente ‘vacuità’ (‘tale la vacuità, tale per noi la produzione condizionata’, mi pare reciti ripetutamente il buon Nagarjuna): qualcosa dunque che va ben al di là di opposizioni dialettiche/mentali quali il sociale-non sociale, uguaglianza-diseguaglianza, diritto-non diritto.
Lasciarsi prendere la mano ed accettare acriticamente la prevalenza della ‘dottrina sociale’ è una tentazione inevitabile e forse irresistibile, un percorso che un po’ tutte le religioni sono prima o poi indotte a fare, trasformandosi così in chiese e mescolandosi e contrapponendosi alla politica o alle scienze, in una pericolosa commistione di interessi e di valori che, se non si sta in campana, può generare orribili mostri. La storia di tutte le chiese è lì a testimoniare questo pericolo.
Ed un cenno, a questo punto, credo debba essere fatto riguardo l’uso del termine ‘religione’, termine strategico che come il prezzemolo è diventato buono per condire ogni tipo di minestra e per adeguarla ad ogni tipo di palato, come se una cosa solo chiamandola religione assumesse quella valenza di importanza e di inattaccabilità, divenisse uno scudo protettivo che ci mette al riparo da dubbi ed incertezze e, soprattutto, dagli ‘altri’. Nel corso del tempo mi è capitato di veder ascrive a radici etimologiche diverse e anche non proprio in sintonia tra loro, il termine religione. Ma lascerei questo tema agli appassionati, poiché mi pare molto più rilevante l’uso corrente che si fa della parola viva. Questo spazia da risvolti cultuali (di credenza, credo, confessione) riferiti in linea di massima ad un impianto dottrinale che prevede una ‘spiegazione’ della realtà di origine trascendente e ad una serie di regole comportamentali cui attenersi, spiegazione e regole di cui nessuno si assume la responsabilità perché derivanti da una qualche ‘rivelazione’ di natura non umana; a risvolti mistici (devozione, adorazione; di qualcuno, per qualcosa..) per lo più sostenuti da impianti dottrinali dogmatici o confessionali; fino ai risvolti socio-politici propri almeno di tutte le forme di integralismo. E’ un contenitore così generoso che può contenere praticamente qualunque cosa: dal misticismo al fondamentalismo o all’integralismo, dall’anacoretismo al ritualismo e così via.
A quale scopo introdurre questa parola come chiave di lettura al nostro tema? E’ il Buddismo una religione? Lo è lo Zen? E lo zazen, shikantaza, è una religione?
Lo so che è un tema dibattuto, ma mi pare anche un tema da superare in fretta perché ostacola la nostra ricerca. Ho sottomano l’ed. Ubaldini della < ‘Realtà dello zazen’ di Uchiyama Roshi: a pag 78 il tema è sviscerato in modo ampio e (per me) esaustivo. Lo zazen non è una religione nel senso di una setta o una professione di fede e neppure in quanto sottomissione alla autorità di un Dio. Se con la parola religione invece intendiamo ‘la dottrina del comportamento più intimo di fronte alla vita’, allora il Buddismo (lo zen) è religione ‘ nel senso più puro del termine’.
Mi fermo qui; tanto mi basta.
Ma allora, se uno si siede da solo con questo atteggiamento, orientato a vivere il sé che vive pienamente la vita del sé e null’altro, allora non è una cosa seria? Non è abbastanza ‘religioso’?
Dicevo all’inizio che quello di mym è sicuramente un buon consiglio. E’ evidente che sia meglio praticare in compagnia e, potendo, sotto la guida di un insegnante o comunque di chi è più esperto di noi. Non ho dubbi, non dobbiamo avere dubbi al proposito. E’ un po’ come le massime alla Catalano, di televisiva memoria: è meglio star bene che male, è meglio una moglie bella e ricca…e via sorridendo. Ma non è questo il punto.
Il punto è che non è una impostazione corretta (dal punto di vista dell’analisi, evitiamo facili ironie…) quella di porre il ‘sedersi da soli’ versus il ‘sedersi in compagnia’. Come se una cosa escludesse l’altra. Non si tratta di un aut aut. Se di questo si trattasse sarebbe, per me, un tema privo di ogni interesse, una contrapposizione sensa senso.
No; la domanda che dobbiamo farci qui, per non truccare le carte, è: “quando si è soli è bene sedersi da soli o no? Quando si è in compagnia è bene sedersi in compagnia o no?” E poi, così come studiamo nei dettagli i modi e l’atteggiameto migliore per sedersi in compagnia, possiamo chiederci anche: “Quale è l’approccio migliore alla pratica seduta da soli?”
Ma potremmo parlare della recitazione del Nembutsu, o della presenza mentale nelle attività quotidiane o di qualunque altra cosa: per quale motivo, quando siamo da soli, dovremmo fare le cose male o non farle affatto, svilire le cose che facciamo e sentirci per di più egoisti, e invece in compagnia dare il meglio di noi stessi?
L’unico motivo ostativo, che renda ragione alla posizione di Yushin, potrebbe essere quando/se noi appositamente, intimamente, ricerchiamo la condizione di ‘soli’ contro una visione plurale della vita; allora siamo particolarmente malati di orgoglio, di misoginia o – come vuole mym – troppo amanti del comodo ed anche un po’ troppo pigri. Ma anche qui ci sarebbe da discutere…
Bisogna anche sgomberare la mente da una altra ambiguità, determinata dall’uso della parola ‘soli’.
In realtà chi pratica da solo non necessariamente è un misogino o un pratyekabudda che si è arroccato in una caverna sul M. Bianco. Anzi, quasi mai è così.
Solitamente si trova in questa necessità, di sedersi da solo, chi vive in famiglia ed ha un lavoro, magari abita fuori città o si muove continuamente per affari: chi è, quindi, proprio all’interno del sociale, nel cuore profondo della ‘condivisione’. Pensiamo alla condizione con figli piccoli o con genitori anziani e via di seguito. Di solito – ma non ho fatto una indagine al proposito – si tratta di persone che comunque frequentano periodicamente un centro di pratica, che hanno forse dei referenti o degli insegnanti ‘qualificati’ i quali, per varie ragioni, sono raggiungibili con difficoltà; persone che non ignorano il valore dei 3 gioielli e che rispettano ed onorano e frequentano la sangha con modi e tempi propri, non correlati a formali rituali ‘di esercizio’. Almeno, questo è ciò che spero.
Lo zazen è una pratica per la vita (intesa come buddha-dharma, per dirla con Uchiyama, al di là della dicotomia tra illusione ed illuminazione); voler fare della vita una pratica per lo zazen, lasciando immutate le condizioni, è un rischio e può diventare un errore fatale. Chiunque può fare la prova.
Chi vuole impostare la propria vita in funzione della pratica ‘religiosa’ e null’altro, se ha buon senso non rimane in una condizione laica, evita di costruirsi una famiglia da sostentare con un lavoro, si fa monaco e si reca dove si deve recare per il tempo che verrà stabilito; non tiene il piede in due staffe. Così è sempre stato, perché questa è la condizione migliore per fare una pratica che sia ad un tempo mezzo e fine.
Confondere i due piani significa fare tutto male, mandare a carte quarantotto famiglia, lavoro e ambiente sociale di riferimento; non è questa la lettura raccomandabile del passo evangelico in cui Gesù esorta ad odiare i propri figli ed i propri parenti e amici per guadagnare il regno dei cieli… Oppure significa disamorarsi presto della pratica.
Naturalmente il mio è un ragionamento da ‘laico’, da laico che non si augura di vedere il mondo trasformato in una immensa teocrazia ma piuttosto si augura che la luce del ‘fondare la fede sul Sé’ permei questo mondo così come è, con le strategie che il Sé ritiene più opportune, anziché seguendo modelli precostituiti da altri uomini, in altri tempi e luoghi, che calzano alle singole realtà spesso come scarpe troppo strette.
Infine, il sedersi da soli è pratica che ha una lunga tradizione, anche di tutto rispetto.
A cominciare dal fondatore Sakyamuni, ad altri illustrissimi personaggi come Bodidharma o Milarepa, per finire, attraverso molti altri, con Uchiyama roshi che narra della sua pratica da solo (vedi ad esempio quando narra di come lui ed il suo confratello Sodo-san, in Antaiji, sedessero in stanze separate; commento al Bendowa di Dogen/ trad. di S. Okumura Tokyo 1993/ pag 142 ed altrove, ma siccome non trovo più le pagine e per ora non posso citarle…; tra l’altro, rispondendo ad una domanda sul perchè, anzichè operare nella società, siede solo in un posto così isolato U.R. risponde: “Society always moves without direction. Within such a society it is the greatest contribution to sit immovably by oneself”. Siamo ai margini del nostro tema, ma non mi pare uno spunto cos’ irrilevante), fino ai succitati 13 anni di Yushin.
Ho buoni motivi di ritenere che nei paesi dove la cultura buddista è radicata da tempo, nelle famiglie o in altre situazioni, ci si sieda in zazen tranquillamente, anche da soli: cosa che il cinema (ad esempio) talvolta ci permette di osservare.
E questo ci conduce ad una ulteriore, interessante considerazione, che giustifica e riporta nella sua giusta luce la correttezza e la prudenza della risposta di Yushin: siamo pronti, noi occidentali, noi italiani? La nostra pratica è sufficientemente matura da balzare al di là di questi dilemmi che possono sembrare un po’ assurdi ed artefatti ma che tali, a mio modesto avviso, non sono?
Saremo sufficientemente maturi per sederci lasciando che il sé sia semplicemente il sé, per fare della pratica non un mezzo e neppure un fine o un rifugio al nostro proprio ego, ma una condizione piena, che possa anche rinvigorire la nostra vita e quella di chi ci sta vicino ed indirettamente anche quella di chi vicino non è? Inclusi piante, animali, aria e via discorrendo? In compagnia quando le circostanze sono ‘compagnia’, da soli quando le circostanze sono ‘soli’.
Ma poi: quando siamo realmente soli?
Che la nostra ricerca e il nostro sforzo possano essere di beneficio a tutti gli esseri.
Oggi, lapidario lapido: la frase “Che la nostra ricerca e il nostro sforzo possano essere di beneficio a tutti gli esseri” senza sedersi in compagnia, con tutti gli annessi e connessi che questo comporta, rischia di sembrare un po’… vuotarella.
Ciao
mym
PS: in “Onanismo religioso” ho aggiunto una precisazione, all’ultima riga.
E se l’ umanità avesse un meccanismo, in sé, di autoregolamentazione? Se in quelle situazioni dove la popolazione raggiunge un certo grado di benessere scattasse come una sorta di meccanismo in modo che alcuni individui di quella popolazione cominciassero ad essere insofferenti a delle abitudini acquisite, ma che sentono superate? non è il piantare i cavoli tra gli igloo, Con la mente spesso cerchiamo una risposta esauriente, ma non c’è. Nell’Italia contadina si uccidevano gli animali, e si insegnava da bambini e si faceva assistere all’uccisione degli animali (anche al sottoscritto), ed era giusto: si sacrificava un essere considerato inferiore per la sopravvivenza dell’ uomo. Ora non è più così e qualcosa nell’ animo c’è lo dice, non è più in discussione la sopravvivenza dell’ uomo al punto da dover uccidere, tenendo presente che a quel tempo si uccideva si, ma la carne non era consumata così spesso come oggi. L’assistere o attuare l’uccisione ci faceva sentire anche la compassione per quell’ essere che doveva essere vinta, si doveva vivere. Ecco perché c’era più rispetto per la vita perché era una sorta di coinvolgimento totale emotivo e istintuale.
Ora di carne se ne mangia molta e già pronta confezionata al supermercato emotivamente asettica.
Ciao,
Silvano
Che buffo: perchè mai uno non dovrebbe sedersi in compagnia?
Comunque anche qui si potrebbe aprire un bel capitoletto.
Ma, come ti ho scritto, perchè il dibattito non inaridisca ci vorrebbe qualcuno che allarghi il gioco sulle fasce, che so…. Pirlo!
ciao
p
Ribaltando il discorso: secondo Pascal, l’origine di tutto il MALE del mondo sta nel fatto che NON riusciamo a stare seduti da soli in una stanza.
Vado bene come Pirl…o?
Una volta i ministri del culto di molte religioni, prima di avvicinarsi all’altare, si lavavano le mani e indossavano abiti puri per non contaminarlo con le lordure della vita quotidiana: quegli abiti dovevano rendere onore al dio cui si rivolgevano ringraziamenti e preghiere, e i fedeli erano lieti di rinunciare a una fetta di pane per offrire ai ministri un frammento di quell’abito.
Una volta la maggior parte delle persone vivevano in dieci in una stanza senza pavimento e senza mobili e offrivano ai ministri il loro centesimo, risparmiato sulla lana per coprirsi, perché potessero ornare la parete del tempio con drappi di porpora e oro.
Una volta i ministri celebravano i riti servendosi di lingue e formule arcane, incomprensibili ai fedeli, cosicché questi erano colti da timore reverenziale davanti a chi, con tale linguaggio, sapeva comunicare con la divinità.
Una volta i ministri, paludati nella porpora e parlando latino, reggevano i fili della vita di ognuno che, ammirato e sbigottito, sceglieva di ubbidire a chi sapeva e poteva tanto di più.
Una volta il popolo straccione e incapace di parlare bene non avrebbe mai pensato di poter chiedere “perché?” a chi vestiva e parlava con tanta evidente superiorità.
Una volta?
Intanto devo pubblicamente ringraziare Licia per la sua presenza nella Comunità che fa rendere il luogo “vivo”. Sono d’accordo con Y. pratica è anche cura del luogo,
la mia cura purtroppo la riservo da qualche anno nel venire in Agosto per circa una settimana è un pò poco, ma finora è quello che posso fare e penso che lo farò anche quest’anno sperando nella disponibilità di Jiso per fare qualche ora di “studio”, ho notato che le sesshin sono state inframezzate dal lavoro, anche se preferirei un ritiro intensivo, capisco che solo così si può avere la presenza delle persone per svolgere le mansioni necessarie. Penso che lo zen deve entrare nella vita anche avendo a cuore e nel cuore il luogo. Licia ha bisogno di un aiuto nell’orto, si accettano volontari.
Approfitto della pausa di silenzio sul blog per dire ancora la mia; scusate.
Ho molto apprezzato l’introduzione postuma al tema, che Yushin ha messo in home page col titolo Zazen? Da soli!, e da questo vorrei trarre spunto per qualche altra riflessione.
Il “sacrificio del dono della legge” di Vimalakirti, a mio modesto avviso, non è da leggersi come obbligo morale, neppure è da misurare con una qualche scala di meriti né tantomeno va soppesato come causa dell’effetto ‘uomo della via’.
Quel sacrificio non può essere cercato, sennò è viziato da calcolo, da intenzione: non può essere rifiutato o evitato, sennò si contrappone una volontà propria al corso delle cose e siamo daccapo. In realtà non è un sacrificio nel significato comune della parola; se non fosse un modo di parlare un po’ arcaico dovremmo dire che è un non-sacrificio.
Se può, può essere solo come ‘agio’ del presente che realizza il presente: “grazie al quale gli esseri maturano senza principio né fine”.
Per noi uomini comuni, questa parrebbe una buona rotta da seguire. Con un po’ di prudenza.
O mi sono perso qualcosa?
Cosa significa poi, ciò, in termini concreti? Ad esempio che ognuno segua innanzi tutto la sua propria ‘vocazione’ naturale, il religioso come religioso, il laico come laico (Vimalakirti docet! se non ricordo male infatti, proprio il sutra di Vimalakirti segna la legittimazione storica della condizione di ‘praticante laico’); che ciascuno misuri – se proprio vuole misurare – il suo impegno con la scala delle proprie possibilità e potenzialità, delle circostanze personali, sociali ed ambientali in cui si trova a vivere. Dei propri talenti e dei propri limiti.
E’ vitale, certo, tenere in alta considerazione il parere, il giudizio e l’esempio di altri, soprattutto quando giungono da ambiti ‘qualificati’: ma poi facciamo comunque, necessariamente, le nostre scelte con la nostra propria testa, assumendocene la responsabilità (a chi altri potremmo addebitarla?) evitando nei limiti del possibile di scimmiottare, divenire succubi o di farci plagiare o indottrinare più di tanto. Rischiando. Sbagliando. Cadendo anche e cercando la forza di rialzarci ogni volta.
E’ “sacrificio del dono della legge”, a mio avviso, anche un piccolo atto di vita quotidiana, quando riusciamo a mettere da parte per un attimo il nostro io ed agiamo nel presente che si realizza proprio in quel piccolo atto: lo è lo stare con persone che neppure conoscono il buddismo, donare la nostra attenzione ed ascoltare, anche perché nessuno è nato ‘imparato’ e tutti, proprio tutti, hanno qualcosa da insegnarci. Lo è anche donarsi in toto ad una chiesa, per chi sente questa scelta come sua , come lo è donarsi ad una famiglia, a una comunità religiosa o ad altro ambito laico, oppure ad attività non cercate necessariamente in funzione del nostro esclusivo profitto o vantaggio. Pulire il sedere ad un vecchio parente malato o dedicarsi ad attività di volontariato verso terzi. E, perché no?, anche sedersi da soli anziché andare in discoteca o a andare a cercare del (questo sì, solitario) sesso a pagamento (siamo su questa terra). O scrivere su questo blog senza voler vincere, e leggervi senza temere di perdere.
C’è già da troppe parti un costante tentativo di omologare lo standard dei comportamenti corretti: mi asterrei dal creare ‘modelli’ con cui misurare il ‘sacrificio’.
Perché dunque catalogare forme non standardizzate come ‘disimpegno’? Mi pare, scusa mym, un atteggiamento un po’ sprezzante. Perché – ad esempio – partire dal presupposto che dietro una pratica da soli ci siano prevalentemente arroganza, orgoglio e sovrastima di sè, e non invece – che so – difficoltà, paure, disabilità, insufficienze o necessità di altro genere? (Non tanto diversamente che nella pratica collettiva, peraltro. Siamo comunque un mix di tutte quelle cose.) Il quale interrogativo consiglierebbe forse un ascolto più attento, piuttosto che comandamenti o richiami all’ordine.
Mi rendo conto che predicare bene è facile, quasi quanto razzolare male: è la mia vita, è la nostra vita. Non possiamo fare che errori, temo: ma l’errore peggiore mi sembra ‘giudicare’ gli errori altrui.
Un’ultima precisazione: non intendo minimamente millantare una qualche presunta superiorità del sedersi da soli rispetto alla forma collettiva o comunitaria, tutt’altro. Non nutro e non insinuo nessun fascino particolare nello stare soli. Non ci trovo nulla di eroico o di vantaggioso. Nè nego che makyò (forse la scrittura è errata, intendevo riferirmi alle vivide illusioni/allucinazioni che si presentano talvolta durante la pratica e che a volte scambiamo per realtà) stile eremita-samurai-non-ho-bisogno-di-nessuno possano più facilmente tentarci, stando soli. Fa parte del rischio. Per questo non è consigliabile così, senza riserve. La pratica da soli rimane in qualche modo un ripiego dettato dalle circostanze, ad esempio come integrazione di una pratica collettiva quando non è possibile (qui sì, concordo che non debba diventare un alibi per imbrogliare noi stessi) frequentare regolarmente un gruppo o una comunità o si sente l’esigenza di una maggiore applicazione, oppure in altre circostanze delle quali si possono, volendo, cercare testimonianze presumibilmente non prive di interesse.
Questo mi sembrava si dovesse evincere chiaramente dal contesto della mia precedente. Temo pertanto di essere stato frainteso, ovvero di essermi espresso male.
Penso però che, ponderata attentamente e con le dovute cautele, sia una pratica – quella da soli – che non merita nemmeno di essere demonizzata a priori, al di fuori dei contesti in cui viene adottata. C’è situazione e situazione, c’è persona e persona e così via; le generalizzazioni assolutistiche mi lasciano sempre molto, molto perplesso.
Infine due righe su Pascal: Dario, hai gettato un amo come si deve. Però è abboccando che si supera la contraddizione.
Confesso di non aver letto Pascal; immagino che avrà (e avrai) ampiamente commentato quella riflessione di grandi potenzialità.
L’aspetto normativo non va certamente al primo posto: solo perché se mangio la gallina non avrò più uova, porre la legge salvagalline al primo posto non mi salverà dai mangiagalline. Tuttavia è indispensabile che, se mi occupo di galline, io sappia che una volta che ho fatto l’ultimo arrosto…: fine della storia, per me, per tutti. Perché dico questo? Perché nella mia esperienza (e da quello che leggo nei testi penso si possa dire lo stesso di molti nel passato) appare chiaro che sedersi da soli è di grande comodità, appagante, soddisfacente e privo di inconvenienti (un bell’arrosto già pronto, cotto come piace a noi) e contiene in sé stesso l’antidoto affinché ogni diversa inclinazione si spenga: chi non conosce la radicalità con cui in un pomeriggio di zazen scompare tutto quello che al mattino ci pareva doveroso?
Io penso che il sacrificio di cui si parla nel Vimalakirti non sia da interpretare troppo largheggiando di senso. Certamente in Estremo Oriente l’attenzione a mantenere sempre attivi i conti del dare e ricevere (ovviamente si va in attivo quando si è dato più di quello che si è ricevuto) fanno sì che certi discorsi solo raramente vengano affrontati e quasi unicamente su un piano accademico: il rubagalline (ho spiegato sopra il senso di “furto”) non è, non sarà mai considerato -da sé o da altri- un legittimato.
L’idea che mi sta venendo è che allo stesso modo si discuta del tema qui in Occidente, ovvero in modo altrettanto astratto: siccome vanno in paradiso anche i rubagalline, allora perché no? Sì, va bene, ma è come tagliare il ramo sul quale siamo seduti.
Da un lato. Dall’altro, provare per credere, la rotondità della vita dedicata alla pratica sente l’assenza del sacrificio del dono della legge quando questo ci è negato, non solo quando lo abbiamo rifiutato.
Raccolgo la sfida di P. Luciano, la natura ci mette alla prova, ci chiama a fare il nostro ruolo, mette alla prova le nostre convinzioni più profonde e le nostre presunte etiche-tte da supermercato. Attenzione Luciano però, perchè il discorso ci può portare su un terreno minato e vorrei un tuo commento su “il dovere del medico” di Pirandello.
sc
Però, contraddicendo in parte quanto affermato sopra, è vero che
la ritualità è una costante antropologica, però è anche vero che
bisogna dirsi ben chiaro: se il Crocifisso ha dato origine a dei
RITI in cui il fedele rivive il Suo sacrificio, allora il cristianesimo
è un banale culto misterico, come Iside o Mitra. Se invece la
forza eterna del Cristo consiste nella sua capacità di creare
“scandalo”, allora diventa lecito dubitare che lo scopo della
sua missione fosse quello di inventare nuove cerimonie (neppure
troppo nuove, peraltro…).
Assieme agli amici vegetariani ho discusso spesso se sia giusto mangiar carne o no. Io, ammetto, non sono un vorace carnivoro, perchè nella mia famiglia si mangiava carne quasi sempre, sia a pranzo che a cena. Perciò ho sviluppato in me un senso di sazietà ad essa; nonostante ciò non riesco a trattenermi davanti alla carne di maiale. Golosità? Certamente. Nonostante ciò, sono convinto che l’umanità, nei secoli, abbia sviluppato un modo di cibarsi conforme sia all’ambiente circostante che alla quantità di lavoro da svolgere; è un fatto: senza la carne, moltissime popolazioni umane si sarebbero estinte. Ma è un fatto altrettanto assodato che, soprattutto nell’antichità, l’animale sacrificato era rispettato come un dio, perchè donava vita. L’esempio più ecclatante che possiamo adottare è quello dei bisonti delle praterie americane che venivano usati dalle popolazioni autoctone per tutto: dal cibo, alle scarpe, alle tende. ai vestiti ecc. Moltissimi capi venivano abbattuti ogni anno; ma, per millenni, i bisonti non si sono estinti, anzi, a quanto pare, aumentavano. E’ bastato qualche anno di caccia “non sacrale” e questi si sono praticamente estinti.
Oggi, nel Villaggio Globale, con la produzione “in batteria” di carne da consumare voracemente, tra una telefonata e l’altra, mi sembra giustissimo che molte persone preferiscano cercare un modo di cibarsi che eviti questa mattanza. Quello che vorrei, però, e che i vegetariani abbiano quella tranquillità interiore di non trasformare la propria scelta in un gesto eroico per salvare gli animali da macello o l’umanità dalla barbarie; riconoscendo, semplicemente, che la maggior parte dell’umanità oggi non ha la possibilità di scegliere di cosa cibarsi e neanche la certezza che si ciberà di qualcosa durante la giornata. Questo vale per tutte le nostre scelte, non incensiamole troppo, acquisiamone consapevolezza e non meriti.
Su blogsfere (gia’ ampiamente “gemellato” con il nostro sito) prosegue parallelamente un dibattito su questo stesso tema, vi segnalo un paio di link interessanti:
Sono d’accordo con Pietro di non fare guerre sante, ma chiediamoci come mai gli esperti ci consigliano il consumo della carne rossa non più di una o due volte al mese e il pollo una o due volte la settimana. Pietro abita a Verona come me ha visto i numerosi capannoni di allevamento dei polli sulle nostre colline, e la grande azienda nota in tutta Italia sotto casa. Mi chiedo se il consumo della carne non sia un business. Allora, giustamente, a parte i vegetariani, qual’è il nostro reale bisogno?
È più facile meditare che fare effettivamente qualcosa per gli
altri. La mia sensazione è che limitarsi a meditare sulla compassione
equivale a optare per l’opzione passiva. La nostra meditazione dovrebbe
creare la base per l’azione, per cogliere l’opportunità di fare
qualcosa.
Non sono un nutrizionista, ne un dottore. Da quando è nata mia figlia (10 mesi orsono) ho capito però che ogni “luminare” ha la sua tesi personale riguardo l’alimentazione. Io mi rivolgo, per fiducia, ad un medico che ha approfondito la sua conoscenza della medicina “ufficiale” con molti altri aspetti del corpo umano che vengono genericamente chiamati “psico-somatici”. Ma, devo dire la verità, non gli ho mai domandato nulla sulla carne.
La carne è un business, certamente. Proprio nel numero di “Internazionale” di questa settimana c’è un articolo di Le Monde che s’intitola “L’argentina in vendita”: il 10% del territorio (un superficie grande come l’Italia) è in mano alle multinazionali della carne, il resto è stato venduto a poco prezzo, nel momento della crisi economica, a famiglie ricche argentine che non rispettano l’antica tradizione dell’ “estancias” perchè abitano in città oppure all’estero.
Anche il biologico ha il suo bel giro di soldoni, seppur in tono minore rispetto alle multinazionali (hai mai fatto un giro al “Natura Sì”?). La dieta macrobiotica, per esempio, impone un import sempre maggiore di cibi di origine orientale che in Europa non sono disponibili in natura. Ultimamente anche il “The economist” britannico ha tentato di fare contro informazione scorretta ai danni delle reti di distribuzione biologiche ed equo e solidali, scrivendo un articolo delirante ma che ben mostra quanto, oggi, la ricerca di un cibo più sano e più giusto eticamente stia facendo tremare i polsi a diverse imprese influenti.
L’unica via più semplice per risparmiare, ed uscire il più possibili dal giro dei megastores sono i GAS (Gruppi d’Acquisto Solidali http://www.retegas.org): gruppi di famiglie che comprano dai piccoli produttori della zona. In questo modo: evitano la grande distribuzione, scelgono il produttore che effettivamente usa tecniche agricole salutari, controllano che il personale non sia sfruttato, riducono l’inquinamento e la circolazione dei maledetti TIR, costituiscono una rete vasta di amicizia e scambi d’idee. Anche questo è un piccolo passo, non illudiamoci però che i supermercati spariscano in un batter d’occhio. Io stesso, pur facendo parte di un GAS, devo recarmi nei supermercati a fare la spesa per tutti gli alimenti che il Gruppo d’Acquisto non fornisce.
Ringrazio Pietro per la notizia dell’esistenza dei GAS. Ho visitato il sito http://www.retegas.org se ne trovano sparsi in tutta Italia, andrò sicuramente a vedere come funziona e lo consiglierò a chi conosco.
[…] Nei commenti ad un post pubblicato nel periodo di Pasqua, si sta sviluppando un dialogo attraverso il quale sta emergendo anche un diverso modo di rapportarsi ai cibi in quanto merci. Per questo vi invitiamo, se condividete, a votare quel post ora in evidenza qui, un sito di segnalazione dei post più interessanti […]
La discussione non ha fine, spero comunque che tutto serva a mangiare meno carne e più coscientemente, evitando di produrre sofferenza. Può essere un piacere mangiarla, ma spero che col tempo si insinui il sospetto che il più delle volte se ne può fare a meno.
Le battute a proposito della Chiesa affondano tristemente nei luoghi comuni, che è la peggio cosa (a meno che non si aprano dibattiti elevati, come su questo sito). Però anch’io, a leggere che l’OR ha usato il termine “terrorista”, ho provato un senso di disgusto per il Vaticano che usa un linguaggio da campagna elettorale padana. Allora, visto che diventa lecito sparare a raffica, lo faccio anch’io: aridatece er puzzone, cioè la Chiesa cattolica com’era prima del Concilio, quando non aveva tutta ‘sta smania di “dialogare alla pari” con il “mondo contemporaneo”.
“E’ vile e terroristico lanciare sassi questa volta addirittura contro il Papa”.
I sassi???
Chi lancia i sassi va in galera, non mi sembra questo il caso.
Nei giornali per farsi le ossa, un tempo, si cominciava con l’occuparsi di cronaca o di sport, prima di diventare opinionisti.
Attenzione a non fare il gioco di chi provoca per arrivare a scontri senza fine, o peggio, a chi li crea per essere martirizzato. I provocatori sono una specie antica come l’uomo, una volta stavano vicino ai cortei, oggi in Vaticano, in Parlamento e sui giornali.
Non ho visto lo spettacolo e non conosco il “terrorista” in questione, ma se le frasi dette da quel signore son quelle e la risposta del vaticano quell’altra (riportata nel link), mi par che fra i secondi ci sia profonda nostalgia dei bei tempi del Sant’Uffizio, neanche tanto celata…
Spulciando poi su internet ho letto due ineffabili dichiarazioni. Ne riporto alcuni passaggi chiave:
1) “…Ci sono due forze oggi contro l’occidente. Una è la sfida islamica, l’altra è la sfida interna all’occidente che odia se stesso. Oggi l’odio antioccidentale emerge nel mondo, unisce l’America latina al mondo islamico. E figure che hanno espresso l’identità dell’occidente e l’unità dell’occidente come Bush, Blair, Berlusconi e Aznar, non hanno più tanto potere da suscitare odio. L’unica figura odiabile dagli occidentali di occidente e dagli antioccidentali d’occidente è la chiesa cattolica. E segnatamente questo grande Papa, che ha difeso l’appartenenza all’occidente della cristianità assieme all’universalità della fede cristiana…” (Gianni Baget Bozzo su Il Foglio)
No comment
2) “…Gli scriteriati ci sono sempre, ci sono sempre persone che usano linguaggi al di sopra delle righe. Chi ha più buonsenso lo usi, diceva sempre mia madre: cerchiamo di usarlo” (Prodi su La Stampa)
No comment bis
Mi ricordo circa trentanni fa, era la metà degli anni ’70, i miei erano molto legati alla Madonna e spesso capitava che andassimo alla messa in un santuario della Madonna di Lourdes. Bene una domenica un solerte sacerdote ci invitò ad uscire perchè mia sorella (handicappata) recava disturbo (?).
Ci trovammo sotto il sole sulla scalinata vergognosi e colpevoli.
Poco dopo venne il momento di far fare la comunione a Cristina, il parroco del paese si rifiutò dicendo che tanto lei non capiva niente, intervenne l’ex curato allontanato dalla parrocchia per idee troppo progressiste che aveva grande seguito fra i giovani, volle fare una cerimonia solo per lei e, guarda caso nello stesso santuario dove qualche tempo prima eravamo stati cortesemente invitati ad uscire. Fu molto bello, mi ricordo ancora, con commozione, i giovani che suonavano la chitarra. Nel 2003 mia sorella è morta e fu ancora quel curato divenuto parroco di un piccolo e sperduto paese di montagna a celebrare i funerali.
Oggi spulciando su Internet ho trovato casualmente questa citazione:
“La realtà è che quando un clericale usa la parola libertà intende la libertà dei soli clericali (chiamata libertà della Chiesa) e non le libertà di tutti. Domandano le loro libertà a noi laicisti in nome dei principi nostri, e negano le libertà altrui in nome dei principi loro” Gaetano Salvemini
“Sogno una chiesa più umile, meno autoritaria, nel senso di più conscia della sua ‘umanità’ e che la fa vicina a tutti in quanto ‘sorella e discepola’ proprio per essere ‘mater et magistra”
Non si può tacere, non si deve tacere, quando le libertà sono solo del più forte
allora qualcuno deve difendere il debole.
Facciamolo firmando, informandoci, parlandone anche se a qualcuno potrebbe dare fastidio, quel qualcuno farebbe bene meditare sulla propria miseria.
Sono sempre titubante quando si tratta di “abolire qualcosa” o di “non permettere a qualcuno di fare qualcosa”. La libertà è sacra.
Eppure stavolta non ho dubbi. Quando la libertà è a senso unico perché l’altra parte – la controparte – non dispone degli strumenti per esercitare la propria, allora si deve agire.
Da perfetta atea, iconoclasta, egocentrica ecc., riconosco un unico valore: la dignità della persona. La pedofilia è una grave violazione di questa, sia da parte di chi subisce sia anche da parte di chi si impone con la violenza. Tanto mi basta.
Che cosa si può dire per commentare tanta brutalità. Non c’è nessuna giustificazione che possa spiegare tanta brutalità, se non che per soddisfare le proprie perversioni, il proprio bisogno di affermazione, l’uomo è capace di tanta crudeltà. E’ come se facesse calare un velo, un filtro che intensifica solo il proprio “godimento” e cancella la sofferenza, il calvario che inevitabilmente viene inflitto alla “Vittima”..
Pensare ad un modo che faccia provare la stessa sofferenza delle vittime, ai loro carnefici!!, Questo li farebbe star fermi, forse, ma almeno non si azzarderebbero a proporre cose oscene come questa!!
Mi viene in mente Gesù Cristo sulla croce che urla a Dio, “Perdona loro, perchè non sanno quel che fanno”… Chissà se lo direbbe anche in questo caso?!
L’uomo è stato educato a essere una merce, me ne accorgo al lavoro, sui mezzi pubblici, appena accendo la televisione: l’uomo è una merce di scambio preziosa. Il suo accedere a forti somme di denaro o meno, gli permettono di essere più protetto dalla legge o meno.
In Italia si aggiunge, a questo nefasto meccanismo, quello delle “conoscenze”: basta dare uno sguardo alla ridicola situazione del nostro parlamento e moltiplicarlo per ogni posto di “gestione dello stato”: dalle panetterie fino ai vertici militari: se io conosco posso, se invece non conosco non posso.
I bambini, in questa enorme macchina, non contano nulla, sono anch’essi merce di scambio, materiale grezzo da manipolare, esporre, litigare nei tribunali, scambiare, educare a diventare oggetti.
Ma come facciamo a non comprendere che la strada presa dalla nostra società porta proprio dritto alla pedofilia? Com’è che possiamo sopportare pregiudicati seduti comodamente al Parlamento e una manifestazione di orgoglio pedofilo no? Se guardiamo hanno la stessa matrice: io, uomo potente e influente, posso decidere che violentare i bambini è lecito, faccio una legge “ad personam”. Nessuno di noi ha ancora detto nulla che un gruppo di imbecilli con la legge Biagi ci ha fatto diventare tutti precari, tutti schiavi, mettendo sulle spalle dei nostri figli oneri che loro, i criminali non vogliono portare (tanto loro in tre anni vanno in pensione).
Perchè dovrebbe interessare qualcosa al Parlamento europeo l’incolumità dei nostri figli? Non hanno già il nome e l’indirizzo delle agenzie di viaggio che fanno miliardi con i pedofili occidentali che vanno a divertirsi nel sud est asiatico, perchè nessuno fa nulla? Perchè non smettiamo di pensare che chi ha potere si interessi di noi e dei nostri figli?
Ho quasi finito di leggere “Memorie di un soldato bambino” scritto da Ishmael Beah, un ex bambino soldato della Sierra Leone. Leggetelo, se avete tempo. Bene, gli stessi che oggi dicono in Europa di sostenere e proteggere i nostri figli sono quelli che sono sponsorizzati da chi fornisce armi a questi ragazzi.
Come può un paese che produce bombe anti uomo, che appoggia le guerre in Iraq e Afghanistan, come l’Italia, avere il coraggio di dire di essere dalla parte dei bambini? Uccidere, violentare, mutilare sono la stessa identica cosa. Ho fatto il servizio civile con i bambini e le bambine violentate e credetemi non c’è nessuna differenza.
Ora vorrei che la BBC, così giustamente precisa sui crimini pedofili del Vaticano, faccia un altro bel video su queste persone che in Olanda vogliono il partito pedofilo. Vorrei nomi e cognomi e soprattutto sapere da chi sono sostenuti, chi li protegge e a quale loggia massonica appartengono, perchè solo da lì può essere sostenuta questa idea di legge diabolica.
Condivido lo sdegno verso ogni prevaricazione compiuta su deboli ed indifesi, bambini in primis. Mi trovo anch’io impreparato a questa cosa, però dubito che sia conveniente liquidare l’argomento in modo puramente emotivo. Mi permetto di segnalare, a chi lo avesse perso, il bel film di Kevin Bacon, THE WOODSMAN.
Il termine pedofilia indica un peculiare orientamento sessuale (‘polarizzazione dell’interesse erotico verso i bambini’), sia dal punto di vista etimologico che da quello del linguaggio scientifico; come altre –filie… ce ne è per tutti i gusti. E’ una realtà per alcuni nostri simili, che piaccia o no a noi ed a loro. Ed è cosa diversa dalla intenzione di agire, di nuocere o dall’adozione di comportamenti più o meno esecrabili o delittuosi (adescamenti, violenze, stupri, omicidi e via discorrendo). Questa distinzione tra imprinting ‘karmico’ e azione/intenzione di nuocere/comportamento delittuoso, in democrazia è costituzionale. E anche dal punto di vista buddista – e cristiano – è assai rilevante.
Che il fenomeno pedofilia resti una questione nascosta e sotterranea, che non ci siano interlocutori visibili con i quali aprire un dialogo, che rimanga un tabù non conoscibile e non analizzabile, credo non vada, prima di tutto, a vantaggio delle (potenziali) vittime. Conoscere per prevenire, anche in questo caso, mi pare la regola aurea. Almeno quanto reprimere senza sconti atteggiamenti lesivi ed abusi di ogni sorta (ma per far questo dobbiamo aspettare la vittima….).
Pertanto non mi sento di condannare a priori iniziative come quella olandese che, (forse…confesso di non saperne praticamente nulla), mirano a sdoganare per far emergere un fenomeno nascosto, sotterraneo e proprio per questo doppiamente pericoloso.
Vorrei chiedere a Paolo Sacchi di spiegare questa affermazione che non mi è molto chiara:
“Questa distinzione tra imprinting ‘karmico’ e azione/intenzione di nuocere/comportamento delittuoso, in democrazia è costituzionale. E anche dal punto di vista buddista – e cristiano – è assai rilevante.”
Ricordandoti che la Verità non è soggettiva ed essa deve essere ricercata nei frutti che dà. Da questo segue la seconda domanda: l’atto pedofilo è vitale o mortale?
Paolo, credo ci sia un argomento che taglia la testa al toro: in tutto cio’ che riguarda i bambini non ci sono praticaemnte affermazioni che possiamo fare con certezza. Nella fattispecie e’ impossibile dire con certezza quanto danno psichico potrebbero subire da rapporti sessuali con adulti. Gli psichiatri tendono a dire che questi danni sono enormi.
In ogni caso, anche ammettendo per un istante che la pedofilia potrebbe essere considerato un orientamento sessuale “normale” o per lo meno “discutibile”, nel dubbio sarebbe criminale correre il rischio di fare del male a esseri incapaci di difendersi, sia fisicamente che psicologicamente.
Fatte queste premesse, se la pedofilia resta un tabu’ e non verra’ mai “razionalizzata”, pazienza, che resti tale. Tanto comunque andra’ sempre e comunque repressa perche’ prima ancora di considerare sia pur remotamente la possibilita’ che possa avere la dignita’ di tema razionalizzabile, prima di allora viene la difesa del piu’ debole, un principio che non ammette deroghe.
Le “potenziali” vittime sono tutt’altro che potenziali. Ce ne sono gia’ a iosa, e a Palermo il 23 giugno la fiaccolata silenziosa servira’ anche a ricordarle. Quelle che non possono piu’ raccontare quello che e’ loro successo e sopratutto quelle che non l’hanno mai fatto e non avranno mai il coraggio di farlo.
Ci provo comunque, a chiarire.
Per imprinting karmico intendevo un po’ quello che, scientificamente, si può chiamare genotipo (DNA)/fenotipo (es. una violenza subita): la discussione se le cosiddette devianze siano di origine genetica o ambientale, se siano malattie o solo alterità, penso non avrà mai fine. Per il buddismo si potrebbe dire che sono l’effetto delle azioni (karma) passate, anche se ci sono probabilmente da fare infiniti distinguo tra le scuole e tradizioni; per il cristianesimo direi che sono un modo di esplicarsi di ciò che viene chiamato peccato originale.
La pedofilia è, appunto, un aspetto della personalità ( o dell’ego o della persona, come si vuole). Bene o male che sia, il fatto esiste: è una realtà. Questa è la verità. Il lupo va guardato negli occhi. Non è questione di opinioni: rifiutarsi di prenderne atto non giova a nessuno.
L’atto (atto pedofilo, dici) è cosa più complessa: nel decidere di compiere una azione ( es adescare un ragazzino) la persona si assume la responsabilità della sua scelta, della sua battaglia interiore, della sua azione e delle conseguenze che ne derivano.
L’imprinting karmico, in sostanza, orienta il desiderio: al desiderio può corrispondere una azione efficace alla soddisfazione, ad esempio l’impossessarsi della cosa desiderata. E’ questa azione che crea effetti, sia sul piano giuridico che su quello della retribuzione karmica. Anche soltanto attaccarsi ad un pensiero, pur riconoscendolo non salutare, e coltivarlo, da questo punto di vista è azione (una formula confessionale mi pare sia ‘perdona perché ho peccato in pensieri, parole ed azioni). Mentre invece la legge dello stato non punisce i pensieri e garantisce i diritti costituzionali a qualunque cittadino, indipendentemente dalle sue convinzioni e dai suoi orientamenti sessuali.
Insomma, se io vado pazzo per le bionde di un metro e settanta, mi innamoro di una e la desidero, è una cosa. Se le salto addosso in ascensore e la violento, è altra cosa.
Non mi interessa fare un discorso morale: voglio essere pragmatico. Dopo il tempo dell’indignazione, assolutamente legittimo, viene il tempo dell’azione: non possiamo sempre delegare a qualcun altro (a chi? ai professionisti della politica o della religione? ) la soluzione dei problemi dell’umanità. Perciò, che fare? Che fai tu? Che faccio io?
Sono a favore della logica preventiva per un semplice motivo: potendo, preferisco evitare un abuso agendo prima che succeda, piuttosto che punire, dopo, i colpevoli.
E’ piu difficile? Forse. Ma può –in teoria- spezzare il circolo vizioso che crea mostri e vittime.
Tra pensiero e azione non c’è che un piccolissimo margine; e comunque amare le bionde e desiderarle a livello sessuale è una cosa, mentre desiderare le bionde e violentarle è tutta un’altra cosa; o pensi che fare l’amore con una bionda consenziente sia la stessa cosa che violentarla?
Dunque, che fare:
1)Abituare i bambini, attraverso le fiabe e la figura dell’Orco, a distinguere l’adulto molesto da quello amico. E soprattutto a scappare più velocemente possibile se dovessero fare brutti incontri.
2) Lo Stato deve garantire a tutti i cittadini che chi compie l’atto pedofilo, dopo un processo regolare, deve essere punito con il carcere e tenuto sotto controllo a vita. Non deve più nuocere. Se lo stato non s’impegna a farlo s’innescherebbe subito l’oscuro periodo dei processi sommari, anche contro gente innocente, e i conseguenti linciaggi; dove sarei costretto a diventare, mio malgrado, carnefice del carnefice.
3)”Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino e fosse gettato negli abissi del mare”.
Il punto terzo è un pò duro? Ma chi ci ha insegnato che Gesù era un buon fricchettone che andava in giro a dire “Volemose bene. Peace and Love”?
Caro Paolo, penso che non avresti coraggio di fare questi ragionamenti se fossi una vittima. T’invito a passare un periodo da volontario nei centri di recupero dei bambini violentati. Così, come è capitato a me, incontrerai lo sguardo di S. prostituta di 6 anni, mentre M. per i primi mesi non avrà il coraggio di guardarti in faccia solo perchè sei un “maschio violentatore”, sentirai L. non dormire la notte perchè era il momento in cui lo zio entrava in camera sua per divertirsi un pò con lui, dopo qualche mese A. ti racconterà tutto per filo e per segno cosa le hanno fatto questi onesti pedofili chiedendoti di spiegarle il perchè e così via. Quando la smetteremo di coltivare e mascherarci dietro graziosi pensieri borghesi?
Io penso che cercare motivazioni genetiche o karmiche alla base delle proprie deviazioni sessuali sia un po’ come cercare delle scuse per dire “non e’ colpa mia, ma dei geni o del karma” per essere più accondiscendenti verso se’ stessi.
L’atto (atto pedofilo, dici) è cosa più complessa: nel decidere di compiere una azione ( es adescare un ragazzino) la persona si assume la responsabilità della sua scelta, della sua battaglia interiore, della sua azione e delle conseguenze che ne derivano.
Mah, a me non pare mica del tutto vero. Una persona può assumersi la responsabilità delle proprie azioni solo quando le conseguenze dei propri atti ricadono solo su di lui, cosa palesemente falsa nel caso del pedofilo che adesca un ragazzino. Anzi, è vero proprio il contrario. Il problema è proprio che le conseguenze dell’atto pedofilo ricadono in modo quasi esclusivo sul minore, cosa che fa del pedofilo un irresponsabile (oltre che criminale).
Dopo il tempo dell’indignazione, assolutamente legittimo, viene il tempo dell’azione: non possiamo sempre delegare a qualcun altro (a chi? ai professionisti della politica o della religione? ) la soluzione dei problemi dell’umanità.
Certo, però non è che possiamo fare molto nella nostra posizione, se non aiutare chi ci sta attorno (a cominciare dai nostri figli, i nostri amici, le persone con cui ci relazioniamo) a sviluppare un senso critico solido ed equilibrato, capace di digerire mattoni come questi, ma anche di riconoscere la pericolosità di un pensiero che vuole solo mascherare con argomentazioni pseudo-logiche quello che è soltanto una manifestazione di misero egoismo. Questo è – secondo me – il senso della pubblica denuncia su questo ed altri blog…
Bene, pare che la pubblica denuncia su questo blog abbia davvero un senso, almeno quello di approfondire una questione delicata come questa. Peccato sia così difficile capirsi, però… Ad esempio, PB scrive ‘..e comunque amare le bionde e desiderarle a livello sessuale è una cosa, mentre desiderare le bionde e violentarle è tutta un’altra cosa’. Ma scusa, non è esattamente quello che avevo scritto io?
La mia tesi ,comunque, resta quella che lavorare sulla prevenzione paghi in termini di efficacia molto più di qualunque altro approccio (forse dove c’è la pena di morte certi reati sono diminuiti?!); anche se è molto meno spettacolare e più faticoso di altri metodi. E per fare prevenzione sono premessa essenziale l’analisi, la conoscenza e la comprensione del fenomeno.
La prevenzione ha tuttavia un grosso limite: può raramente dimostrare la sua efficacia, poiché è impossibile quantificare eventi che non sono mai accaduti essendo stati evitati. Quindi la pubblica opinione, i politici, i burocrati, non investono in mezzi e risorse per questa attività. Non credo proprio sia roba per fricchettoni…ma certo si potrà anche vedere così.
Ciò che mi rallegra è sapere che tra chi scrive su questo blog almeno uno si spende davvero, in prima persona, proprio sul fronte della prevenzione . Infatti il lavoro di cui narra Pietro con le piccole vittime, potrebbe parere il cardine centrale di un serio progetto preventivo: è probabile (statisticamente certo, oseri dire) che alcune delle piccole vittime di oggi, abbandonate a se stesse, divengano i mostri di domani. Prendere coscienza di essere in un ruolo ‘preventivo’ significa lavorare meglio e con più determinazione razionale. Tanto di cappello per la tua forza di volontà! ma non pensare, per questo, che sensibilità e compassione siano peculiarità solo tue e di pochi altri che ti danno ragione; per favore. Così offendi molti.
Infine, non sono ovviamente d’accordo con l’affermazione di Pierinux: ‘una persona può assumersi la responsabilità delle proprie azioni solo quando le conseguenze dei propri atti ricadono solo su di lui’. Forse ho capito male. Ma se non sono io responsabile delle mie azioni, chi lo sarà mai?
Grazie dei chiarimenti, Paolo, su questi argomenti e’ facile che gli animi si scaldino, tanto siamo carichi di emotivita’. L’importante poi è capirsi.
una persona può assumersi la responsabilità delle proprie azioni solo quando le conseguenze dei propri atti ricadono solo su di lui (mi auto-cito…)
Si, intendendo dire che “assumersi la responsabilità delle proprie azioni” significa assumersi l’onere di riparare se si fa uno sbaglio, proclamare la propria disponibilità a pagare di tasca propria gli errori o le conseguenze delle proprie azioni. Cosa che i pedofili evidentemente non possono fare. Codardi e vigliacchi fanno solo il proprio egoistico interesse sapendo perfettamente che chi paga poi sono solo gli altri.
Comunque capisco il tuo punto di vista: parlarne, razionalizzare, aiuterebbe a conoscere il fenomeno e forse prevenire. In linea di massima sarei d’accordo, se non fosse che: a) il problema di fondo, non superabile, sta nel fatto che l’atto pedofilo è un atto fondamentalmente egoista la cui vittima è una persona che non ha gli strumenti per difendersi, non vedo cos’atro ci potrebbe essere da razionalizzare…, b) il pericolo – viceversa – è che da questa razionalizzazione alcuni possano trovare pure una plausibile giustificazione alla loro perversione e quindi venire allo scoperto ed agire (cosa che pare sia già successa in passato, negli Stati Uniti, con conseguenze tragiche).
Quindi il mio punto di vista, lo stesso espresso dal presidente dell’AIIP (Associazione Italiana Internet Provider) ieri in una mailing list interna degli associati, è che “il sito va bannato“, punto e basta.
Non ho problemi ad offendere i molti se c’è in gioco la vita delle persone. Su tutte le altre questioni umane (religiose, politiche, filosofiche ecc.) preferisco ascoltare, contemplare e condividere il cammino di ricerca con tutti. Ma se essere chiari vuol dire offendere, allora sono fatti di chi s’offende, non certo miei.
Caro Paolo, io mi sto disintossicando con fatica dall’ “oppio mentale”, fratello gemello, ma meno conosciuto, del famoso “oppio religioso”. E nei tuoi discorsi ne ho sentito il profumo e il sapore. L’ “oppio mentale” ce lo hanno piantato nel cervello da piccoli, a scuola e poi lo hanno coltivato ben bene attraverso tutti le altre agenzie educative in cui ci siamo imbattuti.
Che effetto ha questa droga? Confonde la Verità con le opinioni, creando paesaggi possibili ma lontani anni luce dalla realtà. In questi mondi i pedofili possono esserlo anche senza far violenza sui bambini; oppure esiste la “guerra umanitaria” e gli esempi possono essere moltissimi.
La nostra mente è allenata a toglierci dal reale e spostarci in un soffice mondo dove non sentiamo e non vediamo più nulla tranne che il nostro piccolo orticello. Fa così perchè difficilmente sopravviveremmo all’assurda società in cui viviamo.
Lo zazen mi sta aiutando molto a disintossicarmi ma, allo stesso momento, sono conscio che, come ogni forma della spiritualità, può riportarmi indietro nella dipendenza.
Per uscire immediatamente dagli effetti devastanti di questa dipendenza celebrale c’è un interessante “gioco” che mi è stato insegnato: chiedersi se ciò che vedo, ciò che penso e ciò che scelgo di fare sia “mortale” o “vitale”. Alla domanda è “giusto o no?” “E’ bene o male?” Il nostro cervello reagisce con degli imput ben precisi che fanno diventare tutto un “dipende”. Col “mortale” o “vitale” non hai scampo, o scegli l’uno o scegli l’altro, o continui a farti d’oppio o ne vieni fuori, ma lì è tua/mia libera scelta.
Concludendo, non scrivo sul blog per farmi lodare o cercare rissa…anche se qualche pugno mediatico, ogni tanto, ci sveglia dal nostro comodo e fumoso torpore. Infatti, Paolo, osserva il tuo primo intervento e il tuo ultimo e dimmi se non hai acquistato mille volte in chiarezza, grazie (forse) alle punzecchiature mie e del buon Piero. “Ma se non sono io responsabile delle mie azioni, chi lo sarà mai?” La strada è ancora lunga per tutti, ed è bello condividerla.
Grazie, così si scioglie la competitività…
Pericoli ce ne sono qualunque scelta si faccia: non penso sia ipotizzabile ‘estinguere’ la pedofilia in tempi medio-lunghi. Nè so dire se sia meglio ‘bannare’ i siti oppure no: non avremo mai un convincente ritorno di informazioni che ci dica cosa è (era) più giusto fare.
Ciascuno fa il suo mestiere e ne è condizionato: i ‘preventori professionisti’ danno valore a tante razionalizzazioni e considerazioni che, a chi non è del mestiere, possono apparire insignificanti. Ciao
Scusate, non avevo ancora visto la risposta di Pietro Bizzini. Che dire? Non ti conosco ma ti vboglio bene. Dal tuo alto soglio… hai acquistato qualcosa anche tu? o preferisci continuare a “giocare”?
Amo la parte ludica della vita; grazie a Dio, faccio fatica ad essere serio su tantissime cose, ma sulla pedofilia non scherzo.
Non ho un alto soglio da cui guardarti, non lo voglio, non lo cerco. E mi spiace se hai percepito questo dai miei ragionamenti, ma non ci posso fare nulla. “La Verità vi farà liberi” questa è la mia ricerca che non ammette comode deviazioni.
Ti ringrazio del tuo affetto che ricambio volentieri, da fratello a fratello, nella nostra confusa umanità. Sono sicuro che su tantissime altre questioni andremmo d’accordissimo e magari sarai tu a tirarmi fraternamente l’orecchio se dovessi deviare in ragionamenti barocchi. Ci conto!
Volevo capire se avevo sbagliato approccio: evidentemente sì. Ti facevo assai più giovane. Così posso solo lasciarti alle tue Verità, sperando che non ricadano su altri. Auguri.
Anche su questo non posso essere d’accordo, Paolo. Se Pietro sbaglia le vittime dei suoi errori ne avranno ricevuto forse solo una limitazione della libertà di agire secondo le proprie pulsioni. Pazienza. Se invece ha ragione, avrà salvato delle vite.
Se non fosse altro, per il principio del minor danno ha ragione lui: l’eventuale ricaduta delle sue Verità non fa male a nessuno.
Orgoglio pedofilo, sito bloccato Gentiloni contro “Love boy day”
Oscurato in Italia il sito tedesco che sostiene la giornata dell’orgoglio pedofilo
ROMA – Almeno in Italia, il sito tedesco che sostiene il Love boy day, la giornata dell’orgoglio pedofilo, è stato oscurato. Dopo lunghe e accese polemiche, non si farà più pubblicità online “sull’abominevole giornata”, come l’ha definita il Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni.
L’invito è per il 23 giugno, tra appena dieci giorni, quando “tutti i pedofili della Terra – come scrivevano i sostenitori dell’iniziativa – accenderanno una candela azzurra per ricordare i pedofili incarcerati, vittime delle discriminazioni, delle leggi ingiuste e restrittive”. Il tam-tam tra i pedofili ribalzava da settimane su internet e il sito tedesco oscurato in Italia era la piazza vituale sulla quale i sostenitori dell’iniziativa si davano appuntamento e si scambiavano opinioni.
Parlando della decisione di cancellare dai computer italiani il sito tedesco, il Ministro Gentiloni ha sottolineato il “particolare significato di questo successo, sia per l’ubicazione all’estero dell’inidirzzo elettronico (come tale non assoggettabile all’autorità italiana), sia per la collaborazione prestata dagli Internet Service Provider italiani e dal mondo delle associazioni di volontariato, come la Meter di don Fortunato di Noto, i quali hanno cooperato per contrastare l’iniziativa pedofila”.
Magnifico Yokoyama. Non manca nulla, nulla che ecceda. Complimenti a chi ha scovato e curato questa rara chicca di un autore così pudico nello scrivere…
Quella volta a ricevere l’ospite e metterlo alla prova fu mandato un monaco con un occhio solo. L’ospite, andandosene, disse di aver perso la prova perché quando aveva indicato con un dito il Buddha aveva ricevuto come risposta due dita a significare Buddha e il Sangha; allora aveva esposto tre dita per indicare i tre gioielli ma gli fu risposto “unità” con la mano serrata. Il guercio era arrabbiato dicendo che era stato preso in giro perché dell’ospite, mostrando un dito aveva inteso ricordargli: hai un occhio solo. Lui con due dita prendeva atto che l’ospite ne aveva due. Ma quando l’ospite alzò le tre dita indicando che c’erano tre occhi soltanto in quella stanza deridendolo di nuovo, lo minacciò con un pugno.
Salve, sono Gennaro Iorio.
Ho letto il suo commento al ”Il papa chiede perdono”.
La ringrazio di aver letto la mia scheda e di aver trovato il
tempo di fare un commento.
Tuttavia non ho capito bene cosa volesse dire.
Vorrei solo precisare un punto: quello non è un articolo, ma una scheda di commento ad un libro da me letto.
Se avessi scritto un articolo, avrei dovuto precisare tanti punti
che in quella scheda sono omessi.
Penso alla complessità della figura di Giovanni Paolo II.
Davvero grazie per il commento e spero che lei possa commentare, là dove sono interessanti per lei, anche le altre schede che verranno.
Un saluto.
G. Iorio.
Caro Iorio,
grazie per la precisazione sul post.
Le perplessità a cui mi riferivo sono quelle espresse dal teologo Kung e che erano riportate nel link che ho citato. Non sono un vaticanista esperto, ma da semplice osservatore laico non mi sembrano considerazioni peregrine e, a un anno dalla sua dipartita, inducono a riflettere in modo più distaccato e obiettivo sulle scelte istituzionali operate da quel, comunque grande, papa.
Ma ripeto, non me ne intendo più di tanto. Rimasi però molto sorpreso quando un mio caro amico mi riferì che il prete della sua parrocchia gli confidava in privato che papa Wojytila era “una disgrazia per la chiesa perché ultraconservatore, assolutista” e aggiungeva “quanta superbia, quanta mancanza di carità e di rispetto per i preti!”. Io invece ne ero affascinato e avevo tutta un’altra immagine di lui…
Saluti
Al
Da qualche parte ho letto che l’estrema vetta della poesia è arida.
Questa mattina il cielo era pieno di uccelli che cacciavano insetti,
tutto era così…semplice e nello stesso tempo spettacolare, non saprei con quali altre parole descriverlo.
Descrizione di un’interessante esperienza post-mortem… o è la vita?
Da E. A. Poe, “The Colloquy of Monos and Una” (1841)
“For that which was not – for that which had no form – for that which had no thought – for that which had no sentience – for that which was soulless, yet of which matter formed no portion – for all this nothingness, yet for all this immortality, the grave was still a home, and the corrosive hours, co-mates”.
Per ciò che non era – per ciò che non aveva forma – per ciò che non aveva pensiero – per ciò che non aveva sensibilità – per ciò che era senz’anima, senza però che neppure la materia ne costituisse la minima parte – per tutto questo nulla, e tuttavia immortale, la tomba era ancora una casa, e le ore distruttrici erano compagne.
Finché ci siamo noi, non c’è la morte. Quando c’è la morte non ci siamo più noi. Così diceva un filosofo greco per fugare la paura della morte. Io non credo che basti questo argomento razionale. Nessuno sinceramente vorrebbe mai morire. Anche chi le va incontro precocemente o in fretta secondo me lo fa spinto sempre dalla paura (della serie: farla finita per superare l’angoscia). Ma è bello e consolante pensare, come propone mym, che la morte invece è un’opportunità per celebrare la vita. Forse chi ha paura della morte, in realtà ha paura della vita.
Ciao,
Al
P.S. Suggestiva la citazione di Dario. Ho incontrato uno di quelli clinicamente deceduti e poi recuperati in extremis. Dice che “di là” si stava una vera meraviglia, sarà…
Nel post di ieri sottolineavamo come l'acquisto di prodotti nel circuito del commercio etico, potesse garantire una maggiore giustizia nei confronti dei produttori e lavoratori dei paesi in via di sviluppo.Ci sono però aspetti, sia sul piano…
Senza corpo non c’è sensualità e di conseguenza comunicazione e coinvolgimento. Lo percepisci, oltre che nella poesia (e in Lesbo c’è con una potenza sconvolgente), soprattutto nell’arte scenica: un attore/attrice, un ballerino/a, un/a musicista senza corpo non ha neanche anima/vita. Cupido è una versione molto annacquata di Eros.
Vero. Eros e Cupido, come anche le rispettive madri Afrodite e Venere, benché abbiano caratteristiche in comune abitano però Olimpi diversi: sono cioè espressione di due culture profondamente diverse. Perciò non si può rimproverare all’uno di non essere pari all’altro: equivarrebbe a rimproverare ai Romani di non essere Greci, o viceversa… come a un pensatore non potremmo rimproverare di non essere un ballerino o a un matematico di non essere un attore! Ciao
Sono d’accordo. Non era infatti un rimprovero, solo una considerazione supplementare e una constatazione. I Romani comunque erano ancora molto vicini; siamo noi che, ahimè, abbiamo perso tanto di quella vitalità originaria. Oggi questo straordinario mito della potenza della natura è ridotto a un insulso e frigido puttino per i fumetti. Mi astengo dal dire per colpa di chi…
A proposito, complimenti per il dotto e interessante post!
Nemmeno il mio era un rimprovero… Il fatto è, credo, che essendo entrambe le culture quasi altrettanto lontane da noi, poco avvertiamo la distanza che c’è tra l’una e l’altra… Grazie a te per l’interesse e per i complimenti, e buona domenica, Cristina
Ringrazio Mauricio per avermi citato, non in giudizio 🙂 Invece lì speriamo che, oltre al tribunale della storia, ci siano realmente trascinati, come tutti i comuni cittadini, anche quei prelati che adesso se la cavano con un congruo “rimborso spese” ai parenti delle vittime della pedofilia. Oltretutto a spese dei contribuenti (vedi 8×1000). Certo il potere è potere, è sempre stato così. Possono raccontarci tutte le balle, pardon bolle che vogliono…
Ciao, ho letto la bolla papale che hai pubblicato.
Sono pienamente d’accordo con te, quando affermi che ci sono passaggi agghiaccianti.
La storia della Chiesa è lunga e con tante, forse troppe, zone d’ombra. Maritain su questo punto osservava: bisogna distinguere il personale della Chiesa dalla Persona della Chiesa.
Questa osservazione del pensatore francese è l’unica via per salvare il salvabile. Anche se, credo, che la Persona della Chiesa si formi sulle persone.
Per fortuna, o grazie a Dio, in circa 2000 anni la Chiesa ha avuto degli uomini degni come S. Francesco, Madre Teresa, ecc. Questa istituzione antica si regge sulle spalle di pochi giganti.
Potrà avere un futuro, credo, solo se avrà altri giganti, di contro diventerà troppo pesante e tutto crollerà. Ciao.
Sono venuta a conoscenza della vostra realta’ per puro caso, da una rivista.
Grazie a voi posso ora informarmi su antiche tradizioni, vicine a casa che non conoscevo…
grazie
Ada
Per ogni persona che incontriamo c’è una parte di noi che nasce e vuole vivere.
Le persone vanno e vengono e noi nasciamo e moriamo in ogni istante. E’ difficile sia partorire che lasciare andare, ma questa è la vita…
Molto difficile, si. A volte il dolore è lo scotto che paghiamo per qualcosa di veramente importante che per un attimo abbiamo trattenuto.
Un po’ di dolore forse va messo in conto per un “attimo fuggente”.
Prima di morire potremo dire di aver sofferto e sorridere per aver sofferto di un qualcosa che ci ha dato molta gioia.
La mia intenzione era di parlare di quello che crediamo sia il nostro “io”, che spesso cerchiamo negli sguardi altrui o nelle ipotesi che continuamente fa la nostra mente,
la sua inconsistenza è come quel detto che dice che ogni cosa precipita anche quella a cui ti sei afferrato per non precipitare, al quale mi sono ispirato negli ultimi versi.
[…] [il filosofo Epicuro si trova nel “vero” inferno, Democrito no!, eccolo tra i savi del limbo. Anzi, l’aspetto fisico dell’inferno stesso somiglia al cosmo di Democrito, con quei suoi atomi che volano e si aggregano nel vuoto, creando le nebulose. Vedi anche G. Semerano, L’infinito: un equivoco millenario] […]
per il Sig. Gennaro Iorio
Ciao sono Gabriele, tra me e specialmente Fulvia abbiamo letto quasi tutti i libri del Dalai Lama, che troviamo veramente istruttivi anche dal punto di vista cristiano. Ti chiedo un favore, il titolo di un libro; come per i cristiani c’è il vangelo, sulla vita e gli insegnamenti del Buddha che libri ci sono da leggere?
RingraziandoTi anticipatamente, un caloroso saluto da Gabriele e Fulvia
Ciao Gabriele, grazie per la domanda e grazie per la fiducia che essa comporta.
Non posso darti un titolo, per il buddismo, che corrisponda ai Vangeli Cristiani.
Perchè, io credo, non vi sia nel buddismo un equivalente.
Tuttavia, vi è una letteratura sterminata sulla vita e su ciò che ha detto il Buddha, se mai ha detto qualcosa!
Mi permetto di rinviarti al sito de La stella del mattino in bibliografia commentata, qui puoi trovare una divisione ragionata degli argomenti ed ogni libro è seguito da un breve commento utile per la scelta.
La letteratura buddista è davvero sterminata, i Sutra, che raccolgono l’insegnamento del dharma, sono decine e decine per migliaia di pagine.
Uno dei punti centrali del Buddha è: tutto ciò che verificate da un punto di vista concettuale, tendete sempre a verificarlo nella vostra vita. Sostanzialmente il buddismo è pratica.
Ecco perché c’è chi pensa che Buddha non disse proprio nulla.
Spero, anche se non in modo diretto, di aver risposto alla tua domanda.
Resto sempre a disposizione per un ulteriore scambio di opinioni.
Gennaro
mah, non sono del tutto d’accordo. nel caso specifico mi pareva che stessero occupandosi della sopravvivenza della loro gente piu’ che di politica. o anche questo e’ politica ?
Sono d’accordo sull’ultima frase “certi errori vanno fatti, altrimenti non ha senso essere religiosi”. Ricordo i vescovi combattenti dell’America Latina, pagarono sulla propria pelle. Anche “coltivar patate” è una scelta politica, quella di astenersi o far finta di niente. La peggiore!
Al
I monaci non si dovrebbero occupare di politica. La loro resistenza pacifica è un errore di cui pagheranno le conseguenze. Tuttavia, in alcuni casi, certi errori vanno fatti, altrimenti non ha senso essere religiosi….
Anche se Samsara e Nirvana sono non due,le vie del mondo e la via del risveglio non sono la stessa cosa.
Uchiyama dice che (vado a memoria) seppur è sacrosanto liberarsi della povertà, la pratica del risveglio è totalmente su un altro piano.
Condivido questa tesi.
Certo, ho avuto un moto di orgoglio personale nel sapere degli accadimenti di Birmania. Mi rendo anche conto però di aver pensato in termini emotivi, a partire da quelle categorie occidentali che mi costituiscono e mi condizionano profondamente: benessere, democrazia, progresso scientifico e tecnologico, uguaglianza. Categorie relative. Categorie che, peraltro, mostrano oggi anche la loro faccia oscura, della quale non ci siamo forse ancora resi ben conto: la democrazia è sempre più una oligarchia; il progresso uccide il pianeta; il benessere allarga la forbice tra ricchi e poveri; l’uguaglianza, la libertà…restano quel che sono. Sogni.
Dunque, che dirne? Mi piace pensare che molti di quei monaci si siano mossi animati da un sincero senso di compassione ed abbiano scelto di donare un po’ del loro ‘buon’ destino a favore di tanti più sfortunati, per favorirne la liberazione. A costo di guadagnarsi un po’ di inferno karmico in più.
Ma non sarà stato così per tutti: molti si saranno mossi spinti dalle loro emozioni mondane, altri per acquisire meriti, altri per ordini di scuderia. O un po’ di tutto ciò.
E molti saranno rimasti nei loro monasteri, alcuni anche coltivando aspettative opposte a quelle dei manifestanti.
Bisognerebbe conoscere la situazione dall’interno, per capirne qualcosa.
Intanto però due cose sento che sono successe. E’ stato pesantemente incrinato il luogo comune che vede, almeno in occidente, il Buddhismo come dottrina della quiete e dell’estinzione; ed è iniziato un processo di liberazione e consapevolezza per un intero popolo che tanto ha già duramente pagato le coseguenze del colonialismo e della guerra, ed alla fine il sadico fanatismo di pochi oligarchi.
E mi sento meglio; ed anche un po’ migliore.
Complimenti, bell’articolo, direi che hai centrato il nocciolo del problema, purtroppo però il tuo programma non è né urlato con un “vaffa” né scritto su 240 pagine, né proclamato in 10 punti. E’ solo sussurrato, e nessuno ascolta chi sussurra. Pierinux
Forse tra qualche settimana, ripreso il solito tran-tran, avremo dimenticato ciò che avviene in quei paesi lontani così come ciò che troppi esseri umani patiscono ogni giorno in vari luoghi del pianeta… Questi monaci che sfilano a migliaia e si fanno ammazzare ma non demordono, muovono intanto qualche emozione profonda. Ci fanno ricordare che “non si vive di solo pane…” Chissà?
Aderiamo alla campagna "Free Burma" e marciamo anche noi idealmente con i monaci birmani. Dedico a questi eroici difensori della libertà il testo di una vecchia canzone dei Gufi (anni '60):CANZONE DELLA LIBERTÀ G. Lunari / …
Un caro amico mi scrive:
Mingalabar,
notizie non ne ho ne’ posso averne, riguardo alla domanda che pone il tuo
articolo e quello che scrive Bianchi, se da un lato il Dalai Lama decise di
abbandonare la lotta armata, forse a Ceylon oltre ai laici anche i monaci
non hanno mai smesso di sparare.
Che Ne Win, il primo dittatore Birmano, fosse appoggiato dalle alte sfere
Buddhiste è noto ma interessante che anche ora, mi risulta, la giunta sia
benedetta dagli alti rappresentanti del clero.
Purtroppo per loro (i Birmani), oltre alla posizione strategica
“problematica”, una eventuale democrazia giovane salterebbe in aria dopo
poco sotto alla spinta delle richieste di autonomia delle tribù (tra 60 e 70
etnie) almeno delle più numerose come i Karen
2002
che da sempre combattono e
vengono regolarmente massacrati dall’esercito Birmano, e Cinesi, Indiani
Indu’ e Mussulmani e i Birmani che vivono tutti compressi dalla dittatura,
se poi qualcuno volesse buttarci un cerino…
In sostanza, comunque sia, la vedo brutta, l’unica cosa che mi è parsa
strana è che i militari sparino sui monaci che da queste parti sono
veramente rispettati da tutti. Ciao
dm
Temo di dire di essere d’accordo con Yu Shin. Non lo siamo quasi mai.
Tuttavia curiosando sul Web si è rinnovata in me una preoccupazione che nutro da tempo, quella cioè che il Buddismo, manipolato da noi occidentali (ma non solo) e filtrato dalle nostre categorie, stia assumendo il vero carattere di un –ismo, sulla falsariga di altre religioni, dottrine ecc.
Il rischio che il Buddismo prenda una forma, segnatamente quella di una ideologia, è stato messo a mio avviso in risalto da quanto accade in Birmania (mi rifiuto di usare quell’altro nome imposto dai miltari) e dalle conseguenti reazioni emotive di molti occidentali… Continua qui
Possibile che a nessuno sia venuto in mente che non fanno quel che fanno perché sono monaci e buddisti, ma perché sono esseri umani con un po’ di coscienza della condizione in cui si trovano? Dove sta la meraviglia? Che siano monaci e buddisti fa parte della contingenza, come il fatto che sono birmani. Se lo facessero come monaci e come buddisti dovrebbero essere sempre in piazza per qualunque minima questione in qualunque parte del mondo (dell’universo?): oppure non muoversi per nessuna ragione. E soprattutto lasciamo stare l’orgoglio di parrocchia: questo sì che è disdicevole, standosene sul divano a pontificare sull’altrui pelle. Sarebbe anche il caso di non scordare che è la gente comune quella con cui solidarizzare: il clero se la sfanga sempre, sia con le dittature che con le democrazie. Quindi tutta la stima e la solidarietà pudica ai birmani che non ci stanno, laici o monaci che siano.
Non concordo con quanto dice Jiso perché -da quel che appare con evidenza- i monaci son scesi in piazza in quanto tali o soprattutto in quanto tali (oltre che come birmani, esseri umani ecc.). Gli idraulici non hanno fatto il loro corteo, magari in salopetta, e così via tutti gli altri. Non penso vi sia nulla di male né in questo, né in quello, anzi; ma il fatto che siano scesi in piazza (anche?) come monaci buddisti ha una forte valenza in Birmania dove sanno di contare, e molto, proprio come monaci, ben più dei semplici esseri umani/birmani. É, mutatis mutandis, la stessa valenza che hanno i parroci quando consigliano i loro fedeli, in Italia. E, a giudicare a posteriori, la loro uscita ha una forte valenza anche nel resto del mondo. Anche se forse un tale impatto mediatico non se lo aspettavano e, per la maggior parte, forse, neppure lo sanno.
Pensare alla vostra comunita’ e leggere cio’ che offrite sul vostro sito, mi riempie il cuore di serenita’ e pace…..
Pur nella quotidianita’ di tutti i giorni, tra impegni e lavoro, tornando a casa al tramonto e sapere di poter leggere pensieri di amore e speranza mi riempie il cuore….
Il tutto, nel rispetto della verita’ …
Grazie
La soluzione sarebbe semplice: la guerra costa una cosa veramente esagerata e anche il volume d’affari che ne consegue. Basterebbe un minimo aumento (pochi punti percentuali) di tassazione ai produttori di materiale bellico e risolverebbero il problema dell’assistenza sanitaria.
Ovviamente preferirei che non ci fossero né guerre, né venditori di armi, ma queste sarebbero considerazioni, se non banali, quantomeno scontate in questo contesto.
Mi sembra un’ottima idea. Far sì che “il male” renda meno e in più con gli incassi finanziarci “il bene”. Se si riesce a far diventare business conveniente anche “il bene” … abbiamo una speranza.
Grazie Al,
mym
Follia criminale: Bush nega l’assistenza sanitaria ai 4 milioni di bambini…
Si commenta il recente veto di Bush alla proposta del Congresso di allargare l’assistenza sanitaria a 4 milioni di bambini indigenti: i soldi servono per continuare la guerra in Iraq….
Ho letto qui (http://www.sullanotizia.ilcannocchiale.it:80/post/1630806.html) queste cifre: 500 miliardi di dollari l’anno per le forze armate + 620 miliardi aggiuntivi per la guerra senza fine. Davvero impressionante! Se un parlamentare chiede invece di stanziare 35 miliardi per assistere almeno i figli di chi non può pagare le cifre da riscatto chieste dalle assicurazioni private, viene tacciato di “stalinismo”.
Non capisco la divergenza, mi pare che entrambi negate legittimità all’uso politico della religione,e nel caso specifico, del buddhismo: sono completamente d’accordo con questa impostazione, che però molti buddhisti spesso dimenticano.
Dopo di che ognuno ha il diritto dovere di agire politicamente, ma certo un grosso problema si pone per coloro i quali la religione rappresenta il loro modo totale di vivere, come i monaci, nel caso buddhisti.
Si tratta di questioni delicate, ma io credo che i religiosi di professione debbano essere forza di chiarimento interiore,di pacificazione, di dialogo, ma non i protagonisti della battaglia politica, altrimenti dovrebbero dedicarsi ad altro, rinunciare al loro status formale di religiosi.
Che ne pensate di Bernie Glassman, a proposito di buddhismo e impegno sociale? Sul fatto che i religiosi non debbano fare politica, sono del tutto d’accordo col redattore di questo splendido sito.
“Splendido sito”? Wow! Grazie, troppo buono. Gli errori sono tutti del webmaster, i meriti… si sa: meglio non caricarsi di troppo bagaglio o dalla porta senza ingresso non si passa… :-).
Su Glassman preferisco non dir nulla, qualcuno si potrebbe offendere.
Ciao,
mym
Sì, non c’è stata op-posizione. Avrei letto con interesse l’esposizione di una tesi divergente. Per non correre il rischio di adagiarsi su posizioni di comodo.
Ciao
PS: non conosco Glassman.
siamo sempre piu’ vicini ai figli-fotocopia. ormai non ci sono piu’ scuse tecnologiche. si puo’ fare e basta, ed e’ solo una questione etica farlo o non farlo. mi piacerebbe che ci fosse un po’ di discussione su questo tema… pierinux
Passi da gigante verso la clonazione umana. Per la prima volta gli scienzati hanno creato embrioni da primati adulti….
Per la prima volta gli scienzati hanno creato qualche decina di embrioni da primati adulti. Ma quali sono le implicazioni di questo impressionante passo avanti per il futuro dell’umanità ?…
Già da alcuni anni si sa che le cellule staminali presenti nei tessuti adulti posseggono la stessa plasticità di quelle embrionali. (Vedi ad esempio, tra le altre, questa ricerca) Utilizzando cellule emopoietiche presenti nel midollo osseo diventa poossibile qualsiasi tipo di terapia cellulare senza dover far uso di cellule embrionali, senza cioè dover utilizzare i cosiddetti embrioni soprannumerari creati nella fecondazione in vitro. E’ stato accertato che esse si possono differenziare in muscolo e che quelle derivate da tessuto nervoso e muscolare possono ricostituire a loro volta il sistema emopoietico. Studi hanno anche documentato la capacità delle cellule del midollo osseo di ripopolare il fegato dopo trapianto o di trasformarsi in cellule che esprimono marcatori neuronali. Inoltre, a differenza di quelle embrionali, l’uso delle cellule staminali adulte non crea problemi di rigetto perchè possono essere prelevate dalla stessa persona che poi le riceverà come tessuto da impiantare. Ci sono anche alimenti ed erbe che favoriscono la migrazione endogena delle staminali dal midollo verso organi e tessuti da riparare. Ma perché non si spinge in questa direzione? Semplice: non creerebbe abbastanza profitti ai mercanti di staminali.
sicuramente ci sono enormi interessi economici in gioco, per prima l’industria cosmetica come la potentissima industria della salute (per i ricchi).
tuttavia penso che molto si giochi anche sul concetto che l’uomo vuole a tutti i costi dimostrare di poter costruire se stesso ed affrancarsi cosi’ da Dio. pierinux
E’ da sempre (o se preferisci dopo la cacciata dall’Eden) che l’uomo cerca l’immortalità con vari sistemi (alchemici, magici, scientifici). A parte i soldi, penso che questo sia il desiderio principale che lo muova. Per le staminali io penso che sarebbe un grande progresso della medicina riuscire a trovare i modi di stimolare quelle endogene ed evitare i farmaci. E’ un processo che già avviene fisiologicamente e naturalmente. Si tratta solo di favorirlo e indirizzarlo meglio. Già con alcuni nutrienti e fitopreparati giusti possiamo dare una mano. Vedi ad esempio qui:
[…] Siamo lieti di annunciare che Martedì 20 novembre, l’Università Carlo Bo di Urbino conferirà a monsignor Gianfranco Ravasi la laurea ad honorem in Antropologia ed Epistemologia delle Religioni. […]
[…] SAN DIEGO — Per un gruppo di docenti universitari che studiano teologia, il Flying Spaghetti Monster (di cui abbiamo avuto modo di parlare tempo fa) – icona “spirituale” di una nuova religione nata e cresciuta su Internet – è qualcosa di più di un piatto piccante di cultura pop. […]
Il Flying Spaghetti Monster ispira un dibattito religioso traballante…
Per un gruppo di docenti universitari che studiano teologia, il Flying Spaghetti Monster – icona “spirituale” di una nuova religione nata e cresciuta su Internet – è qualcosa di più di un piatto piccante di cultura pop….
Molto chiaro ed esplicativo il ragionamento di Jiso. Quello che non si evince chiaramente è, però, come il difetto stia (anche o soprattutto) nel manico: infatti la veste con cui il Dalai Lama si propone e presenta ad un incontro di questo genere è comunque sempre duplice, e cioè quella di guida spirituale di una comunità ormai transnazionale e contemporaneamente quella di capo politico di una regione o nazione che dir si voglia. Quando è l’uno e quando è l’altro?
Come si può essere credibili sul piano del dialogo religioso, nell’accezione di Jiso, se contestualmente si incarnano le istanze politiche di centinaia di migliaia di persone? Se tu operi a difesa degli interessi del tuo popolo, anche io opero allo stesso modo per il mio: mi pare ovvio.
Quando Cesare e Dio parlano per bocca di una sola persona, dovrebbe essere specificato ad ogni frase se si tratta di una o dell’altra opzione. Oppure, parlando con Bush bisognerebbe indossare’giacca e cravatta’ e parlando col Papa l’’abito talare’; ma sarebbe una ridicola messa in scena. Una teocrazia è per definizione e sua propria natura inscindibile, i suoi rappresentanti ne incarnano l’unità e l’ambiguità ad un tempo. E quando poi la teocrazia non è più espressione di una dottrina di pace – come nel caso del buddismo – ma di ‘guerra’ (comunque la si intenda) allora le cose si fanno tragiche….
L’idea stessa di potere politico-religioso (teocrazia) è oggi anacronistica prima che pericolosa.
La battaglia per la laicità non è solo un velleitario tentativo di affrancarsi da superstizioni ‘religiose’ o di liberarsi da imbarazzanti quesiti etici: proprio per quello che Jiso dice e che il voltafaccia Vaticano dimostra, appare sempre più come un indispensabile cammino da percorrere per potersi incontrare con trasparenza, con franchezza, senza ambiguità e finzioni.
Un appunto tecnico: il tipo di potere incarnato dal dalai lama non si chiama teocrazia (forma di governo in cui il potere civile e politico è esercitato da un’autorità, una persona, una casta o un’istituzione che si ritiene essere stata investita da Dio) ma è più simile alla ierocrazia -o gerocrazia- (ordinamento politico fondato sul potere della classe sacerdotale). Più prossimo al potere teocratico è quello papale: i cardinali che lo eleggono sono ispirati dallo Spirito Santo ed il suo ruolo (in questo caso religioso) è “vicario di Cristo”.
Anche secondo me l’ambiguità è duplice: sono ambedue monarchi (il papa lo è, oggi, più in piccolo ma in modo più reale), sono ambedue appartenenti al clero. Se al dalai lama, ed al suo entourage, spiace per il mancato incontro è certo a causa di un calcolo politico. Un tipo di calcolo simile a quello che muove l’altra parte.
Concordo sul fatto che il dialogo abbia poco o nulla a che vedere con le istituzioni: sono ambiti formali adatti a simboleggiare atti (per questo incontro sì/incontro no ha importanza) e non a compierli. La titolarità dell’azione religiosa è altrove, nel normale aprir la porta a chi suona, senza chiedere certificati di battesimo.
Come previsto, il pittore è di una cortesia squisita. Un vecchietto arzillo di un’età indefinibile tra 70 e i 140 anni. Ci offre il tè che ha preparato lui stesso, in questa casa disordinatissima e piena zeppa di disegni buttati in ogni angolo pos…
Già, gli scarafoni… Personalmente sono molto scettico nei confronti di quel dialogo interreligioso che si realizza a livello di istituzioni, come anche sull’efficacia ed i risultati che esso possa raggiungere; mi sembra ormai una attività formale, una “moda” avviata verso il tramonto, con i relativi esperti in materia destinati a doversi reinventare.
Quando un’esperienza di fede finisce con l’ istituzionalizzarsi, perde una grossa fetta della propria autenticità, diventa meno libera, si incontra e si imparenta con il potere temporale (politico, economico, ecc), il quale impone di essere difeso ed accresciuto. Ecco allora la necessità del calcolo, del muoversi secondo quanto più opportuno e l’uomo è sufficientemente intelligente per inventarsi tutte le motivazioni e le scuse del caso, a prescindere anche dai ruoli e formalismi religiosi dietro i quali si nasconde. E poi, esperienza quotidiana di ognuno, non è neanche facile entrare in relazione con chi ritiene di essere inevitabilmente nel giusto e pensa all’altro come uno che si trova nell’errore, per dirla in termini occidentali. Ben venga allora il dialogo vissuto a livello informale, tra persone che non abbiano molto da difendere e forse, proprio per questo, più capaci di ascoltare…
Grazie per il commento Max. Nel caso specifico (incontro tra capi di stato detentori di alte cariche clericali) non penso che il dialogo -che comunque non c’è stato- avrebbe avuto profondo senso religioso. Sarebbe stato prima di tutto un atto di sensibilità nei confronti della situazione civile, politica dei tibetani. E avrebbe avuto anche ricadute inerenti al dialogo religioso: il fatto che il “capo” dei cattolici incontri il presunto (e in qualche misura “sedicente” visto che il titolo di “sua santità” compare accanto al nome del dalai lama anche nel suo sito ufficiale) “capo” dei buddisti sarebbe almeno un segnale di accettazione della religione buddista a livello paritetico: se i due “capi” si incontrano e si omaggiano quantomeno si riconoscono…
Più interessante il discorso del dialogo religioso di base. Al di là del superamento delle intolleranze e delle discriminazioni (ottimo motivo per dialogare), ha anche un senso religioso? Quale?
Un saluto
mym
Le morti “bianche” – I morti sul lavoro non sono un caso ma effetto di una strategia complessiva…
I morti sul lavoro non sono un caso ma effetto di una strategia complessiva. Il modo con cui i cittadini possono opporsi alla cultura che pone il profitto al primo posto, riaffermando la cultura della vita, è attenzione, informazione, denuncia di ogni…
Mi siedo nello zazen da alcuni anni, quasi cinque. Ne capisco ancora poco ma ho cominciato da poco a “vedere” e vivere i buchi che ci sono nei pensieri o tra i pensieri. Secondo me cambia tutto, prima è un’altra cosa. E senza migliorare la posizione si riesce a poco. Scusa ma è tutto quello che ti posso dire.
Et
Intanto hai visualizzato ‘il turbinio di pensieri che affollano la mente’, che mi pare il primo e indispensabile passo. Il resto verrà da sé, senza fretta. O quantomeno, questa è la speranza di ogni praticante che diviene gradualmente fede.
Scusa se mi permetto di dire la mia; non è perché io pensi di sapere qualcosa che tu già non sappia, ma perché accomunato a te dall’età, da un corpo irrigidito dagli anni e da una certa affinità emotiva; almeno, così mi è parso.
Stati d’animo come quelli che tu esprimi non sono una rarità: in un certo senso paiono connaturati alla ricerca; il dubbio è il sale, è carburante. Non si tratta di estirparlo, a mio avviso, ma di farlo ardere senza bruciarsi.
Come fare?
Non so, ma ti dico le mie riflessioni.
Il shanga. Per molti anni, se non fossi stato trainato da un’onda di amici, avrei mollato o sarei andato fuori di senno. E anche oggi la mia pratica sarebbe ben misera, senza gli ‘altri’.
Per quelli come me ,e forse come te, cavalli indolenti, una seduta di zz ogni tanto non è sufficiente ad ‘entrare’ nello spirito della pratica. Sarebbe utile concedersi un periodo di ‘vacanza dal mondo,’ in ambiente protetto, ove poter apprendere nelle migliori condizioni possibili. Sì…ci saranno pure anche i cavalli che partono al galoppo al solo veder l’ombra della frusta…ma questo lo sanno solo loro. E …dove andranno mai?
Non meno importante credo sia il rapporto privilegiato con qualcuno che identifichiamo come nostra guida, l’amico spirituale – o il ‘maestro’ come molti amano definire un po’ enfaticamente questo tipo di relazione – colui cioè che ha superato l’esame del nostro spirito critico e della nostra diffidenza, e ci ‘garantisce’ di non operare per secondi fini.
‘Intestardirsi’ è un termine assolutamente eloquente: ricordo ancora di quando fui rimproverato di mettere nella pratica un sforzo intenso ma ‘ottuso’. Non ho più scordato quell’aggettivo: ottuso. Cioè intestardirsi. Tuttavia, senza intestardirsi un po’, non si va da nessuna parte. Cerchiamo di essere testardi, ma non ottusi.
L’età: conta anche quella. Penso che più si va avanti con gli anni, più sia dura iniziare. Un proverbio dice; chi non ha testa abbia gambe. Noi non più giovani dovremmo ribaltarlo: chi non ha gambe, abbia testa.
Cosa significa aver testa? Penso debba significare innanzi tutto sforzarsi di ‘pacificare’ la nostra vita, in modo da non coltivare troppo il senso di colpa e di rivalsa (rancore, emotività, passione…): così potremmo, come effetto collaterale, arrivare allo zendo con l’animo il più possibile sereno e sgombro dai pesi della quotidianità o della nostra ‘storia’ personale. E poi, non aspettarsi nulla di particolare – un riscontro, un risultato – dallo zazen. L’ordinarietà è la dimensione di Buddha. Qualunque ‘di più’ ci rappresentiamo, causa inevitabilmente, prima o poi, frustrazione e disagio. E aggrava le nostre difficoltà. Proviamo a riconsiderare lo stato di Buddha come ordinario, ed invece il nostro disagio, la nostra sofferenza come straordinari. Come ci siamo finiti, in questa situazione?
Infine lo zazen. Se non lo si pratica con una certa diligenza, si perde del tempo. Certo, ognuno ha il suo metro di ‘diligente’: ma quando mettiamo zazen al primo posto dei nostri valori, la nostra disposizione diviene più diligente. Senz’altro.
Anch’io ultimamente non riesco a praticare senza il dolore alle ginocchia e la necessità di sciogliere la pozizione spesso e vivo nel completo sconforto e la voglia di alzarmi e andarmene definitivamente e abbandonare tutto, sorge in me l’abbattimento e sto lì abbattuto e cerco di lasciar scorrere, con i pensieri di ogni genere, ultimamente con un senso di solitudine abissale. Effettivamente non so come fare e cosa fare, non saprei aggiungere altro.
Caro River,
la tua franchezza è stimolante e di questo ti ringrazio. Francamente non vedo niente di particolarmente eccezionale nel resoconto della tua esperienza: mi pare generalmente condivisa dai più, con modalità e tempi differenziati secondo i caratteri e le circostanze: il senso di fallimento non è certo un problema, si tratta di renderlo anche salutare anziché semplicemente frustrante. Col passare degli anni comincio a pensare che lo zazen sia in gran parte quello che sembra: una posizione del corpo a volte molto scomoda, più per alcuni che per altri per motivi anatomici, a volte assai confortevole (ebbene sì, succede anche questo) a cui comunque è estremamente difficile adeguare la posizione dello spirito, mente, cuore, psiche e via dicendo. Due anni di pratica discontinua, come tu la definisci, ritengo siano pochi per tirare bilanci, ma forse possono bastare per capire se ti va di continuare oppure no, quali che siano le motivazioni occasionali. Non saprei che ricette in cui credere consigliarti, ma forse, dato che esordisci dicendo di “esserti avvicinato allo zazen”, puoi anche verosimilmente dire che lo zazen si è avvicinato a te: chissà che se lo ascolti con più attenzione, con un po’ più di costanza e con gli occhi aperti non abbia cose più interessanti da dirti. Prova a considerare il fatto di poterti sedere in zazen, con la compagnia di altri amici e la guida di una persona come MYM, come una fortuna, e non come una frustrazione, anche se non sapresti dire neppure a te stesso perché mai dovrebbe essere una fortuna: non ti costa niente e chissà che non ti aiuti a vedere anche altre prospettive. Un caro saluto e tanti auguri. Giuseppe
Voglio rispondere ai quattro commenti ricevuti .
Comincio col ringraziarvi per la gentilezza con cui avete accolto il mio intervento , sinceramente mi aspettavo qualche frase del tipo :
“Di che ti lamenti , te l’ha ordinato il medico di fare zz ? …”
Invece arrivate voi , con consigli da amico .
Ringrazio ET , in poche righe mi suggerisce che “qualcosa” inizia a vedere e vivere , grazie ad una pratica composta ( cura nella posizione ) e costante .
Grazie a “Doc” e Giuseppe che mi danno buoni consigli e incoraggiamenti senza usare argomentazioni o linguaggi troppo accademici .
Ultimo ( ma non per ordine di importanza ) un grazie a Roccia che è nelle mie condizioni ( e per questo lo sento particolarmente vicino ) .
Non sa darmi suggerimenti e mi offre quel che può , la sua solidarietà .
Vorrei poter contraccambiare , davvero , ma io non possiedo proprio nulla .
Grazie tante , spero di non perdervi , fatevi risentire
Ciao
Questa sera a “Katori” il maestro ha citato che bisogna essere sempre all’altezza delle situazioni anche nella sconfitta. Chi mette il cuore penso lo sia sempre. grazie a te River.
Anch’io vorrei ringraziare River, per aver aperto questo interessante dialogo e per avermi dato di conseguenza l’opportunità di riflettere su alcune importanti questioni .
A risentirci presto
doc
Però. Non l’avrei mai detto che si sarebbero accumulati 7 commenti sette. Voglia di partecipazione? Mostrarsi in pubblico? Solidarietà? Argomento stimolante? Anch’io anch’io? Chissà.
Certo a casa nostra “da sempre” si fa zazen. Non c’è dubbio che siamo tutti (noi, quelli che fanno zazen) partecipi della stessa storia ma sul filo di questa storia siamo saliti in momenti diversi. Anche per questo il panorama che ciascuno di noi vede ora è diverso da quello visto dagli altri. Confrontare, palesare i panorami su internet (non dimentichiamo dove siamo), davanti a tutti, può avere senso? Non dico di no.
Grazie
mym
Approfitto dell’occasione che ci viene offerta… per questa volta, poi non saprei. Lo faccio con solidarietà nei confronti di River, che ringrazio ed al quale dico di trovarmi anche io in una situazione simile alla sua. Scoprii lo ZZ nei primi mesi del 2004 (mi sembra!)per reazione ad una esperienza spirituale che stavo vivendo da anni e che mi era diventata sempre più asfissiante. Semplicemente iniziai a starmene quieto da seduto su di un cuscino, davanti ad un muro, come poi questa “cosa strana” si chiamasse lo seppi mesi dopo, dopo aver letto uno dei testi scritti da MYM. Da allora nella pratica dello ZZ ho incontrato tutta la mia incostanza e molti dolori, alle gambe, alle anche, alla schiena… Non ho consigli o ricette da dare, non mi sembra nemmeno che ne esistano, ognuno eventualmente ha le prorie motivazioni e risposte da trovare e sentieri da percorrere. Dallo ZZ fino ad oggi ho imparato semplicemente a riconoscere che la mia testa era intasata da una moltitudine, un turbinio di pensieri e che questi sono un qualcosa che possono condizionarmi molto, pur non essendo tangibili e presenti soltanto nella mia mente…
Caro Max è un piacere leggere la tua mail sintetica, sincera ed eloquente, anche a te va il mio ringraziamento e colgo l’occasione per salutare Doc, Et, Giuseppe e Roccia.
In ultimo vorrei aggiungere che mi rendo conto dei motivi tecnici per cui non è possibile creare un vero e proprio “blog-Zen”.
Noi non siamo un gruppo appassionato di gastronomia, dove potersi scambiare ricette in continuazione o indicazioni sull’ultima trattoria visitata.
Pertanto credo che questo scambio di opinioni sia stata una piacevole e proficua avventura, finita presto, come spesso accade per le cose belle.
……… però mi dispiace. river
Cara Saralultimastella, la domanda è birbantella.
Quasi da monella il giorno del Natale quando, come si sa nelle risposte puntute c’è da farsi male.
Allora calcoliamo pure, però prima occorre un poco di partecipazione. Il valore, come lo vorrebbe calcolato? Perché a seconda del tipo di valuta le cose cambiano assai. In moneta della galassia, per dire, una persona in più o in meno sul nostro pianetino squinternato e periferico suppongo valga meno di un volo di farfalla. Essì che di voli le sventatelle ne fanno un bel po’. Per sua madre, sua figlia, suo marito o affini qualsiasi pulzella a me sconosciuta è la luce degli occhi, più preziosa di ogni somma, in qualsiasi valuta. Ecc. ecc.
Per cui: se vuol sapere se -diciamo- fra un miliardo di anni quello che io sto scrivendo ora e che lei sta leggendo avrà una qualche importanza le dico che non lo so, ma dovessi proprio dire direi che né questo né le nostre singole esistenze conteranno più nulla. Però il mare è composto di gocce: tolte quelle… niente più mare. Insomma, dica lei: dove sono i Pirenei?
Buon anno
mym
mym dice in forma piu’ elegante cio’ che penso anch’io: che il valore di ciascuno puo’ e deve essere nullo o infinito (in termini matematici), a seconda della prospettiva e quindi e’ nullo ed infinito allo stesso tempo.
l’importante e’ essere in grado di accogliere queste prospettive (che mettono alla pari lo zero e l’infinito con buona pace dei matematici) con equilibrio e coscienza, senza farci sconvolgere e imparando a trovarvi un senso compiuto come se fosse l’unica cosa vera.
Nei giorni scorsi ho concluso la seconda lettura di questo testo ed ora il suo aspetto è ampiamente usurato…La prima volta fu quella, appena uscito, di una scorsa generale, nella quale rimisi insieme ben poco sul suo contenuto. Recentemente è giunto invece il momento di una forma diversa di lettura, quella che utilizza il lapis…. Ora al suo interno vi sono tutta una serie di segni strani e passi posti in evidenza… Lo ammetto, mi è piaciuto molto ed ha svolto il compito di entusiasmarmi non poco in certi suoi passi, oltre ad avere suscitato non poche domande su di me ed il mio vivere la vita…. Ora “i fiori del vuoto” riposa tranquillamente in libreria…
Dans ma maison divento uno di quei sfigati del digital divide (vergogna tutta italiana dei passati governi e peggiorata, Gentiloni docet, dai nuovi) che di vedere i filmati su Internet se lo sogna. Se ne riparla lunedì dal mio ufficio, farò sapere. Per ora foie gras mi evoca solo “alta cucina”.
Grazie Pierinux, so più o meno di che si tratta (alimentazione forzata, gabbie, dissanguamenti…) ma vedere suppongo farà molto più effetto. Sono già abituato purtroppo ai film dell’orrore che mi propongono continuamente gli animalisti. C’è anche, non dico sadismo, ma un po’ di morbosità da parte di qualcuno: una volta un superintegralista mi mostrò anche il “dolore” della lattuga quando viene “strappata dalla terra” tramite elettrodi che registravano variazioni d’onda… Personalmente cerco di attenermi ad una scala di valori al contempo nutrizionale ed etica. Certi prodotti non sono essenziali e si possono sicuramente evitare, ma ho visto negli anni bambini, figli di alcuni di questi estremisti, fortemente denutriti e ci è scappato anche qualche decesso a causa dell’ideologia. Certi video, che sono una giusta denuncia di crudeltà superflue, possono fomentare ulteriormente alcuni fanatismi alimentari. Bisogna andarci cauti.
Il filmato è di quelli che colpiscono, buono per far partire una lunga catena di commenti dove ogniuno razionalmente spiega come è giunto alla propria scelta personale in merito, servirà a poco perchè ogniuno resterà probabilmente sulle proprie posizioni e il foie gras continuerà ad essere prodotto. Alla fine della fiera cosa resterà? Forse Dogen ci aiuterà a risolvere questo “koan”? O forse un bel pò di zazen?
Sono in armonia, almeno teoricamente, con il principio jaina per cui esistere è solo a scapito di altre forme di vita. Perciò non c’è un esistere innocente (è la traduzione più letterale di ahimsa). La mia opinione è che per quanto non si sia mai assolutamente innocenti c’è una gradazione in questo. Nutrirsi di bambini, vitelli, oche torturate, cacciagione, pesci, uova, formaggi, latte, verdure, erba di campo non è tutto allo stesso livello di innocenza. E siccome più cerco di essere innocente meglio sto, la mia scelta è fatta
Ciao
mym
sono d’accordo, non c’e’ l’esistere innocente, ma chi lo cerca? c’e’ il vivere in modo equilibrato cercando di fare il meno male possibile a chi ti sta intorno. ora, costringere un essere vivente a una esistenza di sofferenze atroci per soddisfare pochi minuti di piacere nostro non e’ equilibrato. il caso del foie gras aiuta a capire che l’asse di questo equilibrio puo’ essere molto lunga, delimitandone un estremo (per lo meno spero che sia un estremo e che non esista nulla di piu’ atroce di cio’ che ho visto). secondo me questo tipo di considerazione, se meditata e fatta propria, non e’ perduta quando finisce il filmato.
[…] Da settembre a dicembre del 2007, il Soto Zen Shumucho, braccio amministrativo di quella piramide di potere, ha organizzato in Francia la prima ango europea, pare proprio con l’intento di riprodurre in Europa lo stesso meccanismo all’interno del quale lo zen giapponese è una holding di amministrazione del lutto, le cui filiali sono i singoli templi. Quando l’ango europea era ancora in preparazione, Jiso Forzani, Daido Strumia ed io avevamo inviato una lettera all’Ufficio europeo del Soto Zen, in cui sconsigliavamo di procedere in quella direzione. Ora, ad ango conclusa, pubblichiamo l’intervento di Jiso Forzani alla riunione di chiusura. Riunione nella quale vi è stato chi, come Pierre Dokan Crepon, dendo kyoshi (un rango tra quelli ora detti, appositamente studiato per gli occidentali) direttore del centro zen di Vannes, auspica una continuazione delle ango per contrastare “l’anarchia spontaneista” che a suo dire dilagherebbe tra i praticanti zen. Vi sono stati altri, come Jean Pierre Taiun Faure, dendo kyoshi, direttore del tempio Kanshoji a Limoges, che auspicano senz’altro che le prossime ango “rilascino attestati ai partecipanti in modo da certificarne la maestria”. Se quello che sta accadendo proseguirà nella medesima direzione, avremo un Soto Zen europeo di rito confuciano giapponese. Il buddismo occorrerà cercarlo altrove. […]
Caro mym,
di queste cose ne parlavamo già molti anni fa, ricordi? Beh, prima o poi doveva diventare palese; inutile sorprendersi oggi.
Gli uomini sono sempre uomini, in ogni latitudine, e cercano e desiderano ciò che gli esseri umani cercano e desiderano. Potere, dominio, controllo delle situazioni. E lo strumento – sul piano collettivo-sociale – è sempre uno, la logica colonialista, che si avvale di tre opzioni principali: quella economica (oggi quella più in voga) quella militare e quella religiosa.
Sapevamo bene che saremmo diventati strumenti della logica colonialista giapponese, nel momento in cui abbiamo preso il bambino (il buddismo zen/lo zazen) con l’acqua sporca (tutto l’ambaradan che ci ruota attorno). Per questo – ognuno a modo suo – abbiamo cercato di mantenere vivo lo spirito critico senza abboccare troppo a facili allettamenti e coinvolgimenti che facessero leva sulle nostre fragili emozioni umane, cioè sul nostro ego. Certamente nel cercare di separare il bambino dall’acqua, abbiamo (ho) fatto molti errori; molti li abbiamo (ho) pagati, altri li pagheremo… Ma sono altresì certo che ben più pesanti errori sono quelli che siamo riusciti ad evitare, per noi stessi e per tutti coloro che sinceramente e senza secondi fini – se non il proprio ed altrui risveglio – desiderano avvicinarsi alla pratica tramite nostro. Ciò non per merito, ma per pura fortuna: considero infatti un mero ‘colpo di culo’ l’essere capitato in quel filone ‘zen’ che fa riferimento ad Antaiji, ad Uchiyama. E l’esserci capitato in anni in cui la ricerca non era ancora condizionata da tanti ‘dottorini in carriera’ che, come avviene in sanità, più che dalla consapevolezza del dolore e dall’impulso di portare aiuto sono mossi dal desiderio di carriera personale: entrare nelle grazie del primario, guadagnare visibilità, esibirsi su palcoscenici prestigiosi (conferenze, simposi, magari la TV!) per arrivare infine a gestire un reale potere di comando o di controllo su altri; e giocare un po’ a risko, infine. E’ questo il meccanismo con cui i colonialismi attecchiscono nei territori di conquista.
Ecco, se dovevo buttare un sassolino nello stagno, l’ho fatto. Ciò non toglie però che esistano problemi reali anche sul versante opposto: è vero che c’è una certa improvvisazione (la parola anarchia viene sempre usata a sproposito, come sinonimo di disordine, ed anche questo uso è indicativo di un atteggiamento di potere da parte di quel sig. Crepon, anche se magari mi sbaglio non conoscendolo); è vero che nascono come funghi monaci ‘saputi’ senza una sufficiente esperienza e preparazione ecc. Basta pensare a quanti anni di preparazione sono richiesti per esercitare la psichiatria, la medicina o analoghe arti, mentre i ‘dottori dello spirito’ si sentono spesso ‘abilitati’ dopo training preparatori di pochi anni, di pochi mesi, a volte addirittura di poche settimane…Forse che lo spirito è meno delicato/importante della materia?
Già anni fa, ricordi?, proponevo di ragionare sul tema di una Verifica Qualità delle scuole e dei (se-dicenti o detti da altri) maestri. E’ un tema importante, che certo non può, a mio avviso, essere affrontato in modo gerarchico secondo parametri giapponesi, tibetani coreani o altri.
Per ora grazie a te, a Jiso e a Daido che avete entusiasmo e voglia per spendere le vostre energie anche partecipando a situazioni formali ed ambigue come quella oggetto dell’editoriale. Grazie per il vostro lavoro e per la netta presa di posizione che, ovvio, condivido pienamente.
Saluti
doc
Grazie.
Non ce l’ho con nessuno in particolare. Però se ci fosse qualcuno che non è interessato al rito giapponese e cercasse “solo” un po’ d’aria pura è bene che sappia che da qualche parte esiste un’alternativa.
Ciao
mym
Aggiungo una cosa che mi è rimasta nella penna, a proposito del discorso ‘verifica-qualità’: penso che per iniziare sarebbe oltremodo utile una profonda riflessione (anche collettiva) su ciò che distingue, in ambito ‘religioso’, il principio di “autorità” da quello di “autorevolezza”.
Questa verifica non s’ha da fare. O meglio c’è già: è demandata al tempo, prima o poi le fesserie si perdono nel vento. Sostituirsi al tempo non è cosa. Ognuno, dal basso deve armarsi di solide motivazioni (chi cerca le pinzillacchere se si perde… fa la sua strada) pazienza, studio, costanza, senso critico e un po’ di fortuna.
Poi poi poi…
ci chiamavano teddy boy… 🙂
Ciao,
mym
Sono un’insegnante della regione Veneto e a sentire le grida esultanti dei miei concittadini alla caduta di “Prodi”, mi sono cascate le braccia. Ritenevo che, al di là, delle appartenenze ideologiche e di partito,non si potesse non riconoscere a Prodi l’ onestà e la volontà di lavorare per il bene del nostro paese. Capisco che per molti, soprattutto nella mia regione,l’ interesse proprio non coincida con l’ interesse della popolazione italiana, ma sentire volgarità e accuse infondate contro una delle poche persone che non ha mai dato adito a scandali ( nonostante ci abbiano provato in vari modi ad accusarlo ) e che ha riportato almeno un po’ sopra la sufficienza la nostra immagine all’estero, mi fa perdere tutte le speranze.
Non riesco proprio a darmi pace per questa dilagante cecità che ha colto così tante persone. Mi sembra che ritengano che le persone pubbliche, per essere degne dii governarci, debbano manifestare non virtù come coerenza, rispetto, attenzione ai bisogni, moralità ma arroganza, volgarità disprezzo verso tutto e tutti. Viene apprezzata la potenza e la capacità del singolo di ottenere comunque ragione al di là d ogni evidenza.
Mi domando come non ci senta presi in giro da alcune persone che tranquillamente ti dicono oggi una cosa e domani il suo esatto contrario.
Io credo che l’ alternanza politica sia una cosa giusta. Non riesco a capire perché i miei compaesani non tollerassero che questo governo potesse rimanere in carica per il tempo di una normale legislatura. Forse semplcemente perché dovevano pagare un po’di tasse e si sentivano ill fiato sul collo? Sinceramente io non trovo altre spiegazioni, perché, anche pensando che il governo Prodi non avesse fatto nulla, almeno non faceva i propri loschi interessi. Ma che dire? Forse questo dava un po’ fastidio a chi invece i suoi vuole farli senza preoccuparsi del futuro del nosro paese. Con grande amarezza saluto coloro che, come me, speravano di essere un po’ usciti dal tunnel. Marta
Cara Marta, io la penso un po’ diversamente anche se rispetto il suo punto di vista. Anche Prodi ha i suoi fantasmi nell’armadio, per citare solo i piu’ noti la questione Cirio, lo scandalo SME, le consulenze Nomisma, ma non tralascerei i conflitti di interesse nel grande affare della TAV. Se ne parla anche nella sua pagina su Wikipedia, che certamente non si può sospettare essere di destra. Personalmente non e’ tanto il suo passato (preoccupante) a darmi fastidio quanto un modello di politica che lui stesso rappresenta egregiamente, e che con tutto ha a che fare eccetto che con il bene dei cittadini.
Destra o sinistra non c’e’ differenza, lo dimostrano mille episodi, non ultimo il fatto che il buon Mastella ballonzoli un po’ qui e un po’ la a seconda di dove tira il vento (di governo). E neppure Prodi fa eccezione. Lui non ballonzola ma semplicemente utilizza appieno i metodi della destra anche nella sua sinistra.
Grazie Marta. Pur condividendo molte delle cose che scrive (per esempio non mi importa dei fantasmi di Prodi ma di che cosa ha fatto il suo governo) tuttavia torno a ribadire che per me che pratico la politica in privato e la religione (anche) in pubblico, è la posizione dei cattolici in quanto tali che mi interessa. Se religione cattolica oramai fa rima solo con potere forse più che espandere il dialogo sarebbe bene pensare ad una profonda rifondazione.
Un saluto
mym
Gentilmente mym ci ricorda che siamo andati OT (mi ci metto anch’io per quello che sto per dire) rispetto al contesto del suo post. Ma, rispetto alla maggiore sfrontatezza di certi personaggi, che riconosco con Marta, mi chiedo come mai nel primo governo Prodi e poi D’Alema non si volle affrontare la questione del conflitto d’interesse o quella delle TV e qui non s’è sistemata rapidamente, oltre a quelle, la “porcata” della legge elettorale di Calderoli? Per citarne solo alcune che oggettivamente hanno favorito il contestato, a parole, contendente. Chi ha il potere lo usi, come ha dimostrato efficacemente con tutta una serie di leggi a proprio uso e consumo il Cavaliere… e qui mi fermo, altrimenti mym, che voleva parlare d’altro, giustamente mi sgrida 🙂
Ho censurato, eliminandolo, uno dei due commenti di Runix. Conteneva, mitigati dai puntini di sospensione, degli insulti personali a Mastella, Dini e alle loro famiglie.
Ribadisco che l’intento di questo post non è discutere dello stato etico dei governanti ma sollecitare una presa di posizione etica della chiesa cattolica sui politici che ad essa si richiamano di continuo. L’impressione è che, tacendo, si mischino al gregge i lupi, non pecorelle smarrite.
mym
sono un po rammaricato che in questo tecnotopo si parli di politica applicata.
Ci sono numerosi spazi in cui fare sfoggio delle proprie posizioni in merito.
Detto questo, visto che avete voluto tirare fuori questo, che dovrebbe essere nobile, argomento, devo dire la mia.
Temo che, mentre il fantasma che si aggirava a meta del XIX secolo
e che mi ha dato l’opportunità di studiare, di avere un asilo per mio figlio etc.
stia perdendo, eccessivamente, il suo giusto posto nelle nostre visioni e utopie intese come dichiarazioni d’intenti,
l’uomo qualunque sia diventato la nostra maggiore aspirazione.
La differenza tra destra e sinistra c’e’ ed è profonda, viscerale.
Entrambe sono in crisi, ma continuano a indicare delle idee di società e di realtà antitetiche.
Non sono tra quelli che credevano in una palingesi politica con le ultime elezioni, un analisi à la Marx rendeva una conclusione del genere impossibile, ma speravo che si interrompesse lo schifo legislativo del periodo dello psico nano e questo de facto c’e’ stato, per poco, ma c’e’ stato.
Se ci chiediamo perchè certe questioni di maggior interesse per la sinistra non sono state portate avanti e per una questione di numeri, resa ancora più problematica per una gestione alla Moggi della politica, in cui le regole del gioco, la legge elettorale, vengono cambiate a proprio piacimento con un giro di telefonate.
Per quanto riguarda la famiglia Mastella, c’e’ poco da dire, ma non dimentichiamoci della famiglia Dini, entrambe con le mogli nei guai giudiziari ( articolo ).
Oltre a quanto detto ci sarebbe, da affrontare anche le questioni Veltroni e magistratura, ma il discorso diventa troppo lungo e come detto non penso che questo sia il luogo adatto.
Sicuramente, se Leibniz fosse un italiano di oggi non avrebbe potuto mai immaginare e dire la famosa frase: “questo è il miglior mondo possibile.”
Questo ‘è’ il miglior mondo possibile, se non altro perchè è l’unico ‘reale’. Il fatto poi che possa non piacermi dipende da me, non da lui.
E se l’errore (mio, vostro, della Chiesa)dipendesse dal fatto che a causa della nostra insoddisfazione, delle nostre opinioni e dei nostri ‘credo’ ed interessi privati, tutti tiriamo a modificare la realtà in funzione di un nostro personale vantaggio, chiamando questa aspirazione ‘miglioramento’ o progresso? Per vedere con chiarezza questo meccanismo, basta osservare una micro-comunità, ad esempio una famiglia o una comunità di lavoro, ove tutti cercano di modellare le regole e i comportamenti secondo la propria idea di ‘buono’, che in realtà è l’espressione di un interesse soggettivo diretto o mediato. La risultante di tutte queste pulsioni, è appunto il miglior mondo possibile; espressione, summa dei componenti.
Anche la Chiesa tira l’acqua al suo mulino, come tutti i componenti di questa comunità di uomini-bambini molto capricciosi che siamo noi. E non va molto per il sottile …
Non sarò certo io a dire perchè e percome: sta di fatto che la Chiesa rappresenta inequivocabilmente un potere forte (politico, economico e indirettamente anche militare) col quale, chiunque intenda operare per dare una sua impronta al mutamento di questa realtà socio-politica(insoddisfacente), deve fare i conti. Sperare che sconfessi i propri politici? sperare che sconfessi la ‘guerra santa’? sperare che sconfessi le proprie banche e i propri scandali? le proprie alleanze inopportune? che si tenga in disparte?
perchè mai dovrebbe? Anche lei gioca per vincere; nel segno di Dio.
Però anche la Chiesa non pare poi così monolitica: al suo interno esistono orientamenti diversi, posizioni varie e variabili che lasciano un sottile spiraglio di evangelica speranza.
Il 27 febbraio il vescovo di Ivrea, monsignor Bettazzi, ha pubblicato una lettera aperta in cui non sconfessa i politici che si adunano sotto le sottane dei preti per lucrare consenso, ma assume posizioni interessanti, religiose, chiare. Penso che possa essere una risposta adeguata, anche se indiretta al quesito che, nel post, indirizzavo al cardinal Ruini.
mym
I appreciate this article very much and I find it a very concerning matter.
I was not so interested in going to La Gendronniere ( I am ordained in the Deshimaru lineage) at some of this “historical” events because of thoughts like these, if I may dare to say so. However, my thoughts were more vague and
not as clear as your article. Indeed a good work. The mentioning of the Harappa civilisation
is indeed a deep trace in the sands of time.
but alas, the future…I think/feel that you may be very right on this issue. But do not know what would be the alternative. If we want to practice we need to have a sangha; as it is, in general in the group-situation we can push ourselves further beyond ourselves than we can go by ourselves. And in organizing the group…The japanese really know how to do that, no?
If I understand you correctly you are asking for another way of decision-making and as Europeans we have another way of doing that.
I have been at Antaiji and liked it very much.
It felt fresh. I was impressed by the way things were run. The “clique-atmoshere”, I have experienced in many other zen-temples/dojos did not exist and I felt that the practice probably terminates many , if not all attempts and ambitions to be “special”, (at least when you are there).
And if this “specialness” dont exist, there is more possibilities for communication between different kinds of people, and that may be the exact way to proceed.
Dear Fredriksson (is it right?),
Thank you for your kind comment.
The first blade of grass in a bare field grows alone. If it is healthy, sooner or later around him has brothers. If, as it is alone, we build around him a structure similar to grass tufts of its species, its true brothers may not be born, will be blocked. Perhaps for a while we must grow alone, doing mistakes, correcting them and doing again (new and same) mistakes. Just like a blade of grass someone will disappear, others will succeed and there will be a true reality. If we use an imitation of Japanese world to build an artificial reality, it will be dead from the beginning. So I think, but it’s not easy for anyone.
Take care of you
yushin
[…] Tempo addietro, subito dopo la caduta del governo Prodi, pubblicammo un post intitolato Mastelliade nel quale chiedevamo alla chiesa cattolica italiana di prender posizione nei confronti dei politici che, a nostro parere per mero calcolo, si proclamano cristiani, cattolici. Nei commenti di quel post segnalammo la lettera aperta di monsignor Bettazzi, un garbato riconoscimento allo stile etico di Prodi e del suo governo. […]
Ho avuto poco tempo fa il dubbio che mio figlio fosse omosessuale da una sua affermazione sul suo sito, rivelatasi poi una spacconata. Quello che ho provato in quel momento ve lo assicuro non è stato bello lo ammetto. Da parte mia ho provato cosa vuol dire amare fuori dai canoni…
Non posso e non voglio dire altro.
“…ho provato cosa vuol dire amare fuori dai canoni…”
Roccia ha toccato il cuore del problema. Stavo per commentare, ma dopo aver letto questa frase qualsiasi cosa avessi detto mi sarebbe apparso superfluo.
Ringrazio per i commenti, e aggiungo un piccolo chiarimento. L’idea di base che ho colto in quel video nasce forse dalle mie convinzioni, secondo le quali le chiese si dovrebbero rivolgere ai loro fedeli anche quando esprimono principi generali. Chiedere a tutti di obbedire a principi che discendono da un credo non condiviso è una forma di totalitarismo antireligioso. Sin qui le mie opinioni. Il video però è apparentemente di “grana” più grezza: pare intervenire sulla coerenza e la corretta applicazione giudicate dal di dentro della comunità religiosa (i due ragazzi partecipano alla funzione religiosa quindi sono legittimi destinatari del messaggio del pastore) evidenziando una sorta di malafede del predicatore. Ma, e questo è il punto che rischia di essere il più debole riguardo alle motivazioni che mi hanno spinto a pubblicarlo, il tutto si risolve con uno sberleffo, una scelta umoristica e per questo (a mio parere) liberatoria, a maggior ragione anche per chi non si sente parte di quella comunità. Un umorismo che richiama l’ironia legata alla supplica alla madonna di Lourdes del post precedente. Grazie
Il video pubblicato non è un documento-denuncia ma una ‘fiction’: ragioniamo su una illazione. Per dare corpo alla cosa bisognerebbe avere ‘pretesti’ di vita reale, (un discorso di un qualunque Baget Bozzo sull’argomento o una notizia di cronaca…): sono convinto che la realtà superi spesso la fiction, ma non ho sottomano prove da produrre.
Il nostro interesse – dato il pretesto fornito – mi pare possa essere soprattutto quello di interrogarci su come leggiamo o pensiamo vada letto il tema omosessualità (o analogo) da una angolatura ‘religiosa’ o di persona della Via. Così come ci ha proposto Roccia, con un brivido davvero eloquente.
Ma così il discorso si sposta; dai guasti che produce un certo dogmatismo protervo ed ignorante, tipico di molti uomini (anche) di Chiesa, ad una riflessione profonda sulla natura umana e sui suoi perchè e percome.
Effettivamente il video pare quasi ‘liberatorio’, appunto perchè è fiction. Nella vita reale è (quasi) sempre tragedia.
Mi ha fatto venire in mente un racconto, che segue, di Jodorowsky.
Dopo la guerra
L’ultimo essere umano vivo rovesciò l’ultima palata di terra sull’ultimo morto. In quel preciso istante seppe di essere immortale, perché la morte esiste solo nello sguardo dell’altro.
A Verona c’è stata una manifestazione in piazza Bra’ con i monaci cingalesi sindaco e presidente della provincia in testa .
Compassione e consapevolezza .
C’ero con tutta la famiglia .
Fradamiano
Grazie Runix, la citazione è molto intrigante. Se vuol dire che quando io non son che io senza neppure tu per cui non ci son più neppure io ma solo un me, allora è tremendamente attinente.
Ma a questo punto bisognerebbe che Roccia dicesse la sua. Se è ancor tra noi … 🙂
Ciao
mym
Non mi sento in grado di argomentare, già quello che dice mym mi mette in difficoltà.
Quello che avevo da dire e che sono in grado di dire, l’ho detto. Comunque è una poesia d’amore questo solamente mi sento di sottolineare. Grazie per l’interesse.
Ho cominciato a praticare meditazione zen nell’1982 , a casa di un liutaio , discepolo di Guareschi.Ricordo parecchie persone sedute su coperte arrotolate sotto i violini appesi come panni ad asciugare . Poi è nato il dojo a Verona in via Filippini, a venti anni si hanno grandi entusiasmi e grandi delusioni .Seshin a Verona ,a Fidenza . Periodi di grande pratica si sono alternati a periodi di nulla . Poi c’è stato l’incontro con il Cristianesimo , la fede Cattolica . Ma sempre praticando zazzen . La nascita della comunità La croce ed il nulla dove ho soggiornato per un po’ di tempo. Il mio ritorno alla vita normale , fidanzamento , matrimonio ,lavoro , passaggio alla fede riformata . Ho comunque continuato a praticare meditazione . E dopo l’11 sttembre si è sviluppata in me la sfiducia nell’ idea di Dio . Dio non migliora il mondo. Forse lo peggiora : guerre di religione ,scontri culturali. Meglio il nulla,meglio il buddismo , niente Dio : Cercare solo di superare la sofferenza , propria e del Mondo . Sono giunto a considerarmi ateo , il cerchio si è chiuso,ma comunque sempre zazzen davanti al muro, bianco . La pratica più dura per me è stata da solo, in un eremo camaldolese , un giorno completamente solo. NOn c’era nulla a cui attaccarsi , la stanza spoglia , nessuno con cui condividere nemmeno lo sguardo.Il mal di gambe , il mal di schiena , in fondo la nostra esistenza è già così dura , la nostra solitudine così grande , perchè torturarsi ancora di più con i sensi di colpa .Negli anni il mio cammino religioso non è andato molto avanti . Non ho incontrato il maestro , non sono diventato monaco ,non ho raggiunto l’illuminazione ,non ho trovato la grande fede con la F . In fondo un vero fallimento , ma continuo comunque a praticare , Il mattino quando non sono troppo stanco , o la sera . Il mio zafu ha più di venti anni , ed è logoro e lucido , un po’ come me ,più vecchio ma forse un po’più consapevole . In fondo zazzen non è un gioco , esattamente come la vita ma come essa estremamente prezioso . Va curato e nutrito come la pupilla dei propri occhi.
Un vero ‘sangha virtuale’ pare prendere forma in questa pagina.
Parafrasando mym, non dico che abbia senso. Ma perchè no? nel nostro piccolo si fa girare un po’ anche noi la ruota del dharma. Sperimentale.
Ai tempi del Budda non c’era internet?
Caro Fradamiano, se dici “Non ho incontrato il maestro, non sono diventato monaco, non ho raggiunto l’illuminazione, non ho trovato la grande fede con la F” mi pare che il tuo cammino non sia andato indietro. Se parli di fallimento allora forse ne parli sul piano mondano. Dove ruggine e tignola fanno il loro lavoro.
Se il tuo zafu è così mal ridotto, poveretto: sarebbe ora di rinnovarlo…
Ciao
mym
Ho imparato a cucirmeli da solo, adesso incomincio a farne uno per mio figlio, ma permettimi di essere anche un po’ affezionato al mio vecchio . un po di attaccamento ci vuole.
Mi sembra che tutto il film graviti attorno alla scritta su una pietra : alla fine il protagonista la gira e legge la risposta .
Nella mia versione del film non c’erano sottotitoli a tradurre la scritta. Qualcuno ne conosce il significato.
( credo che sia una specie di indovinello su come fa una goccia d’acqua a non asciugarsi fonte socka gokaj o giù di li.)
Kim ki Duk è cattolico , ed anche a me il film non è sembrato molto “buddista”.
Tra l’altro il monaco non medita mai , cosa abbastanza strana. L’ambientazione denota un sottofondo culturalmente buddista ma a volte lascia profondamente perplessi.Soprattutto se lo si confronta con il film coreano “perchè Bodhidarma è partito per l’ oriente “di Yong Kyun Bae (sconosciuto ai più…) che vinse il festival di Locarno nel lontano 1989 , e oggi introvabile anche in rete .
Sicuramente per molti versi Kim Ki Duk si ispira al film di Yong Kyun Bae . Esempio il bambino orfano . La scoperta da parte del bambino della sofferenza . L’isolamento dei monci . Il mondo esterno che irrompe nella loro pratica . Ma in Estate… Kim Ki Duk dimostra la sua scarsa dimestichezza co il buddismo mantenendosi in superfice a una generica ricerca spirituale. La mia impressione è che il film Perchè Bodhidharma … in corea abbia quasi creato un genere , che viene molto apprezzato in occidente anche se la copia non raggiunge l’originale . Degenerazine del Dharma ?
Mah, direttamente c’entra poco, come in tutti i film di Duk, a parer mio. Possiamo dire che c’entra come condizionamento ambientale e per le pretese di Duk di richiamarsi -attraverso certi simboli, per esempio il nome Vasumitra- al buddismo, di cui, forse, in questo modo intende presentarsi come esperto, o quantomeno culturalmente partecipe.
Ciao
Sì, anche a me ha ricordato Perché Bodhidharma…, devo averlo scritto da qualche parte. Le differenze sono estetiche e di contenuto: il film di Duk è più “bello”, il film di Bae è un tentativo serio di esprimere religiosità, o almeno lo si può considerare tale; quello di Duk è un’operazione -non solo ma decisamente- commerciale. Bisogna ammettere, però, che il film di Bae è di una noia … buddista (?).
Peccato non aver visto la versione con i sottotitoli: per lo meno elimina il senso di “indovinello”. La prima volta sotto la pietra c’è scritto (più o meno): “Come si può impedire ad una goccia d’acqua di asciugarsi?”. La seconda pietra reca la scritta: “Immergendola nel mare”. Il mezzo cinematografico è difficile da usare (più della parola scritta) per esprimere religiosità. Ho avuto un’esperienza diretta a riguardo. Penso che il tentativo rappresentato da questo film sia il migliore attualmente su piazza. A parte il film girato da noi, naturlicht… 🙂
Se volete farvi un idea di cosa pensano i cinesi della situazione in Tibet , andate sul sito di Associna c’è un forum su questo argomento . Da far accapponare la pelle , e pensare che sono cinesi di seconda terza generazione ……
E 30 anni fa l’economista Ernst F. Schumacher, autore tra gli altri di “Piccolo è bello” e “Guida per i perplessi”, diceva che l’aspetto quantitativo dell’economia, livellando i beni e attribuendo a ciascuno un prezzo per lo scambio, fa sì che denaro divenga il valore più elevato. La produzione/lavoro diviene solo il mezzo ed il consumo il fine. Il lavoro dovrebbe essere invece (lo diceva già nell’800 K. Marx in altri termini) creatività e socialità, innanzitutto, e solo secondariamente la produzione di beni e servizi. Bisognerebbe semplificare e ridurre i bisogni (la cosiddetta “decrescita felice”), non trasformare il superfluo in necessità.
Ciao a Tutti!
In questa fredda ma bella giornata di primavera
una piccola domanda
un “diritto”
qual’è la caratteristica che ne fa una cosa tanto.. forte
Mangiare e bere?
la libertà, l’affetto etc?
sono questi?
ma soprattutto, se si, perché
O se no….quali altri, se esistono
scusate se vi coinvolgo nel mio lucubrare!
ma grazie cmq
Si leggono spesso davvero
cose interessanti qui
(^_^)
S
A SC: la tua premessa a ‘Senza titolo’ mi ha ricordato questa breve poesia dell’amico Leo (Leopoeto) che volentieri rubo (mi perdonerà certo) e qui ripropongo.
Grazie delle tue ‘visioni’ condivise con noi.
DICA
D’incanto mi par
d’ascoltare la luna…
inseguire la pioggia…
Nubili spose del mio soliloquio.
Il poeta di parole
non è raccoglitore,
è il raccolto.
Cara Saralultimastella, anche questa volta fai una domanda da un milione di dollari. Cerco di essere serio, per una volta …
I diritti, in quanto tali non esistono. Nascono come risposta a sopraffazioni dolorose. La vita viene spesso negata, o uccidendo o imprigionando, in vario senso. Proclamare il diritto alla vita è iniziare a condizionare il mondo in una cultura che non la neghi, la difenda. Senza la vita è inutile parlare del resto. Così è pure per tutto ciò che sia indispensabile alla vita. Aria, acqua, cibo… amore, libertà ecc. ed ecco i diritti fondamentali, poi quelli civili ecc. ecc. Ma se la tua domanda presuppone l’esistenza di un valore oggettivo, detto “diritto”, allora devo deluderti e ripeto: i diritti non esistono. Per questo occorre farli esistere. In molti casi però noi rinunciamo ai nostri diritti volontariamente. In una situazione in cui spontaneamente mi sottopongo ad un regime (monacale, sportivo, educativo…) che preveda delle privazioni o delle severità, fisiche o morali, sino a che io sono d’accordo i diritti sono sospesi. Se però io non sono più d’accordo e con la scusa che prima lo ero mi si impongono delle privazioni (di diritti) il gioco cambia. È forse (il condizionale lo metto perché non c’ero e non so quindi se menta la superiora o la monaca) il caso di quella monaca filippina che ha denunciato per maltrattamenti e sfruttamento la superiora del convento in cui prima praticava la religione (perché accettava spontaneamente le privazioni) poi, pur facendo la stessa vita, era sfruttata.
Un saluto
mym
Ho letto in queste ore, girovagando tra i blog, che molti paventano involuzioni autoritarie nel nostro paese. Furono già preannunciate con eclatante evidenza a Genova nel 2001. Avete sentito le dichiarazioni di Fini in merito? Fini: mai un inchiesta su Genova. Iersera nel salotto di Vespa siedeva tra i vincitori Scaiola che all’epoca era il ministro dell’interno.
Sulla distanza culturale da Bertinotti, che ieri sera in TV discuteva in maniera più che civile con personaggi quanto mai distanti dalle sue idee (es. Fini), vorrei citare per contrappunto un altro dei vincitori: “…manderemo Veltroni in Africa, ma forse è meglio di no perchè anche gli africani meritano un futuro”…(Maurizio Gasparri, ieri 14 aprile in TV)
Personalmente avevo scommesso — non dei soldi, per fortuna! — che TUTTI i partiti “piccoli” sarebbero emersi: quelli di tutte le connotazioni politiche, dalla Destra ai Socialisti.
Abbe’…
Se non altro mi ha fatto piacere sia per l’Udc che per Di Pietro.
La scomparsa di Bertinotti, come notazione sociologica, in effetti colpisce molto. E’ vero che quando era al governo ha dimostrato di non saper governare (non si fa opposizione contro se stessi) però è anche vero che aveva onestamente detto, in campagna elettorale, che desiderava tornare a fare opposizione come ai vecchi tempi. Ci si aspettava che raccogliesse parecchio malcontento.
Quanto a Berlusconi, guardiamo le cose in faccia: Veltroni è stato disgustoso quanto lui: il populismo e il gregarismo della peggior specie.
Bossi? Non l’ho (mai) votato, eppure dal punto di vista sociologico è forse il più autentico “politico” d’Italia (Indro Montanelli l’aveva notato fin dagli anni ’80). Incasellarlo sotto la voce “xenofobia” significa voler evitare la questione. Anche Giulio Cesare e Napoleone, dai loro contemporanei, erano considerati dei beceri agita-popolo, ma la politica “rampante” fin dall’antichità è proprio questo, è carne e sangue, è una forza che sale dall’interno. L’idea che il politico debba essere un intellettuale illuminista è, appunto, un’idea degli intellettuali illuministi (che finirono con il tagliarsi la testa a vicenda).
In definitiva, i due leader dei partiti maggiori rappresentano esattamente il tribalismo, il sentimentalismo e il mammismo dell’italiano medio, che vincesse uno o l’altro. Su quali basi antropologiche “sognare” una classe dirigente diversa?
d.r.
ragazzi, i voti li hanno dati gli italiani. le scelte erano tristissime e tutte ampiamente impresentabili, ma in fin dei conti la scelta l’hanno fatta gli italiani che hanno deciso chi tra i vari candidati meglio li rappresentava. evidentemente il risultato e’ cio’ che loro stessi hanno chiesto (e quindi che si meritano).
non parlerei di distanza tra i candidati. quella era ovvia fin dall’inizio. la distanza l’hanno marcata gli italiani col voto.
La questione, come la pone mym, suggerisce già una risposta. Temo che questo sia un modo cristallizzato di analizzare le cose, il terremoto che ha investito la politica italiana.
Forse sarebbe meglio sospendere le abitudinarie categorie di giudizio ed osservare umilmente la realtà dei fatti.
Concludo (per ora?) questo giro di commenti. Il mio post nacque non da una valutazione politica ma etico morale, ovvero un’area che -per poco o tanto- si sovrappone alla zona che chiamiamo religione. Da almeno 5 anni Bertinotti ha espresso principi la cui lettura, a mio avviso, li colloca nell’area di cui sopra: la difesa dei deboli, la giustizia sociale, la dignità del lavoro inteso come parte costituente della vita (e perciò non solo come parte dell’equazione lavoro=reddito), i diritti, la sicurezza sul posto di lavoro, la pace, il rifiuto della guerra come sistema ecc. ecc. La distanza tra lui e gli altri (è la mia proposta) va misurata proprio su questi temi: non è un sacerdote della religione della “Crescita” o del “Mercato”, i nuovi dei che tutto possono. Per chiarezza aggiungo che siccome la mia cerca di non essere una valutazione politica, non ho preso in considerazione il “come” Bertinotti proponga di avvicinarsi a quelli obiettivi.
Grazie, mym
Provo rabbia, disgusto e tristezza per gli esiti di queste elezioni. Mettevo in conto l’ennesima vittoria di berlusconi, ma ero ben lontano dall’immaginarmi un’ecatombe di queste proporzioni per la sinistra. Lo dico senza mezzi termini, non mi riconosco nelle scelte compiute dal popolo italiano o per meglio dirla, nel suo modo di essere e di agire!! Abito in terra di Toscana e non pochi amici e colleghi di sinistra non sono andati a votare, perchè delusi o traditi dai partiti che in questi anni li hanno rappresentati. Così mi hanno detto…
Caro Max, non ti angustiare. Se la giustizia è tra i vincitori: benvengano! Se non c’è … be’, è normale: la giustizia non è di questo mondo.
Shanti
mym
Il commento di mym dice un’aspetto della questione, una faccia della medaglia. Può essere condivisibile, ma ritengo indispensabile girare la medaglia e guardare anche l’altra faccia che la compone, senza la quale non sta su neppure la prima. In quell’altra metà io leggo che stiamo parlando di politica, della situazione italiana da un punto di vista politico: e non della filosofia politica ma della politica “attiva”, la quale ha dei parametri che la connotano. In particolare in Italia la politica attiva in cui Bertinotti è impegnato con onore da una vita ha le fattezze della democrazia rappresentativa sostenuta dal suffragio popolare. Bertinotti non è solo un portatore di idee, è (per sua scelta) un rappresentante votato sia per le sue idee sia per rappresentare le idee di chi lo vota. La responsabilità di dar voce a chi rappresentiamo, se ci poniamo nella posizione di rappresentare qualcuno, non è un optional della politica: è una conditio sine qua non. Se io presento le idee che rappresento in modo tale che non mi votano neppure quelli che intendo rappresentare (e che non hanno certo tutti cambiato idea, ma non si fidano più di me come loro rappresentante) questo è un fallimento politico gravissimo perché significa che nonostante la bontà delle mie idee io non so più interpretare il sentimento neppure di chi le condivide. Il fallimento è rappresentato dal fatto che quelle idee non hanno rappresentanza politica proprio là dove mi sono impegnato a portarle (in questo caso il parlamento italiano). Imputare quel fallimento alla “situazione italiana” è un ragionamento impolitico, che un politico non si può permettere. Il dovere di un politico “attivo” è starci dentro, alla situazione, e se si presenta alle elezioni per (ri)diventare un rappresentante parlamentare del popolo deve trovare il modo di esserci in parlamento, anche se la puzza è insopportabile: questo è il suo lavoro, per cui ha chiesto fiducia. Bertinotti dice bene, e probabilmente pensa bene: ma non è un filosofo morale, è un politico italiano che rappresenta(va) milioni di persone: il risultato che ha ottenuto è stato che ha parlato tanto lui e ha tolto voce ai tanti per cui credeva di parlare. Penso che in politica si debba valutare un politico dal binomio “intenzioni-risultati” e non da uno solo dei due fattori. Ottime intenzioni – pessimi risultati è politicamente parlando non meno grave di pessime intenzioni – ottimi risultati: questa mi pare sia la situazione italiana. Lo stato etico che prescinde dallo stato della realtà (o meglio, che impone l’etica alla realtà) è appannaggio dei regimi etico-totalitari (al giorno d’oggi Iran, Talibani e compagnia): Bertinotti mi sembra passato da quella tentazione “bolscevica” (cui meritoriamente ha resistito, anche perché in Italia non funziona) a quella opposta, di far sermoni etici senza sapere interpretare e incanalare la volontà di coloro per conto dei quali li esprimeva. Molto male: ha sbagliato completamente i conti, facendo fallire la sua “impresa”: se imputasse questo alla situazione italiana, o al fatto di non essere stato capito, sarebbe un doppio tradimento. Gli va dato merito di avere il buon gusto di non farlo e di ritirarsi in silenzio.
Un poco insolitamente, per lui, J si dilunga. Però nel suo rovescio della medaglia si vede solo il politico Bertinotti. Che ha sbagliato e perso, lo sanno tutti. La misura che proponevo aveva due estremità: con una sola ci si può “misurare” solo… l’infinito
mym
E’ scritto in quale Sutra che il dibattito “buddista” sulla situazione politica italiana debba ruotare intorno a Bertinotti?
Va bene: personaggio importante nel panorama ecc., che ha detto anche tante belle PAROLE, e non ci si aspettava che ecc. ecc., però adesso basta, addio, ciao ciao, “la strada è aperta in avanti” (Teilhard de Chardin). dr
Da ex iscritto e simpatizzante ed anche fortunato nel conoscerlo personalmente Bertinotti non mi piace più. Snob frequentatore di salotti romani,da sfoggio di una cultura e di un intelligenza di cui nutro forti dubbi .Ci ha messo otto anni a finire l’istituto tecnico . Non mi sono piaciuti i suoi interventi sull’Alitalia ne sulla fiera del libro di Torino . Troppo ideologico e forse e opportunista nel prendere prima una carica istituzionale per poi rigettarsi in campagna elettorale contro tutti.
Credo proprio che se la siano voluta e non vedo tutta questa superiorità morale .
Continuiamo a lottare con quello che ci resta cioè il PD , nella speranza che questi cinque anni non siano un disastro
Il risultato delle elezioni poteva andare persino peggio e se è vero che le difficoltà aguzzano l’ingegno, per la sinistra, ahimè, qualche anno fuori dal parlamento forse potrà essere utile per riconsiderare i problemi reali degli elettori e formulare proposte concrete per tentare di risolverli accantonando per ora i sogni e le nostalgie.
carlo
Mi stupisco del mio stupore, meglio dire “stizza” di fronte a questi risultati elettorali.In fin dei conti,mi sento di dire, non hanno vinto loro, persone quasi indefinite dal punto di vista politico, hanno vinto le loro maschere dietro alle quali ci stanno molti italiani ( anche noi forse? ) che hanno delegato ad altri il loro “non coragggio” di sbattere la porta allo straniero, di risolvere i problemi ambientalii ( senza toccare i propri privilegi ) e che non vogliono sentire prediche che possono compromettere il loro benessere personale ( che questo sia a scapito di altri, pazienza….basta non dirlo). Speranze zero, quindi? Ma, mi viene da dire che forse,proprio questi motivi, guardati da un’ altra parte,dal punto di vista dei rapporti personal, quotidiani, possono farci pensare che, dopo aver dato fondo alle cose ( e quante ce ne sappiamo creare ) si vedrà che non è per questo che ha senso vivere e quindi neanche morire. ( Quanta resposabilità e quanta strada per le chiese del nuovo millennio )Forse toccare con mano la “povertà” di quelli che sono i deboli, ma anche la possibiità con-vivere in modo diverso, può far cambiare idea riguardo a chi deve darci le leggi necessarie a farci superare le nostre angustie mentali.
Grazie Marta. Se ho capito quello che vuoi dire, una volta provato che le cose non danno la felicità… “loro” rinsaviranno. Se è così temo sarai delusa. Se una cosa non mi dà la felicità è perché non è abbastanza grande, costosa, alla moda, griffata, coordinata… la strada è infinita. L’uomo più ricco d’Italia non ha mica smesso di cercare felicità nel soddisfare i suoi desideri. Temo occorra una “cura” molto più radicale e perciò da non doversi neppure sperare: non bisogna augurare disastri all’umanità. Sarà sempre che là dove ci si accontenta di nulla, o almeno ci si prova, non ci sarà la fila per entrare…
Un saluto, mym
che meraviglia queste vignette!
chredo che solo la serenità nel proprio cammino e la compassione per i nostri giri di trottola possa costituire la base di un umorismo così radicale e autoironico… complimenti!!!
Grazie Alice. Troppo buona!
E’ un vero piacere rendersi conto di essere ‘in comunicazione’ con altri attraverso il sottile filo dell'(auto-)ironia. Quanto alla serenità, mi faccio il mio bel po’ di idee al proposito, non dubitare.
ma è poetico, il poverino , non potendo volare,si costruisce uno sfondo verticale di alberi, sui quali sfrecciare in una caduta, la quale sebbene segni la sua fine, avvererà anche il suo sogno , poichè l’immagine dalla sua prospettiva è quella di un volo.
Triste, poetico e MOLTO Zen 🙂
Nyaaaa… troppo facile. Che bisogno avrebbe di inchiodare le radici dell’albero? E poi, le nuvole seguono il suo “senso” di orizzontale… Nonnonò, non mi convince
Eh no, caro ebbubba. Il ragazzo vola davvero, per volare serve l’ambiente del volo, e lui lo ricostruisce: l’arte imita la vita, la vita imita l’arte: sennò, che interdipendenza sarebbe? Quando il giovanotto si butta, trova subito l’ambiente del volo e quando giunge alla fine del volo/caduta può tranquillamente virare e volare orizzontale perché già lo stava facendo nel suo mondo. Guarda bene il video e capirai la sua lacrima d’aria e di pace. Zen, poetico e normale. ciao jisokiwi
Sulla base delle acute osservazioni di mym, propongo una variante di interpretazione: è solo osando “ribaltare” il mondo, che si scopre un lato inedito – pragmaticamente reale – del mondo.
Volate troppo alto per me. Non so, ma il finale che propongono gli autori (?!), nei 15 secondi del filmato subito successivo, ci riportano dove la forma è forma, ed i kiwi non volano. Vivono da kiwi.
mi riferivo al filmato che compare in successione, al termine del video, e che corrisponde alla URL: http://www.youtube.com/watch?v=T2SnDB_orzQ
dove il nostro eroe apre un prudente paracadute alla fine della corsa.
Vedo però anche , smanettando goffamente in Yu Tube, che altri buontemponi hanno elaborato filmati a partire dal ‘nostro’, quindi quello potrebbe non essere il ‘finale autorizzato’ prodotto dagli stessi autori … anzi, è quasi certamente così.
Molto bella la “soluzione” del paracadute. È proprio questo tipo di visuale che mi ha fatto rifiutare l’idea di un finale a senso unico.
Nota tecnica: il filmato è stato realizzato con software open source perciò tutti (se ne hanno le capacità) lo possono modificare. Ve ne sono decine di versioni. Quello linkato sul post è il “primo”.
Mi chiamo Gianluca,sono un praticante avvocato e detesto il diritto dei tribunali. Ho avuto modo di approfondire alcuni concetti giusfilosofici della tradizione orientale grazie alla mia tesi di laurea che si occupava precipuamente del Codice di Manu.Ora,ciò che mi interessa sapere,al di là di dotte disguisizioni,è se sia possibile diventare un monaco buddista. Se sia possibile seguire concretamente questa strada e vivere nella contemplazione rinunciando al mondo.
Grazie per l’interessamento, porgo i miei più cordiali saluti.
Buongiorno Gianluca,
La risposta alle sue domande è: sì, è possibile diventare monaci buddisti e seguire concretamente questa strada rinunciando al mondo.
Le consiglio però di non utilizzare per le sue domande la pagina biografica dei collaboratori del sito. Se vuol scrivere a qualcuno in particolare è meglio usare l’indirizzo e.mail che compare in fondo a ciascuna pagina biografica. Per scrivere “al sito”, può scrivere al Webmaster o a me, che ne sono il curatore
Un saluto
mym
Gentile Mauricio Yushin Marassi,
La ringrazio per la sua sollecita risposta.
Scendendo nel dettaglio vorrei sapere se e quali prove un novizio deve sostenere per entrare a far parte della comunità e dove sia possibile reperire del materiale utile in tal senso.
Cordialmente
Gianluca (Sakun)
“…è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci…” Per me era acuto e aveva la vista lunga. Infatti la teoria s’è pesantemente concretata. Platone sosteneva che le democrazie inevitabilmente si trasformano in dittature, poi queste vengono rovesciate e si ricomincia. C’aveva forse azzeccato anche lui?
Sì, secondo me ci aveva azzeccato: la democrazia è una conquista, un valore che brilla in relazione a ciò che era senza di lei. A mano a mano che il ricordo dei tempi dell’arbitrio e del despotismo si affievolisce anche la democrazia perde valore (percepito) e così… la si perde.
mym
Da giorni stavo pensando che il primo passo dei regimi aspiranti dittatoriali è quello di inibire il libero pensiero e perciò di colpire di striscio la scuola dove c’è il forte rischio che qualche insegnante “pagato troppo” pretenda di educare proprio al libero pensiero.
Guarda guarda, qualcuno l’ha pensato prima di me!
Cristina
Ma la vogliamo finire di definire “dittatura” la nostra situazione
politica?? può piacere o non piacere, e questo è un altro paio di
maniche… Ma gente che si affolla in piazza a gridare “questa è una
dittatura!” è talmente contraddittorio che fa ridere. Venite nella
rossa Umbria, dove da 60 anni è al potere lo stesso Partito, e provate
a fare affari senza avere la tessera del Partito, o senza essere amici
o parenti o amanti di uomini del Partito…
dr
dr afferma che le “dittature” in Italia già esistono da tempo. Che siano attuate anche a livello locale e da chi non è adesso al governo non ci consola di certo, non fa che peggiorare ulteriormente il quadro di questo nostro povero paese.
Non chiamiamola dittatura allora – anche se sono contenta che qualcuno possa ridere di questa definizione – ma “regime patriarcale” come ci suggerisce Papà B. dicendo di aver agito nei confronti della scuola come avrebbe fatto un buon padre di famiglia…
e’ da un po che cerco una traduzione della Mahavamsa in lingua Italiana. Sareste cosi’ gentili da suggerirmi delle possibili fonti per reperire questo documento che ho letto in Inglese e che tanto mi sta’ a cuore? Mille grazie.
… tra l’altro, la riforma NON sta affatto favorendo la scuola privata contro quella pubblica. ANCHE le scuole parificate si trovano con i fondi azzerati! non idolatriamo “profezie” che c’entrano un ciufolo, anche se fanno un figurone in pagina. dr
Uno dei nemici che dobbiamo temere, secondo me, in questi momenti è l’ insorgere della paura e del senso di impotenza di fronte direi non solo ad un governo ma ad una società ha impoverito la nostra cultura attraverso una dittatura mediatica ( credo che anche dr possa essere d’accordo )che ci ha creato bisogni indotti che tra l’ altro non riesce più a soddisfare. Io personalmente come insegnante sono stata, al di là dei risulati che si otterranno, contenta che le persone che credono nel loro lavoro, si siano ” risentite” di essere state trattate come fannulloni o comunque persone in eccesso da tagliare.
Avevo infatti l’ impressione che ci fossimo già rasseganti a tutto. Chi vive nella scuola, credendoci, sa quanta strada c’è ancora da fare perché il “fare educazione” possa diventare un momento condiviso, comunitario tra persone che, assieme, potessero trasmettere alle nuove generazioni i valori, necessari, tra l’altro, alla sopravvivenza del pieneta.
Investire nella scuola, dovrebbe voler vuol dire non solo soldi e persone ma anche fare una politica di speranza, di fiducia in chi, come la scuola, ha mano la possibilità di influenzare la formazione delle persone.
Molte sono le situazioni in cui c’è veramente bisogno di cambiare per tantissimi e validi motivi. ma gli strumenti per i controlli ci sono già, a volerli applicare. Ma con questi decreti non si vogliono sanare queste reali situazioni di spreco e di mal conduzione della “cosa pubblica”, si sta facendo solamente un cambio di direzione, togliendo ossigeno proprio dove ce n’era più bisogno, cioè alla possibilità di continuare a lavorare assieme per un nuovo modello di società (quante cose potrebbe dire un Parlamento per aiutarci a migliorare in questo senso ).
QAuando mi troverò sempre per 24 ore da sola di fronte a 28 bambini ( già 25 sono un’assurdità) che metodo d’ insegnamento pensano che possa attuare?
Lasciatemi almeno pensare che il fine di tutto questo, non è certo il miglioramento della scuola e della società!
Ma per non entrare in contraddizione con l’ inizio di questo intervento ( scusate la lunghezza), sono convinta che dopo questi giustificati momenti di sconforto e di rabbia, ci rimboccheremo ancora le maniche e, nonostante il voto, i tentativi di farci ritornare alle bocciature per merito, il ritorno all’ individualismo, torneremo ( pochi o tanti )a considerare la scuola pubblica il possibile luogo in cui, grazie alla pluralità di idee, si possa educare per i futuro.
Grazie Marta, la forza dell’ottimismo e l’esperienza personale sono il carburante necessario per chi vuole continuare ad avere uno spazio personale, attivo nella costruzione del futuro
Gentile lettore,
purtroppo non ci risulta che sia reperibile una traduzione in lingua italiana del Mahavamsa, tuttavia, oltre alla traduzione inglese
wikipedia segnala anche una traduzione in tedesco. Qualora ci fossero novità le segnaleremo.
Vorrei condividere una mia sensazione anche se non è direttamente legata all’ argomento. Non trovate che sia stupefacente che una nazione come gli Stati Uniti in piena crisi finanziaria globale abbia scelto di votare Obama come proprio Presidente? A me sembra che sia un evento che possa quantomeno far sperare in un mutamento della visione che l’ umanotà ha di se stessa. Ma… forse sbaglio, perchè attorno a me sento totale indifferenza.
Questo pensiero è venuto anche a me. Qualche volta, preso dall’ottimismo, mi dimentico del mondo nel quale viviamo e penso in termini di ciò che sarebbe possibile fare… Poi mi ricordo che “tutto ciò” si basa su delle pulsioni umane così forti (avidità e ignoranza soprattutto, combinate o singolarmente) che anche Obama è una piccola speranza. Si può tentare, in questi momenti di grazia, di allargare le maglie dell’ottusità che sta distruggendo l’umanità e il pianeta, rallentare un poco il processo. Non molto di più, temo.
Gino Cassano si è seduto in Zazen con noi per tanti, tanti anni: è morto all’improvviso, nel Giugno dell’anno in corso, a Torino.
Lo ricordo così, come penso avrebbe gradito; con leggerezza.
doc
Personalmente non sono mai andato in corteo a gridare a favore dei diritti degli omosessuali, ma la “giustificazione” del Vaticano è (a essere gentili) veramente grottesca. Dicano chiaro e tondo: “A noi quelli lì fanno schifo e orrore”. Sarà poco aulico e curiale, ma almeno si assumerebbero pubblicamente la responsabilità delle proprie idee. Invece hanno preferito un atteggiamento da politicanti buzzurri, da borgatari che si schermano dietro un “che? no, io? maddài, maddeché”. Visto che ritengono di avere la Verità in tasca, si dimostrino all’altezza di questa loro altissima presunzione (nel senso dell’inglese presumption).
Caro Marcello, grazie per il suo mail. Sono lieto che lei sia assolutamente d’accordo con l’operato del Vaticano: finalmente ce lo potrà spiegare, visto che sino ad ora non mostra alcun senso religioso visibile. Grazie anche per l’aggettivo “progressista” che lei attribuisce all’impostazione del sito, non me ne ero accorto e perciò ne sono ancor più lieto. Pensavo che la difesa dei discriminati fosse un’impostazione religiosa tout court. Un saluto
Sono stufo delle censure e della ipocrisie vaticane. L’omosessualità non è una deviazione, un sintomo, una malattia; l’omosessualità è un effetto del discorso della Legge.Dopo una millenaria tolleranza, la Chiesa prese a reprimere l’omosessualità utilizzando l’argomento che vede nel rapporto omosessuale un rapporto contro natura.Dunque l’omosessualità è contro-legge perchè e contro-natura.La credibilità della legge è infatti proporzionata alla sua capacità di con-fondere i nomi con le cose;l’efficacia dei suoi nomi è nella loro capacità di assorbire completamente le cose in modo che l’ordine legale, l’ordine dei nomi, possa apparire come ordine naturale, come ordine delle cose.Sui manuali di giusnaturalismo del XVIII sec. si considera la schiavitù un diritto.Così come oggi nessun buon cristiano potrebbe accettare la schiavitù mi chiedo se in uno stato laico siano lecite le continue e moleste interferenze del Vaticano nel discorso giuridico.
Grazie Homosex per il suo commento. L’argomento, la sua logica non fanno una grinza. La domanda finale, forse, va posta in termini di rapporto col futuro: saremo mai un Paese (un mondo?) in cui la cosa pubblica è amministrata dai cittadini e quella privata… anche? Consigliati, istruiti anche educati dalle chiese ma amministrati da noi medesimi. Non butterei tutta la croce (si fa per dire, veh!) sul Vaticano. Il mondo laico ci commercia e ci guadagna mica poco. Ad ogni elezione promettere il finanziamento delle scuole private (ovvero: cattoliche) ecc. ecc. rende bei votarelli… Poi bisogna pagare il conto.
Concilio Vaticano II addio, ormai non ne resta altro che qualche briciola; il cattolicesimo ormai da anni è in piena restaurazione e sempre più mostra il suo volto “autentico”: arrogante, ideologico, intollerante… Sentiti auguri a chi vi si riconosce!!!
Forse non ci sbarazzeremo (si fa per dire) del Dio cristiano perchè crediamo troppo alla
grammatica.La grammatica serve per determinare l’indeterminato, su cui è impossibile qualsiasi iscrizione, perchè non è soggetto nè oggetto, e quindi non è rappresentabile su nessuna scena. Una sessualità indeterminata è una sessualità inafferabile dove esplodono le per-versioni, perchè sfugge quel ‘verso’ che la legge ha fissato nella riproduzione della specie, dove si nasconde la riproduzione del medesimo, del figlio ‘fatto a immagine e somiglianza’. Di qui la necessità per la legge di dare ai corpi quell’identità che diviene poi la loro realtà. A questo punto all’omosessuale non resta che la trasgressione che però è un gesto che riguarda il limite, dove il tratto che esso incrocia e spezza si ricompone alle sue spalle come un’onda di poca memoria dietro lo scafo di uin’imbarcazione che l’ha solcata. La trasgressione è la glorificazione del limite e il cristianesimo inchioda l’omosessuale al suo limite. Eppure di trasgressioni si alimentava il sacro prima che, bandito l’o-sceno, nello spettacolo cristiano il corpo fosse usato come supporto di due scene: quella della passione e quella della resurrezione, promessa di un godimento differito, dove un amore spiritulale si alimenterà di quel che in parte avrà perduto
l’erotismo dei corpi.La sessualità non cesserà di essere congiunta alla passione, ma questa
sarà solo il patire di un corpo necessariamente sofferente che, incapace di trasgredire e quindi di accedere al sacro, sosterà il bisognoso di salvezza, alle soglie dei divieti, in attesa del godimento dell’Altro, a cui si sacrifica non più con la trasgressione, ma con la sofferenza attraverso cui soltanto, nella concezione cristiana, può filtrare il godimento. I beati, infatti, lo dice San Tommaso, godono della visione della sofferenza dell’altro, di quelle ‘pene dei dannati’ che costituiscono il godimento celeste.
Ci sono dei buddisti che sono cristiani nell’animo …è inutile che si facciano buddisti…sono cristiani!! Dove si vede? In questo attaccamento al sociale…qui in occidente abbiamo sostituito a Dio, lo Stato e dunque tutta questa attenzione allo Stato, a quello che fa a quello che non fa…questo è un’altra forma di monoteismo, un problema con l’autorità…non si riesce a essere semplici, tranquilli….non ci si rende conto che il mondo debba essere vario, che qualche stato abbia la necessità di uccidere, perchè no? Può darsi che quella popolazione abbia delle esigenze diverse. Vogliamo tutto uguale, e poi con quest’aria falsa tipo “volemose bene” alla “we are the world” di Michael Jackson. Che tristezza….
Caro Marcello, si commenticchia, si commenticchia, eh. Grazie. Peccato lei non ci spieghi il senso religioso della posizione sociale del Vaticano visto che la condivide. Grazie anche per le “magnifiche sorti e progressive” (l’ordine delle parole, qui, conta molto) che sente vibrare nel sito. Persona interessante, il Marinetti dico. Mi dispiace, però, abbiate sostituito Dio allo stato e che vi provochi tutti quei problemi, perdita della tranquillità e, Madonna mia!, perfino la necessità di uccidere. Siete messi maluccio lì da voi. Spero le vostre condizioni migliorino presto. Un saluto
PS dimenticavo: proprio perché, purtroppo, occorre accettare che ci siano Paesi con leggi tremende si può chiedere che vengano cambiate. Altrimenti: una bella guerra e via. Accettare però non significa necessariamente pensare che ne “abbiano bisogno” e bona lè. I bisogni si possono ridurre, cambiare, poi, il tempo a volte fa miracoli nelle culture.
Caro Mym, forse sono stato un pò “forte” con itoni. Me ne scuso. Ma mi perdoni, non ne posso più di questo “occidentale” che va in giro a dire agli altri quello che devono fare, quando, sappiamo benissimo che il più bisognoso di cure è proprio l’homo occidentalis. Dovremmo fare autocritica molto severa sul nostro stile di vita che ci appare molto “politically correct”, altro che andare a fare le ramanzine agli altri.
Non so quale sia il senso religioso dell’iniziativa vaticana. Ma personalmente ho indagato a lungo la uestione omo (proprio perchè è continuamente all’attenzione pubblica)e sono arrivato alla conclusione che sia meglio non promuoverla quantomeno.
Una discussione suul’argomento sarebbe lunga.
Per ora mi limito a ringraziarti della chiacchierata. Saluti.
“Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità” recitava J. Donne. Questo atteggiamento di sensibilità e partecipazione nei confronti del dolore altrui, verso l’umana sofferenza, trascende a mio avviso Buddismo e Cristianesimo e li accomuna nel contempo. La passione di Gesù non avrebbe senso, se non fosse motivata da questo senso di com-passione.
Altro è la politica. Quella Vaticana in questo caso. Il grande gioco di Risiko prevede anche delle mosse ‘opportuniste’, non c’è da stupirsi troppo. Il fine giustifica i mezzi.
Però io continuo a non capire la motivazione (“…senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni”) che mi pare suoni risibile in sè, e ancor più considerando tutta la retorica sulla difesa della vita che la stessa Santa sede ha elargito in questi anni. Senza contare millenni di evangelizzazione anche cruenta delle culture ‘pagane’.
Mi piacerebbe che Marcello – l’unico che ha capito, a quanto pare – mi charisse il significato reale di quelle dichiarazioni, di quelle contraddizioni, sia sul piano politico che teologico (trattandosi del Vaticano le due cose devono andare a braccetto). Da ‘spirito laico’ non omologato sono sempre curioso di capire cosa c’è dietro le cose, anche le più sorprendenti.
Certo che si può accettare che in certi paesi si uccida e si torturi! E’ un dato di fatto e come tale non si può che accettarlo. Come si può accettare che dei missionari vengano bolliti nel pentolone o delle suore stuprate e sgozzate. Chi se ne frega. Ma…non c’è un ‘ma’ che riguarda anche me?
Ciao Doc, grazie. Il problema, a mio avviso è proprio quello: se “da religioso” per un calcolo politico (quello del vaticano così mi appare) e per di più proiettato su un ipotetico futuro non vedo il dramma presente, be’, una volta un po’ prosaicamente si diceva. “ciau balle!”. Se poi non di calcolo politico si tratta ma, come suppone dr nel primo commento, è la solita caccia al diverso nei panni dell’omosessuale, è anche peggio.
non è difficile, comprendere il vaticano. Qualoraa passasse un documento del genere, ci sarebbero gli stati “canaglia”, e ci sarebbe una pressione internazionale affinchè gli stati si adeguino agli “standarda”, Sarebbe un veicolo un cavalllo di troia per l’introduzione di norme ultra favorevoli. Signori, siamo in una mente collettiva bruciante. Lo spirito libero non può comprendersi.
Se ben capisco, quindi, si tratta del timore che, allentando le pene, l’omosessualità dilaghi e si auto promuova liberamente. Un ulteriore cambiamento in questa direzione è considerato in Vaticano un grave pericolo per la razza umana e merita il sacrificio di importanti principi e valori cristiani (in primis: non uccidere), nonchè di qualche vita.
Parrebbe effettivamente in sintonia con le prese di posizione della S. Sede su staminali, eutanasia,aborto, divorzio ecc.
L’uomo devia dalla retta via e per contro tenta di sostituirsi a Dio per quanto concerne la riproduzione.
E’ una chiave di lettura. Grazie.
Probabilmente non è solo questo: ci sono anche altre opportunità, ad es. mantenere relazioni non conflittuali con i paesi islamici (paura del terrorismo) e via di seguito.
E’ una scelta di conservazione, che si è radicalizzata assai, con quest’ultima puntata. Indipendentemente dalla mia opinione in merito, sarà dura farla digerire ai fedeli.
La questione è più facile di quanto appaia; dipende tutto dalla prospettiva etica con cui si giudica il mondo. La mia prospettiva etica è quella dell’arroganza (presumption). Il Vaticano insegna la tolleranza, privilegia la virtù dell’azione spontanea e delle ardite decisioni, promuove l’amore verso il prossimo cioè L’Altro dovrebbe (si fa per dire) provocare un sentimento etico nella coscienza. E allora? Oggi assistiamo a continui scempi, specie nella sfera della Giustizia. Per mescolare un po’ di sacro al profano è di ieri (5.12.08) la notizia che il Quiranale ha secretato gli atti delle procure di Salerno e Cosenza per chiarire il caso De Magistris mentre l’Ue con il beneplacito del Vaticano si è reso connivente (co-responsabile) della violazione dei diritti umani e Bush si è pubblicamente scusato del fatto che un suo errore di valutazione ha causato la morte di 4000 soldati americani. Come obietta legittimamente Marcello:’E allora?’ se la filosofia non può giustificare il pensiero che il prossimo può ben essere impiccato, e che chi pensa così non è un comune delinquente ma un pensatore, allora la filosofia è soltanto un giuoco, e se ne conoscono di migliori. Il punto è capire la funzione politica del Vaticano. E’ presto detto: la Chiesa serve a trascinare il rovinoso passato in un penoso presente verso un perfetto futuro per poi distruggerlo; lo ha sempre fatto fino all’esilarante (si fa sempre per dire) risultato di aver ucciso Dio. Dio è morto e stolto chi ancora si attarda su tali elucubrazioni. Dopo la morte di Dio lo spazio pubblico occupato dalla Chiesa è diventato necessariamente un focolaio di malattie e diavolerie dello spirito perché oggi il Vangelo è un virus alieno e noi umani possiamo solo immaginare una zona informe, densa, cangiante, un enorme nebulosa di pensieri, idee, immagini, prodotte anche dall’inconscio collettivo, che è la Rete (il mondo senza Dio?). La morte di Dio è la condizione perché il Verbo possa rinnovarsi. Abbiamo smarrito l’urgenza di dire attraverso il Verbo, di comunicare un sogno, una prospettiva. La Chiesa, una istituzione che dovrebbe essere un vivaio di anime pure, votate al culto della verità e della bellezza, è diventato un lurido mercato, invaso da ogni sorta di affaristi e sporchi cammellieri. Dove una volta allignava la religiosità non alligna oggi neanche più la serietà.
Oggigiorno i giusti confini del lasciar correre, del fingere di non udire, sono stati valicati, sconfinando nell’eccesso, e in economia a furia di chiudere un occhio, e un orecchio, si è arrivati a una decadenza morale che si usa a volte definire “la nebbia nera”. Questa non è tolleranza, ma puro e semplice lassismo. Solo quando si fondono su severe norme e principi morali possono, il lasciar correre e il far finta di non aver inteso, qualificarsi come virtù umane giustappunto come tolleranza; allorché la morale della compassione è crollata, lasciar correre e non udire possono, invece, diventare dei vizi disumani.
Uno dei più bei regali del buddismo è la realizzazione che, in quanto mente, creiamo solo convenzioni. Creiamo un mondo umano e lo consideriamo reale e su quello basiamo tutte le nostre elucubrazioni. La realtà è ben diversa dal mondo umano. Quantomeno sconosciuta. Qundi la nostra condizione ideale è quella degli ignoranti. Noi siamo, prima di tutto, degli ignoranti.
Anzi, “il mondo umano”, è proprio il nostro continuo tentativo di mettere a tacere questa ignoranza. L’etica è la più alta invenzione del “mondo umano”. Ma anch’essa si liquefà di fronte all’ignoranza.
Quindi, avere l’etica come bussola della vita, come metro di giudizio, non basta.
Un uomo libero è libero anche dall’etica.
Però viviamo nel mondo umano dove l’etica è il massimo e viene usata per giustificare il nostro muoversi nel mondo e anche per tenere un certo ordine.
Quello che vorrei dire è che queste storie delle petizioni, dichiarazioni, compresa quella della pena di morte, sono cose “da ragazzini”, mi si perdoni il termine, che si auto-ingannano su fatto che abbiano una qualche importanza.
La portata della stupidità dell’uomo, va ben oltre la pena di morte concessa o negata.
Questo per parlare a un certo livello.
Venendo alle cose umane, abbiamo le religioni. Le quali neanche loro sanno bene cos stanno facendo. Semplicemente si limitano a ripetere un disco spesso rotto, di cui non ricordano più come era quando uscì dalla fabbrica. Però c’è in loro il ricordo di una condizione primigenia. C’è il senso del “naturale”. Magari a qualcuno non gliene frega nulla che ci siano due sessi, ma a me si. Vorrà pure dire qualcosa ‘sto fatto, no?
Alla luce di tuto questo discorsone, possiamo dire due cose sul’omosessualità.
Abbiamo tanti omosessuali e tanti lo diverranno (solo ieri che stavo facendo un viaggio, ne ho “intuiti” una ventina), quindi questo è un fatto. Come ci poniamo di fronte a questo fatto? Tollerare, reprimere, quali sono le cause, positivo, negativo, ecc. Tante domande, ognuno e ogni stato, da la sua risposta.
La mia è che, se esiste qualcosa come “il bene” comune, meglio non promuovere l’argomento.
Se fossimo una società più sveglia, come minimo ci domanderemmo perchè certe cose accadono, ma è dura, molto dura….
Buongiorno a tutti, sarò via un paio di giorni. Se il dialogo continua, per favore, mantenete i toni all’interno del rispetto reciproco. Altrimenti Px, il Webmaster, vi farà tottò 🙂
Arrivederci
mym
Insegna il Vaticano: ‘Mirando alla purezza personale e superando il male i cristiani e simili cercano l’unione spirituale tra loro e con Dio. Ubbidendo alla legge del Vecchio e del Nuovo Testamento si percorre il sentiero dell’amore e si giunge a Dio che è Spirito’. Il buddista invece cerca in “Dio”, propriamente nello Spirito, non l’”amore” ma il Nirvana ovvero la pace che sopravviene con il cessare di tutti i desideri. Il sentiero del Buddha è quello della liberazione, una preparazione alla morte. Se è vero che dell’intero universo è fondamento il dharma, la legge dell’essere, intesa come norma non statuita né da Dio né dagli uomini compendio di lex eterna et naturalis, è anche vero che solo una mente prelogica e magica può comprenderlo. Misurare lo iato che separa preti,politici e simili, dai buddisti è dura in assenza di una concezione dello Stato nella dottrina buddista. Mi limito a rinviare agli artt. 1 e 2 della Dichiarazione dei diritti umani e in verità vi dico “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt, 22,15-22).
Sicuramente il sentimento che suscitano queste posizioni della Chiesa ufficiale, non è certo di “benevolenza” ma di un profondo disagio anche perché c’è sempre la tendenza, da parte di chi si reputa collocato in una edterminata “religione”, a identificarsi almeno in parte in essa. Mi viene da fare però una riflessione: per fortuna i veri cambiamenti di civiltà nascono dall’ uomo, dall’ uomo direi comune. Le leggi, quando sono realmente efficaci hanno, secondo me, una base condivisa, si inseriscono “in un tempo giusto” riconosciuto, magari inconsciamente, dalla maggioranza delle persone a cui si rivolgono ( la presentazione di questo progetto fa quindi ben sperare). Senza questo le leggi corrono il rischio di rimanere lettera morta ( nel bene e nel male.)
Sono convinta perciò che coloro che credono nel messaggio del Vangelo non siano influenzabili da queste posizioni che palesemente sono contrarie ai principi professati dalla fede a cui appartengono e che ognuno per la propria parte farà il possibile perché si giunga ad una visione diversa anche da parte della ” gerarchia”.
Se il ruolo delle religioni dev’essere quello di supportare gli sforzi della società “civile”, per creare un’umanità migliore, sarebbe la fine delle religioni stesse. Questo le renderebbe inutili. Potremmo dunque farne a meno.
Il compito delle religioni è indicare che nel mondano c’è il sacro. Ma il sacro lo devi trovare tu.
Se la religione si limita a rendere sacro, il mondano così com’è, decreta la propria fine.
Proviamo a sostituire alla parola “Vaticano”, la parola “Bodidharma”. Come avrebbe risposto Bodidharma, se gli avessero chiesto di firmare quella petizione? “Mu”, io credo. Vogliamo sempre guadagnare, progredire, agguantare….. Per una religione pura il guadagno, vissuto proprio come guadagno, è intollerabile.
Comunque, al di là delle parole, religioni, Vaticani, stati e quant’altro, alla base del mio rifiuto degli omosessuali, e di una qualsiasi loro promozione c’è che questa “categoria” mi ciede di dire una BUGIA CHE NON HO VOGLIA DI DIRE. E’ proprio più forte di me. Io voglio essere libero di affermare la mia verità che è: ci sono due sessi. Ci sono due sessi. Ci sono due sessi.
Siamo arrivati al punto che un essere umano non può affermare questa cosa senza rischiare di essere tacciato di omofobo!!!
Voglio e devo ribellarmi a questa follia!!.
Questo creare questa specie protetta che sarebbero gli omosessuali mi ha rotto i c……… e qui mi fermo sennò il web master mi fa tottò.:)
Penso che per un buddista del XXI sec. il cinema abbia una sorta di incompiutezza ontologica. Rappresenta il massimo della definizione consegnato a un’infinita indefinita meccanica. Ogni film non finisce mai, ma ricomincia in continuazione: è un eterno ritorno. Come se l’immagine si sostituisse al testo.
Scusa, Marcello, ma, posto che è vero che ci sono ( almeno nell’ uomo ) due sessi, posto che è altrettanto vero che talvolta le inclinazioni sessuali non sono così determinate come si vorrebbe( pensiamo al periodo adolescenziale), sei veramente convinto che possa esserci “una categoria” che possa essere punita senza che le persone ad esse appartenenti compiano atti punibili perché arrrecanti danni a persone o a cose? Qui, mi sembra, non si stava parlando se l’ omosessualità può essere equiparata alla sessualità normalmente intesa! Non ti sembra un po’ azzardato parlare di “specie protetta”?
Cara Marta, anche a me dispiace che, nel mondo, delle persone vengano punite per le loro tendenze sessuali. Non sono mica un mostro.
We reaffirm the principle of universality of human rights, as enshrined in the Universal Declaration of Human Rights whose 60th anniversary is celebrated this year, Article 1 of which proclaims that “all human beings are born free and equal in dignity and rights”;
We reaffirm that everyone is entitled to the enjoyment of human rights without distinction of any kind, such as race, colour, sex, language, religion, political or other opinion, national or social origin, property, birth or other status, as set out in Article 2 of the Universal Declaration of Human Rights and Article 2 of the International Covenants on Civil and Political, Economic, Social and Cultural Rights, as well as in article 26 of the International Covenant on Civil and Political Rights;
We reaffirm the principle of non-discrimination which requires that human rights apply equally to every human being regardless of sexual orientation or gender identity;
We are deeply concerned by violations of human rights and fundamental freedoms based on sexual orientation or gender identity;
We are also disturbed that violence, harassment, discrimination, exclusion, stigmatisation and prejudice are directed against persons in all countries in the world because of sexual orientation or gender identity, and that these practices undermine the integrity and dignity of those subjected to these abuses;
We condemn the human rights violations based on sexual orientation or gender identity wherever they occur, in particular the use of the death penalty on this ground, extrajudicial, summary or arbitrary executions, the practice of torture and other cruel, inhuman and degrading treatment or punishment, arbitrary arrest or detention and deprivation of economic, social and cultural rights, including the right to health;
We recall the statement in 2006 before the Human Rights Council by fifty four countries requesting the President of the Council to provide an opportunity, at an appropriate future session of the Council, for discussing these violations;
We commend the attention paid to these issues by special procedures of the Human Rights Council and treaty bodies and encourage them to continue to integrate consideration of human rights violations based on sexual orientation or gender identity within their relevant mandates;
We welcome the adoption of Resolution AG/RES. 2435 (XXXVIII-O/08) on “Human Rights, Sexual Orientation, and Gender Identity” by the General Assembly of the Organization of American States during its 38th session in 3 June 2008;
We call upon all States and relevant international human rights mechanisms to commit to promote and protect human rights of all persons, regardless of sexual orientation and gender identity;
We urge States to take all the necessary measures, in particular legislative or administrative, to ensure that sexual orientation or gender identity may under no circumstances be the basis for criminal penalties, in particular executions, arrests or detention;
We urge States to ensure that human rights violations based on sexual orientation or gender identity are investigated and perpetrators held accountable and brought to justice;
We urge States to ensure adequate protection of human rights defenders, and remove obstacles which prevent them from carrying out their work on issues of human rights and sexual orientation and gender identity.
Questo è il testo che verrà presentato.
Io credo che non è eccessivo parlare di specie protetta.
Ora, se uno crede alle favole, alle belle dichiarazioni, ai bei proponimenti e pensa di vivere in un mondo tipo “cuore” alla De Amicis, okkei.
Siccome io non sono il tipo e conosco “l’uomo bianco”, e sò che è la stessa persona che distrugge il pianeta, ammazza le foche, si uccide per strada(camorra, criminalità), vive nell’avidità, rapina gli altri per ottenere quello che vuole, ecc,ecc., allora non mi fido.
Qualsiasi cosa dica questo criminale (noi occidentali), devo porre molta attenzione, anche quando si traveste da agnello, egli è un lupo.
E allora gli chiedo: senti lupo, perchè non ti guardi la tua squallida società, che tu arrogantemente ritieni il meglio, invece di andare a fare la paternale agli altri?
C’è, per me, un’unica conclusione. Questa paternale è falsa, ipocrita e stumentale.
Nasconde dei secondi fini.
E questi, io credo che siano, lo sdoganamento forzato dell’omosessualità.
Ti ringrazio per il testo che ho letto con attenzione. Rimango comunque del parere che sia atto di civiltà difendere coloro che per qualsiasi motivo corrono il rischio ( e non puoi negare che questo succeda ) di essere privati della loro dignità di persona. Questa volta si è parlato di loro, in altre occasioni si sono difese altre minoranze. Capisco che questo argomento possa essere più scottante di altri e forse se ne parla in modi non sempre adeguati, ma personalmente credo che l’ Umanità sia talmente grande che c’è posto anche per loro e… spero anche per noi che sicuramente abbiamo altri difetti! Unn caro saluto e un grazie per la compagnia in questo uggioso pomeriggio di dicembre.
Le voci fuori dal coro sono sempre interessanti. Ciò che mi ha fatto riflettere dei discorsi di Marcello – tante cose non le ho ben capite, su altre dissento, personalmente – è stato il suo porre l’accento su quanto continuiamo tutti a ragionare per categorie, categorie che diamo per scontate perché ci sono famigliari e fanno profondamente parte della nostra cultura anche cattolica (ad esempio la difesa di alcune minoranze o certe posizioni su diritti, uguaglianza ecc). Col rischio di appiccicarle al buddismo come ne fossero parte integrante. E così il buddismo si colora, il vuoto si riempie di contenuti e la ‘liberazione’ dai condizionamenti e dalle dipendenze culturali fugge lontano come l’uccello-realtà di Gaber. Effettivamente questo è un rischio enorme per chi è chiamato alla delicatissima operazione di travasare il messaggio di Buddha in occidente. Non ci piacerebbe, qualora avvenisse un analogo trapianto del buddismo o dello zen in Iran ad esempio, accorgerci che alcune categorie del pensiero islamico sono state assimilate al dharma di Buddha colorandolo in qualche modo e riempiendolo di contenuti che non condividiamo o che consideriamo estranei al vero buddadharma. E’ un invito a vigilare, quello di Marcello, che a mio avviso va accolto con attenzione. Le opinioni politiche, sociali, economiche e di costume sono legittime sul piano personale: ed altrettanto l’impegno personale su questi versanti. Ma attenzione a non contaminare con esse la ‘pratica’, onde evitare che le nostre visioni personali offuschino il buddadharma e falsino il messaggio vanificando il nostro lavoro ed il travaso della dottrina in occidente. In sostanza, possiamo essere omofobi od omofili. Ma qualunque cosa siamo, la siamo NON perché siamo buddisti o perché pratichiamo lo zen.
“Good morning babylonia!”
L’obbiettivo prioritario del Vaticano è ottenere concreti benefici dalla parte politica al potere, siano essi l’arruolamento di sacerdoti, scelti dalle curie, come professori di ruolo nelle scuole pubbliche, oppure fondi per scuole e strutture sanitarie private, in larghissima parte facenti capo alla Chiesa.
La Chiesa vuole affermarsi a livello di strutture sociali privilegiando la politica italiana ritenendosi l’unica depositaria dell’etica. Un’etica prerogativa esclusiva della religione avvicina notevolmente il cristianesimo alla mentalità islamica. Per fortuna abbiamo avuto l’illuminismo e lo stato laico che ci hanno parzialmente immunizzati. Da parte della Chiesa, comunque, si tende a negare che l’etica sia una qualità dell’uomo, come diceva Kant, per affermarne invece la derivazione dalla dogmatica religiosa. Gli uomini sarebbero incapaci di produrre una morale, ma di questo passo si finisce nello Stato teocratico.Le morali altro non sono che regole di convivenza volte a ridurre i conflitti. Queste regole gli uomini se le possono dare da sé: l’etica è una categoria antropologica.Le diverse etiche non sono su un piano di parità: quelle basate sulle religioni sono molto retrograde. Il buddismo sarebbe una religione?Piuttosto una filosofia evolutiva.
P.S. A Bodidharma (cioè all’inumano ascetismo dei monaci) preferisco il “Body-dharma”: la legge che regola gli umori sprigionati dall’amplesso. L’eros è mondano oppure una categoria del sacro?E l’amore tra omosessuali pornografia?Ahi,ahi,ahi, povera pecorella smarrita…
Bene, quindi abbiamo bisogno di un’etica. E io, buddista, per avere un’etica, devo venirla a prendere da te? Dove troverebbe la sua etica il buddista, nelle pieghe della modernità? Nel sollazzo? Pechè mai un buddista dovrebbe dare il suo imprimatur agli sforzi di una categoria di bugiardi?
Perchè dal mio punto di vista, gli omo sono dei bugiardi e dei casinisti.
Se permetti, avendo bisogno di un’etica, me la prendo a “imitatio naturae”.
Bravo Doc. Hai colto il senso di quello che volevo dire. Sono questioni dalle quali faremmo meglio a stare lontani.
Quando sediamo in za zen nn ci sono etero o omo!.
Noi tendiamo a soffrire per l’illusione di essere capaci di morire per una fede o una teoria. Lei sostiene che persino una morte spietata, una futile morte che non dia né frutto né fiore, non abbia la sua dignità nonostante sia la morte di un essere umano. Se diamo tanto valore alla dignità della vita, come possiamo tollerare la morte di un essere umano? Nessuna morte può essere detta inutile.(Cfr.Dichiarazione dei diritti umani, artt.5,6).
Concludo il mio intervento precisando quanto segue:”Dichiaro solennemente il mio risoluto e consapevole rifiuto di leggere una sola e ulteriore riga in proposito al dibattito Stato-Chiesa. Per un annoso processo di saturazione neurologica il mio cervello non è più in grado di immagazzinare nuovi dati riferibili alle voci ‘reato’,’peccato carnale’, jus naturali et concupiscientiae e categorie apparentabili. Non solo: anche i dati equivalenti a 666 megabyte di parole e frasi quasi tutte ripetute centinaia di migliaia di volte negli ultimi mille anni, sono oramai andati perduti. Ne consegue che a ciascuna delle suddette voci, e apparentabili, nel mio cervello corrisponde un vuoto assoluto e definitivo, che me la fa considerare totalmente estranea alla mia percezione sensoriale, ai miei interessi personali e alla mia vita passata, presente e futura. In seguito a questa condizione, che presumo estesa a molti fedeli, diffido chiunque anche legalmente, dal considerarmi, a qualunque titolo, destinatario di notizie relative alle voci ‘Messia’, ‘Vangelo’ e consimili”.
Buongiorno. Eccomi di nuovo in “servizio”. Nel frattempo il discorso si è ampliato, e approfondito. Il dibattito riguardo a se un uomo di religione trovandosi davanti ad un problema sociale sia bene che lo affronti laicamente o santamente è antico. I buddisti, storicamente, hanno sempre tentato un distacco, o totale del tipo: “niente politica, siamo buddisti”, oppure individuale: “sono buddista ma/e faccio ciò che faccio perché lo ritengo giusto non perché sono buddista”. Apparentemente la seconda posizione pare più moderna e illuminata, la prima pare legata a una religione che non comprende il mondo. Tuttavia seppure sia parzialmente vero che davanti al muro non c’è distinzione di sesso, è altrettanto vero che non passiamo tutta la giornata lì seduti e perciò (a meno che lo zz sia episodio separato dalla vita) le occasioni di confrontarsi col sociale/politico sono estese a tutti, seppure in proporzioni diverse, e sono da declinare secondo il buddismo. Cioè: se sono buddista (o cristiano ecc.) non esiste un me a prescindere, con i suoi gusti e le sue idee. I monaci birmani ci hanno dato modo di discettare a lungo sulla loro… pelle, e le loro scelte. È pur vero che siamo “anche” cristiani -come possiamo negarlo?- ma anche per questo le iniziative di zio Ratzi e soci ci sono comprensibili. Insomma, non è questione in cui basti prender cappello come pare voglia fare Homosex…
Sì, guai a metterla sul personale. Bisogna evitare di sentirsi personalmente coinvolti per argomentare in modo costruttivo. Non ci si deve sentire parte in causa per poter davvero ascoltare e, grazie a questo ascolto, elevare il proprio punto di vista lasciando andar via le nostre convinzioni radicate. Il buddismo non è cosa che mi dice cosa fare o dove stanno il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. Al massimo mi dice: se ‘soffri’ è perchè ancora non hai capito come si deve capire; non hai ancora ben chiarito il vero significato di quella parola – ‘retto’ – che accompagna le otto braccia del Sentiero. Non ci si può conformare al buddismo come ci si conforma ad esempio al cattolicesimo, per il semplice fatto che non esistono dogmi o regole cui conformarsi. Diagnosi, patogenesi, guarigione e terapia: le quattro nobili verità. E la terapia, anziché una serie di regole, qui è solo l’indicazione di una ‘retta’ vita. Punto.
Quindi complimenti a Marcello, per quanto mi riguarda, poichè ha saputo sostenere la sua ‘provocazione’ non ostante la sua condizione di minoranza, e ci ha permesso appunto di ragionare e di sfidare i confini del nostro recinto mentale. E’ questo il lavoro che dobbiamo fare. E’ questo il vero buddismo. Poi naturalmente continuerò a pensarla come voglio sulle singole questioni, laicamente affrontando i temi della vita con la massima libertà e sincerità interiore concessami. Partecipando comunque – è inevitabile, anche sedersi contro al muro è partecipare! – e battendomi se lo riterrò necessario. A chi altri mai potrei chieder consiglio? Chi mi darà mai delle risposte ‘certe’?
Mi sono letto l’articolo sulla politica buddista e sui monaci birmani e concordo con te, mym.
Per quanto riguarda Ratzi, loro sono uno stato!! Hanno un seggio all’ONU!! Problemi come questo sono il loro modo di pagare il karma del continuo interventismo nel sociale. Ma devono farlo. Il cristianesimo, basando tutto sull’etica, se crolla l’etica è finita….
Ciao:)
Soltanto oggi sono venuta a conoscenza di questa diatriba che, vedo, è in corso da una settimana: chissà come mai nei giorni scorsi sul mio pc non ce n’era traccia. Mi auguro di non arrivare troppo tardi con le mie considerazioni, per quanto non di ordine religioso che non è il mio specifico interesse, bensì di ordine storico dal momento che grecista sono, grecista resto e come tale do’ molto peso al filo che lega la nostra cultura a quella che ne ha posto le basi in tempi remoti. Nel mondo antico l’omosessualità è comune, anzi è la norma, né c’è un termine apposito per designarla: l’eros è eros, a qualunque essere umano si indirizzi. Soltanto l’esigenza di assicurare la sopravvivenza della specie in tempi in cui la mortalità è elevatissima ha originato provvedimenti legislativi a tutela dei figli legittimi e del matrimonio: si tratta di un contratto sociale simile a tutti gli altri contratti sociali, che non ha niente a che vedere né coll’amore né col sesso. Presumibilmente anche la chiesa di Roma alle origini appoggia le unioni eterosessuali per la medesima ragione: non ricordo nel Vangelo nessuna condanna esplicita degli omo. Ma, col tempo, il bisogno di rafforzare e proteggere il potere temporale dell’organismo ecclesiastico ha indotto ad escludere dai privilegi quante più persone possibile, inventando una serie di colpe che potessero essere usate come arma discriminante, e la condanna dell’omosessualità è sopravissuta ai secoli, unica capace di resistere al tempo dal momento che oggi quasi nessuno crede più alle streghe o agli indemoniati, mentre essendo l’omosessualità, come dimostra la storia ma anche il comportamento attuale di molte specie animali non vincolate da leggi scritte, una forma di sensibilità del tutto naturale , non può essere eliminata dagli anatemi né dalla sua penalizzazione. Quando ero giovane, si volevano costringere i mancini a scrivere colla mano destra. Oggi si è riconosciuto l’errore, essere mancini è una caratteristica naturale: nessuno pensa più che ciò sia meritevole di condana. Ma i mancini non turbano le istituzioni.
In parte, io credo, queste storie dell’antichità sono un mito. Nel senso che vorrei veramente vedere uno squarcio della vita quotidiana di un greco di 3000 anni fa….mah, non so quanto spazio ci sia stato per l’omosessualità. Ci sarà stato sicuramente un meccanismo di sodomia, questo è molto maschile, ma c’è empre stato. Mi ricordo quando a 20 anni volevo andare in viaggio in turchia, mi dicevano: “attento che quelli tre lo mettono…”. E’una dinamica maschile di dominio e soggezione di cui non sento la mancanza.
Credo di aver colto un punto interessante.
Stiamo parlando di sociale, quindi di collettività. Qui abbiamo una “parte” di questo “corpo sociale” che chiede qualcosa alle istituzioni. Questo non va fatto. Perchè?
1) Da adito a una nuova categoria che vuole essere riconosciuta e gli da dei benefit (le cose migliori si fanno per tutta la collettività non per una parte altrimenti davvero si fanno discriminazioni)
2)Fa intendere che “le istituzioni” si debbano occupare del privato dei loro membri (questo è una concessione di una parte del mio privato alle istituzioni, una perdita di libertà)
3)Da notare che questo atteggiamento mentale deriva dal pensare le istituzioni come qualcuno a cui chiedere qualcosa!!!!!!!
Questo è terribile, perchè invece che creare un membro della collettività crea un’ameba.
Il punto 3 potrebbe rovinare la comunità.
Vi offro l’ultima.
Immedesimiamoci nello Stato, nelle Istituzioni. Ognuno di noi è “le istituzioni” (che poi, in un certo senso è così).
Essendo voi le istituzioni, avete piacere che qualcuno vi venga a chiedere qualcosa? Intendo qualsiasi cosa. Ora, noi tutti siamo “le istituzioni”. Se abbiamo a cuore noi stessi, cioè le istituzioni, ci fa piacere essere messi in allarme? Cosa ci guadagna veramente la collettività tutta da questo bailame?
Se abbimo davvero a cuore la collettività pensiamo che meno noie ha la collettività e meglio è, o no?
Caro Marcello, è sufficiente che tu legga uno qualunque dei classici greci, da Omero a Socrate attraverso Platone, nonchè a tutta la produzione poetica fino alla conquista di Roma, e anche a Roma stessa, pensa a Giulio Cesare!, per trovare tutte le testimonianze che vuoi a proposito dell’omosessualità che non è prerogativa maschile, anzi: nei tiasi femminili le ragazze imparavano l’arte dell’eros attraverso i rapporti con le compage (vedi Saffo). Il dominio e la soggezione non c’entrano proprio niente, è ovvio che, dedicandosi le persone di sesso diverso ad attività completamente diverse, i rapporti sociali si sviluppavano nell’ambito esclusivamente maschile o femminile e nello stesso ambito la sessualità aveva il suo luogo naturale.
Ti confesso che non mi sento affatto parte dell’istituzione statale berlusconiana, né dell’istituzione ecclesiastica… Vorrei anche io che non si occupassero del privato. Ma il “diverso”, il “non socialmente accettabile” può costituire un pericolo: ecco che il comportamento privato diventa un pericolo per la stabilità pubblica. Da qui la necessità di provvedere in proposito. Al rogo!
Quando si racconta l’antichità, io credo, si deve pensare al mondo di un’elite. Avrei voluto vedere una famiglia contadina greca di 3000 anni fa….si pensa alla vita dei ricchi, ma ci sono stati anche i poveri. Dobbiamo togliere dalla testa quest’idea malsana da noi e dagli altri, che lo stato, le istituzioni si occuperanno di noi. Nessuno ha il diritto di abbassarsi a chiedere l’elemosina allo stato. Con l’atto di chiedere riconoscimento ti qualifichi per quello che sei: un mendicante. Se si ha a cuore lo spirito della gente, si desidera che il tuo prossimo sia forte, non debole.
Perciò occorre stigmatizzare un comportamento errato: un comportamento da mendicante.
Nella solitudine della mia città, non avendo nessuno a cui manchi la mia presenza e nessuno che rimpianga la mia assenza ho l’impressione di cominciare a vivere perché vivo con i privilegi di un morto che ha obbedito alla Legge per servire il futuro e onorare il passato, non dovendo più niente al presente.
Vorrei che non si dimenticasse il punto iniziale: un’istituzione chiede ad altre istituzioni di “depenalizzare” l’omosessualità. Un’altra istituzione -in questo caso: religiosa- interviene per dire che no, non bisogna depenalizzare. Non ostante la penalizzazione comporti gravi sofferenze e persino la morte. La mia perplessità è tutta in quel termine: “religiosa”. Se la stessa posizione l’avesse presa, chessò, la Lega Calcio, la banca europea, l’UMI (Unione mondiale degli idraulici) forse (forse!) avrei pensato: “Ma guarda ‘sti str…ani”. Ma qui ha parlato l’istituzione che si fa carico di essere l’ufficiale, autentica, unica, giusta rappresentanza dell’insegnamento di Gesù Cristo e, spesso, della religione tout court. Allora: “Da non crederci”.
Px, il Webmaster, mi fa notare che quota 50 commenti non l’abbiamo raggiunta neppure la volta in cui abbiamo chiesto pareri sulla foto della signora Sabrina Ferilli in topless. Bene.
Hai fatto bene, mym, a richiamarci all’ordine: mi ero accorta che si stava andando fuori tema. Permettimi un’ultima domanda piccola piccola: dovrei sentirmi una mendicante se chiedo, anzi pretendo che il potere istituzionalizzato, ecclesiastico o laico che sia, non solo non penalizzi ma rispetti le mie caratteristiche individuali e le mie scelte personali quando queste non danneggiano nessuno? Tutt’altro: credo di esercitare un mio diritto.
Bene, Cristina. Quindi la tua è una protesta. Secondo te, una giusta protesta. Il problema è che viviamo in un mondo di media, di parole, di simboli. Di emozioni. E quello che tu chiedi, insieme all’inno “laico” che hai scritto (che viene ripetuto come un mantra), l’avrò sentito 2000 volte.
Sembra quasi che “il progresso delle libertà”, la nuova frontiera, passi da lì.
E non ce n’è per nessuno. Se uno negasse questa tua logica è come minimo un dittatore.
Scusa, ma io mi sento in una specie di “trappola della logica dei diritti umani”, da cui se ne esce solo rompendola (me l’ha insegnato il buddismo).
E poi attenzione a dire che non danneggiano nessuno. I tuoi atti non sono neutrali.
Che bisogno hai di scomodare la società, di oinvolgere gli altri in quelli che sono i tuoi progetti? Perchè scomodare le istituzioni (cioè gli altri e quindi anche me) pe realizzare i tuoi fini?
Secondo me il riconoscimento della dignità della persona umana, e quindi delle scelte individuali, non è una trappola della logica, ma è -dovrebbe essere -un basilare principio di ogni società e di ogni cultura: né mi pare che il buddismo neghi questo. Mi sembra anche che, se voglio seguire la mia strada e l’istituzione mi penalizza per questo, non sia io a scomodare l’istituzione ma piuttosto il contrario… Se la religione ufficiale è quella cattolica romana, questo non ti impedisce tuttavia di essere buddista. In modo analogo, se l’unione tra maschio e femmina è protetta dalla legge, questo non impedisce l’unione tra maschio e maschio, tra femmina e femmina. Non è questa un’azione “cattiva”, che generi un danno universale superiore a quello generato da rapporti eterosessuali. Il “buono” e il “cattivo” non sono idee platoniche universali…
Certo che la mia è una protesta, e certamente tu avrai sentito mille volte, no, duemila, l’inno alla libertà. Spero che tu, io, tutti quanti possiamo sentirlo ancora centomila altre volte!
Buon giorno notte.Mi sembra che Marcello abbia le idee chiare. Il mio voleva essere un commento onesto senza bugie di nessun genere, mi pareva di avere qualcosa di così semplice da dire.Un messaggio che potesse essere utile un po’ a tutti, un messaggio che aiutasse a seppellire quello che di morto abbiamo dentro e invece Marcello è il primo a non avere il coraggio di seppellire proprio niente.Adesso ha la testa piena di confusione, questa torre tra i piedi…Chissà perché le cose vanno così, a che punto l’umanità ha sbagliato strada…Non ho più niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso: chi non abita nella civis Dei abita nella civis Diaboli.Ma i suoi spiriti perché non mi vengono in aiuto, ha sempre detto che erano carichi di messaggi per noi, avanti che si diano da fare.
Marcello, saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo?Di scegliere una cosa, una cosa sola e di essere fedele a quella, riuscire a falla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto proprio tutto perché la tua fedeltà la fa diventare infinita, saresti capace? Se ti decessi che la felicità consiste nel poter dire la verità senza mai fare soffrire nessuno?Dire la verità, quello che so, quello che non ho ancora trovato. E’ una festa la vita viviamola insieme, non so dire altro a te a agli altri. Accettami per quello che sono se puoi, è l’unico modo per provare ad incontrarci.
Cari Amici, come si vede l’argomento mi ha dato modo di riflettere a lungo. Fondamentalmente il fastidio che provo, non è per i singoli o per i loro comportamenti, ognuno fa quel che vuole, ecc,ecc. Il fastidio è nato quando a questa cosa si è cercato di dare una dimensione sociale. Questo ha fatto partire una grancassa mediatica. Ora, mi pare che pur di ottenere i loro fini, certe persone, dicono di tutto e di più. In più, tutta la parte “progressista”, si è schierata a fianco dei “deboli” e si sa, aiutare i deboli è un’attività molto caritatevole e fa guadagnare punti presso “l’opinione pubblica” (e forse fa andare anche in paradiso!). Io spero di aver fatto qualche buona riflessione.
Di sicuro, il dibattito pubblico sull’argomento è sclerotizzato ed è viziato da tante falsità.
Se proprio la volete sapere tutta, per me questo di cui parliamo, non è che un sintomo di un generale stordimento. L’Occidente, fondamentalmente, è un brutto posto. Tenuto a galla dai soldi in abbondanza, tende a dimenticare il reale e a non riflettere profondamente. In sostanza, ci permettiamo di parlare di questi argomenti, non perchè ce ne sia reale necessità, ma solo perchè siamo un branco di borghesi annoiati, che non trovano nient’altro di meglio che parlare dei diritti degi omo. Il futuro crollo economico, forse ci renderà più realistici.
Saluti
Ancora un tentativo di focalizzazione. Il tema proposto non è se la santa sede, l’associazione amici del lombrico, la lega per la difesa dell’uccello o la corte costituzionale possano o meno esprimere pareri, indicazioni o anatemi. Il tema riguarda(va?) la congruità delle posizioni assunte su un dato problema -in questo caso: la depenalizzazione dell’omosessualità- in relazione alla natura dell’istituzione che esprime il parere. Per quanto il Vaticano sia anche uno stato sovrano, le opinioni espresse dai suoi rappresentanti all’ONU non possono prescindere, secondo me, dalla funzione/origine/realtà/legittimazione all’esistenza di quel particolarissimo stato. Affermarne la laicità (e perciò il diritto a qualsiasi posizione) è non vederne la realtà costitutiva. Se fosse uno stato come tutti gli altri non avrebbe alcuna ragione di esistere.
Seguendo il dibattito mi sono formato questa opinione: il Vaticano intende difendere la sovranità degli Stati. Ovvero, tra il diritto ad essere ‘diversi’ dei singoli e quello degli Stati, ha scelto di tutelare quest’ultimo. Messa così pare una presa diposizione rispettabile, direi condivisibile: a prescindere dagli ‘interessi politici’. Che diritto abbiamo in fondo di giudicare e condannare altre culture come se la nostra fosse ‘superiore’? Forse che la sedia elettrica è tanto più umana della impiccagione o della lapidazione? In questo mi pare che Marcello abbia buoni argomenti.
Se il tema fosse un altro (ad esempio il velo islamico o l’esproprio dei proprietari terrieri o il diritto a coltivare la coca ecc) molti di quelli che oggi qui sono inorriditi, applaudirebbero. In sostanza la S. Sede inviterebbe – secondo questa lettura – a rispettare e non interferire con le altre culture e sovranità. Quello che non mi quadra però è che il Vaticano da sempre, su altri temi, interferisce eccome con le culture e con le sovranità degli Stati, a cominciare dal nostro. E allora il sospetto di ‘omofobia’ effettivamente rimane. E rimane un po’ da capire il perchè. Se non erro c’è anche stata di recente una svolta interna del Vaticano sul tema omosex: mi pare che ci sia una pre-selezione delle ordinazioni ecclesiastiche per cui, se si è omosessuali, non si dovrebbe più poter essere ordinati sacerdoti. Vi risulta? Si può così pensare che, oltre a difendere la sovranità degli Stati, il Vaticano si sia accorto e sia molto preoccupato di cosa succede in casa propria, ove l’omosessualità da sempre è di casa, e voglia assumere quindi una posizione più netta che nel passato sul tema.
Ahi ahi ahiiii, “il Vaticano … ove l’omosessualità da sempre è di casa” dice il Doc. Le fonti, vogliamo le fonti o dobbiamo censurare. Che diamine, possiamo mica titolare il prossimo post “Le notti gay del Vaticano ” o “Balletti verdi: l’altra sponda del Tevere”… Minimo minimo occorre spiegare l’affermazione, por favor.
Quando ero giovane (when I was young) lessi che l’arte è un aspetto della conoscenza che non bisogna trascurare, e ciò mi basta. Non chiedo nessuna prova: mi fido.Può una forma di ‘militanza’ artistica trasformarci in una Umanità ardente e forte che come sole spunti dietro scure montagne illuminando la Via?
Vox populi… un bel po’ di scandali e la stessa preoccupazione che ha indotto Ratzi a prendere quella posizione (verifica della non-omosessualità prima di intraprendere la carriera ecclesiastica) mi paiono elementi sufficienti a sostenere l’affermazione. Non credo meriti perdere troppo tempo per cercare studi statistici che ci dicano quanti ce ne è in percentuale. Non mi pare tanto importante. Nessuno ha detto che in Vaticano si fanno le orge. Per favore, non tiriamo a confondere l’omosessualità (cioè l’orientamento sessuale ed affettivo omofilo, che è trasversale ed è presente in circa il 10% di individui se ben ricordo, ed esiste sia nella società civile che nelle istituzioni religiose e no)con il comportamento omosessuale, con gli atti sessuali veri e propri o con la violenza sessuale! Questa confusione c’è nel blog fin dall’inizio. Forse qualcuno crede davvero che nei paesi ‘omofobi’ non ci siano omosessuali? avete mai girato in medio oriente? sono tranquillamente tollerati finchè non incorrono in comportamenti che – in quella cultura – sono considerati scandalosi e lesivi della morale.
Comunque, forse Messori potrebbe fornirci i dati…
Ah be’, son più tranquillo. Soprattutto che, pur essendo (forse?) tanti non facciano le orge mi solleva un po’. Certo che però, se le cose fossero davvero così, facendo anche lo screening per dividere l’oro dalla paglia, con la crisi di vocazioni che c’è rischiano di trovarsi in pochini…
(La presenza degli omosessuali nella Chiesa “è una grande, enorme, immensa sciagura e una delle cause è la mancata attenzione nei seminari, dove i superiori devono essere educatori”. Card E. Tonini)
basta navigare 10 minuti per leggerne delle belle.
Insomma, se accettiamo la tua teoria l’uscita del Vaticano contro la depenalizzazione è una sorta di tafazzismo*: tende a far mantenere stretta la guardia sugli homo di casa propria… se cominciassimo a depenalizzarli altrove… qui chi li ferma più?
*Da un personaggio televisivo, chiamato Tafazzi, noto per colpirsi di continuo -e apparentemente senza motivo- i genitali.
Penso che sia davvero un nervo scoperto per la S Sede: questo taglio di visuale mi spiega molto della attuale rigidità. Non c’è peggior rigido salutista di chi vuole smettere di fumare…o ha smesso da poco.
Ritengo che doc (intervento n. 68) abbia colto esattamente nel segno. Lo confermo un po’ per letture freudiane, un po’ per aver frequentato in passato certi ambienti…
Dubito che l’arte possa avere effetti così dirompenti — anche se in fondo sarei il primo a desiderarlo. Meglio, e più carino, permettere che l’arte faccia incursioni semi-clandestine, possibilmente dadaiste. dr
Buongiorno a tutti, dopo un po’ di pausa mi sorge questa riflessione. La tendenza ad accettare come vero o semplicemente come valido quello che già si conosce e che fa parte di noi è una cosa molto umana da cui nessuno è immune.( Talvolta è anche una necessità cognitiva: trovare cose che confermono le nostre idee per poi solo sucessivamente modificarle.)
Ma se si vuole veramente entrare in dialogo con una persona o una realtà diversa ( e non credo di dire niente di nuovo soprattutto per chi è all’interno della Stella del mattino)si dovrebbe essere veramente disposti a considerare le proprie ideee e il proprio credo come una delle possibili visioni della realtà. A scanso di equivoci non voglio con questo dire che una cosa vale quanto un’ altra o che sono intercambiabili ( ma questo credo sia già assodato da tempo ), semplicemente mi sembra che ci voglia uno sforzo costante e consapevole per tenere aperta, o aprire, la porta del dialogo, a qualsiasi livello: personale, lavorativo, religioso.. ( soprattutto, direi, in quei campi in cui ci si sente “esperti” e ci si trova di fronte a chi, si presume, ne sa meno di noi…) A volte, mi sento di poter dire, si confina il “dialogo” all’ interno di alcuni aspetti della nostra vita, quasi fosse una cosa da farsi in certe particolari occasioni ( magari con chi è già aperto al dialogo .)
Mi vien da rammentare che lo scoglio più grande non è quello di far la pratica ( che naturalmente pur veicola in sè apertura e condivisione..), ma il non lasciare chiuso nella pratica quello che dovrebbe essere l’ atteggiamento nella vita quotidiana.
Rimanendo fermo il fatto che è una gran fatica. Ciao
Grazie Marta per il tuo commento. Hai un’opinione lusinghiera di chi è “all’interno della Stella del mattino”, grazie. Penso varrebbe la pena riflettere un poco su che cosa significhi “non lasciare chiuso nella pratica quello che dovrebbe essere l’atteggiamento nella vita quotidiana” e che relazione ciò abbia con quello che chiami dialogo.
Dato che questo “argomento ” mi sta particolarmente coinvolgendo in questi ultimi periodi, colgo l’ occasione per esprimere ad alta voce ( si fa per dire ) alcune riflessioni. Mi scuso se parlo della mia personale esperienza e se non uso termini “tecnici” ma mi sentirei a disagio ad usarli date le mille angolature e interpretazioni che possono avere.
Nell’ atteggiamento della pratica ( meditazione. lettura del vangelo e studio di testi….) si è portati , direi quasi istintivamente, a lasciarsi compenetrare, a lasciarsi quasi plasmare da quanto avviene in noi in quei momenti. Forse anche perché accettiamo a priori ( anche se dopo un lungo percorso ) che quello che stiamo “facendo” è una parte essenziale della nostra vita. ( A volte ci si lascia trasportare troppo e si pensa che solo quella sia la vita vera).
Poi nella normale vita quotidiana non si è più disponibili ad accettare ” a priori “quello che viene ( sia esso persona, fatto ….) ma si pone immediatamente un filtro valutativo che fa emergere le categorie di giusto, sbagliato, piacevole non piacevole… ( non serve che dica che spesso le cose sono sbagliate ..)che incasellano la realtà. Al massimo si arriva a tollerare, a compatire ( nel senso coumne del termine). Quella parte di verità che mi viene incontro non la riconosco come mia. Ecco quindi il non- dialogo, la non- pace, l’ arrabbiarsi quando le cose non vanno come “dovrebbero” ( dal mio punto di vista naturalmente!).
E magari mi lamento perchè non c’è dialogo! Si vive una frattura tra ciò che si vive durante la pratica e ciò che si vive nella quotidianità, nonostante tutti gli sforzi mentali per far quadrare il cerchio.
Ma se il dialogo è, prima di tutto, ascolto di ciò che è diverso da me e partecipazione reale e non fittizia, allora, è proprio nella vita di ogni giorno, penso, che “la pratica religiosa ” porterà “frutto” ( lo so che qui potrei essere fraintesa ) o meglio diventerà pratica di vita: cercando continuamnete di togliere la polvere che si accumula per le troppe parole, per il rumore….e ricominciando sempre da zero. Ma non perché questo mi debba rendere migliore ( come neanche il fatto in sè della pratica rende migliori ) ma perchè forse è una delle poche cose che risponde alla mia ricerca di senso. E’ un atteggiamneto che mi permette di azzerare continuamente gli errori compiuti da me e dagli altri e di poter intravedere sempre nuove strade. Mi permette di cancellare la ricerca della “meta” e di essere presente in ciò che mi accade cercando il mio posto, o meglio cercando di sentirmi al mio posto.
Chissà se mi sono spiegata: quello che volevo forse semplicemente dire è che, solo se nelle mie “mani vuote” della pratica posso vedere anche “le mani vuote” nella normale vita, recupero il senso della vita globalmente intesa. Grazie dell’ attenzione
Il senso di “dialogo” inteso come rapporto continuo, giornaliero -apparentemente banale- con ciò che ci circonda mi piace assai. E il resto anche. Apprezzo molto. Grazie.
Suggestioni sul tema del tempo e della fugacità della vita: tra Leopardi e Ungaretti … preferisco Pascoli!
Tu dici, É l’ora; tu dici, É tardi,
voce che cadi blanda dal cielo.
Ma un poco ancora lascia che guardi
l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo,
cose ch’han molti secoli o un anno
o un’ ora, e quelle nubi che vanno.
(L’ora di Barga)
Sono pienamente d’accordo riguardo la “giapponesizzazione” dello zen in Europa vista come un colonialismo etno-religioso. Sono rimasto stupefatto riguardo il discorso degli appartenenti del clero giapponese scelti dalla famiglia come eredi della – non di rado redditizia – attività del tempio. Tutto ciò è incredibile!
Come dice Merton (sono pienamente d’accordo con lui!): lo zen NON E’ una religione! Tutte le persone, sia laiche, cristiane o mussulmane possono liberamente praticare lo zen, che è esclusivamente come dice la parola stessa “dhyana”: pura meditazione, vivere il presente!!! Il Buddha c’insegna ad essere uomini LIBERI da ogni tipo di condizionamento mentale, identificazione, convinzione e attaccamento! Sono sicuro che Buddha vivesse ancora ai tempi nostri e vedesse tutte queste cose si farebbe una grassa risata! E ciò non vuole essere assolutamente una provocazione ma solo un mio punto di vista.
Concordo pienamente quando dice che il buddismo non esiste: è solo un’altro gioco della mente; personalmente non penso di essere un buddista, perchè ciò equivarrebbe a creare una falsa identificazione di me stesso, sono Filippo e mi sento parte dell’intero universo, perciò ad esso mi sento connesso. Poniamoci questa domanda: Ma Buddha era Buddha o era un buddista? Che cosa significa essere buddista? Cerco solo di vivere il momento presente, il qui e ora, nella meditazione e fuori dalla meditazione, anche se la stessa meditazione può indurre a creare falsi obiettivi.
In un suo testo (Il fascino del buddismo) Pannikar dice che tempo fa domandò ad un suo amico monaco hindu, buddista therevada come mai in India, la patria del Buddha, non ci fossero buddisti e il monaco lo guardò dicendogli: “Ah sì? Non ci sono buddisti?”. Non ci sono buddisti perchè non c’è gente che non si dichiara buddista, perchè il buddismo come religione in India non esiste. Siamo noi che vogliamo classificare tutto. Loro badano allo spirito più profondo del buddismo e non al fatto di metterci un’etichetta che sia un’ideologia, un partito o una religione.
Il frutto della mia givinezza non è altro che la rimembranza di feste e banchetti al modello del Simposio.Un ricordo avvizzito dalle odierne e borghesi cene di lavoro o di famiglia, in cui si esclude il cazzeggio o il delirio(controllato) e si riempono le pance. Sebbene ci si alzi da tavola dopo aver assoporato le pietanze più prelibate e i vini migliori, ci si sente denutriti di valore e di senso.La nostalgia del mondo greco è nostalgia del politeismo; di una cultura che ha avuto il merito di concedere al divino la facoltà di esprimersi con tutte le forme umane (ciò rappresentano gli dèi) esemplificando al sommo grado la tolleranza.Il principio della tolleranza si basa proprio sulla molteplicità, di cui non è capace il monoteismo, detentore di una verità assoluta.Le domande assillanti allora sono queste: Ridendo della morte del dio crisiano siamo condannati ad un paganesimo senza Olimpo?E come si fa a riprendersi la vita?E il tempo?
Eccezionale quando parla dell’etica e soprattutto dello spirito profondo dello zazen presente sia dentro che fuori dallo zazen stesso, NON sono due cose separate. Se viviamo una vita senza etica morale è assolutamente inutile fare meditazione, diventa appunto un esercizio ginnico!
Molto chiaro anche nello spiegare il male, vorrei aggiungere che secondo me l’egoismo e l’avidità sono forme di attaccamento e come ben sappiamo ogni forma di attaccamento genera sofferenza!
Nella normale gestione che percorre la vita religiosa (che non significa assolutamente far parte di una religione) vorrei aggiungere come elemento di rilevante importanza l’onestà sia verso se stessi che verso gli altri.
Fondamentale il concetto di impermanenza da dove nasce automaticamente, dopo aver interiorizzato quest’ultimo, il concetto di non attaccamento. Se sappiamo che tutto il mondo che ci circonda è precario è da stupidi attaccarsi alle cose o no?
Ed è solo quando non vi è più attaccamento che si genera il vuoto in se stessi, da dove non può che nascere Amore verso tutto e tutti.
Condivido pienamente infine l’ultima frase relativa allo zazen che rischia di essere uno strumento col fine di far diventare qualcuno o sembrare qualcosa: la stessa meditazione può indurre a creare falsi obiettivi e quindi false identità.
Complimenti per l’autenticità.
Grazie. In Giappone il “prete buddista” è un lavoro come un altro, la differenza più evidente (con gli altri lavori) è che si tramanda all’interno di una casta di tipo famigliare. Non identificherei in modo così netto zen e zazen: tutte le persone (delle più varie tendenze o appartenenze religiose) possono praticare lo zazen. Poi si alzano dal cuscino e continuano a “servire” la loro appartenenza. Direi, per chiarezza, che praticare lo zen ha un senso più globale. Infatti: il Buddha c’insegna ad essere uomini liberi ecc. ecc. mym
Mmm, se lei dice di “essere” Filippo… sostanzialmente non è molto diverso dal dirsi buddisti. Con quell’articolo di Panijkkar ho ampiamente polemizzato qui. mym
Mah, insomma… Segue il solito ordine delle cosiddette “grandi religioni”: man mano che compaiono induismo, buddismo ecc., tutto il resto della Terra resta grigio come se non ci fosse nulla da segnalare. Il cristianesimo risulta nato “da un miracolo, la morte e la risurrezione di Gesù”: oltre al fatto che non è preciso definire “miracolo” la risurrezione, la morte “miracola” un po’ tutti…
Il rapporto sīla-samādhi è parte integrante della cultura esperienziale buddista e religiosa in senso generale. Per questo ne richiamavo il senso nel post di qualche giorno fa. mym
A mio avviso (anche se so che specie nel b. vajrayana le posizioni divergono su questo punto) dal vuoto di sé non è detto che automaticamente nasca amore universale. La via mentale all’amore è piena di ostacoli. Anche in questo occorre coltivare il terreno e il buon concime è ancora sīla.
Là, là, là. Facile criticare. Provare per credere. Però questa cosaqquà che il cristianesimo risulta nato da un miracolo mi convince anzichennò. Allora: senza morte non ha senso parlare di resurrezione quindi la dicitura “morte e resurrezione” è un compound solido. Poi: se togli la resurrezione che cosa resta del cristianesimo: le cose che diceva GC senza la Salvezza (che solo la resurrezione fa porre in maiuscolo) le dice qualsiasi saggio padre di famiglia: fate i bravi, vogliatevi bene, non fatevi abbindolare dalle sette religiose…
non stavo affatto negando che quella fosse l’origine e la peculiarità del Xmo. dico solo che la risurrezione non è un “rollback” biologico, e che il fenomeno religioso è ben più vasto e interessante della solita tiritera da manualetto. infine, GC ha detto cose più interessanti che “vai a scuola, e attento al gatto e alla volpe” 🙂
Bella domanda: come riprendersi la vita e il tempo? Non credo proprio che esistano formule capaci di rispondere ugualmente a tutti, formule universalmente valide che restituiscano individualmente ad ognuno il “proprio” tempo: pensa che Proust ci ha impiegato sei ( o sette) volumi? e ha ritrovato solo il suo… Personalmente non mi è servito nessun dio, né unico né appartenente a un pantheon variegato, né alcuna fede o ricetta trascendente o al di là dell’umano: l’ho trovato dentro di me, ma devo stare attenta a non perderlo di nuovo, anzi a ritrovarlo ad ogni passo… Non credo che i Greci di allora si ponessero il problema in questi termini: la ricerca della Verità ha cominciato a turbare le menti solo in tempi molto più tardi di quelli che videro il fiorire dei poeti interessati essenzialmente a cogliere i fiori della vita – che allora era ben più difficile di quanto la possiamo conoscere noi oggi!
Io ho ritrovato me stesso e pure il tempo.Detto in termini metafisici il trascendente (Dio) è divenuto immanente, cioè contenuto della ragione.Avendo ritrovato me stesso (e godendo di buona salute) non voglio ri-scrivere la Recherche, però se non scrivo mi perdo…La Verità?La bellezza? Sono passati i tempi, ora ci vuole di più molto di più.Il problema del tempo si pone in termini di pazienza. Per esempio quanto tempo ci vuole per ‘vedere’ 5000 anni di storia delle religioni?Cominciando dagli indiani, escluso i greci, in due minuti è
tutto finito.Ma se invece di tempo parliamo di pazienza e chiediamo:”Quanta pazienza ci vuole per arrivare dai Greci a noi?”. Se si parla di tempo in un’ora si è già arrivato a Parmenide. Se si parla di pazienza io non ci ho ancora messo piede.Ecco perchè si parla continuamente di tempo:perchè in men che non si dica tutto è fatto. Per questo il mio turbamento è la pazienza.
Felice Natale.
P.S. Penso che anche per gli indigenti poeti contemporanei (poveretti) sia difficile,al pari
dei greci, cogliere i frutti della vita.
Credo che per cogliere quei frutti ci volesse molto più impegno allora che oggi: pensa solo all’eventualità che quei poverini avessero mal di denti!
Sono contenta, per te, che il tuo dio sia divenuto, da trascendente, immanente, anche se non mi è chiaro come ciò possa succedere: mi è invece chiaro come una soluzione che soddisfa uno non soddisfi necessariamente un altro. Ne abbiamo già parlato pur se in altri termini: così se ci sono cose belle non conosciamo tuttavia la Bellezza, e a questo punto si deve scegliere se credere che da qualche parte ci sia e continuare a cercarla, oppure accontentarsi di godere delle cose belle: perciò, buon Natale a te! Cristina
Buongiorno, vorrei fare una domnanda che può forse risultare polemica ma che nasce solo da una mia probabile ignoranza. Premetto che il mio piccolo percorso in questo ambito è nato da un incontro personale e dallo studio di autori ai quali mi rapporto, ma che, per scelta e per necessità, non partecipo a nessun momento comunitario ( in senso stretto )per cui molte cose non le conosco proprio. Tempo fa ho letto che l’ ambito buddista e l’ ambito cristiano hanno preso, in qualche modo, delle strade differenti pur rimanendo fratelli. Ora, vorrei chiedere, pur nella diversità degli approcci, in che modo ” la verità contenuta nel vangelo” assume trasparenza e manifestazione nello zen del buddismo? Mi sembra che alcuni aspetti delle due religioni siano portatori congiunti di alcune peculiarità religiose. Orbene ( non voglio essere polemica, vorrei solo capire ) nell’ ambito cristiano del sito, trovo spesso ( anzi sempre ) riscontro dell’ incontro di due realtà ( cristiana e buddista ) mentre nell’ambito buddista questo appare molto sfumato. Al di là dell’ impostazione del vostro sito ( a dir la verità molto più dinamico e interattivo )la posizione di coloro che ” vi abitano” ha assunto caratteristiche tali da considerare il proprio cammino religioso difforme da quello cristiano? Se sì, come si colloca in questo contesto nato dal dialogo tra le due religioni? Grazie per l’ attenzione. Ciao
Interessante osservazione, Marta. Io la vedo così, e scusa se ti sembrerò banale.
La Via che indicano Buddha e Cristo è via che porta allo stesso luogo, ovvero ‘nessun luogo’. Allo stesso risveglio. E, aggiungerei, ciò vale per moltissime altre tradizioni, anche se forse non per tutte (ma non è questo il tema).
Sia Gesù che Shakyamuni furono ‘riformatori’ di precedenti involucri religiosi dei quali evidenziarono le contraddizioni e rifiutarono le sovrastrutture dogmatiche, superstiziose ed ideologiche: per riportare alla luce l’essenziale. Quello che tu chiami ‘verità’, presumo; ma che non è ‘contenuta’ nel vangelo né nei sutra, bensì pre-esiste ad essi. Vangeli e Sutra, come mappe di un tesoro perduto che non sappiamo più ritrovare, ce la indicano ma non ‘contengono’ proprio nulla.
Nel momento in cui i due messaggi originali divennero ‘religioni’ (Cristianesimo e Buddismo) si rivestirono di un nuovo involucro dottrinale, culturale e dogmatico; ovviamente differente poiché sviluppatosi in ambiti geografico-storico-culturali differenti. Per vari motivi, nel Buddismo l’attenzione al nucleo essenziale della faccenda fu considerata questione prioritaria, ed il messaggio rimase esplicito; in particolar modo direi che ciò vale per il Buddismo Zen.
Il Cristianesimo involse velocemente in struttura gerarchica, con forti connotazioni socio-politiche, ed il messaggio originale venne ‘criptato’, reso difficilmente accessibile. Ovviamente sono necessari dei distinguo: per esempio tra l’esichia di Monte Athos e la dottrina di Comunione e liberazione mi pare ci sia una bella differenza.
Questo forse rende ragione del fatto che, qui, in ambito cristiano sia più sentita la necessità di usare pietre di paragone per ‘sfrondare’ sovrastrutture mentali-culturali particolarmente ridondanti ed ostative. Senza negare naturalmente la reciprocità di questa esigenza, laddove il Buddista troverà nell’altra parte elementi utili per correggere ‘distorsioni’ quali certa tendenza al solipsismo, al nichilismo ecc.
Quanto all’’incontro’, per i buddisti di casa nostra l’incontro con il cristianesimo preesiste a quello col buddismo. E’ già avvenuto: noi siamo cristiani ab inizio. Anche se ci volessimo dichiarare atei od agnostici, non potremmo farlo a prescindere da quelle categorie che abbiamo cominciato ad assumere col latte della mamma e poi in ogni ambito socio culturale.
Perciò a mio avviso, neppure di ‘incontro’ si tratta; ma di uso oculato e proficuo di ‘strumenti’ atti a ripulire noi stessi – la nostra piccola mente – da sovrastrutture limitanti la chiara visione delle cose. La quale ‘chiara visione’ non è, a mio avviso, né cristiana né buddista. Né altra.
Quanto al ‘dialogo’, infine, ti confesserò che è una parola che mi piace davvero poco: sembra sempre che si debba trovare un compromesso, un punto d’accordo o di sintesi tra mondi culturali (sovrastrutturali). Per quanto mi riguarda, è un altro ambito.
Buongorno, anzi buon anno, visto che ci stiamo inoltrando nel 2009. Chissà perché poi, diamo così importanza alla scansione temporale,.. quasi fosse un’entità al di fuori di noi.
Bè, tornando all’ argomento affrontato,Doc, non mi sembra affatto banale il tuo commento. Non so se ho compreso bene tutti i passaggi.., ma vorrei continuare nella riflessione ( se c’è voglia e tempo naturalmente). Se si presume che le religioni in quanto tali con, le loro istituzioni e sovrastruttute, ( più o meno gerarchizzate ) nascondino più che rivelare la realtà che pre-esiste ad esse, sarebbe possibile il mantenimento del messsaggio originale che ci permette la chiara visione delle cose? Non fosse altro per andare oltre anche a questo?
Non è quasi una necessità “imposta” dai nostri limiti, quella di usare comunque un linguaggio ( inteso in senso lato )che si manifesta come religioso-culturale, senza il quale l’ uomo avrebbe fatto (e farebbe) fatica ad assumere coscienza della sua esistenza?
Non è, per me, questo un tema puramente
teorico e intellettuale perché non ho ancora risolto la questione personale dell’appartenenza religiosa, nella considerazione, come tu dici , che non si può prescindere da quelle categorie in cui siamo stati immersi dalla nascita.
E’ possibile e come,( non so però se intendevi questo,) usare le pratiche solo come strumenti “purificatori” ?( il termine non è forse idoneo) Ma se così fosse sarebbero quindi intercambiabili con altre pratiche? Più precisamente lo stare “semplicemente seduti” dello zazen che non ha altro scopo che stare semplicemente seduti, può diventare una semplice pratica per….? Faccio fatica a pensarlo, anche se non mi sentirei di dire ( per il fatto stesso che la realtà si manifesta anche in modo diverso )che è l’unica pratica che avvicini l’ uomo all’ essenziale. Lo stesso discorso mi sentirei di fare per l’ eucarestia ( correttamente intesa ).
Un’ultimissima cosa, anzi due,se la “chiara visione” prescinde ( o può prescindere )dagli ambiti religiosi come posso , in quakche modo, definirla? E se questo non è possible, non mi troverò comunque a dover parlare ( e pensare ) attorno alle cose penultime che mi vengono offerte dalle religioni e/o culture? E se questo è in qualche modo vero, come faccio a non pormi il problema del dialogo interreligioso ( nonché intrareligioso)? Naturalmente concordo pienamente sul dialogo come compromesso, non è quello che intendo. Intanto buona giornata!!
Cara Marta; innanzi tutto, buon anno anche a te. Un tale argomento, man mano che si tenta di approfondirlo, diviene sabbia mobile. Temo fraintendimenti, temo di dire sciocchezze. Un po’per i limiti del linguaggio – l’ambiguità delle parole! – e molto di più per i limiti alla ‘chiara visione’ determinati dalla mia persona. E tuttavia, proprio questo nostro sforzo di parlarci, di intendere cosa vogliamo dirci al di là delle mere espressioni verbali, è in qualche modo – a mio parere – cammino religioso; è dialogo. Altri più qualificati di noi potranno intervenire per puntualizzare, correggere ed indicare punti di vista più elevati.
Penso si debba dire che il senso delle religioni non sia quello di nascondere (perché mai?) ma di ‘proteggere’ il messaggio, affinché sia correttamente fruibile: se finiscono per nasconderlo, c’è qualcosa che non va in quella costruzione che chiamiamo ‘religione’. Proteggere e ‘non contaminare’. In una storiella zen i protagonisti del dialogo concludevano (cito a memoria): ‘non è che non esistano, pratica e risveglio, ma non dovremmo contaminarli’; ‘proprio così, proprio così. Non contaminare. Tu ed io siamo questo…’
I nostri limiti – dici – ci impediscono di andare oltre il linguaggio, oltre il messaggio: e restiamo ancorati alle cose ‘penultime’ offerte dalle dottrine. Vero: cosa ci impedisce di andare oltre? La paura forse, l’altra faccia di ‘attaccamento/desiderio’!? Ci siamo arrampicati in cima al palo di 100 piedi, ma non osiamo fare un ultimo passo. Fossati la dice così: ‘Difficile non è nuotare contro la corrente/ma salire nel cielo e non trovarci niente’ . Solo quando si fa quel passo, credo di poter dire, lo stare seduti dello zazen può essere semplicemente ‘stare seduti’. Ed allora lo zazen non è più uno ‘strumento purificatorio’, una pratica ‘finalizzata’ a star solo seduti: ma è proprio star solo seduti. ‘Solo inchinarsi’ dice Uchiyama. A che serve ‘definirlo’? Solo inchinarsi.
Non direi che le dottrine e le pratiche siano intercambiabili. Piuttosto, c’è una via per tutti: ci sono articoli adatti a tutti i portafogli ed a tutte le capacità. Provo a dirla in altro modo, più nostrano: Dio ha sparso sulla terra i semi di verità in innumerevoli forme, affinché ognuno possa seguire la strada che più gli si confà. Vedere la verità in ognuna delle varie forme, delle varie ‘religioni’, è chiara visione. Rimarcare le differenze per affermare o demolire – come avviene quando si nutre ed esalta il senso di ‘appartenenza’ religiosa – è Babele. Ed allora il ‘dialogo’ (correttamente inteso, l’ascolto) è medicina necessaria, è correttivo.
Buongiorno! Sì forse hai ragione quando dici che manca il coraggio di fare l’ ultimo passo, almeno a me! Forse per arrivarci ho ancora bisogno di rimanere attorno alle cose penultime, nela speranza, forse di riuscire a vedere, almeno da un punto di vista, quella parte di verità che, come dici, sta in ognuna delle forme religiose. Rimanendo nell’ ambito di questo discorso, non trovi che la lettera di Padre Luciano, nell’ ambito cristiano, sia quasi uno specchio di quanto stavi dicendo? Da un altro versante, ma, il tema della ” gloria mundi ” con la sua necessità di transitorietà non assomiglia un po’ al’ ultimo passo?
Non è che voglia trovare per forza delle convergenze tra sistemi di credenze diverse, ma mi ha colpito questa “vicinanza”. Ciao
Sempre io, mi è venuta in mente una cosa: non è sempre ( anzi quasi mai ) semplice “vedere” la propria strada. A volte dopo averne intrapesa una che sembrava “l’ideale” ti riscopri a dover comunque ricominciare da capo. Può essere la propria strada quella di dover “comunque ricominciare da capo”? ( e non parlo delle grandi scelte, da dello stare al mondo ogni giorno). L’ autentica adesione alla propria via è in qualche modo “verificabile”?
Mi rendo conto che la domanda è quasi assurda. Ma ogni tanto il dubbio affiora spprattutto quando ci si scopre diversi da quello che si vorrebbe essere.
Ultima riflessione: è bello però avere le parole anche se possono essere ambigue. Di nuovo arrivederci.
Buongiorno a te, Marta.
Sì, certo: mi ritrovo piuttosto a mio agio nella visuale che propone P. Luciano. Molto bello; soprattutto l’immagine di non-dualismo tra Creatore e Creato.
Personalmente prediligo una visione ‘mistica’ del gioco della vita – e perciò mi accordo meglio con la prima parte della sua lettera – ad una visione storica, escatologica delle cose, così cara a grande parte del mondo Cristiano. Ritengo che quel famoso ’ultimo passo’ da compiere, preveda anche un salto ’oltre’ il tempo. Anche il tempo, anche quello inteso come ‘storia umana’, come successione di ere, deve essere infatti trasceso: perché il tempo siamo noi, è ‘io, e quindi non si può lasciare l’io portandosi il tempo – cioè una parte essenziale dell’io – nello zaino. L’io è, infatti, una funzione dello spazio-tempo. La nostra idea del tempo mi pare, appunto, una ‘cosa penultima’. Fa parte in qualche modo della ‘gloria mundi’.
Ma forse sto parlando di cose troppo più grandi di me. O forse è solo quel…’dover comunque ricominciare da capo’. Ogni anno, ogni giorno, ogni minuto, ogni istante. Il risveglio non è qualcosa che possiamo acquisire, metterci in tasca e non pensarci più perché tanto ormai ce lo abbiamo. Appena ci pare di averlo intravisto … ecco, non c’è più e siamo di nuovo nella c…. (Pardon!) …per chissà quanto ‘tempo’.
Ed anche la strada non è sempre la stessa, ma cambia in continuazione.
Forse l’unica cosa che permane è proprio – come tu dici – quel ‘dover ricominciare da capo’. E per questo dover sempre ricominciare – mi pare dica Uchiyama – abbiamo, in modo del tutto naturale, il ‘voto’ ed il ‘pentimento’. Ed infine, l’aprire le mani del pensiero.
Un ultima cosa. Non so se sia ‘verificabile’: e soprattutto non so cosa sia una ‘autentica adesione alla propria via’. Se è la mia propria via, me la sono fatta io, sono io! Più aderente di così! La questione non mi pare posta in modo da poter avere risposte. Penso vada riformulata. O sono ’io’ che non capisco cosa intendi dire.
Buongiorno. Rileggendo quanto è stato detto finora e lasciando un po’ scorrere il pensiero mi accorgo che ci sono tantissime cose su cui vorrei ritornare per poi ripartire. A proposito di parlare delle cose troppo grandi, credo che l’ atteggiamento faccia proprio la differenza. ( Neanche Panikkar, in una sua intervista diceva di essere originale ma solo di interpretare quanto sapeva alla luce della sua propria esperienza ).
Sono andata a rileggere l’ intervista di Uchiyama in Addio ad Antaiji, dove forte è il richiamo ad andare oltre e altrettanto al non sprecare la propria vita. Per fortuna ha ribadito che pochi capiscono il vero signifiato di dharma e ciò che ne consegue, così mi sento meno sola. Paradossalmente sembra molto semplice nella teoria ma appare decisamente complesso nella realtà.
E’ proprio questo che spesso mi mette in crisi e a cui forse facevo riferimento con la necessità che appare ralvolta di ” verificare”. Lo lego al ” pentimanto” a cui hai accennato assieme al “voto”.
Vorrei togliere di mezzo alcuni possibili fraintendimenti: non mi riferisco alle azioni che palesemente sono errate o a peccati che hanno bisogno di chiara (?) conversione. Penso all’ atteggiamento ( che comunque provoca azione ) che talvolta ( o quasi semore ) esula dalla volontà personale. Come posso esimermi dall’ analisi di ciò che sono, attraverso l’analisi di ciò che faccio? Se fossi saggia forse questa domanda non avrebbe senso, ma siccome non lo sono dovrei sapere o capire o intuire da dove e come sorge il pentimento che pure avverto come necessario? Può essere un pentimento tout cout? Non mi viene da dare questa riposta, anche se mi posso rendere conto che in realtà molte delle cose che faccio possono avere conseguenze che io non avverto e non conosco ( anzi probabilmente è proprio così ma non mi sembra possa essere “esaustivo”.)
Potrebbe essere non importante o comunque non necessario per seguire la propria via, ma mi sembrebbe disarticolare una parte dell’io dal tutto.
Tra un po’ le vacanze natalizie saranno finite, se per caso ci sarà meno tempo per dialogare dimmelo così ti saluto. Ciao
Ciao Marta,
credo che tu possa sentirti davvero in buona compagnia.
Abbiamo messo molta carne al fuoco, forse troppa, in questo dialogo pubblico. Sperare di arrivare a qualche conclusione convincente sarebbe quantomeno presuntuoso.
Mi permetto tuttavia di comunicarti le riflessioni che hai stimolato in me rispetto alla parola pentimento, così come la usa Uchiyama. Dovremmo tutti riflettere attentamente sul significato di certi termini. Non credo personalmente che l’accezione corrente del termine ‘pentimento’ sia la migliore, per interpretare quel messaggio. In genere pensiamo di doverci pentire di azioni cattive, di pensieri malvagi e via dicendo. Il pentimento – per noi di matrice cattolica – presume senso di colpa, macerazione ed autopunizione redentrice. Mi ha sempre colpito vedere un certo atteggiamento di preghiera o compunzione dei fedeli nelle chiese, inginocchiati con il viso tra le mani, con aria sofferente ed implorante, dopo la Confessione o la Comunione. Ricordo mio padre. Ricordo il fastidio, il disappunto nel vedere lui e tantissimi altri in quell’atteggiamento che non mi pareva sincero né opportuno, che profumava di ipocrisia e di ostentazione, perché sapevo che cinque minuti dopo tutto sarebbe stato come prima. Perché potevo capire: ma anche capivo che, anziché rappacificarsi direttamente con coloro che avevano offeso o ferito – cosa che avrebbe comportato un atto di sottomissione e di umiltà – chiedevano ad un ‘Altro’ di intercedere, di perdonare. Ed in pegno, in pagamento di questo perdono, offrivano una scena di macerazione, di autopunizione, di sacrificio, una esibizione.
Mi ricordo la statua del pensatore di Rodin, ripiegato su se stesso, così lontana dalla postura del loto. Certo che posso capire: ci sono situazioni in cui non c’è più modo di chiedere perdono, di riappacificarsi, ed allora non resta che affidarsi alla misericordia divina. Ma sono casi eccezionali, non ordinari..
E questo è un aspetto della faccenda.
Ma poi, ‘in realtà molte delle cose che faccio possono avere conseguenze che io non avverto e non conosco’. E’ una tua espressione. La condivido, certamente. Ma, giustamente osservi, non è tutto qui. C’è anche tutto ciò che penso e che faccio con ‘intenzione’, più o meno lucida, più o meno consapevole. Quello e questo significano comunque che interferisco col corso delle cose, per lo più per ottenere vantaggio personale: guadagnare; sapere. Questo mi allontana dal ‘voto’, dal modo ‘impersonale’ di essere. Qui, a mio avviso, si genera dukkha; il disagio, la sofferenza (anche stavolta si impone una riflessione profonda sul termine). C’è un io che spadroneggia, e dukkha compare.
Il mio stesso vivere come individuo ‘separato’, mi allontana dal voto: di questo mi ‘pento’, pur sapendo che è inevitabile. Questa sorta di ‘pentimento’ è a sua volta un ritornare al voto, alla non intenzione di nuocere, di arraffare. E’ una sorta di denuncia del mio limite, come individuo. E’ un affidarsi, in qualche modo, ad una forza che mi trascende. E’ quello che facciamo in zazen, quando lasciamo andare i pensieri e cerchiamo di affidarci a… mente-corpo; qui ed ora; né mente né corpo. Non-guadagnare non-sapere. Il buddhadharma, come lo definisce Uchiyama col koan di Sekito.
Quante espressioni! Usando le parole si può costruire un discorso; tutto può sembrare facile e chiaro. Ma poi, nel vivere quotidiano, i nodi della nostra superficialità e distrazione, vengono inesorabilmente al pettine. La ‘verifica’ è spietata.
Per fortuna è caduta dal cielo la gemma del Sangha, per cui siamo in buona compagnia. Nel tuo disagio, non sei sola. Non sono solo.
Caro Doc, è vero che abbbiamo messo tanta carne al fuoco, ma, a volte credo sia importante ( almeno per me )rivisitare il “contenitore”, magari con chi ha la pazienza (e ti ringrazio per questo)di condividere l’avvvicendarsi dei pensieri e delle riflessioni. Non sono sicuramente un’esperta nel campo del buddismo e ho bisogno veramente di ” ricostruire “continuamente il signoficato di concetti, termini affinché non rimangano o scivolino verso l’essere concetti. Però c’è una cosa che sta a monte di tutto questo e che mi è “balzata” alla mente leggendo i tuoi ricordi relativamente al ” pentimento cattolico”.
Parto da lontano: quando ho visto l’immagine del propagarsi della religione cristiana nel video iniziale mi ha fatto sorgere immediatamente due pensieri: quanto “rompiscatole” ( per usare un eufemismo ) siamo stati per arrivare dappertutto e cosa c’è del messaggio originario in questo cristianesimo dilagante? La mia esperienza deli’istituzione chiesa cattolica è stata abbastanza devastante, tanto da generare un rifiuto molto forte verso questa religione.
Però, per farla breve, un giorno per caso, ho incontrato il buddismo e mi sono avvicinata ( con molta diffidenza devo dire ) all’ esperienza di persone come Forzani, Mazzocchi, e poi Doghen e poi
Panikkar… e paradossalmente attraverso di loro ( le loro opere intendo e scritti )ho cominciato a vedere prima e ad “aderire” ( non è la parola adatta forse ) poi ad una religiosità cristiana completamente diversa da quella in cui sono stata sempre immersa. Sono rimasta “ostile” ( almeno è così per il momento ) ad una partecipazioe comunitaria, semplicemente perché in momenti assembleari di questo tipo ( anche fosse nel silenzio dello zazen )mi creano notevole disagio e incapacità di condivisione. Perché ti racconto questo? Perché una domanda di senso mi sorge spontanea ( forse anche più d’una ): cosa può voler significare ” l’adesione ad un esperienza religiosa?” Qualcuno dice che in realtà non possiamo capire e condividere realmente l’esperienza del buddismo se non si “partecipa con immersione quasi ” alla cultura che l’ha generata. Una cosa similare potrei dire dell’ esperienza cristiana: cioé pur immersa nella cultura che l’ha generata ( volendo sottilizzare forse sarebbe da rivedere anche questo )si può dire che si aderisce a questa esperienza non partecipando a ciò che caratterizza la pratica comune? E’ realmente possibile prescindere dall’ appartenza religiosa per “fare” esperienza religiosa?
E poi, è pur vero che il linguaggio dell’ “occidente” mi risulta più semplice da capire, ma per coglierlo “veramente” devo continuamente faticare per togliere tutta la polvere dei condizionamenti che mi è depositata sopra ( e non sempre ci riesco ). Nell’esperienza zen “sembra” più semplice coglierne l’essenza ma forse questo è dovuto alla “scrematura” e all’ interpretazione già effettuate da chi l’ha portata in occidente.
Mi rendo conto che la non appartenza mi genera continuamente dubbi, ma l’accettazione di un’appartenenza con la “presunta certezza” che da questa può derivare mi spaventa ( troppo spesso vedo l’arroganza di chi pensa di essere nella verità).
Ehm, mi sorge un dubbio: può essere questo uno dei tanti modi dello spadroneggiare dell’io?
Ti saluto. Quando hai voglia, mi racconti della gemma del Sangha?
Ciao Marta,
quando parlavo di ‘tanta carne al fuoco’ intendevo sia l’accavallarsi di temi piuttosto impegnativi che la lunghezza dei nostri interventi, cose che mi pare rendano faticoso seguire il filo del discorso. Non credo che qualcun altro ci sia venuto dietro con attenzione fin qui, infatti nessuno è intervenuto: trattandosi di un blog ‘pubblico’, non dovremmo dimenticarci della sua ‘funzione’.
Questo è il motivo per cui divido la mia risposta in tre parti.
Quello che più mi ha colpito, nelle tue parole, è la costante preoccupazione della adesione/appartenenza. Mi pare un problema tipicamente occidentale: non credo che in oriente il cambiare religione – è questo il tema, no? – sia vissuto come un tradimento della casa dei padri e sia accompagnato da sensi di colpa così come capita sovente agli occidentali; a noi italiani in particolare.
Forse non guasterebbe mettere noi stessi al primo posto, al centro del quadrato, nell’osservare questo aspetto. Noi sentiamo il disagio di una separazione: tra noi e il modo; tra il nostro fuori e il nostro dentro; tra verità ed illusione. A partire da questo disagio, iniziamo a sentire la necessità di un percorso di riunificazione, di ri-legamento della nostra schizofrenia esistenziale. Cerchiamo di costruirci una ‘Via’, e di solito partiamo attingendo dalla Via tradizionale che la nostra cultura offre. Per noi, il Cattolicesimo; ma solo perché siamo nati qui, in questo tempo. Nulla vieta, tuttavia, di esplorare altri campi, altri percorsi, altre culture od esperienze. Cosa ritenuta normale e positiva in tutti i campi del sapere e della ricerca…tranne che in quello religioso. Personalmente ho smesso di sentirmi un ‘traditorte di Gesù’ tanto tempo fa, ma capisco. (In fondo in fondo, forse, mi gioca ancora un sottile disagio…). Per di più l’aver studiato altre proposte culturali – segnatamente lo zen – mi ha permesso di rileggere a suo tempo i Vangeli con occhi del tutto nuovi, evidenziandone aspetti e significati che prima mi sfuggivano completamente.
Ma non per questo mi sento di ‘appartenere’ al Buddha, al Tao o a Shiva. Casomai sono loro, le dottrine, le scritture, che appartengono a me. Che mi si offrono amorevolmente affinché ne faccia buon uso. Affinché io contribuisca a renderle nuovamente ‘vive’ ed utili anche per altri.
La famosa zattera, che serve ad attraversare il fiume della sofferenza ed approdare all’altra sponda: non è che io appartenga al veicolo che mi traghetta. Uso quel veicolo, poi posso – in teoria – anche lasciarlo. Oppure posso caricarmelo in spalla e tenerlo ben pulito ed in ordine casomai qualcun altro volesse servirsene.
Proteggere e non contaminare. E’ ben diverso dall’appartenere, no?
Io appartengo al Milan; io alla Juve. Io appartingo al partito…Cosa c’è dietro questo continuo bisogno di ‘appartenenza’?
Quanto al Sangha, che dire? Conosci il termine: in origine la comunità dei monaci. Sempre di più, per estensione in un mondo ‘laico’, la comunità virtuale di tutti coloro che sono sinceramente impegnati in un cammino.
Tu: io sono. Io: io sono.
A partire da questa identità, possiamo farci coraggio e compagnia, aumentare la nostra determinazione ed energia praticando, studiando e discutendo insieme. Come ora. Tu ed io siamo sangha, in questo momento-blog. Esponiamo i nostri dubbi e cerchiamo un punto di vista più elevato attraverso la sinergia degli intenti. Lo saremmo altrettanto se ci sedessimo insieme in silenzio. Nello stesso tempo, col confronto e l’emulazione, ridimensioniamo il nostro io e ci scrolliamo di dosso un po’ delle nostre idee fisse. Ci accorgiamo poco a poco di essere ‘interdipendenti’. Tra esseri umani; con gli animali e le piante; con tutte le cose; aria, acqua, terra fuoco e vento. Non è una gemma di grande valore, il Sangha?!
Ciao, hai ragione, mi ero parzialmente dimenticata di essere in un blog pubblico che ha una sua funzione. ( Mi scuso, forse non ne sono molto avezza.) E’ che, a volte, ci sono momenti in cui il dialogare è particolarmente pregnante e significato per un cammino e poter trovare un “tu”, in questo senso, non è così facile ( almeno per me ). Un tempo non vale un altro. E questo tempo in cui ho potuto confrontarmi con te è stato un bel tempo. E tutto sommato personalmente non ritengo importante che non sia intervenuto nessun’altro. Lo spazio c’è in ogni momento, grazie a questo sito molto aperto e stimolante: sia per ascoltare che per comunicare. Un grazie di cuore a tutti. Marta
No, non è intervenuto nessun altro, ma siete molto seguiti (ieri vi hanno “ascoltati” in più di 800), con una media di 500 al dì. Effettivamente se riuscite a ridurre un poco la lunghezza è più agevole seguirvi, però siete interessanti comunque. Vi ho mandato una mail, potete controllare la posta? Grazie. Un saluto
Sottoscrivo gli interventi n. 16 e 17 di doc, tuttavia il vulnus del discorso è proprio il senso di appartenenza.Vivo nel profondo sud italia e l’unico linguaggio religioso in acto è quello cristiano per cui, contro voglia, penso e agisco da cristiano. Dunque sono cristiano?Sì, nella misura in cui appartengo a qui vili e miserabili ‘confratelli’ corresppnsabili di molte delle sciagure umane.Persino l’amore, per i cristiani, è una tortura che deve far soffrire, deve far sentire in colpa. Per fortuna i cristiani non sono l’Umanità.Un caro saluto.
A proposito di piazzate: il Papa concede l’indulgenza plenaria a chi seguirà PER TELEVISIONE l’Incontro mondiale delle famiglie, che sta per iniziare a Città del Messico (sito http://www.emf2009.com, già, proprio così: “punto com” non “punto org”). Sigh, io che non guardo mai la tv dovrò rassegnarmi a finire all’inferno. Poi si stupiscono che nel mondo ci sia gente “di altre religioni”…
Beh a me piace il suono delle campane. A determinate condizioni, però. Cioè
– quando le campane sono VERE;
– quando il paesaggio è rurale;
– quando la stagione è estiva;
– quando l’ora invita alla contemplazione;
– quando l’umore è giusto;
– quando il suono non è eccessivamente prolungato;
– quando non si sta facendo conversazione nelle vicinanze;
– quando ripenso che Antonio Ligabue di notte si immergeva in verticale nel fieno e cantilenava “dinnn donnn”;
– e tutta un’altra serie di fattori.
ciao ciao, dinnn donnn…
Ti immagini che ulteriore strazio una chiesa con le cacofoniche campane virtuali e di fronte un minareto con un muezzin stonato come una campana? Ha ragione Poletto, meglio stare in campana.
È esattamente quello che volevo dire con il post: non è questione di maggioranza e minoranza, occorre senso della misura e non rompere le scatole. In Marocco, a Meknes, anni fa fui in un albergo adiacente a un minareto: era una follia ancor peggiore di quella del don (senza din) qui a fianco.
Buongiorno Marta. Eccoci qui, dunque; a partire – giustamente – dal risveglio.
Ahi ahi! Un tema ostico ai bradipi serotini tra i quali ho l’onore di annoverare la mia modesta persona. Anche noi bradipi, nel nostro piccolo, ci troviamo, al mattino, con gli occhi cisposi di sonno, già a fantasticare sul tempo che viene e ad organizzarci in qualche modo la giornata. Non mi è difficile esserti controparte su questo tema; mi sembri una personcina ‘serenamente organizzata’, che non si lascia prendere facilmente in contropiede nella quotidianità.
Il ‘tema del risveglio’ incarna a mio parere una delle maggiori difficoltà della vita ‘laica’: non essendoci una regola di comunità che ci permetta di agire momento per momento perché qualcun altro (la comunità, la regola, l’abate) scandisce il tempo per noi, ognuno si organizza a modo suo ma nessuno sfugge alla tirannica ‘legge della programmazione’. C’è chi stende elenchi infiniti di cose da fare, scadenzati magari con orari e tempi (i tempi/metodi delle programmazione industriale trasferiti concettualmente alla vita famigliare); c’è chi lo fa la sera prima, per poi addormentarsi con la coscienza a posto. C’è chi cerca di ridurre al minimo questa fonte di stress, chi invece ci sguazza e ne fa una ragion di vita.
Per me rimane a tutt’oggi un nervo scoperto; una delle difficoltà maggiori che mi sono trovato ad affrontare negli ultimi 26-27 anni, da quando, cioè, ho cercato di far quadrare il connubio tra una vita ‘contemplativa’ ed una vita sociale-produttiva.
Non esistono regole, neppure in questo campo.
Tuttavia una considerazione che mi pare interessante è questa: nella nostra esigenza di costruirci ‘sicurezza’ – è vero, una buona programmazione dà senso di sicurezza e di potenza – stiamo attenti a non metterci da soli in trappola. Voglio dire: troppo spesso ci costruiamo bisogni impegni e scadenze che hanno giustificazione ed origine solo nella nostra mente e poi…ci sentiamo obbligati a rispettare quel programma ad ogni costo. E poiché di solito il programma è ridondante – quante cose dovremmo/vorremmo fare! – non solo non abbiamo più tempo per noi stessi e di conseguenza per gli ‘altri’, ma qualunque intoppo od imprevisto (ad esempio l’interferenza con i programmi altrui, la ‘crisi del bagno occupato’…) rischia di divenire per la nostra mente via via più eccitata una sorta di congiura, nei nostri confronti e nei confronti del nostro ‘santo sforzo’ di vivere ordinatamente. E così si porta via quell’ultima, residua speranza di tranquillità dello spirito.
Se ho ben capito, tu sei molto abile a costruirti la giornata; semmai il tuo stress si chiama ripetitività. Ma, ne converrai, molti tendono a capitalizzare, monetizzare il tempo; e questo sovente – molto sovente – collide con gli interessi (‘programmi’) altrui generando contrasti e tensioni. E inibendo anche la capacità di apprezzare buona parte delle ‘cose che si presentano a me’, impreviste ed inaspettate. Uniche, come tu osservi.
Quanti fiori calpestati, quanti paesaggi ignorati, nella nostra folle corsa verso…il nulla. Quanti clacson suonati senza nessunissima allegria!
Caro doc, bentrovato! Il tuo commento mi ha fatto ritornare alla mente una domanda che mi ha assillato per parecchio tempo e per la quale non credo, tutto sommato, di avere ancora una risposta “certa”.
Quanto è necessario per una persona “laica” ricavarsi uno spazio-tempo per “coltivare” la vita contemplativa? Cosa fa nascere in una persona “normale”, l’esigenza di porsi di fronte al problema del perchè della sua esistenza? E di tentare di cercare una risposta appunto attraverso un percorso di studio, di meditazione, di pratica, che vada al di là della normale partecipazione ai riti ( senza nulla togliere al significato che questi hanno)? Se la scelta di vita è stata quella dell’ inserimento nella società, diciamo produttiva e familiare, quanto è giusto ricavarsi il tempo per sè e magari sentirsi insofferenti quando gli impegni ti impediscono di “rientrare” nel tuo spazio-tempo?
Decisamente non è un problema di poco conto tentare di conciliare questi due aspetti della vita, senza che uno prevalga sull’ altro o che entrambi “sovrastino” sulla vita che dovrebbe (?) essere vissuta nel modo più autentico possibile. A dire il vero, a volte sono stata tentata di ridurre al minimo ( se non di eliminare ) i momenti “meditativi” e per qualche periodo l’ho anche fatto per vari motivi. Ma dopo un po’, anche l’altro versante ( quello familiare e sociale ) ne ha risentito perché quello che mi mancava non era “altro” rispetto alla normale vita ma ne faceva così parte che nell'”eliminazione” ( perdonami il termine) avevo tolto, come dire, una parte di linfa che alimentava tutto il resto. Chissà se mi sono spiegata! Intanto… buona serata!
Ciao Marta,
hai centrato il nocciolo della questione, secondo me. Anzi, di due questioni.
Ti propongo di analizzare la prima col metro del dolore’, del ‘disagio’. ‘Dukkha’ nelle sue molteplici forme; la prima nobile verità. E’ quella che ci introduce al problema fondamentale, alle domande fondamentali: fatte salve possibili eccezioni, tutti si parte da lì no?
Doghen rimase orfano di entrambi i genitori in tenera età, per fare un esempio a noi ‘vicino’. Lui, che era Doghen, ha reagito allo shock con una domanda ‘autentica’ (cioè al di là dei riti) di ‘verità’. Altri avrebbero reagito forse con spirito di rivalsa sulla vita, di vendetta rabbia odio frustrazione ecc. Molti avrebbero vagato ancora a lungo prima di raggiungere un carico di sofferenza tale da costringerli di nuovo a fermarsi e ‘convertire’ la loro visione delle cose.
Non credo che con questa chiave di lettura ci siano ancora tante persone ‘normali’: la sofferenza è nella vita, è in noi come è fuori di noi. Nessuno ne è esente, anche se qualcuno ne è solo sfiorato ed altri ne sono sovrastati. Però, mi pare tu dica anche, cosa è quella ‘sensibilità’ che fa si che allo stesso stimolo doloroso, due persone reagiscano in modo difforme? Immagino che un buddista dovrebbe qui tirare in ballo la questione della ‘maturazione karmica’ o qualcosa del genere. Un cristiano potrebbe forse parlare di ‘èntità’ del peccato originale?
Però mi sembra uno di quegli interrogativi che ci portano a spasso inutilmente, un po’ come la storiella buddista del soldato colpito da una freccia, che non si fece troppe domande ma se la fece estrarre.
E questo mi conduce alla seconda questione. Mi pare che, per chi entra nella via, man mano che la funzione del dolore come carburante del processo di autosviluppo diminuisce, subentrino altri elementi: la volontà, la comprensione, anche l’attesa di risultati, una sorta di entusiasmo, per arrivare alla fede ed a quello che la fede di ogni tempo e latitudine esprime a parole come l’inarrestabile desiderio di stare sempre più vicini a…. E nello stesso tempo una sorta di ‘disinteresse’, distacco dalle cose del mondo. E infine la testimonianza. Più che elementi irrinunciabili credo siano tutti aspetti del proprio modo di (tendere a) vivere in modo autentico. Dovremmo forse recitare una parte? E che parte? In un cero senso, recitiamo sempre delle parti, ed ogni tanto abbiamo bisogno di ritrovarci, perché umanamente, tra uno spettacolo e l’altro, ci siamo persi.
La pratica “meditativa” e la vita famigliare –sociale-produttiva si influenzano pesantemente l’un l’altro. Interdipendono strettamente, come il cerchio e la botte. Si va avanti così: un colpo al cerchio…uno alla botte… Così ci si affina, alla scuola dei mastri bottai: sbagliando, sbagliando e sbagliando ancora. Almeno, questo è quanto mi capita, e certo ogni buon consiglio è il benvenuto
Grazie mym. Ciao doc. Adesso andrò sicuramente fuori tema ( ahi ) ma vorrei comunque comunicarti i pensieri che mi sono apparsi durante una passeggiata pomeridiana “pensando” a quello che avevo letto sul blog. Premessa: io sono, a detta di chi mi frequenta, una persona notoriamente (sig!) seria, del tipo ” il giorno vissuto è sempre imperfetto quindi…” ecc
Sentire la tua conclusione sulla “ineluttabilità” dello sbagliare ha risvegliato in me il pensiero: ma sbagliamo proprio sempre? …….facendomi riflettere su alcune mie posizioni. Ma non voglio entrare in merito alla cosa che mi porterebbe in un’altra direzione. Mi ha colpito il fatto che ad un ceto punto alcune parti di me venivano portate, per così dire, alla mia “coscienza” attraverso l’ascolto delel tue parole ( cosa che probabilmente avviene nella normale comunicazione ma senza rendercene conto ).
Hai presente quando hai la percezione di toccare con mano un’idea che avevi letto da qualche parte ( che magari ti sembtava di avere capito ma che era rimasta a livello intellettuale? )
Ecco, l’idea era proprio questa: che si comincia a conoscere veramente sè stessi quando ci si trova di fronte ad un altro, che cessa di esssere “altro ” da te ma diventa un “tu”. Conosco “me” quando trovo qualcuno ( a volte qualcosa ) che com-partecipa della mia stessa situazione ( in senso lato ): con questo non voglio chiaramente dire che si debba essere d’accordo sulle cose, si può averle anche opposte ma è la dimensione e l’atteggiamento che fa la differenza.
Ecco, questo ri-annodare una parte interiore di me con un’altra, in una conoscenza reciproca, mi fa intuire uno dei possibili motivi di senso di essere in questo blog. Tu cosa ne dici? Un saluto
Penso anch’io che questo dia significato al blog. E’ vero, è una specie di ‘dimensione’ quella che fa la differenza. Le persone (noi tutti) si incontrano di solito per competere, affermare, affermarsi e via dicendo: su quest’altro versante accade invece che ci accorgiamo che c’è un ‘filo’ che ci unisce tutti per cui non ci sentiamo più cose diverse, separate, antagoniste. Siamo ‘lo stesso funzionamento’. Come le zucche della parabola di Uchiyama, che dopo aver litigato a lungo si accorsero di essere tutte collegate allo stesso ramo.
Ma questo non risolve naturalmente i problemi e le difficoltà della vita di ogni giorno dove, come singole monadi separate e sovente impazzite, sbagliamo in continuazione. Ma cosa vuol dire che sbagliamo? è chiaro che quella mia è una affermazione relativa e discutibile. Perciò, essendo per me troppo difficile definire lo ‘sbagliare’ al di là della accezione corrente della parola, preferisco cercare di caratterizzarlo in negativo. Quando è che NON si sbaglia? Casualmente sto leggendo un libro degli anni ’70 che non avevo mai letto, di tal Daniel Goleman; qui ho trovato questa frase: “il frutto del Nirvana per il meditante è la purezza morale senza sforzo; infatti la purezza diviene l’unico comportamento possibile”. Ecco, lì non si sbaglia. Ma basta lo spazio di un capello per essere in errore, in un certo senso. E’ un po’ come dire, con Paolo: “ogni uomo è mentitore, solo Dio è verità”.
Scusa se le ho sparate un po’ grosse: quando si affrontano certi temi sarebbe più prudente forse tacere, per non ‘mentire’ troppo. Ma se tacciamo tutti …
un amico mi ha detto, non molti giorni fa, per incoraggiamento: ‘senza castronerie, non c’è Zen’.
Sì, grande musica, grandissima dimensione. Sapere che vi sono persone che impiegano così una grossa parte del loro tempo, energie e risorse apre il cuore.
Carissimi, essendo un grafomane rompitasche parteciperei ben volentieri alla seduta, ma non si potrebbe “concentrare” un pochino? in fondo è molto zen: mettere bene a fuoco, per poter lasciar-andare meglio… E qui m’interrompo, altrimenti (come scriveva Confucio) rompo gli zebedei. ciaooo
Grazie dr, hai ragione. Stiamo provando a trovare una cadenza equilibrata. Troppo diluito o troppo concentrato, non va bene. Benvengano dunque i suggerimenti e gli inserimenti di questo tenore; ed anche nel merito. Buona settimana a tutti.
Sì in effetti l’argomento scelto è molto stuzzicante: svelare finalmente come si ottenga l’illuminazione buddista una volta per tutte. E poi i segreti dei koan, le misteriose pratiche daoiste dell’eterna giovinezza, gli affascinanti legami tra lo zen e le arti marziali, la Via Della Seta, le spedizioni nel deserto detto Della Morte Certa (Taklimakan), le grotte in cui fu trovato quel testo antichissimo da secoli considerato scomparso… Insomma … Un sullucchero 🙂 🙂 🙂
… oops, mica stavate aspettando me? non ho argomenti “in proprio” da lanciare. ma se buttate un sasso in piccionaia, farò volentieri da piccione. buona settimana anche a voi.
No dr,rilassati pure. Non “aspettiamo” nessuno: il tuo intervento è stato già interessante e utile così. Certo, se la prossima volta sarai della partita, sarai il benvenuto! ciao
Caro doc e caro Homosex, rispondo con una certa pena nel cuore, perchè questo senso di isolamento di cui avete parlato è stato un mio compagno di vita per parecchio tempo. Tanto forte da pensare che nessuna appartenenza religiosa mi era possibile a causa del sentimento di diversità, di frattura direi, che avvertivo tra me e l’ ambiente religioso circostante. Poi alcune cose sono cambiate e il senso di solitudine si è allentato, tanto da poter ritrovarmi nelle parole di padre Luciano quando, nella sua ultima lettera, diceva che non noi apparteniamo alla religione ma è il vangelo ( nel caso del credente cristiano ) che ci appartiene. Questo, credo, ci permette di poter essere “religiosi” nel senso reale del termine e di non essere seguaci di una dottrina che, molto spesso o qualche volta, non ci sentiamo di condividere.
Credo sia importante provare “disagio” di fronte ad alcune realtà religiose ( o che si mascherano tali )perchè significa che siamo sempre in cammino, alla ricerca del significato “ultimo” della nostra propria esistenza e che non ci si “accontenta” di risposte standard uguali per tutti.
In questo caso, mi sento di dire, pur nella diversità, siamo “nella stessa barca” e chissà che, remando tutti assieme, non ci si trovi allo stesso approdo.
Un saluto Marta
Riguardo alle pressioni sociali, nel buddismo “però” c’è un bell’insegnamento a proposito di un famoso rinoceronte che proseguiva diritto per la sua famosa strada. Nel caso di homosex c’è in più tutto il peso dei pregiudizi da portarsi addosso, quindi la questione è ben più delicata. Ma, in linea generale, mi sembra “italiano, troppo italiano” preoccuparsi di che cosa penserà il dirimpettaio.
D’accordo Marta. Però qui, a prescindere da una confessione piuttosto che un’altra, mi pare si denunci la solitudine, l’isolamento di chi si trova a percorrere la Via in un ambito laico, cioè nel tessuto sociale e produttivo usuale. Due mi paiono gli ostacoli: il conformismo religioso, che nulla ha a che fare col cammino (autenticamente) religioso, e lo scetticismo/nichilismo. Sono atteggiamenti trasversali, in qualche modo ideologici, ampiamente prevalenti nella società. Chi desidera percorrere un cammino spirituale si trova costretto a procedere in solitudine o, quando è fortunato, a frequentare ‘ a tempo’ una nicchia di persone, animate dallo stesso suo intento. Cosa che i buddisti chiamano shanga, i cattolici credo comunità ecc. A meno di essere un ‘eroe-rinoceronte’, peraltro simbolo Hinayana se non sbaglio, come suggerisce dr. Esserlo nell’India antica però, da dove ci arriva la similitudine: laddove la ricerca spirituale non era sintomo di qualche pericolosa malattia mentale, ma era piuttosto una scelta virtuosa da tutti riconosciuta.
Buongiorno a tutti. Forse, nel precedente intervento, mi sono spiegata male. Non era mia intenzione misconoscerre il peso dei condizionamenti nel contesto in cui siamo cresciuti e viviamo. Contesto religioso, ma non solo, perchè a volte è addirittura più difficile porsi a confronto con un “credo” non religioso, elevato a sistema, in cui la verità sembra più oggettiva e quindi, forse, meno soggetta a critiche sul “fondamento”. Si può arrivare a considerare quasi superfluo disquisire sul grado di autenticità delle “religioni tradizionali”, in quanto ci si sente in un “ambiente” che sembra avere eliminato la dimensione religiosa.
Ma (non voglio essere positiva ad ogni costo) non mi sembra che possiamo fare altrimenti che renderci comunque consapevoli della nostra inevitabile condizione di essere condizionati e condizionanti nella nostra piccola o grande “comunità” e da lì partire per…
In un’altra occasione, doc, ( vado a memoria sperando di non sbagliare ) mi avevi ricordato che ciò che costituisce il fondamento più importante non è, nè buddista, nè cristiano ( nè ha, aggiungerei, nessuna altra etichetta)ed è proprio a questo, forse, che dovremmo fare riferimento quando ci sembra di essere “oppressi” da realtà che, in qualche modo, ci rendono difficoltoso quella che pensiamo essere la nostra via.
Speriamo che lo spazio della nostra libertà sia sempre più ampio di quello che pensiamo talvolta….
Avvisato da un amico mi sono imbattuto in questo saccente scambio (un po’ stucchevole, invero) e ho alcune domande: hinayana è termine in disuso perché insultante e, per di più, perché non indica nulla: chi sono gli hinayana visto che nessuno mai si è riconosciuto né si riconosce nel veicolo inferiore? E poi: come si fa a distinguere con tanta sicurezza un testo hinayana da uno che non lo è? Kosho Uchiyama, abate negli anni settanta di un monastero Zen giapponese apprezzava il testo del rinoceronte, significa che era hinayana?
La cosa sta scivolando (o lo è già) verso una specie di pietismo.
Cosa si potrebbe dire? Beh, anche il Buddismo mahayana, oltre al rinoceronte theravada, mostra fulgidi esempi di forza. Uno per tutti: Bodhidharma.
Quando ti sembra che il mondo ti sovrasti, vuol dire che sei debole, con poca energia, rinchiuso nelle tue cose, introvertito.
Quando senti che “mangeresti il mondo”, sei forte, attivo, estroverso, positivo, solare.
Sulla base di questa semplice autodiagnosi, puoi costruire il cambiamento.
Potresti dover diventare più forte, e potresti dover calmarti. Come si fa? Beh, ci sono tante scuole…..
Ti ringrazio chop.
Le religioni “primitive”, come ad esempio l’animismo africano, ci mostrano quale era anticamente il ruolo della “religione” nella comunità.
In caso di problemi, lo stregone africano, dopo aver fatto dei riti, ti dà da mangiare un erba, ti dice cosa devi fare per un certo periodo di tempo, insomma ti dà anche dei consigli pratici. Questo nell’accezione moderna della religione, è dimenticato. Ma ogni religione, in realtà, ha delle pratiche volte a liberare il praticante dalle sue nubi: (i buddisti tibetani conservano un pò di questo stile) preghiera, digiuno, ecc. Ecco, il digiuno. Sembra una sciocchezza, ma il digiuno di solidi e liquidi è una pratica potentissima. Non è un caso che si parli del digiuno di 40 giorni di Gesù…..
Anticamente la religione era anche medicina, del corpo e (di conseguenza) dell’anima. Mi sembra quasi di dire delle ovvietà se noto l’assonanza di parole come Medicina e Meditazione. Ciao a tutti.
Beh, innanzitutto grazie davvero: per tutti gli interventi che aiutano a trovare una dimensione di linguaggio equilibrata. E’ ciò che stiamo cercando.
E poi complimenti! Fa piacere sentire voci così autocentrate ed autosufficienti nel Cammino. Sia detto senza polemica, persone così presumo vivano sulla cima del simbolico monte Sumeru: infatti non le incontro mai (mettiamoci un ‘quasi’, per prudenza) , in carne ed ossa. E quando le incontro, persone con così tanta certezza e nessun dubbio, diffido. O si sgonfiano da sè.
Ho usato il termine Hinayana appositamente, nell’accezione terminologica più comunemente diffusa: è Hinayana un processo di autosviluppo che ha come meta la liberazione personale. E’ Mahayana la rinuncia a questo obiettivo a favore della altrui liberazione. Così dicono per lo più i testi che ho studiato negli anni. Certo che è una divisione scolastica, forse in disuso; e molto si potrebbe dire al proposito, finanche ribaltarne i termini. Ma ‘parliamo’: e se parliamo di operare in ambito ‘laico’, direi che la prima ipotesi si autoesclude e quindi rimane la seconda. Se l’obiettivo è far mettere radici solide alla pianta del buddhismo (o se volete del cammino religioso autentico, senza etichette), i rinoceronti non bastano. Anzi, rischiano molte volte di strappar via i germogli.
Mi pare che il discorso sia insabbiato sul piano della mera ‘conoscenza’: ma superata la conoscenza, si apre la dimensione della sapienza. Ed oltre alla sapienza c’è la compassione. Poi, ognuno si ferma un pò dove gli pare. O questa mia è solo fuffa?!
Vero, le religioni di successo sono primitive. Quelle che invitano all’autogestione sono poco seguite. Più o meno inconsciamente nel prete si cerca il suo antenato sciamano, gli si portano i problemi affinché li risolva. Perciò poi il prete sciamano non vede di buon occhio la concorrenza, laica o religiosa che sia. Il business del potere sulle anime/animi non ha età né prezzo. Additare il diverso per radunarsi nel distinguersi è un giochetto antico che compatta. Interessante questa cosa med-icina med-itazione.
I rinoceronti ci sono indispensabili. Senza rinoceronti non si va da nessuna parte. E i rinoceronti sono il nostro stimolo per fare meglio, meglio di loro. Un vero rinoceronte desidera essere superato.
Non c’è separazione tra me e gli altri, quindi non si può dire “riuncio alla mia liberazione per quella degi altri”. Le due cose sono una.
Quello che cerchiamo non sono parole: compassione, sapienza, conoscenza. Cerchiamo l’intuito, che abbiamo già, ma abbiamo dimenticato a favore del mentale. Ma non cerchiamo il nostro individuale intuito. Cerchiamo l’intuito di tutti gli esseri senzienti, detto anche “istinto perfetto” o “forza cosmica” o “forza vitale” o “vitalità”. Insomma l’origine della vita, che ci permea sempre e comunque.
In questo senso è “vietato” lamentarsi. T’immagini una comunità di gente che si lamenta? Quanta strada può fare?
Caro Marcello, tu e chop avete vivacizzato la discussione. Bene. Ma dimmi: sai di cosa parli o ci meni in tondo solo con ‘parole’? quanto dici, mi sa un po’ di ‘scolastico’.
Come si può cercare con successo – cioè, secondo il mio lessico, ‘appropriarsi di’ – la ‘forza cosmica’? c’è un modo, senza abbandonare se stessi!? io sarei interessato… 🙂
Temo si rischi il delirio di onnipotenza.
E diversamente, come dimenticare se stessi senza abbandonarsi a ciò che è altro da noi? e cosa è ‘altro’ da noi? forse un triangolo luminoso, su una nuvola, con una lunga barba bianca; o una spirale multicolore di energia magnetica che ci penetra e ci trasforma in veri duri che non piangono mai, in superman?
Caro doc, io scrivo quello che mi rimbomba dentro, le letture, le esperienze…mica sono arrivato da nessuna parte…mi sono fermato a fare due chiacchiere. Mi ha colpito il tono del lamento di omosex e alcune frasi di marta…che dovrei dirgli? Suvvia, tiratevi un pò sù…l’ho detto in termini “spirituali”, ho detto che ci sono anche dele vie pratiche, che non è giusto crogiolarsi nelle proprie paturnie. “L’uomo nasce felice, se non è felice la colpa è sua” diceva Epitteto. A me questa frase piace molto, ma non è questione di essere superman o di raggiungere Dio. E’ proprio il minimo che ci viene richiesto dalla vita. “io sono responsabile”, “non incolpo gli altri delle mie menate”. Il minimo che dovrebbe esere riciesto a un rappresentante della razza umana. E ora vado a letto. Ciao!
Perdona quel pò di ironia che mi sono fatto scivolare dalla penna, Marcello. Un chiarimento sembrava necessario, e questa tua ultima nota mi pare un ottimo terreno sul quale, volendo, si potrà lavorare ancora. Le tue parole toccano temi di grande profondità e complessità. Buona notte: e grazie.
Buongiorno! Sì, stamattina ho letto il vostro vivace dialogo e devo riconoscere che al rischio del “pietismo” ( ci sarebbero tante cose su cui soffermarsi, ne prendo solo alcune, altre emergeranno sicuramente più avanti )si può aggiungere il rischio del “quietismo”( tanto per rimanere in tema di -ismo) se si procede e si rimane sulla scia della lamentazione. A volte però, io penso, è anche necessario un’analisi della realtà che ci circonda e che abbiamo dentro ( e se a volte non è positiva ma “depressiva” pazienza!si parte ognuno da punto diversi! Ma torniamo alla necessità di essere “vitali”, sono pienamente d’accordo sulla necessità di andare oltre all’espressioni verbali per recuperarle nella vita ( è una cosa alla quale tengo moltissimo!!) e a tal proposito le ultime poesie di SC mi avevano fatto sorgere proprio la riflessione di quanta parte di noi stessi( uomini della modernità) siamo capaci di investire nelle “emozioni” della vita! Quanto siamo portati a “vivere con superficialità” le “cose” che ci accadono per evitare l’ altra faccia della gioia di vivere, cioè quella della sofferenza che inevitabilmente arriva ( in forma di delusione, mancanza, distacco….)? ( e dagliela, dirà qualcuno a parlare di sofferenza!)Ma, non mi fermo qui. Credo che la “paura” del salto nel vuoto ( necessario a mio parere nella vita in svariate occasioni)esiste ma, mi sento concorde con il nostro poeta, e forse anche Marcello sarà d’accordo, nel dire che non c’è scampo se si vuole vivere veramente.
Un’ultima cosa sulla felicità: leggevo un giorno una cosa che mi è rimasta impressa e che mi torna alla mente spesso: c’era un “santo” che viveva eremita su una montagna e ogni giorno si prostrava a terra e “pregava” con queste parole ” Gli uomini non sanno essere felici”. Penso sia assolutamente vero, e forse è compito dell’ uomo del terzo millennio “recuperare” la possibilità di “essere” dal vuoto che ci ritroviamo sotto i piedi. Non è un’espressione zen ” far luce su quello che sta sotto i piedi? ”
Se sbaglio perdonatemi!
E come comunque, ci sarebbe da riflettere sul fatto “se ” il compito delle religioni è quello di costituire uno strumento utile per rendere più felice la vita degli uomini. ( direi- lo dico perchè condivido questa visione detta da altri ben più autorevoli di me- che anche se in passato è stato spesso così, non è necessario che così dovrebbe essere)
A questo punto dr potrebbe dire: ma non è proprio possibile essere più stringati? Ma cosa vuoi a volte è bello seguire anche i propri pensieri e condividerli.
Buona giornata a tutti!
E se dicessi che non so cosa significhi, la parola felicità?! Ciò verrebbe preso per un ulteriore piagnisteo? Con buona pace del sig Epitteto (scusate l’ignoranza, non ho avuto il piacere…), la felicità mi sembra una di quelle tante bubbole che si raccontano ai bambini: “…e vissero/ nacquero per sempre felici e contenti”.
Se un bambino nasce focomelico, o è mutilato da una bomba ad 1 anno di vita, è dunque colpa sua? Molto scolasticamente si potrebbe dire di sì, il Karma! E dunque, ben gli sta: ca…voli suoi. Ma altrettanto scolasticamente si può rispondere: no; sì; ni; non ni. Questa risposta, che azzera tutte le elucubrazioni, mi riporta alla concreta realtà ed al pragmatismo con cui affrontarla. I soldi, il successo con le donne, il SUV , la cocaina, gli addominali scolpiti. Oppure gli sciamani, gli analisti, l’alchimia, l’acquisizione dei dieci poteri sovrumani dei buddha.
Se penso che il sig Seneca mi disse un giorno:<Uomo, non puoi vivere del tutto senza pietà!..
Masochista!
E se dicessi, e con questo lascio (per il momento) il computer, che, noi uomini e donne normo- dotati e viventi nell’area del mondo che vive spesso solo i problemi degli altri, ci preoccupiamo di trovare i modi per essere “felici” o comunque di sentirci all’ altezza, perchè abbiamo perso il senso della “realtà”? Perchè non la sappiamo riconoscere o meglio vivere ( e magari ci riescono quelli che noi pensiamo emarginati), nella sua, posso dire, vera essenza? E non chiedetemi qual è : ci sono gli esperti per questo!
Elucubrazioni a parte, spero che l’ umanità non si risolva nel “voglio essere felice!” Arrivederci.
Good morning people! Sono commosso da questo spazio celebrativo della mia solitudine…Provo a riprendere il filo. Il fondamento della mia pietà è l’odio per gli esseri umani. Quella generalità dei consociati che sono costretto a incontrare in ossequio alla evangelica pratica religiosa.In questo senso il Vangelo è la massima accortezza politica.Che cos’è la compassione? Parlare agli uomini, parlare con gli uomini è ‘amarli’. Non so cosa sia la libertà. Solo chi non deve fare i conti con il problema di un’esistenza borghese può essere libero…di non essere. Di non essere soprattutto una persona morale, cioè di superare l’ipocrisia sulla morale.Non esiste nessuna morale ma solo un dibattito fra specialisti. Alla impotenza dell’azione, della morale, non restano che solo le parole…
La neikosofia (Neikos-Odio)risponde,invece,ad un’esigenza diversa. E’ una tensione negativa verso l’umanità, odiarla, e tuttavia non poterne fare a meno in virtù di suddetta tensione.Conseguentemente il neikosofo è atterrito dall’umanità e la odia per il sapere o per quel che il sapere gli fa sapere.Non è pessimismo…La neikosofia(l’odium dei, il taedium dei,etc.) sostiene: philosophus philosofo lupus. Senza l’odio per l’umanità di cui testimonio chi supererebbe le tre prove: il drago fiammeggiante, il gigante cattivo, il pettine avvelenato? E se non saranno superate, chi potrà mai amare il sapere, chi mai potrà parlare agli uomini?
Un pensiero che dichiara il mondo cattivo è per lo meno cattivo quanto il mondo.Questa è la mia generosa tesi(ma ho sempre in mente lo scopo).Ogni religione identifica la propria fede con la verità unica e assoluta. Questa identificazione è ovviamente impropria, perché la fede “crede” proprio perché non “sa”.Di questo pensiero irrazionale non vi è sistema ma solo narrazione. Io non credo che due più due faccia quattro perché lo so, mentre “credo” nell’immortalità dell’anima proprio perché non lo “so”. Identificare la “fede” con il “sapere”, fare questa confusione, come tutte le religioni fanno, è il primo atto che rende impossibile il dialogo. Come si fa infatti a dialogare con chi è pregiudizialmente convinto che la propria fede sia l’unica e assoluta verità?
Nel mondo senza regole e confini dove tutto è possibile, nel mondo della fantasia e della intuizione, in cui ci ritroviamo ogni volta che riflettiamo, la nostra lucidità ne guadagna e si estende. Ma l’abisso in cui ci mette ci costringe a tornare al grigiore abituale, almeno nelle cose della vita.E’ così che questa resta sempre indietro, e non segue l’intelligenza che vorrebbe trasportarla chissà dove. Ecco perché il primato della vita, occulto o manifesto, si afferma sempre.Per questo si pone il problema se le teologie non debbano essere sottratte alle chiese e restituite ai ‘brahamani’, agli ‘immoralisti’, ai ‘rinoceronti’ affinché si metta la parola fine alla pax religiosa e si combatta una guerra fatta di evidenze ed idee e non di armi. Le parole greche che incominciano con il prefisso “dia” segnalano infatti una massima opposizione, come la parola “dia-metro” che indica i punti massimamente distanti della circonferenza, o la parola “dia-volo” che nomina il massimamente distante, anzi l’avversario di Dio.Gli incontri concilianti non servono a niente e non mi fido delle religioni che non entrano in conflitto.La neikosofia si annida laddove l’individuo è compiuto e non può essere più oggetto di ‘fede’ ma di concetto. E se i concetti sono la mia anima e attraverso di essi filtro i miei umori gli individui altro non sono che concetti incarnati.Che mi importa delle religioni?L’immagine di un Dio di cui niente si può sapere se non incarnandosi (schema presente anche nel buddismo) mi sembra invecchiata e legata ad un’immagine diveniente dell’uomo. Nell’uomo compiuto non si ha divenire ma solo distruzione.Migliorare l’istinto è una patetica contraddizione ed esaurite le risorse dell’agire non rimangono che le virtù taumaturgiche della parola.
Buona settimana a tutti:e grazie.
“Gli incontri concilianti non servono a niente e non mi fido delle religioni che non entrano in conflitto”(n.20): ben detto, perbacco! Invece non mi quadra “Non esiste nessuna morale ma solo un dibattito fra specialisti”(n.18). Fatto salvo che nel 99,99% dei casi è così, quando la morale è funzione di un fine: esiste, relativamente (come ogni cosa nel mondo) ma esiste. “Tensione negativa verso l’umanità, odiarla, e tuttavia non poterne fare a meno”(n.18), qui il volo si fa teso, rischioso e interessante. Se tu non dessi l’impressione di passar la vita a “guardarti l’ombelico” ci divertiremmo un sacco.
Ho ricevuto molte emozioni dalle vostre mail lasciate che vi doni tutto quel che ho e non nasconda nessun recondito pensiero.Se devo parlare con il ‘cuore’ preferisco quello generoso di Re Lear, che lo portò alla rovina, a quello prudente e lungimirante di chi raddoppia i suoi beni, affinché mi ri-trovi solo nella landa in tempesta come quel vecchio pazzo.Lasciate dunque che io sbraiti e dica sciocchezze:forse vi si nasconde una perla.
Caro M. io ho ragioni da vendere per questo mi lamento.A dispetto di quanto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, art. 4, parte 2°, non mi interessa contribuire allo sviluppo materiale e spirituale di questa società. Il mio impegno civile si esaurisce nell’indifferenza e nell’apatia.Se il mondo è andato in malora io non ne ho nessuna colpa; di più è la mia irresponsabilità che mi rende beato e felice. E il karma? E’ causato dalle generazioni precedenti, che c’entro ‘io’? L’incoscienza promessa dal neikosofo può solo dirci di non abitare la verità, ma semplicemente una cultura con le sue limitate caratteristiche. E’ all’interno della conflittualità,invece, che va ricercata l’autenticità di una religione. E’ possibile dialogare e reperire un punto di convergenza solo se i dialoganti sono disposti ad ammettere che la posizione dell’altro disponga di un gradiente di verità almeno pari alla propria. Questa infatti è la vera essenza della “tolleranza”, che non significa tollerare la posizione dell’altro (questa se mai è solo buona educazione), ma ipotizzare, almeno in linea di principio, che le tesi dell’altro possano essere vere o addirittura più vere delle proprie. Sono disposte le religioni, quando si confrontano, a disporsi in questo atteggiamento mentale? La mia risposta è no, per la ragione che segue.Quando con la sua nascita, la filosofia volle emanciparsi dal mito, e in seguito da tutte le religioni, Platone prese a parlare di un “grande capovolgimento (meghíste matabolé)” dovuto al fatto che Dio abbandonò il timone del mondo e gli uomini, lasciati soli, non ebbero altra possibilità di governare se stessi se non inventando la politica, ossia la libera discussione tra loro che consentisse a maggioranza di prendere decisioni (Politico, 272 e – 273 b). Il dialogo, dunque, come oltrepassamento della religione, la libera discussione politica come oltrepassamento delle credenze fideistiche, le quali, radicandosi e definendo le basi antropologiche delle diverse culture, sono nell’impossibilità di dialogare tra loro e quindi di pervenire a una comune conciliazione. Se le religioni non sono in grado di aprire un dialogo fra loro, non resta che prender dimora in quella che Kant definiva “l’isola della ragione nell’oceano dell’irrazionale” che, pur con tutti i suoi limiti, trova la sua applicazione pratica in quella che Platone ha chiamato “politica”. Il mio sogno ridicolo è creare una neikosofia ‘giusta’, che non millanti credito, con uno scopo sopra gli altri:l’allargamento della coscienza già raggiunto privatamente, fino ad una illuminazione collettiva che portasse luce su tutto, e quindi fino all’acquietamento della conoscenza. Inventare un mondo, cioè, dove il saputo metterebbe alla gogna il sapere.Non a torto, le filosofie ‘serie’ si affrettano a deridere la mia Utopia bollandola come una nuova neverland o un empio sangh
Una nuova neverland non mi dispiacerebbe. Le “religioni” non esistono, ci sono gli autonominati rappresentanti professionisti del classico chiacchiere e distintivo. Suppongo che, se interpellati, i rappresentati per lo più si dissocerebbero. Ma, mi sovvien, perché poi le religioni dovrebbero dialogare? Sì è vero: le guerre ecc. ecc. A ben guardare benché si parli di crociati o mezzelune dietro c’è il petrolio, i diamanti, le colonie… Che sia la politica che ha fatto, e fa, i più danni? Dogen, san Francesco non mi pare.
Più che lamentarmi, bestemmio molto…Mi ripeto:può l’idea di Dio essere a me ipso facta?Può essere inventata un’idea semplice?Forse Dio si dà tutto in esteriorità e non ha ‘interno’. Ciò che si prende per tale è la proiezione dell’esteriorità in esso e il fatto che la rifletta.E’ l’esteriorità ad un altro livello…
Dai cheppalle, anche tu con ‘sto “dio”, neanche fosse tuo cugino. Comodo averci quella paroletta a cui appiccicare qualsiasi cosa senza mai assumersi responsabilità. Proposta: invece di usare il nome del Trino, uscir di metafora, parlar chiaro. Oppure, necessitando: in questo commento col termine “dio” intendesi: e via elencando. Altrimenti fai la parte del prete, che tanto lui lo sa e tu no.
Sono appena rientrato da una passeggiata.:)Nel momento in cui trovo che l’idea di Dio non si può inventare l’apprentissage è compiuto.Anche oggi ho adempiuto al mio proposito:togliere qualche attributo divino a Dio.Ci sono riuscito?Mah?!Ho preferito valorizzare il quotidiano e la sua banalità, ho fatto della banalità la mia grandezza.”Essere un ‘uomo’ in mezzo agli uomini.Affrontare la vita quotidiana e le sua banalità:ecco la nostra vera grandeur”(Descartes).Ho approfittato della vita così com’è;e certi giorni così com’è non significa nulla.E’ vero, non si può vivere filosoficamente, ma ben si può pensare filosoficamente, o ce lo vieteranno?
Adieu mon auditerues.
P.S. Con riserva di dedurre e articolare ulteriormente(magari in un’altra occasione,non ho tempo per i dizionari…Pazienza!).
Insomma si pensi a me non come ad un dotto dottore di teologia, o ad un prete travestito ma piuttosto come ad un disadattato.Che so io, ci si immagini un tipo alla woody allen che invece di avere la ventura di nascere a NY sia nato nel sud italia.Porco dinci.
In alternativa, la puntata n. 9 della rubrica “Intruso”, dedicata a Morticia Addams, sarebbe stata la seguente. SPEZZONE da una puntata della classica serie tv “La famiglia Addams”: Morticia decapita accuratamente un mazzo di rose, poi butta i fiori e mette in vaso le spine. — > Compitino per gli smanettoni di YouTube
bellissimo. potremo anche fare che ogni mese mando in anticipo a Jiso l’inglese e lui lo traduce. una lavoro a quattro mani (senza pretendere di essere scimmie). facciamoci un pensierino e… non scordiamolo. ciao! grazie.
Quando Luciano, una decina di giorni or sono, mi inviò quella lettera gli scrissi: “Mi è piaciuta la tua lettera a proposito di guardare alla vita ed alla morte con medesima dignità, vi è un ché di blasfemo in tutto questo rifiuto della morte”.
Qualcuno ha detto, riferendosi a questa dolorosa vicenda, “invidio chi ha certezze”. Personalmente ho il dubbio che quella di Eluana sia vita ma penso che tutti, anche chi non ha alcun dubbio, dovremmo osservare, di fronte alla scelta sofferta di un padre, un rispettoso e dignitoso silenzio.
Sì, il silenzio “era”, anche secondo me, la risposta più partecipe sino a un paio di giorni or sono. Mi ha scandalizzato non l’assenza di senso etico del Presidente del Consiglio (non è una novità) ma l’appunto fatto a Napolitano, da parte della Chiesa, per aver fatto il suo dovere. Per la velocità con cui è stato compiuto un simile passo è difficile non vedere una saldatura tra gli interessi più bassi di chi intende le Istituzioni come il proprio strapuntino e la Chiesa cattolica. Mi ha ricordato il rapporto tra il franchismo ed i vescovi spagnoli.
L’intervento di p. Luciano è quanto di meglio si sia sentito su questo delicato (e italiotamente sbraitato) argomento. Da parte mia, riporto l’opinione di un cattolicissimo biologo, docente all’università, che su questi temi ripete sempre “Non vorrei essere io a dover decidere” proprio perché di scontato e di divisibile con l’accetta non c’è niente. Sul caso Eluana in particolare, aveva lui stesso delle perplessità a ritenerla “viva”. Ma anche nell’ipotesi sia giusto salvare Eluana, aggiungo: si era fatto un roboare infinito sul caso Welby, il presidente Napolitano e tutti gli altri che esortavano: “Ora occorre una legge”… e dov’è?
Nel “dovremmo” includevo anche gli “sciacalli” delle varie istituzioni. Ma visto che essi non hanno avuto quel sano pudore di tacere, sono d’accordo con mym a sottolinearne lo strumentale operato.
P.S. Persino il vecchio Andreotti (cattolico) si è dissociato…
Di Eluana in questi ultimi giorni ne ho parlato in casa con le mie figlie, fuori con gli amici ed i colleghi di lavoro, così sarà stato per molti di noi. Ogni volta ho percepito la limitatezza delle mie parole e tutta la loro inadeguatezza, per questo motivo esse finivano ogni volta per ricondurmi ad una necessità di silenzio. Troppe facile e babbeo parlarne senza quelle conoscenze tecniche che credo necessarie per non scadere in discorsi da bar e più ancora, senza essere psicologicamente ed affettivamente toccati dalla tragicità di una situazione simile. Allora solo una considerazione si faceva largo in me: la vita e la morte sono strettamente connesse tra di loro e senza l’una non esiste neppure l’altra. E soprattuto che di essa ne abbiamo una terribile ed angosciante paura! Per questo tutto il pensare su Eluana si è fatto ideologico, per ambedue gli schieramenti formatisi. Sono decisamente mancati in tutta questa vicenda delicatezza e rispetto, in questa società che ormai tutto trasforma in spettacolo, inclusi i momenti più delicati della nostra vicenda umana.
Poi ho provato sdegno e forte preoccupazione per l’atteggiamento del presidente del Consiglio, per il suo attacco alla Costituzione ed alla Democrazia nel nostro Paese. Lo sappiamo bene, troppi politici italiani sono soltanto a caccia di voti e consensi per rafforzare il loro potere, altro non gli interessa. Ma anche disgusto nei confronti della gerarchia della chiesa Cattolica e le sue continue e pressanti ingerenze nella vita dello Stato. Ma in tutto questo Eluana e Beppino Englaro non c’entrano un bel niente.
“E’ proprio dell’anima il logos che accresce se stesso”. Lo si potrebbe interpretare così: l’uomo ha un’anima nella misura in cui il suo logos si sviluppa? Ossia, anima non come punto di partenza ma di arrivo? estendendosi fino al Logos universale “cibernetico” teorizzato da Spinoza (ma anche da Dante: le anime del Paradiso non attingono più dal proprio bagaglio di memoria, bensì da quello globale condiviso, alias Dio. Per questo i beati danteschi non hanno “personalità” come i dannati dell’Inferno)
Il logos è uno e comune, scrive Eraclito. C’è di sicuro la percezione di qualcosa di universale, però è difficile poter precisare di che cosa intenda parlare il filosofo data la frammentarietà del suo testo. Certamente non era interessato, né poteva esserlo nel momento storico in cui viveva, alla personalità individuale: piuttosto il problema è quello della conoscenza.
Cara Cristina, la mia impressione era che al Caffè in questione, più che filosofia, si facesse “cazzeggio”… e non credo che sarebbe una legittima traduzione di “logos” 🙂 Vero è che esisteva il termine equivalente “spermòlogos”, che non è una roba erotica come penserà il lettore non grecista.
Ei ei ei! Niente turpiloquio bel quì. Pazienza cazzeggio che oramai anche all’asilo, ma quell’altra no. Che poi zio ratzi ci fa tottò!
Comunque, già leggendo il Grande Semerano, che accostava la Sfera de L’Essere-tutto-pensante di Parmenide al logos di Eraclito, mi era balenato. Ora mi sembra più evidente: se è uno e comune, addirittura universale, alligna nell’anima ma non è l’anima, anzi le anime non attingono più dal proprio bagaglio di memoria, bensì da quello globale condiviso… non c’è dubbio: l’è lu, è il berlusca!
Eraclito mi ha comunicato attraverso il logos universale cui mi pregio di attingere: Finalmente uno ha capito! Bravo!
Ma questo cazzeggio è adatto a queste pagine?
Accipicchia. Ho toccato i fili dell’alta tensione. Almeno così sembra dalle mail che continuo a ricevere (otto ad oggi) in cui mi si accusa di: A) trattare con leggerezza e superficialità temi seri e pregnanti. B) Mancanza di correttezza (sic) e sensibilità per chi redige certi articoli che implicano anche un coinvolgimento personale. Mi scuso. Volevo “solo” scherzare sull’argomento “Dio”. Scherza coi fanti…
p.s. se io, Dio, sono la memoria universale, sono ANCHE dentro di te. Tratta bene il tuo corpo, come dicono le pubblicità dei centri fitness. Does it fit?
Caro mym, secondo me Dio ti ha perdonato: sei andato dietro la lavagna, hai abbassato gli angoli della bocca… Quali segni di pentimento possono essere più convincenti?Sempre secondo me, per questa volta hai evitato il rogo… anche se il perdono degli uomini è più lento.
Per questa volta? Bene. Siccome è sempre questa volta … Però, così, tanto per dire, com’è che tanta gente prende le difese o interpreta il pensiero di dio? Non è per dire: se si tratta di atei vuol dire che smargiffano. Se si tratta di credenti: al rogo al rogo!
Elamadò…. Se esiste tutto ciò che non si può impedire come mai non ti si gonfia il naso per il pugno che non puoi impedire che esista? Eppoi, ammesso e non concesso che parli, ma proprio con me se la doveva prendere?
infatti, se mi arrivasse “effettivamente” un pugno, il naso subirebbe quel genere di processo somatico. in questo momento però lo IMPEDISCE la distanza (thank God for creating distance).
Poi, mica ce l’ha con te: se è il Logos universale, ha preso in giro Se stesso per bocca di una parte di Se stesso chiamata mym.
Di qualcosa sono sicuramente colpevole, ma non di aver stabilito che logos=dio… Anche se devo ammettere che, ammesso che egli ci sia, non poteva scegliere voce migliore della mia per esprimersi alla comprensione dei vostri nasi!
Per sostenere quella affermazione bisogna partire dal presupposto che l’olfatto è considerato normalmente il più ‘antico’ dei sensi, sennò non è che stia tanto in piedi. Quindi Nietzche aveva memoria lunga e fa risalire i primi mattoni del pensiero alla sensazione olfattiva, direi. Ma mi vien da pensare che il tatto dovrebbe essere, a rigor di logica, più antico dell’olfatto; quantomeno nell’aspetto di sensazione propriocettiva, in quanto non presuppone neppure un’esterno. Vista così, è l’essere-ciò-che-siamo – cioè la sensazione propriocettiva ‘base’ – che ci fa pensare prima, e quindi più, del naso o del cervello.
Scusate il cambio di prospettiva.
Bravo doc! Così, cantagliele chiare a quel todèsch, che poi anche Canetti diceva che il tatto. E Canetti è Canetti, eh!
PS: me la posso prendere con le puzze di Nietzsche o succede un patatrac come quando me la son “presa” con Lui…?
Be’, già questa non è male… 🙂
All’epoca che fu si diceva di non fidarsi di nessuno che avesse più di trent’anni. E dico poco se dico poco. Comunque poi non accusate me di eccesso di cazzeggio
Chissà perchè la vocazione segue tutto questo iter lungo, formativo e complesso quando si tratta del genere maschile. Le vocazioni femminili sono ancora nell’ombra: siamo inadeguate noi all’ Istituzioni o sono loro che sono inadeguate a noi?
Devo dire che almeno nel campo della mistica cristina possiamo trovare qualche “importante” figura femminile .. ma per quanto mi sforzi, non riesco a trovarne nè nel buddismo, nè nell’ ebraismo ecc. Ciò mi fa sorgere un “serio” dubbio: non è che la religione sia ancora “un affare” da maschi? E, di conseguenza, la femminilità, dal punto di vista religioso, è un’utopia verso cui tendere o …qualcosa da evitare?
Ciao a tutti
Tra i sutta del Tipitaka (e sono migliaia) ve n’è solo uno la cui redazione è attribuita ad una donna, l’Itivuttaka. Tra i sutra mahayana neppure uno. L’unica analisi fatta veramente bene da me trovata sino ad ora sull’argomento “la religione è una “cosa” da maschi?” l’ho ascoltata (per bocca di una donna) nella scena finale de Samsara, quello che a mio vedere è il miglior film buddista prodotto ad oggi. Forse è possibile meno perigliosamente rispondere al quesito finale, ovvero se “la femminilità, dal punto di vista religioso, è un’utopia verso cui tendere o …qualcosa da evitare”. Io direi da evitare, come ogni genere, maschile, bi, tri ecc. Quel poco che ho capito di religione mi porta a dire che è uno dei pochi luoghi sufficientemente profondi da potersi dire androgini o asessuati o dove non ci sono (più) differenze neppure di genere. Interessante, comunque, che sia una donna a scrivere sul “mestiere di prete” e ancora una donna ad aver scritto un commento a questo post
Ciò che io sono e posso non è affatto determinato dalla mia individualità.Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne.E quindi io non sono brutto,perchè l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva è annullata dal denaro.Io sono un uomo malvagio,disonesto,senza scrupoli,stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo
possessore.Il denaro è il benbe supremo, e quindi il suo possessore è buono.Io sono uno
stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le coe, e allora come potrebbe essere
stupido chi lo possiede?Inoltre costui potrà sempre comprearsi le persone intelligenti, e
chi ha potere sulle persone intelligenti non è più intelligente delle persone intelligenti?Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui aspira il cuore umano non possiedo forse tutte le facoltà umane?E se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che unisce a me la società, che mi collega con la natura e gli uomini, non è il denaro forse il vincolo di tutti i vincoli? Non può esso sciogliere e stringere ogni vincolo?E quindi non è forse anche il dissolvitore universale?Esso è tanto la vera moneta spicciola quanto il vero cemento, la forza galvano-chimica della società. In quanto moneta corrente il denaro è ricchezza.In quanto gforza galvano-chimica che struttura tutte le relazioni sociali il denaro è sistema. Che me ne faccio dell’illuminazione se non ho denaro?Per questo la nolontà o l’etica della rinuncia non è più percorribile.E sul cristianesimo che dire?Il suo colpo di genio fu la carica di ottimismo impresso all’occidente grazie alla vittoria sulla morte con la promessa di una vita ultraterrena.Ma io non sono cristiano, o per intenderci sono pessimista e il pessimismo lo apprendo da mestesso, non me lo insegna nessuno.Jai guru deva (om).
Jai guru deva om. Mi riporta ai Beatles, tanto tempo fa. Invece la galvano-chimica ai “Gatti di Vico Miracoli”: Travaiava alla foto galvanica, el crediva n’tel bum economico, el disian ch’era filobolscevico, perché andava a dormire alle tre…
Uno dei meriti del pezzo di Uchiyama presentato nel post è il tentativo (alchemico? Galvanico?) contrario alla norma comune: trasformare il denaro-potere in mezzo di sussistenza mondato, puro. Per fare ciò, propone l’atteggiamento della questua: basare (anche) la sopravvivenza economica, materiale, su un atteggiamento privo della coltivazione del desiderio, indirizzato alla gratuità. Secondo il principio del Vinaya: non impossessatevi di ciò che non vi è stato liberamente e consapevolmente dato. Non cercate di ottenere null’altro che il necessario ad una vita volta alla pratica religiosa.
Se ho ben inteso, concordo.
Ne consegue che: A) la questua come mezzo per la sussistenza, è una attività economica come qualunque altra (per evitare equivoci verbali consideriamo solo quelle che i testi legittimano a cortollario del ‘retto sostentamento’). B) che quello che fa la differenza nelle attività ‘economiche’, cioè finalizzate alla sussistenza, non è il ‘cosa’ ma il ‘come’, cioè l’atteggiamento indirizzato alla gratuità o al non-tornaconto personale. C) che la questua è una ‘pratica’, un esercizio suggerito per comprendere ed imparare a praticare quell’atteggiamento. D) che, dato C, considerare la questua ‘il’ modo per sbarcare il lunario presuppone la scelta di non entrare a far parte attiva della società comune, con forte sospetto di ‘spocchiosità religiosa’.
Un aspetto che mi ha colpito maggiormente della questione denaro nel racconto di Uchiyama è la dimensione del tempo: tutti quegli anni vissuto e sofferti senza in realtà vedere ( neanche pensare )ad una fine nè a breve nè a lungo termine…. è tanto lontano da noi ( soprattutto occidentali )come attteggiamento, quanto l’uso del denaro…
E poi un cambiamento della sua “tecnica di questua” da chi è stato provocato? Non dalla pratica di zazen, non dallo studio.. ma da un colombo! Incredbibile!
A proposito, non mi ero accorta della possibilità dei libroline, è un bel servizio, grazie.
Ehilà, ciao doc. Dato che quando ho scritto il mio intervento non c’eri, ti rispondo …
Io personalmente sottolinerei la B), soprattutto considerando le necessità di allargare la “base” di coloro che intendono seguire le via. La “questua” come esercizio religioso lo vedo collocato in un determinato tempo e spazio in cui farlo era quasi una cosa consueta ( mi vengono in mente tutta la serie di questuanti di cui parlava ) forse adesso, in questo tempo e spazio, altri modi possono essere trovati per rispettare il principio di Vinaya.
Forse meno appariscenti ma ugualmente validi….forse..
Ciao Marta,
è vero che lo spazio-tempo cambia molte cose. Non a caso ci fu la svolta di quel patriarca cinese (il 7°,l’8°?…)che stravolse l’ormai anacronistico (ab)uso della questua coniando il motto: ‘un giorno senza lavoro, un giorno senza cibo’. Questa opzione, se la memoria non mi tradisce , salvò il buddhismo da una deriva gravissima e addirittura forse dal rischio estinzione in quelle lande. (Mym, fresco di ripassi, mi cazzierà e avrà la compiacenza di correggermi se i miei ricordi sono troppo appannati e distorcono la verità storica). Aggiungerei, a titolo personale, che paesi a regime tuttora ierocratico farebbero bene a riconsiderare certi eventi storici.
Spezzo il mio intervento in due parti per comodità di lettura.Non ti si può nascondere nulla caro mym,eh?L’attualità del marxismo è impressionante tuttavia dopo una giornata spesa a guadagnarsi il pane chi ha tempo e pazienza di studiare(e capire) le 1529 p. de Il Capitale?Meglio stordirsi con le boiate del GF9 e i proclami alla nazione del nostro ‘intelligente’ premier…Tuttavia l’ordinamento capitalistico è un’enorme cosmo, in cui il singolo viene immerso nascendo, e che gli è dato, per lo meno in quanto singolo, come ambiente praticamente immutabile in cui è costretto a vivere.Allora, per me, comunismo è il legame solidissimo che si crea in occasioni di catastrofi quando gli uomini si tengono stretti sull’orlo dell’abisso per affrontare il pericolo di essere. E qui si pone il problema del desiderio.Io desidero essere me stesso, voglio cioè unire carne e idee in quanto il problema dell’incarnazione mi ricorda come ciò che si fece carne fu Logos. E allora se la giustizia è l’effetto del compimento della vocazione naturale di ognuno, cioè la misura di sé(Platone, Repubblica,cap.I), non desiderare di essere se stessi significa rinunciare ad essere un filosofo in senso ontologico per fingere di essere quello che non si è: un ens immaginarium.A me scorrono le lacrime dagli occhi (come Amleto) e domando: cosa fare se lavorando rinuncio al mio talento?(Oppure, cosa ho da guadagnare se conquisto il mondo e perdo me stesso?).
Across the universe…Se la cifra di questo secolo è la brevità solo la canzone riesce a inseguirla e a raggiungerla, essa di brevità se ne intende.La canzone è un occhio puntato contro questo tempo: come uno gnostico il batterista punta l’arma e spara direttamente contro il cielo…Dio mi pesta a dovere e io gli canto in faccia.La musica, quell’occulto esercizio matematico dell’anima che non sa numerarsi, ha lo scopo di divertire.Nell’età del pessimismo, cioè la nostra, il divertimento è la risposta di chi sa.In questo stupido mondo ridere e divertirsi è la massima che dovrebbe figurare sul frontespizio di un’etica buontempona.Una buona etica (magari un’etica alla buona) si riconosce dal riso che concede.La musica è la risposta della nostra epoca al pessimismo più cupo.L’addio al mondo sarà cantato:”This is the end,beautiful friend..”. L’inno alla musica è un ringraziamento reso al godimento che essa genererebbe.Il suono ci lega alla vita.L’animo riluttante che vuole sfuggire ogni legame si sente catturato e in trappola.”Un’altra catena mi è stata legata,un altro chiodo mi è stato ribadito”lamenta il Buddha.Tuttavia una conoscenza approfondita del mondo può portare contemporaneamente al pessimismo e all’ottimismo(come comunemente si chiamano), al dolore universale e alla placida serenità.
Il lavoro è fatica e messa alla prova dei propri “talenti” (a parte quel minimo 99% dei casi in Italia in cui è semplice parassitismo).
Ora, sul secondo aspetto (la realizzazione di sé ecc.), per quanto suoni accattivante a noi padani, è tuttavia lecito sollevare qualche dubbio, perché può essere tutta un’auto-illusione.
Però quanto alla fatica, è lì che ci si deve confrontare con il samsara. E senza samsara, ciao ciao nirvana.
Direi che doc mette più di un dito nella piaga. Il fatto è che l’unico modo che il Buddha mostra per procurarsi da vivere è la questua. Il corollario è che allora l’unico modo per percorrere la via era quello monacale (in comunità o da eremita). Per di più la storia del patriarca cinese che disse “ogni giorno ecc.” è una doppia bufala: l’episodio è stato costruito (per motivi di necessità di copione) trecento anni dopo che Dai Daoxin (così si chiamava) era morto (probabilmente mai sognandosi di riformare la questua) e, clamoroso, in nessun monastero chan o zen (a parte Antaiji) nessuno ha mai lavorato se non in termini simbolici, rituali. Interessante (ciao dr) questa cosa di confrontarsi col samsara per “salvare” il nirvana.
Bè, homosex, meno male che alla fine la conoscenza può portare contemporaneamente sia il dolore che la placida serenità. Trovo sinceramente che fra il Capitale di Marx e i proclami del nostro premier ci sia spazio per qualcos’ altro ( almeno lo spero ). Tu per primo ci hai messo Platone, Amleto, la musica e pure il Logos… Scherzi a parte,credo che ognuno si sia trovato almeno qualche volta, a volte molto spesso, in un posto che non riconosce come suo e pertanto si sente “fuori” da se stesso ( neanche Uchiyama si sentiva tanto al suo posto ad essere un questuante, per un certo tempo almeno…)ma questo non ritengo voglia dire non poter avvicinarsi al proprio sè…
Sarei d’accordo con te sull’ importanza della musica, ma più che come risposta al pessimismo come segnale di continua speranza. Cosa vuoi sono un’inguaribile ottimista.
Perdonate la lunga assenza ma quando il capo chiama…e poi tornato dal lavoro ho avuto problemi di connessione (solo per questo sito,mah!).Non è la fatica che mi spaventa quanto appunto il talento, la vocazione, il demone (daimon) da cui sono posseduto e che non può esprimersi.Detta meglio: sono un pessimo avvocato ma (potenzialmente) un pensatore capace di usare la filosofia in modo geniale.Rivendico il diritto al lavoro, ma ad un lavoro che non sia parassitario(per fare l’avvocato la competenza giuridica è irrilevante,basta sapersi vendere, una bella cravatta,un abito di buona fattura e una dialettica mendace sono più che sufficienti e di simili avvocati i tribunali ne sono pieni!). Allora amici tutto ciò che posso concedermi è stare insieme e filosofare insieme per un breve momento!Oltre non credo possano andare le ambizioni di un fugace ragionamento.Sempre più gli effetti del filosofare si vanificano e ogni dialogo è un dialogo infelice.Tuttavia parliamo?Allora scrivo di filosofia, perdonatemelo,è un lusso che con il lavoro che svolgo non mi concedo (quasi) mai.Sulla questua credo che si addica ad asceti che mortificano carne e spirito, mentre io,che non voglio mica farmi il suv, desidero vivere, ebbene?Nei prossimi brevi interventi spero di spiegarmi meglio.
Apprendo dai Lineamenti di filosofia del diritto (Hegel):il meglio non è altro che la realtà così com’è.Ciò che mi meraviglia è l’impossibilità di sottrarmi alla costrizione logica.I fatti logici sono fatti bruti e nulla c’è di vitale in una logica che costringe.Al mio sguardo ogni relazione causale è data come un nesso tra incubi.Se la ragione non è che un sistema nervoso, le sue Idee sono solo ambivalenti barriere che con la loro efficiente pazzia difendono l’individuo da qualcosa di peggiore e l’idea di Mondo è l’idea di qualcosa che ha vinto e che, per conservarsi, deve continuare a vincere.(L’idea di qualcosa che fa continuamente vittime).Ora, il dolore non deve mai presentarsi da solo se non vuole restare inefficace, ma deve armarsi di tutte quelle regole della retorica che non lasciano la sofferenza trascinarsi come un miserabile patire, ma la ingabbiano in un sistema di nessi non meno rigoroso di quello formato dai concetti di una scienza logica.La vulgata pessimista(che include Schopenhauer,il Buddha d’Occidente) non rende onore al PESSIMISMO perché indulge ai lamenti del soggetto sofferente e tosto seguono pianti e lamenti e un dolore da gabinetto dentistico.(Tuttavia è vero, autentico soggetto chi soffre.Oppure sofferenza e lotta:pessimismo greco, corpi atletici e mano alle spade…pessimismo del futuro).
Il pessimismo, o meglio, il Peggio, appartiene all’immaginazione filosofica.Nessun ente corrisponde a questa parola.Ma il Peggio accade.Una volta accaduto, accade ciò che dice.Qualunque che sia il suo statuto ontologico, è quando lo si pronuncia che prende esistenza, come se la aspettasse da millenni.Le parole del genio della lampada gli si addicono: ho aspettato migliaia di anni etc.etc.Esso entra nel pensiero e il pensiero diviene fido depositario.La vita meschina dei più o il dolore di una decina di Werther non sono ancora pessimismo, così come la felicità di chi ‘sta meglio’ o quella degli stupidi non sono ottimismo. Allora come può esserci un pessimismo felice?
In quegli atteggiamenti che comunemente si chiamano pessimismo e ottimismo il dolore è necessario e insufficiente insieme.La fessura del dolore tuttavia sembra faccia entrare l’uno e l’altro.Permane l’avvertimento di Platone:”…all’uomo non conviene considerare, riguardo a se stesso e riguardo alle altre cose, se non ciò che è l’ottimo e l’eccellente, e inevitabilmente dovrebbe conoscere anche il peggio, giacchè la conoscenza del meglio e del peggio è la medesima”(Fedone,97 d).Allora il filosofo pessimista vulgaris è semplicemente un illuminista fallito, o uno che, pur avendo lo sguardo al pessimum, cammina tuttavia di buon umore recando doni e promesse, fossero pure il ‘nulla’.Il pessimismo invece lotta per il suo futuro.Nel Fedone Platone induce a pensare che il meglio e il peggio in qualche modo si appartengano. Come se avesse voluto dire che il meglio che può toccare al mondo è il peggio per cui esso è.O più sommessamente:il pessimismo è la ‘migliore’ filosofia per coloro che abitano il ‘peggiore’ dei mondi.(Del resto che non ci sia niente di peggio del mondo non si deve dimostrare).
Una nota pseudobuddista.(Oppure sul ‘buddismo del futuro’ o che so io….).La tecnica mi sembra una specie di rinuncia, una specie di nirvana di tipo occidentale.L’uomo inventa la macchina per sfuggire alla vita. La pace della ‘macchina’, la pax tecnica, è questa immensa quiete davanti allo schermo.L’era della vita, che si pensò interminabile, e su cui vivono tuttora strani pregiudizi, finisce.La tecnica è la rinuncia dell’uomo maturo alla vita selvaggia per farsi impassibile macchina.La tecnica è la via occidentale del nirvana.Lo spirito della tecnica non è lo spirito diabolico né la cieca fede attivistica.L’uomo-cosa è esaltante come il vuoto mistico, e il suo sangue è freddo come sangue di serpente.Ci laveremo con esso e ne avremo refrigerio.Ecco il nuovo modo di essere e di avere a che fare con se stessi.Il processo di ‘macchinizzazione’ del sociale è impegnato a far sparire il vitale.Il collegamento della tecnica col pessimismo mondiale non viene individuato.Questo pessimismo non frigna.Ha altro da fare.Non mira all’annullamento come soluzione individuale, come autorinnegamento della volontà, tipico della fase neobuddhista.Questo pessimismo è trapassato nella realtà, si è oggettivato.Il pessimismo decifrato deve decifrare i suoi duri passaggi, non la rassegnazione dell’uomo desolato.Esso ormai rifugge dalla volontà, che ha fallito la propria negazione.Ma spia l’annullamento realizzarsi nelle cose.La tecnica mi appare come il compiuto processo dell’annullamento della volontà sfuggito alla volontà individuale.L’assimilarsi alle cose realizza la nolontà, fallita sul piano individuale.Le cose sono nolontà coagulata.Il vecchio racconto di Schelling – “…nelle cose dorme uno spirito gigante…”- esalta il momento in cui lo spirito si sveglia e riconosce nelle cose se stesso.Ma è tempo, pare, che lo spirito torni ad addormentarsi in esse, e s’acquieti in un sonno senza sogni.Appena scosso da impercettibili movimenti che indicano il palpitare tranquillo del suo cuore.Un caro saluto a tutti.
Per questa volta è andata. Ero pure assente… Dalla prossima ti censuro. Non per quello che scrivi -a parte le bizzarrie erpetologiche- ma perché 1) vai costantemente e consapevolmente fuori tema, 2) occupi tutto lo spazio. Se ti accontenti di essere fuori tema ma lasci che altri si esprimano prima di continuare ben, altrimenti: taglio. E se altri non si esprimono? Allora vorrà dire che la “discussione”, per quella volta, è finita.
Prendo atto di questo irrigidimento e me ne dispiaccio.A mia discolpa preciso che il mio era un tentativo, assolutamente ingenuo, di ravvivare un post interessante(per me) ma che non decollava.Ho cercato di seguire un filo logico economia-guadagno,politica-religioni non pensando che eventuali uscite dal tema potessero scatenare addirittura la censura.Rilevo,senza voler polemizzare e proprio perchè nella vita assomiglio molto più a un Candido che a un Faust,che nel post su Eraclito si passa disinvoltamente dal logos alle puzze di Nietzsche…Dunque anch’io finisco dietro la lavagna sperando nel perdono e magari, col tempo, di imparare un pò di etichetta ‘cibernetica’.
Ciao
Sì, in effetti questo è il “lato laico” della cosa, o il suo uso politico. È anche vero che la notizia di una cosa è, in qualche misura sempre una finzione: o distorce o comunque non esaurisce la cosa. Ma quando ciò che deve essere rappresentato, per esempio il potere politico ed economico, e il mezzo di rappresentazione -per esempio Mediaset e parte della Rai- sono praticamente la stessa cosa, ecco realizzato, al rovescio, uno degli slogan del ’68: “La fantasia al potere!”, ossia: la finzione è al potere.
Sì, però ciò che non è “strutturato da noi” manco è percepito. O mica esisterà una “realtà vera” da scoprire “dietro” le nostre percezioni? Il teista dirà: “certo, la realtà come la percepisce Dio!”. Ennò, cocco, senti cosa risponde Leibniz: Dio non ha il “vero” punto di vista, ma “tiene presenti simultaneamente infiniti punti di vista”. tutti validi.
Mmmm. Il “non ricoprire” (che cosa? Ogni cosa ricopribile) con le nostre fabbricazioni ha due campi di fruizione: quello relativo e quello non relativo. Nel primo si tratta semplicemente di non depistar(ci) dalla perfetta ignoranza: non so che cos’è, in realtà, né questa cosaqqua su cui batto cosìcché sul video appaiano queste parole, né che cos’è (chi è?) che sta battendo… Men che meno so come fa questo qui, detto me, a battere sui tasti. L’aspetto non relativo è che il perdere (o non aggiungere) è per non ritrovare.
Hmmmmm, convince e non convince. “Non so cos’è questa roba qui” però a pranzo ho usato la forchetta per prendere i fusilli, e non viceversa. Idem mia moglie. La “distinzione cosale” ha funzionato ben due volte, anzi (ovviamente) milioni di volte.
Ma certo che la femminilità è un qualcosa da evitare!! Quantomeno da un’ottica maschilista… Si può affermare anche l’esatto contrario, se come punto di osservazione e valutazione scegliamo invece quello femminista. Ma entrambi non sono altro che i due “inutili” opposti! Sottoscrivo quanto affermato da mym, ossia che la religione sia un ambito sufficientemente profondo da poter dire che non vi siano più differenze neppure di genere. Affermazione interessante…
Né aperto né chiuso, direi, in assenza di caso. Torniamo all’inizio: chi vede un’ascella all’apertura del video è sano? Chi vede una donna nuda no? Questo è proprio il caso che non c’è. Il video è una metafora, non un test. In “ambiente buddista” si tratta di lasciare l’illusione. In altre parole l’invito è ad accorgersi del sogno. Imho, solo chi è morto non sogna.
Certo, bisognerebbe capirci sul significato della parola “religione”, ma penso che la discussione sarebbe piuttosto lunga. Vorrei essere però un po’ polemica: non è che a forza di stare sul “fondo”, si corra il rischio di dimenticarsi di quello che succede in “superficie” dove le differenze di genere e d’altro hanno un’ influenza decisamente marcata?
Negare le differenze ( sia pure sul piano religioso ) non favorisce, in qualche modo, il mantenimento di uno status quo, dove la dimensione religiosa della vita ( che prevede rispetto, condivisione ecc. ) sembra talvolta essere un lusso per pochi?
A me sembra che nella religione, come in qualsiasi altro ambito cui ogni persona si impegna con tutto il suo essere, proprio per questo siano di gran peso, anzi determinanti, le caratteristiche dell’essere stesso. In questo caso, essere donna o essere uomo: non è un particolare insignificante, “io” sono donna o uomo al 100 per 100, quindi sono “donna di religione” o “uomo di religione” al 100 per 100. E quanto più profondamente sono una cosa, tanto più profondamente sono l’altra…
Se non ho capito male, ogni persona porta con sè, inevitabilmente, nei vari ambiti, tutto ciò che fa di lei quel che è, e quindi anche il suo genere. E sono d’accordo, ma questa potrebbe essere solo una differenza individuale tra le altre… oppure il fatto di essere donna o uomo porta con sè delle caratteristiche, a prescindere quasi dalla singola individualità? …
Personalmente non mi piace parlar per categorie, però talvolta è difficile non farlo, non fosse altro per cercare di evitarle almeno nelle dimensioni più “vitali”…
Si, hai capito bene. Naturalmente non sono in grado di generalizzare, e nemmeno mi piacerebbe farlo: mi sento di parlare solo per me. In questo caso, di sicuro sono “donna”, qualunque cosa io faccia o dica o pensi: non so se ci sia differenza tra quello che, in un determinato ambito, faccio, dico, penso io “donna” e quello che nello stesso ambito farebbe, direbbe, penserebbe un uomo… non ho mai provato a essere uomo! Però ci sono delle divergenze comportamentali, cioè derivanti da una diversa lettura della realtà, facilmente riscontrabili, che credo si possano attribuire genericamente alla differenziazione sessuale. E’ chiaro che questo non intacca minimamente l’individualità, ogni essere umano è comunque “altro” da ogni altro essere umano. Unico, inimitabile, irripetibile.
Sono fondamentalmente d’accordo con te. Ma se noi proviamo a tornare nel fondo dell’ambito religioso da cui siamo partiti, non è che alla fine queste (indiscutibili) divergenze comportamentali “diventino” solo parziali punti di vista? E quindi come tali da superare?
Tu dici, giustamente, che si rimane donna o uomo qualunque cosa si faccia…
Però quando mi siedo in zz non mi “sento” donna, quindi, in qualche modo, in questo caso almeno,le differenze non influenzano un modo di essere…
Mi verrebbe da concludere che ci sono livelli diversi anche in ambito religioso. Credo che un prete- donna ( o un suo equivalente in altre realtà religiose )sarebbe sicuramente diverso da un prete-uomo e ciò sarebbe, a mio parere, una ricchezza, per svariati motivi, che vanno al di là di un approccio maschilista o femminista..
Andando più a fondo, dato che l’essere religiosi non si esaurisce certamente nell'”abito”..forse non ha più senso parlare di differenze…
Mah, io non sono così addentro nella pratica religiosa da poterne parlare con piena cognizione di causa. Tuttavia, c’è in me la convinzione che, anche quando sono seduta in zz e nella mia mente c’è il vuoto, questo vuoto sia diverso da quello di chiunque altro… anche o proprio perché è diverso il “pieno” che sta dall’altra parte e delimita, definisce il vuoto. O forse perché, se il non essere è, allora anche il non essere è condizionato dalla stessa soggettività che condiziona l’essere, cioè l’ umana conoscenza dell’essere. Ma con questo mi accorgo di sconfinare clamorosamente dall’argomento iniziale rischiando inoltre di dire troppe stupidaggini: meglio che smetta salvando la dignità… e prima che qualcuno commenti: discorsi da donne!
Haa haaa! Ma allora C’È un poco di resipiscenza nell’animo femminile, almeno quando le sparano grosse… Le diversità del vuoto. Effettivamente quando non c’è nulla questa assenza È un po’ colorata da ciò che la circonda. Mi ricorda quella del Negroni: “Mi prepara un Negroni senza fettina d’arancia, per favore?” “Mi spiace signore, le fettine d’arancia sono terminate”, “Pazienza, me lo prepari senza fettina di limone allora.” 🙂
Ci avrei giurato su quanto “tu” hai di più caro che quello che sarebbe intervenuto in proposito saresti stato tu, però la storiella del Negroni io la sapevo al contrario!
[36]Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. [37]Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno. Mt, 5.
La storiella del Negroni al contrario? Wow! Dev’essere bellissima. Comunque, quello che intendevo dire, in sintonia con Matteo, è che certi argomenti non vanno presi alla leggera. Le ipotesi buttate lì su ciò che è al cuore della vita spirituale delle persone quando vengono prese in modo… umoristico occorrerebbe ringraziare: potevano arrivare scrosci ben più sonori. PS: il Negroni prevede una fettina d’arancia nella sua ricetta base. Chiedere un Negroni senza fettina di limone, anche in assenza di limoni, di regola, non sortirebbe lo stesso risultato.
A questo punto, se ribatto mi comporto da petulante; se non rispondo, da indifferente e maleducata. Qual è il male minore? Forse un brindisi a suon di Negroni senza la scorzetta di cedro?
Noooo! La scorza di cedro non ci sarebbe comunque. Sarebbe come chiedere un Negroni senza un topo dentro… Però, in quello che diceva Cristina c’è una parte di “vero”, inteso come reale. Per questo, o partendo da questo, le sue conclusioni eccentriche hanno una base che condivido. A volte succede. Il fatto a cui mi riferisco è che durante zazen il ritorno a me in quanto non-me (e perciò privo di qualità o attributi) è appunto un ritorno. “Ciò” da cui torniamo è maschio, femmina, ambedue ecc. come pure è questa persona e non un’altra. E questo è parte integrante della pratica, non è una deviazione. Per cui si può dire che durante la pratica religiosa profonda uomo donna, ricco povero, giovane anziano hanno ancora senso, anche se è un senso negato, di cui ci si libera appena possibile.
Il mio dubbio è che quello del Papa non sia un ragionamento logico puro, bensì riproponga quell’infausta condanna della sessualità naturale che è stata tetro strumento ideologico di potere e causa di tanta perversione, morbosità e veri e propri orrori sia nell’Istituzione medesima che nella società da essa controllata o influenzata.
Sì, certo: quel dubbio rimane anche a me. Tanto quanto mi rimane il dubbio sui veri obiettivi delle strategie dei nostri governi occidentali che, quanto ad infausto passato nonchè presente, anche in Africa, non sono secondi a nessuno.
Sei troppo buono, Aloisius, a chiamarlo “dubbio”. Fosse stato un funzionario del WHO a spiegare che i condom non sono la soluzione definitiva al problema dell’AIDS sarebbe stato un conto, ma un papa in viaggio ufficiale parla da papa, non da funzionario del WHO.
Certamente Benedetto XVI pur non avendo esperienza diretta sa tutto di questo argomento dal punto di vista scientifico, ma altrettanto certamente non sono le sue vesti pontificie ad essere le più adatte ad intavolare un discorso di strategie epidemiologiche.
@Doc: A me pare che il tema fosse questo, non tanto che Benedetto avesse ragione o no. Che il condom non sia la soluzione all’AIDS è assolutamente evidente. Ci vuole una sessualità matura e responsabile. Chiaro. Temo però che nella maggior parte delle lingue sub-sahariane il concetto “sessualità matura e responsabile” trovi difficoltà di traduzione. Nella lingua Alùr che conosco abbastanza bene escludo che ci sia modo di tradurre il concetto in modo intelligibile.
Peccato invece che il cieco e ottuso putiferio mediatico abbia fatto passare in secondo piano il vero argomento degno di nota, che finalmente anche il papa ha detto qualcosa contro le multinazionali e il profitto che non guarda in faccia a nessuno. Questa sì che era una notizia. Finalmente. Ma quasi nessuno se n’è accorto. E questa è vera ottusità. Da una parte e dall’altra.
Ciao Px, speravo proprio che dicessi la tua, da persona concretamente impegnata sul campo.
Prendendo anche spunto da quanto dici, aggiungerei una considerazione: per l’efficacia delle strategie di prevenzione è indispensabile che il messaggio, cioè l’informazione-educazione, sia reso comprensibile alle popolazioni locali. Concetti come retrovirus, pandemia, rischio, protezione, corretto uso ecc. devono essere quindi tradotti in lingua Alùr, o altra che sia, e riproposti secondo le modalità culturali del luogo in modo da renderli assimilabili a livello di massa. Per questo è prioritario formare gli operatori locali nel rispetto della loro cultura, affinchè siano in grado di svolgere efficacemente quel ruolo. Questo lavoro di informazione efficace non lo svolgeranno nè le multinazionali nè i governi dei paesi colonialisti che, come dici, sono motivati solo dal trarre profitto: solamente gli autoctoni potranno. E questo penso – o meglio mi piacerebbe pensare – sia il senso dell’espressione ‘se gli africani non si aiutano’ usata da papaRatzinger.
Qualche dubbio mi rimane sul fatto che il parlare da papa debba essere limitato ad alcuni ambiti, cosicchè, ad es., il parlare di prevenzione o di economia esuli dalle sue competenze e venga letto come indebita interferenza.
Caro Doc, come non darti ragione. Il punto vero di tutta la diatriba secondo me è che nessuno di loro si sporcherà le mani accompagnando per mano questa gente come avrebbe bisogno, e che in realtà tutta la faccenda è una sterile polemica pretestuosa.
Forse il tedesco Pastore (solo adesso noto la sottile e geniale ironia) poteva spiegare meglio, circostanziare, sapendo che le sue parole vengono soppesate con il bilancino. Magari si evitavano le polemiche, o magari no.
Certo, siamo tutti d’accordo che non si risolve il dramma dell’AIDS sommergendo l’Africa di preservativi, ma i preservativi aiutano senz’altro. In molte zone l’AIDS è talmente diffuso che è proprio un terno al lotto. Ci sono persone di ogni rango, estrazione sociale e moralità che se lo prendono. I comportamenti a rischio aggravano, evitarli aiuta ma non basta. Anche un preservativo può aiutare, e allora mandiamo anche i preservativi (con tutto il resto). Non si può pretendere che un continente diventi improvvisamente casto. Non è applicabile.
E poi è talmente drammaticamente singolare questa mescolanza di ambiti… morale, sanitario… una polveriera! Scegliere di avere un atteggiamento equilibrato e responsabile di fronte al sesso dovrebbe essere un passo che uno fa dopo averci sufficientemente ragionato, per sua intima convinzione, non perché altrimenti rischia la vita per motivi sanitari. E cavalcare la questione della moralità sessuale come soluzione di un problema vero, concreto, drammatico come l’AIDS è un atteggiamento intellettualmente scorretto, imho.
Ciao!
no no, IMHO = in my humble opinion
afoyo (=grazie) per quella roba la’, capisco via google che e’ un mantra, ma non so cosa significhi. venendo da te non puo’ essere che una cosa buona 😉
Una invocazione (onore a…) al bodhisattva Kanzeon (Kanzeon, Kannon in giapp.; Guanyin in cin.; Avalokitesvara in sans.)
< <… il grande bodhisattva che incarna la compassione…chiamato anche Lokanatha, “Protettore del mondo”…>> (Cornu, pag 38)
Il suo culto ‘compare fin dall’inizio del Mahayana in India come un bodhisattva che salva gli esseri che soffrono nel samsara…’
Emanazione del Buddha Amitabha, ‘si esprime in tutte le forme possibili per soccorrrere gli esseri senzienti’.
assolutamente, condivido. gianfalco – che ho conosciuto di persona – possiede una matita assai acuminata. quasi quasi potrebbe essere perfino buddista…
Ho trovato il DVD sul sito videoteca videflash a questo indirizzo a 39 euro. http://www.videotecavideoflash.it/messaggidaforzesconosciute.htm.
Ma su e-bay.co.Uk si trova a circa 10 sterline. Non sono sicuro che sia in lingua italiana (comunque l’ho acquistato). Comunque ho impostato la ricerca con “silent flute DVD”.
Ciao
Da un palo alto cento piedi si esita.
Più facile fare un passo in più su un marciapiedi.
Un clochard o un ladro?
Si è fermato un autobus e ha aperto le porte,
sali?
Salta!!!!!!!
Ottima scheda.M sa vedere al di là, nella parte invisibile, ulteriormente; ma l’invisibile non è ciò che non appare, è il suo apparire che incarnato, non coincide né si esaurisce nella sua apparenza. La lettura è tanto più “esatta” in quanto estatica, eccessiva, ulteriore, alla ricerca del senso: non adeguazione all’oggetto ma rivelazione della “cosa” spirituale. In questo, in fondo, sta la sua originalità e la sua forza, di pensiero come di stile.
WRONG.Il mio spirito sciamanico si desta in occasioni di catastrofi(Cfr.6.04.09 e 26,12.08). I was born with the wrong sign,in the wrong house With the wrong ascendancy.
Mi è piaciuto molto questo commento. Mi ha dato l’impressione di un racconto elicoidale, dove dimensione profonda e quotidianità si intrecciano in piena armonia.
Le aquile non volano a stormi.Mi hanno cacciato dalla scuola delle buone maniere…Delirio faticoso e avvilente quello del compilatore di grossi libri, del dispiegatore in 400 pag. d’un concetto la cui perfetta esposizione orale capirebbe in pochi minuti! Meglio fingere che questi libri esistano già, e presentare un ‘riassunto’ ,’un commento. Happy Easter.
Caro Homosex, ti preferisco mellifluo e sognatore, sciamanico e visionario. Quando fai il cattivo non mi pari all’altezza: è in grazia di lenti e arruffoni lettori come (…omissis) che si fa l’improba fatica. Poi, quell’unico concetto non c’è e ciò che resta è il meno possibile. Allora si può parlare di buon libro.
Ci sono due modi, almeno secondo me, di leggere un libro ( che non sia ricreativo ), o andando alla ricerca di quello che si sa già, o cercando di capire “ciò” che ci vuole dire l’autore, per integrarlo con le nostre conoscenze in modo da “ricombinare” il quadro con qualche pezzo mancante in meno.
A parte questo, quello che mi ha colpito maggiormente nei “testi canonici” dell’ autore è la modalità di interagire con “il lettore”, più esplicita forse nei primi testi ma sempre presente ed “energica” ( non mi viene un termine che mi renda meglio l’idea )anche negli ultimi due.
Questo, unito al linguaggio e allo stile usati, induce ( sempre dal mio punto di vista ), almeno durante una prima lettura, ad “arrivare in fondo”. Cosa abbastanza strana, trattandosi di argomenti non immediatamenti accessibili.
Grazie Marta. È un gran complimento. Tu sei insegnante quindi…. ti è più facile capire questa cosa: quando fai lezione scrivi un libro ogni volta nella testa dei ragazzi. Farlo con la scrittura è più difficile perché non hai il contatto diretto. Si sopperisce anche con la fatica che ci deve mettere il lettore. Ma tecnicamente ho sviluppato quel modo nel rapporto con i ragazzi. È a quel rapporto, quindi, che ne va il merito.
e perché a Casa Vianello mancherebbe il sale, di grazia? lasciamo che a deciderlo siano gli interessati (e poi, semmai, razza di maschilista che non sei altro, hai detto che “si sposa l’amico GS” come se fosse da solo…)
Nooo, non si sposa da solo, o meglio la moglie sposa solo lui -questo sì- però per innata delicatezza e riservatezza non la nomino; sai, appena sposati, si glissa sempre un po’…
Brindo con gioia a questa fine. Del resto chi desidera an EASY RIDE? E poi si sa,Buddha, il Divino,dimora nel circuito di un calcolatore con lo stesso agio che in cima ad una montagna o nei petali di un fiore.Agli ‘nostalgici’ propongo un tema: il bios dell’homo tecnologicus conserva la stessa verità d’espressione dell’homo naturalis?
Grazie. Tu sulle cose che scompaiono, muoiono, si estinguono ci sguazzi, eh!. Anch’io, in effetti.
Il bios non conserva nemmeno se stesso, a maggior ragione… Però, per non lasciare a mezzo storie vaghe, la risposta è chiara: trovato il bios risolto l’arcano.
Bè, a me dispiace, pur non essendoci mai stata presente fisicamente.
Forse sbaglierò, ma, a mio parere, si festeggia un inizio, non una fine, che comunque si voglia o si possa viverla, è sempre la fine di qualcosa… che come tale non è più…
Ciao Marta. Capisco. Festeggiare la fine è un modo di esprimere il proprio apprezzamento per ciò che è stato, invece di rimpiangerlo. Permette di vedere il nuovo con occhi accoglienti. E il nuovo non temerà di essere visto.
Pispole ragazzi, sarà che non ho fatto le scuole “alte” ma dei due commenti precedenti non ho capito nulla. Grazie comunque, sono sempre lieto se un articolo, un post, suscita commenti garbati. Sono garbati, vero?
Appunto: come Edipo è vittorioso pur nella sconfitta, così Sisifo – secondo Camus (Il mito di Sisisfo) – è felice nonostante la sua condizione di condannato a trascinare in eterno un masso. Felice perché è cosciente di sé.
Sarà: se lo dice Camus… Per quanto risulta a me, Sisifo era un imbroglione che si divertiva a prendere per il… naso uomini e dei: quando questi ultimi ne hanno avuto le tasche piene, lo hanno mandato all’inferno. Che lì sia diventato cosciente di sé?
P.S. E poi, cosa ha che fare costui col povero Edipo il quale ha cercato senza riuscirci di contrastare un destino che lo voleva incestuoso e parricida?
… tocca leggere Camus, che gnucco non era. In ogni caso, sulla condizione “in vita” di Sisifo esistono tante versioni, più o meno irrilevanti: il punto cruciale è il suo “mito” eterno. Non riassumo Camus ma cito uno dei suoi filosofi preferiti, Nietzsche: “Perché nel divenire, negli errori ecc., facciamo consistere il dolore… e non la gioia?” (qualunque accenno polemico al buddismo era volutamente voluto)
Questo, cioè il quesito del filosofo, lo capisco, che io condivida o meno la risposta implicita nella domanda. Ma Sisifo… E’ vero che l’essere riuscito a ingannare gli dei è un merito non da poco – mi sembra che tutte le versioni del mito concordino su questo fatto anche se non sui particolari dell’inganno -, mentre continua a sfuggirmi il nesso colla vicenda di Edipo. Sono un po’ testona… chiedo una paziente sopportazione!
Il nesso sarebbe in questo riscoperto valore positivo della tragedia. Il cristianesimo (spesso) fa consistere il proprio punto di forza nella “vittoria”: sul peccato, sulla morte… La ripresa dei greci invece dà valore alla “gloria del tramontare”.
Un altro esempio: Marsia. Dante nella Commedia (Paradiso 1) lo considera simbolo di chi osa sfidare gli dèi e viene giustamente punito. Ma per i greci Marsia, nonostante la sua sorte – o proprio per quello – era un eroe.
Bang,bang!I miei interventi non sono mai garbati…Per capire il commento di dr ho fantasticato di un incontro pugilistico fra i due miti che mi hanno ricordato la titanica lotta tra rat-man e l’uomo lumaca(cfr.EdipoRe 1186-92) Ma “non” ho capito.GET STUPID.
Li ho scoperti per caso venerdì notte (video su Utube) e ho indirizzato l’oudience su questo caso fortunato. Ho riso molto nel vederlo.Get ready è una famosa canzone di Madonna il cui video è davvero esilarante(fonte sempre Utube). Ciao.
Grazie a dr, grazie a tutti. Anche a me Marsia è simpatico, mentre in quella storia apollo ci fa proprio la figura del… Ora io che sono documentata su questi tali mi sento avvilita per non conoscere rat man né l’uomo lumaca, e per non capire quelll’inquietante GET STUPID… vado subito a rimediare!
Non ti stancare troppo Cristina,sinceramente non c’è niente da capire…I miei cattivi capricci mi inducono a prender dimora in India, un mondo senza realtà che acquista senso solo nella dimensione sonora.TRY AGAIN(?)
…
Ottimo. Per la verità anche dr amava Battiato (andando un suggestivissimo concerto alle Terme di Caracalla) prima che il cantante cominciasse a prendersi troppo sul serio. Quindi ho dirottato su autori come mym e Alan Lasting.
Beh, volendo continuare la ‘sfida’ a chi ride di più, spengo il Cd di Battiato, chiudo la connessione e me ne vado in giro a fischiettare la camnzone della galassia.A bien tot.
Si, Edipo si autopunì trafiggendosi gli occhi non appena giunse alla consapevolezza delle proprie azioni e se ne assunse la responsabilità. Parole come “consapevolezza” e “responsabilità” entreranno un giorno nel lessico agito dal personaggio de quo ?
Be’, poniamo, se qualcuno dice/pensa/è consapevole di essere il più abile, il più “in gamba”, il più ricercato (onny soi…) e si assume tale responsabilità elargendo sé stesso al popolo in modo anche divertente, benché un poco pecoreccio (la battuta “posso palpare un po’ la signora?” in mezzo a una tempesta come quella attuale sfiora il sublime) non è già un ingresso in gioco di queste categorie nel lessico agito?
Sì, in effetti, “dal punto di vista buddista” (e già questa non è male… 8) ) prendersela con chi critica stereotipi, dogmi, autorità autoreferente, autoritarismi e gerarchie buddiste è una cavolata tale che anche il rogo farebbe ridere…
Sì, in effetti, “dal punto di vista buddista” (e già questa non è male… 8) ) prendersela con chi critica stereotipi, dogmi, autorità autoreferente, autoritarismi e gerarchie buddiste è una cavolata tale che anche il rogo farebbe ridere…
meno male… mi sovviene che una delle accuse che portarono Giordano Bruno al rogo fu di aver spiegato la SS. Trinità con la metafora dei genitali del mulo: il Padre e il Figlio e poi… lo Spirito Santo che si erge.
Confidando nella benevolenza del ‘punto di vista buddhista’….
Anche. Ma intendevo anche nel senso che, in caso di un’Inquisizione sistematica all’interno del buddismo, alla fine non resterebbe in piedi nessuno… neppure gli inquisitori. Meglio un miliardo di eretici che nessuno! (Un modello difficilmente esportabile)
Uhh così, dici. Questa è la teoria, in realtà alla minima occasione se le danno, ce le diamo, di santa (si fa per dire…) ragione. Ci sono pure le scomuniche. A volte non durano molto. Altre volte sì. Poi, anche tra di noi, non proprio noi noi, comunque anche tra i buddisti girano parecchi quattrini e, si sa, lo sterco del diavolo ha un odore stupendo…
Honi soit qui mal y pense.Fatico a pensare ad una ‘inquisizione buddista’ che per davvero bruci dei giordano bruno; in effetti la religione più fanatica è guerrafondaia è proprio il cristianesimo eppure manca una iconografia guerresca del Cristo (mi sovvien il post da non credere con annessa arma da fuoco…)
Dicevi questa immagine, suppongo. Vero, manca l’iconografia guerresca del Cristo, come quella di Buddha d’altronde. Sono (siamo) gli uomini che li tirano per la giacchetta per giustificare le loro azioni. Molti buddisti (per esempio Kodo Sawaki) hanno partecipato, proprio in quanto buddisti, alle guerre di invasione del Giappone imperiale, partecipando a massacri giustificati col fatto che andavano a portare il Verbo, buddista in questo caso.
Tuttavia è significativo il dato che le iconografie guerresche più pregnanti del panorama orientale(indiana-giapponese)abbiano generato le uniche autentiche democrazie asiatiche(che a ragione imitano il modello occidentale).Se una civiltà si misura dalla creazione dello stato di diritto in che termini si può parlare di civiltà buddista?
Qui casca più dell’asino: “stato di diritto” è la Birmania? La Thailandia? Il Nepal? Il Bhutan? Il Vietnam? Lo era il Tibet? Lo è la Cina? Direi di no e forti perplessità mi suscita il Giappone, per quanto sia certamente da considerarsi tale. A parte l’India, che tra l’altro non ha mai dato vita ad una guerra in più di 2000 anni, diritto e buddismo pare non siano associabili. Sono anni che “cerco” qualcuno disposto ad ingaggiarsi su questo tema.
In effetti una teocrazia illuminata potrebbe sembrare nel lunghissimo periodo il solo stato possibile.Quando cioè, al modo del codice di Manu, si alleveranno gli uomini separati in caste.Non per promuovere un tipo superiore d’uomo, ma per controllare il numero della popolazione mondiale.Se non si capisce che la soprapopolazione è il problema (e non un problema) non ci si riesce a districare tra i cavilli giuridici.
Parla il critico:Cfr. Marassi, Piccola guida al buddismo zen nelle terre del tramonto,Marietti,2000.Con quale ambagia la penna si posa, e pecca di concepire l’immenso concetto di questo grande uomo?
Mi va di cantare, perdonatemelo:ITALIAN VIOLENCE di morgan.Adieu mon amì.
Anch’io non l’avevo mai sentito.L’ho pescato nella solita fonte:sono i versi di una adolescente fan di morgan(indirizzo vattela a pesca)che continua…mi ha condotto a te, le belle maniere, creanza, compostezza alternate al tuo dire sregolatezza, sfacciatagine sfrontatezza, è irriverente la tua spontaneità, tradotta in genio.Pensavo:a(l)bagia=all-wahr: sincero, schietto, ma anche alterigia, boria oppure amgag(e)=tortuoso.
Chiudo:non sono uno scrittore sciatto, semplicemente mi proibisco gli occhiali da vista quando non sono al lavoro muovendomi in una condizione di ‘pericolosa’ ipovedenza.[Errata Corrige: Ambàg(e)].Ciao.
Non volermene, e mi scuso per l’inopportuna intromissione, ma..
per il solo fatto che questo luogo, per me, riveste di un particolare significato, mi permetto di dire che mi sembra che tu abbia raggiunto il tetto delle possibili scemenze dicibili. Forse è meglio che ti metta gli occhiali anche fuori dal lavoro, magari per vedere gli appigli con cui ridiscendere…
Probabilmente anche questa mia è una scemenza, ma tamt’è…..
marta, la mia posizione “istituzionale” mi impedisce di firmarmi e il fatto che non sono del “ramo” mi impedisce di documentare la mia opinione con le dovute citazioni, ma permettimi solo di dirti che hai espresso in modo pressoché perfetto il mio punto di vista su questa faccenda. grazie
Ragazzi, ragazze, non perché siamo in un blog buddista, ma per semplice ospitalità, accogliamo l’espressività altrui in modo gentile e curioso: non è bello (solo) ciò che piace a me. E così pure non è cretino, necessariamente, ciò che reputo tale. A volte così mi pare quello che non capisco e, se lo capissi, forse lo riterrei geniale. Homosex non è il massimo della netiquette, a volte lo fa anche apposta, e non è sempre un simpaticone. È un interlocutore e sino a che è tale (ovvero non è un guastatore, o un troll come si dice in gergo) ha diritto anche lui ad essere qui con noi.
Bene. Detto questo, se vai a vedere interventi e post del passato vedrai ho rimproverato varie volte la sua ermeticità e (quasi) completa assenza di cortesia per i lettori. Cortesia che si misura, a mio parere, anche nel cercare di farsi capire. Senza escludere l’apparire intelligenti.
Il testo di questo commento è, a mio insindacabile parere, ozioso e lezioso in modo esagerato. Non lo cancello ma lo considero SPAM. mym RIGHT NOW ON MY COMPUTER:Mr. Bad Guy by F.Mercury!Se si tralasciano i colore freddi e neutri della mia cameretta qui si esprimono le tinte calde dei corpi nella volontà precisa di creare un forte contrasto cromatico in grado di liberare un effetto bidimensionale dagli esiti stilistici assai interessanti.Dev’essere così: sono FIGLIO DI UN RE(!)
Il testo di questo commento è, a mio insindacabile parere, ozioso e lezioso in modo esagerato. Non lo cancello ma lo considero SPAM (secondo avviso). mym Per la precisione.Pesco a caso tra gli ispirati versi della ‘nostra’ poetessa classe ’87. Dalla sua Ode a Morgan:..ambagia(sic)…Esuberatnte e superba la tua esteriorità, in pochi sanno guardare scuoti la titubanza che c’è non può sotterrarci, gli occhi miei immancabilmente si immergono
P.S. – Dalle mie parti è tempo di feste patronali e concerti in piazza.Sarò assente da ‘scuola’ per un pò…
Proprrei di regalare a Narciso uno specchio personale, ove possa rimirarsi a suo piacimento.
Ma anche ad ‘anonimo’ forse gioverebbe…
Ragazzi, sembra di essere in gondola: e dire che non ho ancora bevuto un goccio, di oggi!
… e nel frattempo nessuno ha più minimamente pensato a Buddazot, che era il vero, serio (per quanto umoristico) argomento. Direi di chiedere scusa al bravo Paolo Sacchi.
@doc: temo che il mio definire la mia posizione “istituzionale” sia stato infelice. intendevo dire che essendo semplice webmaster non dovrei intervenire sul merito di queste discussioni perché non è la mia materia e quindi non ho nemmeno l’autorità per poter dire che cosa sia una stupidaggine e che cosa “semplicemente” ermetico. parlavo da semplice lettore e condividevo l’opinione di marta sul fatto che questo thread fosse andato ben oltre il seminato e con espressioni (secondo me) completamente off-topic. mi sono espresso sicuramente male…
Mi metto gli occhiali..Dunque il furore di leggere libri tradisce una specie di fuga vacui;non avendo pensieri propri li si attira a forza nel vuoto di pensiero del proprio cervello per pensare con la testa altrui anzicchè con la propria,l’arte di NON leggere è quindi molto importante.Porsi una domanda e leggere un libro, non è sciocco?
Il furore è un cattivo maestro, in questo caso la pre messa rischia di inficiare le con seguenze. Leggere con la testa vuota è impossibile, l’azione di leggere comporta la fabbricazione del concetto o, a seconda dei casi) dell’immagine. Ed è un’operazione personale, unica. Quello che leggiamo funziona da miccia ad un processo di dimensioni molto, molto, più ampie. Le implicazioni, le associazioni, le antitesi, le digressioni. Una grande lettrice era Virginia Woolf, descrive il “meccanismo” del leggere in modo -ancora- insuperato. Accontentarsi di quegli straccetti che consideriamo, erroneamente, “pensieri nostri” e praticare il non leggere… sì, perché no, anche il contrario di intelligenza può essere libera scelta. Non ne farei una bandiera, comunque.
Porsi una domanda forse è sciocco, certo, non possiamo comporre quesiti (se non pleonastici) senza sapere di che cosa parliamo, ergo… Tuttavia sapersi porre di fronte ad una certa domanda senza ostruirla con una risposta: quella è la via dei saggi.
L’uomo di fede mette alla propva il proprio credo quando si confronta con persone che non la pensano come lui, specie oggi con internet in cui si scopre che la nostra verità di fede è declassata da milioni di uomini e donne a una semplice e confutabile opinione.Questa la domanda: è inevitabile rassegnarci a un mondo in cui la fede è opinione?
No, infatti, laddove la fede è un’opinione… non è fede, è pensiero o altro, comunque costruito da noi per cui: idolo. L’uomo di fede che mette alla prova il proprio credo quando si confronta con persone che non la pensano come lui è, tecnicamente parlando, un idolatra.
Vorrei però segnalare una piccola sfasatura che si è venuta a creare nel discorso. La pratica del discernimento non riguarda “l’oggetto” (Dio, p.es.) ma la valutazione della propria condizione psicologica per verificare se si stia compiendo una scelta di vita con l’atteggiamento giusto, o meno; con tutte le conseguenze a catena. (Sarebbe però impervio, oltre che fuorviante, riassumere tale pratica in un blog.)
Semiologia? Capisco. Il discernimento (l’applicazione del) è (anche) nel leggere un libro? E nel non leggerlo apposta? Non poniamo limiti al discernimento riguardo al … discernimento 🙂
Il discernimento dei Padri della Chiesa e di Ignazio di Loyola NON consiste affatto nella lettura di libri. I testi scritti servono solo per fissare le esperienze comprovate, in modo che possano tornare utili alle generazioni successive. Vedi anche “La scala del paradiso” di Giovanni Climaco, monaco del monte Sinai del VII secolo d.C.; o gli scritti dello starec russo Ignatij Briancaninov.
Peccato non poter mettere un po’ a fuoco i possibili criteri di discernimento. Vista la mia naturale propensione a perdermi nei vari bicchieri d’acqua quotidiani, ascoltare dei punti di vista su tale argomento non mi sarebbe dispiaciuto, pur fermo restando il fatto che ogni situazione richiede una risposta che non può essere standard…
Mi verrebbe da chiedere come prima cosa ( forse banale): è possibile acquisire una capacità di discernimento?
Sì, ma forse, quando riesco ad avere chiaro l’ obiettivo e ho scelto il metodo, ho già messo in opera il mio saper discernere o meno.
Quello che volevo dire ( e sicuramente non mi sono spiegata ) è che il discernimento, inteso nel senso espresso da dr, mi risulta ostico da “realizzare” soprattutto nelle scelte quotidiane dove intervengono le variabili più svariate.
In effetti Ignazio è lontano (15..).Ritengo che quando si compra un libro bisognerebbe anche “comprare” il tempo di leggerlo..Allora la filosofia risulta più pratica dell’economia producendo beni come “Dio”, “anima”,”libertà”,etc.
Ignazio è lontano ma “l’argomento” suo è molto vicino. E il tempo è gratis: fornito in quantità uguali a tutti, ogni giorno, si tratta “solo” di scegliere come usarlo. Volendo trovare un aiuto nei libri, un buon manuale del discernimento sono gli otto punti dell’Ottuplice Sentiero: tre minuti per leggerli, una vita per provarci. Quello che manca, nell’Ottuplice, si impara seduti in silenzio, lasciando il pensiero ogni volta che ci porta a spasso.
La conversazione mi sta acchiappando un sacco, e sono felice che l’argomento susciti interesse. Mi spiace solo per Marta, ma se provassi a riassumere la “via” del discernimento, sarebbe come proporsi da “testimone affidabile”… sai le risate… Mi permetto di rimandare, ancora, a uno dei volumi indicati; ok, sono “solo” dei libri, ma scritti da persone che la strada l’avevano percorsa. E dal ‘500, anzi dal VII secolo a oggi, non è cambiato davvero niente.
Cattivaccio, li hai spaventati con lo shampoo della velina mistica, e così adesso nessuno nota gli alti concetti (??) contenuti nell’haiku, che era il vero argomento. Preciso quindi che il titolo quasi sicuramente è stato scelto da Lasting perché “suonava bene”, non perché i versi volessero commentare quel quadro specifico.
Forse servirebbe un po’ d’ermetismo in meno, altrimenti, non trovando altre uscite, anche grazie agli innocenti (?) richiami di certe immagini si rischia di scadere nel pecoreccio
L’ermetico (sperando non “emetico”) è Lasting. Io mi limito a pigliare e tradurre; i commenti finali servono giusto a non lasciare il testo appeso al nulla, ma per enucleare l’eventuale validità del messaggio sarebbero necessari gli interventi degli “esperti” (cioè chiunque “fa esperienza”).
Non ho capito se la ragione di queste precisazioni dipendano più dalla ‘cattiveria’ di dhr ovvero dalla vanità del gentile Autore tamt’è:io lodo il critico per questo piccolo ‘terremoto’.A questo punto proporrei di recensire un libro sulla historia diabolica della Chiesa di un altro Autore (magari vivente).
Sono così colpito da queste parole che quasi mi faccio battezzare…Non ho fede che il disprezzo del ‘tranquillo’ papa ci liberi dal morbo berlusconiano ma ho fede (si fa per dire) che gli oppressi e i poveri di spirito (autentici depositari delle fede cristiana) si ravvedano.
Auspicare (seppur per burla di fede) il ravvedimento degli oppressi e dei poveri di spirito è quantomeno insolito. Vien da chiedersi che cosa dovrebbero fare gli altri, ovvero gli oppressori e i superbi… Lunga vita a don Farinella!
L’autore di un testo, di un libro un articolo, spesso compie l’errore di supporre (o addirittura di volere) che le sue parole vengano lette secondo l’angolatura dalla quale lui le ha viste nello scriverle, un’angolatura spesso condivisa (e questo da forza all’idea di oggettività…) da chi con quell’autore condivide esperienze, ruoli, formazione. Ma ogni testo una volta licenziato ha vita propria, diversa per ogni lettore. A questo punto, a volte, gli autori chiedono che la vita di quel testo continui ad essere secondo il loro respiro. Vi è un esempio qui di questa evenienza. Quel tal libro, perché non lo recensisci tu?
GRAZIE Don Farinella della sua testimonianza e delle sue parole inequivocabili, ma una rondine non fà primavera.. Chiunque deve dire qualcosa dovrebbe parlare ora, anzi ieri.. Comunque anche i nostrani buddhisti (chi si ritiene o crede di essere tale)dovrebbero “agitare il ventaglio”(v. ghenjokoan), per quanto gli sia possibile, per evitare la deriva di un paese che ormai si muove spinto solo dalla pancia.
Il riciclo è agli atti della natura in ogni cosa: le cellule, gli atomi, del nostro corpo sono già stati parte di altri corpi (nella mia orecchia sinistra ci sono due parti che furono di Cleopatra…), altri oggetti. Ma non siamo quei corpi, quegli oggetti.
Il titolo: Le stanze del cuore della relazione interdipendente. Ora lo aggiungo al testo, grazie.
Comunque in Occidente “dovremmo” già saperlo per via autoctona: le monadi di Leibniz, quello erano. (Nel giovanilismo attuale è diventato di moda sparlare delle monadi come fossero una forma di egocentrismo… sigh…)
Le monadi… Mi distrassi quando se ne parlò, giù al liceo… Forse la differenza è che, nel Nagarjuna-pensiero, anche le “monadi” sono dei composti di parti riciclate…
Ogni cosa è composta di altre, e queste altre di altre ancora, e così – letteralmente – all’infinito. Altro spunto leibniziano: le monadi sono inestese, e tutte le cose sono aggregati di monadi. Ma zero + zero + zero… darà sempre zero. La prossima volta che ti reincarni e torni al liceo, studia!
:-)>
Più classica di così: il simbolo di Athena, dea della sapienza… e della guerra, se è per questo. Maremma mahayana (forma di buddismo diffusa in Toscana). Quanto al risveglio, comunque, meglio di gran lunga la versione di Nagarjuna.
i am sorry to see this place closed down since I wanted to come there this summer if you had a sesshin Antaiji style.
Now it seems there is not so I ask you–do you know somewhere in Europe I can do a lot of zazen in a real sesshin and not waste time. Soto, of course.
To do zazen without to waste time it looks like a good koan… Aniway, since you are looking for Antaiji styled sesshin, why don’t you ask directly to Muho, up there?
“…così ci segue il bene quando parliamo o agiamo con mente tranquilla.” Fosse davvero così! Ma forse il problema sta nell’impossibilità di determinare il bene con una definizione univoca. Cos’è il Bene?
Ho un attacco di trance..Il concetto principale è che tutto nel mondo scaturisce dalla derivazione dipendente.Il mondo compare dipendente da cause collegate a circostanze.All’interno di ogni essere umano tutto proviene dalla prima causa che è la nascita.L’ignoranza è la mancanza di conoscenza della incondizionata natura della mente che, poi, è il vero insegnante.Allora Dio è un termine tecnico o un pezzo di carne?
Be’, capisco, voi perfetti non avete bisogno di esami di coscienza. A noi, esseri comuni, capita invece di trovarci a vivere una situazione o l’altra per cui un memento esplicito aiuta ad avere meno dimenticanze.
Dio è niente non davanti alla logica
delle definizioni ma perchè annienta continuamente ogni determinazione, perchè è
l’annientante.La natura di dio, non creata
in alcun modo è presente in noi fin
dall’inizio come stato naturale.Non è una
invenzione,un idea,una teoria filosofica è
una realtà incondizionata (vuoto che ha
cognizione); la sua identità è nessuna
cosa.Non è un’oggetto che si possa
vedere,udire,odorare,gustare,afferrare ma
allo stesso tempo è in grado di conoscere.Queste due cose sono
inscindibili.
Beh allora, se si dice: “19. Chi diffama l’Illuminato (il Buddha), o un suo discepolo… costui è un fuoricasta”… perché, a diffamare qualcun altro si fa bene?
La difesa della casta dando del fuori casta a che vi attenta dici… Però, nel punto 19, si parla anche dei laici. D’accordo, c’è un ordine di comparsa, una gerarchia, ma … insomma. A Homosex ho risposto in modo un po’ troppo secco, è vero, ma mi pareva (per effetto della lettura del commento 5) che fosse più papista del papa 🙂
La natura della mente è amorfa come lo spazio -tempo..Non capisco,invece, perchè mai chi mira ad onori e ricchezze seguendo la Via venga scambiato, nelle stanze di potere, per un dissoluto..Cmq non faccio mai l’elemosina e, allora, come si fa ad intentare un processo buddista come è solita tra (con) “papi”?
Si noti che la precisione è distinta dalla chiarezza, che implica la possibilità di accedere facilmente alla comprensione di un insieme di conoscenze, conservando una visione delle reciproche relazioni che caratterizzano i singoli elementi illustrati, nonchè dall’esattezza, che è il compimento di una procedura di calcolo e che non riguarda la proprietà linguistica nell’esposizione di un concetto.Insomma sogno un viaggio morbido nel mio spirito e vado via che vado via, mi vida così sia!
Leggo alla strofe 321: “Gli individui che hanno addestrato se stessi
a tollerare la violenza
sono ovunque preziosi”. Ciò significa che la violenza va tollerata? oppure… che cosa?
Significa che occorre imparare a non soccombere interiormente, a non lasciarsi addolorare dalla sofferenza. Il Dhammapada è un testo di spiritualità, non è un manuale di politica.
Naturalmente ti credo, non è un campo in cui possa permettermi di discutere; solo che “non lasciarsi addolorare dalla sofferenza” e “tollerare la violenza” non mi sembra la stesssa cosa.
Non ti sembra la stessa cosa perché non dai fortemente per scontato, da subito, a quale aspetto della vita si rivolga il sutra, ti fermi alla lettera. L’ingiunzione: “affogatelo” ha significati profondamente diversi secondo i contesti. Se la frase continua con: nel cognac prima di servire, è un conto, se continua con: e poi gettate il cadavere ai coccodrilli… forse cambia qualche cosa. Quando si parla dello spirito, “tollerare” è un’attività interiore.
Dando per scontato che, purtroppo, mi muovo in una logica diversa dalla tua, posso accetto l’attività interiore della tolleranza, va bene: ma questa tolleranza interiore rimane tale o nella prassi può invece diventare fattiva e anche combattiva? Se anche “cristianamente” perdono il violento ecc., ciò mi esime dall’agire con decisione nei suoi confronti? Grazie.
Se hai “tollerato” non ti sei alterata, sei serena, potrai prendere decisioni (meglio per il bene) a partire dalla serenità. Con l’augurio di non perdere quel bene prezioso.
Credo di aver capito. Le decisioni è sempre opportuno prenderle a partire da uno stato d’animo che tu definisci sereno, io lucido… E grazie per l’augurio.
Io non penso che sereno e lucido siano sinonimi in questo caso. Esiste la lucida collera e anche la lucida follia, per non parlare della lucida depressione. Difficilmente possiamo comprendere serena collera, serena follia o serena depressione. Il senso di sereno, in questo caso indica uno stato d’animo piacevole in senso leggero. Non la capacità di ragionare ugualmente.
Mi ha colpito l’ ultima frase per il contesto in cui è stato inserito “l’avere cura”.
Espressione che esprime dolcezza, forse perchè è solitamente legata alla cura dei figli, assume in questo caso,per me naturalmente, un significato molto particolare. E’ quasi come vedere l'”attenzione” da un’angolatura diversa, più dolce appunto..
Tanto importante da diventare quasi una discriminante per alcune ( o tutte ?) decisioni…
Magari chi ha scritto voleva intendere tutt’altra cosa, ma tant’è…
Credo che lucida collera, lucida follia ecc. siano figure retoriche che si riferiscono al manifestarsi di queste passioni senza l’accompagnamento di vistose manifestazioni esteriori: tuttavia passioni restano e perciò comunque irrazionali.Sostituendo con “serenità”, d’altra parte, eliminiamo la possibile ambiguità….
Dire “no” è una delle cose più difficili e importanti. Con i figli, il coniuge, a scuola. Molti dicono sempre sì (finendo per deludere) proprio per non affrontare la difficoltà del no. D’altro canto vi sono momenti in cui sta a noi dire no. Se lo facciamo quando abbiamo cura (di un figlio, di uno studente) sarà un atto buono anche per chi quel no deve accettare. Imparare ad accettare il no è una crescita indispensabile sulla via dell’adulto.
Caro “pellegrino cherubico”, facile fare questi giochetti a partire dal Dio trascendente. Però ha tutto un altro spessore farne con un Dio di carne, un orrore crocifisso. Ad esempio: “Il Padre appare colui contro il quale Gesù bestemmia, tanto che non si dà via di scampo: bisogna scegliere tra il credere a Gesù o il ritenerlo il vertice dell’empietà (…). Se Gesù ha bestemmiato, il Padre deve manifestarsi come giudice, e poiché tutto prosegue in modo coerente fino alla fine – la crocifissione, gli insulti, le bestemmie contro il Cristo – dobbiamo ritenere che Gesù è il bestemmiatore e il Padre è il giustiziere…” (Don Giuseppe Dossetti, Pasqua 1977)
La differenza tra un credente e uno come me è che io non mi pongo più certi problemi,
eppure c’è luce nei miei pensieri,e,malgrado nell “ambient intimancy” si inventino parole rimpiango la luce, la luce del sole.(2 bad).
Il buddismo è oltre la storia perché sofferenza e dolore sono di origine metafisica cioè trovano la loro origine ultima in un impulso cieco, senza alcun fine. L’errore non è che una sorta di egoismo ontologico, un solipsismo etico scaturente da un naturale quanto illusorio solipsismo conoscitivo, quell’antagonismo che la nostra coscienza empirica (prestrutturata alla frammentazione) scava tra me e l’altro.
Il Benedetto (da non confondere con il Beato) direbbe che “ci si segna” con il battesimo. E conseguente vita di chiesa. Però non chiedere a me, ché son fuori dal giro.
Se sei fuori dal giro un motivo ce l’avrai: quella roba lì del Risorto, i flash di luce ecc. non mi sembra altrettanto serio del proporre di “diventare” luce da parte di Silesius. Che, si presume, parlava per esperienza, non per dottrina.
In verità credo che niente diventi e tutto sia una distruzione continuata.Cioè per assimilare le fondamentali intuizioni della religiosità orientale bisogna approcciarsi con una mentalità filosofica transculturale.Insomma dico basta alla bimillenaria missione della Chiesa di evangelizzare l’India e la Cina.Semmai è la saggezza indiana che rifluisce verso l’Europa,per produrre una trasformazione radicale della nostro sistema-pensiero.
Penso che sarà maggiormente la Cina ad avere questo ruolo. In Occidente ciò che conta sono “il conto in banca” e i cinesi ce l’hanno più grosso, e poi il numero di baionette: per cui toccherà a loro dominare il mondo, diverremo una provincia, come l’ex Tibet…
(un po’ a tutti e nessuno) Alla fine aveva ragione il Qohèlet: “Il saggio ha gli occhi in fronte, mentre lo stolto cammina nel buio [non-luce]. Eppure io so che a tutti e due è riservata la stessa sorte”.
Sì,ma c’è chi non si vuole reincarnare..Il Tibet è un unicum:50 anni di storia non violenta(scusate se è poco).Credo che i lama tibetani abbiano tutti i numeri per diventare la massima autorità spirituale del mondo.In fin dei conti abitano sulle montagne più alte..Come si spiega la mentalità colonialista della Cina tipicamente occidentale?E’ sbagliato ritenere che il concetto di dirito umano sia estraneo alla cultura asiatica;essa tende alla liberazione individuale.
È vero, il contrasto tra “non diritti” e “liberazione individuale” sembra assurdo ma è reale. In tutti i Paesi in cui la liberazione individuale ha grande importanza i diritti (quelli che noi chiamiamo così) sono scarsi. Anche in Tibet la situazione, da questo punto di vista non era migliore. La Cina è un animale a sé, l’obiettivo è il gruppo, il più ampio possibile. Tutto è subordinato al successo del collettivo, anche i diritti, anche la liberazione individuale. Se non in campo daoista. Ma qui la faccenda si complica.
“Dio salvi la regina” ma… che colpa ne ho se Lasting sceglie gli argomenti X piuttosto che Y? Il “traduttore” può anche essere “traditore” però traduce quello che passa il convento. 🙁
In effetti una cosa è tradurre dall’inglese all’italiano, un’altra dall’italiano all’inglese.Per es.:Quando l’aurora mi inonda di purpuree malie/mi sento/aria trasparente/Non so dirlo/eccedo/palefaces kill sound – taste of Arcadia/and air is not enough.”God save the Queen”.P.S.A me il convento non passa niente.
Il problema (?) dei buddisti in rapporto alla politica è ancora tutto da scoperchiare. C’è chi automaticamente si sente in dovere di lottare per l’indipendenza del Tibet chi altrettanto automaticamente pensa si debba astenere…
Mi sembra un’ottima idea: molte volte mi sono chiesta perché mai il risultato di anni(?)di studio e di impegno debba finire in un archivio inutilizzato. Certo è difficile che qualcuno abbia lo sfizio di leggere tomi ponderosi di compilazioni e altro, però ci può sempre essere qualcuno interessato almeno a qualche parte delle tesi di laurea. Molto bene.
Ho appena finito di correggere le bozze di una una ‘tesi finale’.Titolo:Ozio e letteratura digitale.Ma a che pro pubblicarla?Ormai c’è l’audiovisivo.Non è meglio, forse, una conoscenza esoterica ad uso della ‘scuola’ o del ‘maestro’?
Sì, in effetti -anche se non è sua abitudine- Homosex la butta in politica ed io lo seguo. Poi esce l’Iran, ma forse troppo random (ex abruptu? Alla c.d.c.?) per essere seguito.
Già, perché? Nessuno, infatti, ha mai sentito una predica a braccio di un prete, un religioso, un chierico che parla parla si ascolta e non la finisce più, e neppure ha letto quelle lunghe pagine dei bollettini parrocchiali (o assimilabili) in cui si spiega tutto a tutti, per non parlare di quelli che scrivono i commenti sul web in risposta ad altri commenti e scrivono scrivono
In effetti è difficile saper tacere.Ad es. davanti ad un prete divento muto e scrivo pochissimo (tra l’altro quello che scrivo è talmente artefatto che non meriterebbe nemmeno di essere letto).
P.S. Molto bella la tesi finale sul perdono.
Grazie per aver letto il mio lavoro. Lo scopo di questa iniziativa è proprio quello di condividere la propria ricerca con gli altri ed in tal modo crescere. G.I
Skype: jjiorio
msn: jjiorio81@hotmail.it
Snidato: l’Anonimo non è più tale: Claudio Monteverdi, nato a Cremona il 15 maggio 1567 e morto a Venezia il 29 novembre 1643. Ne Il ritorno di Ulisse in patria del 1640, all’inizio della scena ottava del quinto atto, Ericlea conclude il proprio monologo con queste parole: “Ericlea, che farai? Tacerai tu?
Insomma un bel tacer mai scritto fu.”. La stessa frase è ripresa da Carlo Gozzi ne La Marfisa bizzarra, poema faceto del 1911.
I agree. While living in Japan and participating in a Rinzaizen temple, it seemed the final message of zen was somehow lost in the “doing”. Zen is timeless. But it has to reflect the moment.
Qui c’è di mezzo un discorso particolarmente fine. Perché di per sé ANCHE i fondamentalisti considerano i pro e i contro, e giudicano caso per caso… ma ritengono che i casi siano i soliti 3 o 4, e che i pro e i contro siano facili da determinare in base alle proprie “convinzioni” (cioè, di fatto, le loro pulsioni inconsce).
Io non credo che sia proprio così, cioè che i fondamentalisti giudichino in base a pulsioni inconsce. Credo invece che abbiano consapevolmente ridotto a tre, quattro assiomi l’infinito e riescano a far rientrare in essi tutto quanto, cioè quel poco che conoscono e vogliono conoscere…
… e appunto questa è una pulsione radicata, inconscia, “animalesca”, di sopravvivenza. Si adotta il criterio più semplice, diretto, immediato. Anche se alla lunga è controproducente… (Il pulcino considera suoi “fratellini” le sagome che vede quando esce dal guscio. Se però sono oggetti buttati lì, si condanna da solo a soccombere).
A me, questa storia delle pulsioni inconscie non mi ha mai convinto. preferisco quell’altra, altrettanto nota, interpretazione o definizione: “Il sonno della ragione genera mostri”…
Concordo con Cristina.Il fondamentalismo semplifica le cose.Per es.:il Vaticano è la nostra Cina; l’Italia il suo Tibet,ma senza baluardo spirituale di Dalai Lama è invertebrata, arresa per obbligo e vocazione all’iniquità.
Mi fa piacere che tu sia d’accordo sulla “funzione” riduttiva del fondamentalismo, anche se nella mia citazione sono andata un po’ oltre l’intenzione: intendevo limitarmi a stabilire l’identità: pulsione inconscia = sonno della ragione.
@Cristina: però mi pare che le due prospettive non coincidano. Il “sonno della ragione” suppone che venga PRIMA la ragione, che poi per qualche motivo si addormenta. Parlare di pulsioni implica invece che anzitutto c’è il caos irrazionale, e solo a fatica può venirne fuori una propsettiva più “ragionevole”.
Che io sappia, l’Uroboro è il serpente cosmico che “si morde la coda”, simbolo del perenne rinnovarsi dell’universo. La soluzione ipotizzata da doc è intrigante: gli angeli si nutrono di buchi neri… ma i buchi neri a loro volta li ingoieranno??
Tra le mille cose: Hegel nella storia della mistica! Sono… al settimo cielo, appunto. Ho appena terminato di ri-ri-ri-(ecc.)-leggere l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio”, che sembrerebbe centrare un piffero, e invece Hegel si rivela come l’ultimo esponente della teologia cosmica & mistica medievale. Di fatto, un remake dell’ “Itinerarium mentis in Deum” di san Bonaventura da Bagnoregio. Bene bravo bis all’autore, e al recensore che ha segnalato un’opera come questa.
Ciao mym. Complimenti per il sito e per lo sforzo che fai per mantenerlo vivo e sano. Volevo solo giocare un pò….siamo tutti un pò degenerati! Buon lavoro/gioco 🙂
Ho trovato molto interessante questo testo, grazie per averlo tradotto! Attualmente è uscito un libro che si chiama proprio “Il cammino del cercatore” dello stesso discorso con un commento di Dai Do Strumia, molto interessante anch’esso.
Volevo sapere se qualcuno ha provato a tradurre il libro “The Dharma of Homeless Kodo”.
Grazie di tutto!
Di Sawaki in italiano ha tradotto varie cose Sono Fazion (le trovi qui), non so se però ha tradotto quel testo. Fazion non traduce dal giapponese. Con ogni probabilità il testo lo trovi tradotto in inglese nel sito di Antaiji (trovi il link in home, a destra in basso). Ciao, mym
Chissà come verrà recepito – o se verrà recepito – il messaggio di Jiso, in un ambiente in cui la filosofia di vità è “massì, con un po’ di buona volontà si risolve tutto, o magari versando la quota di euro … sul conto corrente numero …”
Chissà. Ma, come diceva mr. Butler, “Frankly, I don’t give a damn” ovvero, francamente me ne infischio. In consessi del genere o non si va, o, dovendo andare, con 15 minuti di tempo a disposizione per parlare, l’unica è dire senza parafrasi quel che uno pensa vada detto. E se anche solo un orecchio si drizza… altrimenti pazienza, sarà un altro sasso in fondo al mare, dopo aver fatto i suoi quattro salti in superficie, in barba alla gravità.
Aggiungo un’altra provocazione: ritengo Hegel – che affermava l’assoluta transitorietà di tutto – più facile da far dialogare con il buddismo che non san Francesco, il quale aveva tutta una serie di certezze: il “signor papa”, la “realtà” del mondo ecc.
Sì, concordo per ciò che concerne la fenomenologìa o, se preferisci, la filosofia. Ma questa conta poco in ambiente serio (con pardòn) perciò il Poverello la sapeva abbastanza lunga da farci un tresette, con Hegel … solo chiacchiere.
Uno a zero. Però, se il criterio è saperla lunga e “non costruire”, penso che siano esistiti personaggi ancora più dialogabili, p.es. quel mistico inqualificabile di Jeroen van Aken, alias Hieronymus Bosch.
Al sicuro? Una noia mortale. La lupa poi, poverina, per noi buddisti DOC è un povero essere senziente da salvare. Lasciate che le lupe vengano a me… Lupacchiotte? 🙂
Per uscire dall’ ottica della pace come un processo di crescita in cui si mettono “ con buona volontà” tanti mattoncini uno sopra l’ altro sperando di costruire un mondo migliore, credo ci voglia un cambio di visuale, a dir poco, impegnativo da tanti punti di vista.
All’ interno di questo possibile nuovo atteggiamento verso la costruzione di una pace non solo individuale ma anche collettiva, che emerge dall’ intervento di JF, le riflessioni sul proprio modo di stare al mondo, sono sicuramente molteplici. Tra le altre, la difficoltà di abbinare la parola “violenza”, per esempio, al dolore per la morte di una persona cara o al dolore insito nella nascita….
Oppure sul possibile “come” l’ opera della pace che sottrae è infinita mentre la violenza ( comunque? ) è relativa …
Grazie
La pace di cui parla Gesù, in cui Buddha è seduto, e a cui noi volgiamo lo sguardo, non può nascere che dalla pace: la pace dello spirito, del cuore, dei sensi è il “luogo” unico in cui si verifica e da cui si diffonde. E’ possibile, nel nostro cuore agitato dal contrasto di sentimenti, pensieri, passioni, nel nostro mondo intrecciato dal concorso incessante di pace e di guerra, “quella” pace? Bisogna crederci per provare e provarci per credere. Ogni volta che faccio silenzio, il silenzio si fa. All’apparenza il rumore del mondo procede incurante, ma il mio mondo è silenzio. I latini dicevano “omnia munda mundi”, tutto è puro per il puro – perché allora non “tutto è pace per chi è in pace”? Questa è la logica dell’assoluto, se così posso esprimermi.
La fede poi consiste (anche) in questo: che individuale e collettivo non sono separati. Perché questo non sia un delirio dell’io, bisogna sfilare il sostegno dell’io. Qui cadono i dubbi insieme a tutto il resto. “Come”, lo suggerisce (dovrebbe) l’insegnamento religioso cui ciascuno si affida, che a ciascuno è affidato. Nel mio intervento faccio il nome del come indicato dal buddhismo zen.
Comprendo la difficoltà di abbinare la parola “violenza” alla morte, alla nascita. L’ho usata in un’accezione differente da quella usuale, di violenza dell’uomo sull’uomo. Intendevo richiamare l’attenzione sulla naturalità del fenomeno: non è violenza un terremoto, un’inondazione, un’eruzione che sconvolge la terra e le vite? Non è la violenza di una sopraffazione bensì quella di una rottura. Ogni rottura la chiamo violenza, perché è principio di dolore. Così è la morte, che lascia un vuoto incolmabile, così è la nascita, che è la rottura di un equilibrio per la fuoriuscita di un mondo. Forse c’è una piccola forzatura (violenza?) nell’uso della parola, che giustifico come tentativo di mostrare che la realtà non è naturalmente pacifica, e che la pace non è la condizione naturale: anzi, in un certo senso è la non condizione, l’incondizionato. Operare la pace in se stessi e nel mondo è aprire la porta all’incondizionatoà: opera infinita che si realizza ogni volta e ogni volta inizia da zero.
Quest’ultima frase (L’opera invisibile della pace che sottrae è infinita, mentre la violenza che aggiunge per grande che sia è relativa.) pare anche a me piuttosto criptica. Chissà se c’è qualcuno così caritatevole da farla capire anche a questa testa di legno?!
Chissà. Nella mia intenzione, la metafora del muro (una somma impilata di mattoni) descrive una realtà relativa: l’enormità del muro è data all’assommarsi, è cioè relativa a ogni aggiunta. È una quantità, per immensa che sia. La sottrazione non è l’operazione relativa del togliere un mattone per volta: è azzeramento, immediato, non quantitativo, non graduale. Toglie tutto, in questo senso è infinita, senza aggiungere nulla, ogni volta.
Piiiiiccola tirata d’orecchie a JF, su una questione secondaria: “omnia munda mundis” (tutto è puro per i puri) non è un detto latino ma una frase di san Paolo; che nell’immaginario collettivo si è cristallizzata in latino a causa della Vulgata, la Bibbia in latino che era di prassi fino alla metà del Novecento.
Non sempre però san Paolo ha contribuito ad alimentare una mentalità “pacifica”.
Ringrazio Dr, davvero, per la tirata d’orecchi che ha da essere duplice – ho due orecchie anch’io. La citazione infatti, era errata non solo nell’attribuzione ma anche nella forma latina: (pur declinata al singolare la frase sarebbe “omnia munda mundo” e non “omnia munda mundi” come ha scritto questo pretenzioso ignorante – cosi’ imparo a fare il furbo.
Dr, signorilmente, non ha infierito, ma a ciascuno il suo. Dunque, Paolo di Tarso, Lettera a Tito, 15,1 – sono andato a controllare. Sul fatto poi che San Paolo non sempre abbia contribuito ad alimentare una mentalita’ di pace, sono d’accordo (proprio la lettera in questione e’ non poco virulenta, tra l’altro) ma senza attriburgliene necessariamente la responsabilita’. Era un gran combattente, certo, il che di per se’ non vuol dire non essere persone di pace – vedi Gandhi. Gli epigoni, poi, capiscono e fanno quel che possono e vogliono: siamo riusciti a rendere occasione di guerre persino l’amore di Cristo e il silenzio di Buddha.
Ribadisco, era davvero un’osservazione piccola così, in confronto ai temi che avevi sollevato. (Ah già, dimenticavo che la Stella del amttino è l’unico sito italiano in cui le osservazioni critiche sono le benvenute. Sareste benemeriti anche solo per questo).
Buddazot è straordinario: in “altre” religioni i fumetti hanno scopi melensamente propagandistici; qui invece la strategia è quella dello spiazzamento costante.
Poi, come fan della fantascienza, aggiungo un plauso supplementare alle scenette in cui l’interdipendenza si allarga – in simultanea – non solo allo spazio ma perfino al tempo (dal presente al Medioevo, al futuro).
Insomma, sempre bravo PS.
Ciao dr,
grazie per l’apprezzamento, che incoraggia. Comunque non ignoro che – forse per le stesse considerazioni, ‘capovolte’ – Buddazot risulti indigesto a molti.
Ah ma “doc” coincide con Paolo Sacchi?? in questo sito l’identità è più inafferrabile di qualunque altra realtà buddista 🙂
Mi spiace per le indigestioni. Forse gli italiani, perfino tra quelli convertiti allo zen, hanno troppo bisogno della Mamma Rassicurante, che sia quella biologica, o la chiesa, o la politica, o il “rifugio nel Buddha”…
Strano però che le massicce e drastiche cure MYM non facciano effetto.
Ops! c’era una identità segreta…?!
In ogni modo, dire ‘molti’ è gonfiare le cose: non sono molti neanche i lettori di BZ, figuriamoci i detrattori. A qualcuno piace ed a qualcuno no. I più se ne infischiano.
L’uso delle immagini è relativamente recente nel buddismo (IV-III sec. a.C.), attualmente se ne hanno esempi in America e Giappone con fini didascalici simili -mutatis mutandis- al catechismo cattolico. Buddazot è più di un fumetto buddista, in realtà la definizione di fumetto vi si attaglia solo per la presenza dei balloons, fumetti in italiano, quelle aree variamente contornate che contengono il dialogo. L’arte buddista è uno degli esercizi più difficili, non per nulla da secoli abbiamo pressoché solo riproduzioni.
Strano ma vero, questo resoconto “pepatino” – grazie a una talpa – verrà pubblicato, con qualche edulcorazione ma minima, anche sul settimanale cattolico umbro La Voce del 18 settembre. Fatto tanto più notevole, se si considera che il mensile progressista Jesus se l’è cavata con uno spottone pubblicitario della Comunità di Sant’Egidio, lungo una spataffiata di pagine. Mala tempora currunt (in una parola: samsara).
Grazie soprattutto a Jiso, ancora. Perché, se oggi da un lato trionfa il becerume, dall’altro gli risponde il piattume piagnone, indi altrettanto dannoso. La terza via è quella delle… stilettate inferte con buona grazia.
gentile Antonella, può anche capitare che uno al venerdì pomeriggio abbia – per esempio – un impegno di lavoro tale da non permettergli di approvare al volo i commenti in attesa di moderazione. il dialogo ha i suoi tempi, e nel mio personalissimo caso deve anche fare i conti con le contingenze di lavoro e familiari. in ogni caso benvenuta e buona domenica. pierfrancesco
Approvo.
Cristo ha dato un esempio “trasformandosi” in un velo, silenzioso, muto, con gli occhi chiusi, praticamente invisibile se non a determinate condizioni.
Ma… il contrasto tra le due donne è così forte, che alla fine mi fa quasi tenerezza la donna che, nascosta dietro la maschera, in qualche modo “imposta” dalla società in cui vive, cerca comunque, magari in modo altisonante e sbagliato, di esprimere un suo disagio …
Meno male. Di tutto abbiamo bisogno, in questo nostro povero mondo, tranne che di un nuovo integralismo (buddista, questa volta).
Il giorno che questo, grazie anche alle signore con i raiban a specchio e il SUV, divenisse inevitabile – come accade per le dittature – sarà un giorno molto triste.
Il contrasto fra due modelli, proposto con intenzionale malizia” (son pur sempre un maschietto italiano di fronte al femminile), non era certo inteso come invito a scegliere uno dei due come preferibile. Nessun modello è portatore di libertà, neppure (specialmente?) quando grida di esserlo; nessun modello annichilisce la libertà (voglio credere, altrimenti non ce ne sarebbe più traccia a questo mondo da tempo immemorabile) anche se può mortificarla, ferirla, ostacolarla. Là dove un modello, quale che sia, produce disagio e avvilimento (e la malizia maschile nei confronti della donna lo fa nei secoli dei secoli, ovunque) la libertà è offesa. Riusciamo ad essere impudichi anche quando difendiamo il pudore.
Mi dicono che, scherzando scherzando, sia diventato un avvocato di grido (Aaaaaaaah!) e che abbia assunto la difesa di Roger Rabbit. Ma la suocera, mangiata la foglia, lo ha messo di profilo. Roger nel frattempo… Ma il resto (?) lo racconterà lui.
Questo haiku mi ha fatto tornare alla mente una poesia di Daiugu Ryokan che, presentata durante un corso,aveva fatto sorgere parecchie perplessità negli astanti. Diceva così ( purtroppo ho perso il testo originale ):
Non so davvero
cosa sarà di me
in avvenire;
per oggi basta
bere allegramente.
Perplessità comprensibili & condivisibili, almeno a interpretare il testo nel senso più immediato. Come è scritto nel (??? … mym, soccorrimi!), si possono trasgredire le regole, purché lo si faccia in vista di un bene che la regola non potrebbe ottenere, e se ne paghino le conseguenze: vedi la storia del monaco che salvò una donna che stava per annegare.
Intanto mi scuso per un errore, il nome è Daigu e non Daiugu. Vorrei inoltre aggiungere che, se non ricordo male, l’ intento del relatore era quello di far cogliere la leggerezza e la libertà di vivere l’oggi, considerata la mancanza di aspettative ( e di desideri ) riguardo al futuro.
Anche il libro del saggio Qohèlet dice: “Tutto è vanità e un rincorrere il vento… l’uomo non ha altra felicità sulla terra che mangiare, bere e stare allegro” MA dice anche che, SICCOME tutto è vanità, allora “c’è un tempo per costruire e un tempo per demolire, un tempo per piangere e un tempo per ridere”.
Sì e, mi vien da dire, c’è anche, forse, il tempo per essere un po’ poeti e un po’ folli ( come era definito, mi sembra, Ryokan . Mi viene un dubbio, però, chissà come si fa a riconoscere il “tempo giusto” per le cose….
Non è per mettere sugli altari i morti, con la scusa che “se ne vanno sempre i migliori” oppure sfruttando la tendenza a santificare e mitizzare chi non c’è più per poter brillare della sua, attribuita, luce. Gianni aveva un mare di difetti, chi lo ha conosciuto lo sa. In un’epoca in cui fare zazen, per lui, significava anche pagare di tasca propria l’affitto della soffitta dove ci riunivamo, un operaio, sposato, con due figli, ha continuato per 15 anni a sedersi e ad offrire la possibilità di sedersi a chiunque, senza mai eccepire sulla provenienza di nessuno. Non penso si possa fare molto di più. È stato molto divertente, interessante non solo partecipare alla realizzazione del filmato ma anche vedere, udire le reazioni -anche scomposte- che hanno accompagnato questo progetto. Forse qualcuno pensava che potessimo appropriarci della sua memoria. Mah…
Torino, caro ‘lme amìs, è (era?) un posto molto particolare. A parte le storie da Codicedavinci tipo che la città è uno dei vertici del triangolo magico ecc. però sino a trent’anni fa a Torino si trovavano più gruppi esoterici che piòle. Ci saranno anche motivi storici ma penso dipenda anche dal fatto che i turinèis sono così introvertiti che il mondo dell’interiorità in qualche modo suona loro famigliare. A volte in modo un po’ grottesco, magico o misterioso ma anche in modo serio.
Sperimentando la forza divina dello zazen cybernetico esco da me stesso e divento spettatore..Il ricordo di Gianni mi sconvolge e mi getta nel Panico:Torino mi fa pensare a Milan che mi fa pensare ai cavalli..
P.S. Dio ha tentato di uccidermi.(Proprio così.DT,32,31,”Io ucciderò e farò uccidere”.Insomma un pirata mi ha investito mentre ero sulle strisce pedonali – niente di rotto.Amici:non ci sono amici).
Siccome non difendo conigli redigo la requisitoria che condannerà secondo giustizia il mondo e Dio davanti al Tribunale supremo.Per la serie fututologia dello ius publicum europeaum.
L’immagine filmica è parte di quest’epoca sconvolta e miserabile a cui si crede come ai fantasmi;direi che il film è lo spiritismo del nostro tempo.
Ciao Homosex, bentornato allo scoperto. Lieto che tu non difenda il presidente del coniglio… Riguardo a film e spiritismo mi sovvien di popoli tuttora presenti dove la ripresa fotografica è proibita per rischio di perdere pezzi di tempo di anima. Non so se è così ma ho sempre evitato di farmi fotografare e, ancor di più, filmare. Gianni è sempre più un fantasma (una varietà di fantasmi) nelle memorie. Normale che lo si trovi in un filmato, voodoo moderno.
Ma se non si è rotto niente, nemmeno un ossicino. Pensa a quel poveretto che lo ha investito, che spavento, sulle strisce per di più, sai i guai che gli farà passare…
Sparire è invece come vedere un film.Forse la paura della riproduzione tecnica delle immagini deriva dal fatto che un tempo da queste si trassero miti e religioni ora restano i film dopo che tutto questo se ne è andato.La citazione è tratta dalla versione greca della bibbia(se la vedano i bibbiomani).Comincio a pensare che il diritto subentri alla speranza(che suppone spiriti smarriti) e che il Panico aguzzi l’ingegno.Mi sovvien chi, mentre se la spassa, viene afferrato dal Panico e perciò deve pensare..
Sì, concordo, per “godersi” un film, ma anche un libro, una poesia, un quadro, occorre sparire per il noto processo di identificazione (momentanea, plurima o antagonista) ma senza il ricomparire non vi è l’appropriazione intellettuale, il giudizio, il mi piace non mi piace, il raffronto, la critica, la valutazione estetica erotica ecc. Idem nel far l’amore.
Ma come la fate complicata, voi intellettuali! E’ poi solo un filmetto amatoriale. Un omaggio alla memoria (ed in questo senz’altro discutibile, perché no?).
Viviamo tempi in cui l’idolatria della personalità orienta le menti. Le ‘scienze tradizionali’ non fanno eccezione, con l’invenzione della figura del ‘Maestro spirituale’ e con tutta l’enfasi che circonda questi personaggi, che spesso sfiora appunto l’idolatria. E crea una sorta di mercato.
Il film propone, tra l’altro, una specie di figura di non-maestro, e certamente questo può disturbare. Chi si sente ‘disturbato’ e si ferma lì, perde una buona occasione per riflessioni salutari.
Mi pare che nella tradizione islamica le immagini antropomorfe siano bandite: questo però non scongiura forme di idolatria, talora anche fanatica.
Non è tanto l’immagine quanto l’occhio che la guarda, il vero punto.
– hic sunt leones.Siccome ho il blocco del commentatore la sparo grossa(e chi capisce è bravo).L’immagine è trasparente per cui non contano gli occhi,buoni a misurare la grandezza estensiva,ma gli echi e le sonorità del corpo.Insomma l’immagine filmica,sublime fantasma dell’artificiosità,non si vede ma si sente.Per es. se (ri)vedo Eyes wide shut sento IL CIELO SU TORINO cristallizzarsi nel ricordo di un uomo che abbracciava un cavallo..(Per la serie tecnica e subliminazione della paranoia).Onore a Gianni onesto testimone della malattia storica.Di più ad un maestro non si può chiedere.
P.S.Comm. 9.Un pirata è colui che dopo averti investito fugge lasciandoti a terra dolorante.Che guaio che sto passando..Se lo becco mica lo denuncio,gli marchio a fuoco la fronte con il logo di canale 5.
Eyes wide shut non l’ho visto, per i noti motivi. Però gli abbracci ai cavalli torinesi, magari in lacrime, mi ricordano il crucco veggente. Nonché matto come un… cavallo. Gianni era più terra-terra, per lui un cavallo era un cavallo. Anche se ammetteva volentieri di non sapere che cosa sia un cavallo.
Leggo i commenti e, con pardon, mi viene voglia di aprire la finestra, di far circolare un po’ d’aria nella soffitta di questo cybercenacolo così “torinese”. Lo so, non sono il più adatto, son della banda dei c’ero anch’io e dunque da che pulpito…
Però il film è in rete oggi, sono molto contento che ci sia, senza memoria il presente è solo funzionamento fisiologico e la memoria è tanto ricordo quanto oblio. Il ricordo di Gianni interessa il presente – il Gianni che ricordo al presente si interessava. Per questo mi piacerebbe sapere cosa ci vede chi vede il film adesso, senza avere l’immagine del Gianni che fu. Qualcuno per cui ci sono solo queste immagini, immediate e innocenti. Io posso fare lo sforzo (artificioso, ma di arte stiamo parlando) di usare la memoria per non ricordare ciò che fu e non scordare ciò che è. Vedo un uomo normale, in luoghi, situazioni normali, che cerca di spiegare con parole normali quel che non può spiegare pur essendo l’unica cosa che vorrebbe e varrebbe la pena spiegare. Lo vedo dirigersi verso un muro e un cuscino, per sedersi e invitare a sedersi. Si può fare di più facendo di meno?
Passato, presente, manca una ruota al triciclo del tempo – anch’io vorrei lasciare il vuoto sul cuscino per potersi continuare a sedere.
Non posso scordare di più e non voglio ricordare di meno.
Ti dirò la verità (“No! Perché?” – Massimo Troisi). Ho guardato diciamo i due terzi del cortometraggio, ma poi ho spento. Il tema era interessantissimo (nel senso di “inter-esse”) e il personaggio meritevole ma… orrore!… questa produzione alternativa aveva la stessa cadenza, gli stessi ritmi, in sostanza i difetti, del cosiddetto “cinema impegnato” italiano e francese: gente che chiacchiera in casa e per strada. Parole difficili appiccicate su immagini banali.
Non si poteva, che so, ricostruire visivamente il mondo di Gianni? Non inquadrare “lui” (un attore) ma immagini, scene, sequenze, colori, oggetti, con relativi suoni, che facessero percepire qualcosa del suo vissuto, del suo cammino, della sua “mahatma”?
Scusate i giudizi tagliati con l’accetta. Lo scopo è solo contribuire al dibattito.
Lo sapevo, ecco i “mai cuntènt”. Quelle SONO le immagini le scene del suo vissuto. Sono riproduzioni quasi registrate, intercettazioni filmate del suo vissuto. Anche lo sfondo: il luogo da cui esce l’attore è davvero l’azienda in cui lavorava Gianni, la “casa di ringhiera” è proprio quella dove c’era la soffitta… e poi il film è bellissimo.
Per rappresentare BENE una realtà, ciò che un’immagine NON deve assolutamente fare è copiare para-para quella realtà. Regole basilari della comunicazione, monsù.
Oppure si decide che lo zen è apofatico, e si rinuncia in partenza a filmeggiarlo.
Ignoro i motivi per cui mym non ha visto E.W.S.(non avrai mica paura del fantasma di Kubrick?).Ai ‘disturbati’ dal fantasma di Hitler suggerisco Inglourious Bastards(a cui devo l’ispirazione della truculenta immagine del comm.17).
A proposito di fantasmi..A Torino nel 1889 il ‘veggente’ era attenzionato dai servizi segreti americani,inglesi,francesi pontifici.Dopo 2 anni di vuoto esistenziale il nostro,ritrovando una seconda giovinezza, editava libri di caratura internazionale e portata storica.La forza emotiva era al suo apice perchè egli intendeva modificare alcuni “fatti” politici c.d. Realpolitik di Bismark, agendo in modo risoluto sul piano europeo per cambiare il corso della storia.E, dato l’uomo, direi che se non fosse “capitata” la follia sarebbe stato
sicuramente un fatto plausibile.Mi fa specie che alcuni storici non specifichino che i fatti che indicano la “follia” non sono così folli, considerato l’uomo, la sua storia e la sua forza.Assecondato nelle conversazioni personali da abili spie, l’autostima del filosofo strabordò sviluppando comportamenti poco comprensibili a occhi quotidiani,eccezionali in linea con la sua visione del mondo e con la sua sensibilità. Presto i suoi comportamenti sarebbero risultati talmente “anomali” da ricevere una repentina certificazione clinica(paralysis progressiva)con tanto di firma del dottore.N passerà dall’apice della sua potenza a una situazione in cui verrà guardato da tutti con pietà..e se per caso regge per qualche tempo alla follia poi diviene davvero folle per la depressione..Capirete come i servizi inglesi e americani si impanicarono quando tutto il loro lavoro di mungitura-spremitura passò ai nazisti..Dunque una filosofia che ha i suoi postulati all’interno della realtà e che attraversa il reale con una forza sferzante e risoluta,capace di far sorgere un sistema alternativo all’attuale( i suoi postulati impongono al mercato di essere solo un mezzo e non il fine)viene bandita per la folle testimonianza che ne da la Storia. Ovvero perchè appena dichiarato folle venne prelevato dall’odiatissima sorella E.(coniugata ad un ufficiale nazista)e rinchiuso nella clinica di Jena.Non c’è che dire una bella fortuna ereditare il suo ‘pensiero’.Un tesoro così composto: manoscritti tipo l’Anticristo (25),quaderni di varie dimensioni(176) da cui trarre aforismi a iosa,appunti filosofici(64) etc. Insomma abbastanza per fare la gran dama alla corte di Hitler.Da allora niente.In realtà il filosofo è “morto” nel 1889 perchè in nessun modo egli ha potuto esporre nuovamente il suo pensiero.La vulgata della follia di N è stata creata ad arte per mantenerlo lontano dai vari sessantottini e forze di alternativa proprio da coloro che hanno speculato su ricerche inglobate al sistema che si stava progettando.
In ‘Gianni’ (ri)vedo,meraviglie delle meraviglie,me stesso.
P.S.Devo partecipare ad una seduta spiritica silicet vado al cinema.Good night.
Grazie di cuore a homosex che ci ha restituito il vero Nietzsche. Consigliabile anche il bellissimo saggio “Nietzsche e il circolo vizioso” di Pierre Klossowski (fratello del pittore Balthus, tra parentesi).
Sembreremmo scantonare da Gianni. Eppure, se tutto è interdipendente, co-generato, simultaneo…
E se tutto si svolge tra le nebbie (mitologiche) di Torino…
Vorrei fare una riflessione da “esterna” ( ohibò, sono l’unica che non è o non è stata dentro al “giro”? Mi sento un po’ sola!) riguardo al filmato. Ciò che mi comunica non può essere chiaramente il ricordo di qualcuno, ma è qualcosa che, per me, a che fare con il modo di essere di chi percorre la via.
Sotto sotto, qualche volta o spesso, magari si coltiva l’idea che praticare lo zen possa portare a dei cambiamenti ( in meglio naturalmente ) di vita, per sè o per chi ci vive accanto. Il filmato ( e leggendo di chi si stava parlando )mi sembra sottolinei che la vita ( almeno apparentemente ) scorre proprio come se non ci fosse nessuna pratica: rimangono le difficoltà di farsi comprendere, rimane la routine del lavoro quotidiano, rimangono i tramonti…
Non so se è poco, ma io la sento come una cosa importante, perchè talvolta, quando le cose proprio non vanno, si può essere portati ( almeno a me è successo )ad allontanarsi dalla pratica, quasi “addebitando” ad essa la mancata capacità di essere …di fare… ecc.
Forse è una stupidaggine…. ma tant’è, mica sono del giro!! Ciao…
Vi assicuro che non ho dubbi sulla natura dell’agire.Ho raggiunto la pace.La coscienza ‘buona’ fissa ciò che accade dandolo in pasto alla responsabilità e distinguendo colpevoli da innocenti(Certo dalla riflessione sull’agire si pretenderebbe altro).Dunque N muore nel 1889,nasce il cinema e Torino è il set.E Gianni?.”Entro in scena senza una prova”mi dice un attore.”Come nella vita”aggiunge.Ciao.
Cara Marta, grazie. Basta il tuo commento per compensare tutta la fatica e le difficoltà e le piacevolezze che è “costato” realizzare il film. Lo zazen non è un toccasana che ti fa diventare più… intelligente, buono, saggio, accorto ecc. ecc. Caso mai, nel caso migliore, è una modalità di vivere serenamente non ostante i proprio limiti. Gianni in gioventù, dopo essere stato nella Legione Straniera ed esserne fuggito fu attore, a teatro.
Marta coglie nel segno due volte con un colpo solo, non male. Del primo centro ha già detto mym – aggiungerei solo che di quando in quando tutti coltiviamo la speranza che zazen ci renda un pochino migliori, di noi stessi e degli altri. Smascherare quest’alibi senza banalizzare lo zazen a passatempo, mantenendone la meravigliosa unicità, è essenziale per fare zazen per bene: e in questo Gianni era veramente maestro.
Il secondo centro di Marta è antropologico. Hai ragione, c’è un sentore di conventicola, una specia di invisibile cerchio che delimita chi è dentro e chi è fuori. Penso sia un difetto dello zen nostrano (e forse non solo) che ci portiamo dietro nonostante le dichiarazioni di incondizionata apertura e di indiscriminata accoglienza. Il “nostro zen” è molto poco cattolico, nel bene e nel male, e forse questo sito è l’occasione di rompere il cerchio magico e di far ciò che caratterialmente abbiamo tanta difficoltà a fare, vale a dire accogliere altri senza pretendere che diventino come noi. Penso che la nascita torinese dello zen nostrano, che qualcuno ha rivendicato, abbia a che fare con questo marchio di fabbrica. Gran Torino! Anch’io mi son sempre sentito un po’ forestiero, ai tempi, pur facendo “parte del giro”. Mi piace allora qui ricordare un altro polo degli albori dello zen italiota (sceneggiatura di un prossimo film?) in una città non meno caratterialmente chiusa ma geograficamente spalancata sul mare e sconosciuta alle nebbie. Del resto lì il tedesco profeta incazzoso non veniva perseguitato dal ludibrio e dal sospetto, fin a doversi consolare abbracciando i cavalli (a questo proposito consiglio una deliziosa pagina di Kundera nell’Insostenibile leggerezza dell’essere, dove si afferma che N. abbraccia piangendo il cavallo per chiedergli scusa del modo in cui Cartesio parlava degli animali, macchine viventi senza coscienza di essere). Lì scrisse la Gaia Scienza, concepì Zaratustra ed era talmente gentile ed amato da essere chaimato, nei vicoli, “il Santo”. Cosicché ebbe a scrivere, prima di salire a nord e nelle nebbie: “Quando uno va a Genova è ogni volta come se fosse riuscito ad evadere da sé: la volontà si dilata, non si ha più coraggio di essere vili. Mai ho sentito l’animo traboccante di gratitudine, come durante questo mio pellegrinaggio attraverso Genova.”
A me, proprio volendo, chiedendo permesso e ottenutolo, la qualità filmica si può anche toccare – a difesa della quale c’è da dire che più che un film l’opera è una pièce teatrale (del resto quanti film eccellenti sono stati tratti da opere teatrali, uno per tutti Chi ha paura di Virginia Wolf?). Se cerchi l’azione in un film sul non fare sei nel posto sbagliato. E’ una pièce teatrale con personaggi e atmosfere degli anni settanta – riguardalo un pò così se hai voglia e tempo, e poi sappici dire.
,,,non so da che punto di quel che voglio dire posso iniziare, perchè è lunga, per me è un film visto e rivisto! ho avuto il mio passato mistico, ho creduto ai sogni, ho combattuto i cinici a spada tratta, e sono certo del valore di alcune frasi contenute nel filmato. Ma oltre che pensare che sia un pò come dare perle ai porci, ho la consapevolezza che il tutto (cioe quel che di buono è stato messo in bocca agli attori) per quanto possa essere una possibilità di stile di vita, non potrà mai essere messa in pratica da occidentali, per lo più viventi in un tempo inesistente dal punto di vista” uomo collegato all’universo” che in linea di massima non riesce a collegarsi neanche con il pianeta in cui vive. Dalle mie esperienze ho capito che l’uomo non può sfuggire a se stesso,( cioè dalla sua parte negativa che c’è sempre) anche se riesce a volte a convincere gli altri a farlo. ma gli altri si sà….sono manipolabili basta schiacciare il tasto giusto, ed è facile…troppo facile tenere una carota in mano, dolce, amara,arancione scuro o chiaro, ben matura, piccola o grande …sempre di carota si tratta, il film l’ ho già visto nella mia vita e più volte. C’è sempre qualcuno che ha qualcosa in più di te…,che la sa molto lunga…, che fugge dalle sue responsabilità,creando vittime sul suo cammino, che ti fotte la donna come è successo a me,certamente fà e dice anche di buono ma fondamentalmente un opportunista.E che ad una certa età perdendo il suo fascino e la sua tonicità, psicofisica si trova perso, e tutti i suoi insegnamenti? Benchè una buona parte abbiano motivo valido d’essere,umanamente e spiritualmente, si perdono in una nuvola. Troppo facile dire agli altri di vivere aspettando la casualità delle cose, magari potessi farlo, è tutta la vita che ci provo, infatti sono nella M….(cacca).Atteggiarsi a santoni è un lusso!! almeno qui in occidente, pena rischio esagerato dell’esserlo veramente, magari bruciati vivi in qualche panchina di un parco qualunque.NON SCHERZIAMO CON LA REALTA’ dei nostri tempi.Ormai i tempi sono cambiati, ne ho conosciuti troppi di Gianni, e guardacaso tutti poi hanno cambiato idea e modo di vivere.Allora!! Dov’è la verità? E di quale verità si parla? si ho capito e anche troppo che c’è e ci deve essere un motivo per tutto, ma non capisco per quale motivo mi devo affannare a cercarlo per forza, sono stanco…esageratamente stanco.Anche il nulla mi stanca ormai e anche il riposo.
Mi vorrei scusare se con le mie parole ho offeso qualcuno,o se qualcuno pensa che abbia in qualche modo criticato Gianni, io come lui vivo da sempre in una zona degradata, conosco bene certe realtà e la voglia di evasione che ne deriva a viverci in mezzo, la tristezza e l’amarezza di un mondo cieco, che forse ha accecato anche me.In alcuni punti mi sono un lasciato andare alla rabbia, ma è una rabbia onesta, e se qualcuno pensa che il mio scritto abbia infangato il nome di Gianni gli faccio le mie scuse.Io non so che cosa gli sia successo, nè come in realtà ha vissuto, il film mi ha dato degli imput e mosso ricordi della mia vita passata, che mi hanno portato a reagire così,anch’io sono operaio da sempre, ho 50 anni, ho provato e riprovato a praticare buddismo, ad essere in simbiosi con la natura,e l’universo, ed ho sempre cercato di capire gli altri anche coloro che hamnno commesso grossi errori: C’è sempre un perchè delle cose, ma ho visto almeno per me, che alla fine, solo il distacco da tutto e da tutti è la salvezza dalla sofferenza.Ma ho visto che l’uomo non è fatto per la solitudine, o per auto annullarsi, deve interagire con gli altri esseri,da lì gli inevitabili compromessi ai quali dobbiamo assoggettarci ma non riesco a darmene una ragione:… sempre col dubbio che mi ha portato a riscrivere queste righe, vi pongo e mi pongo un’ultima domanda: Secondo voi l’abolizione dell'”IO” è possibile per un uomo? Non potrebbe essere il contrario? E se lo fosse, sarebbe meglio credere il più possibile in se stessi, fino anche a decidere di trascinare gli altri, ma non c’è il rischio che troppi si credano pastori? Visto che non c’è un giudice che può dare certe facoltà, o che le pecore finiscano in un burrone che non hanno fatto in tempo a scorgere. Non per incolpare il pastore, ma a volte la situazione può sfuggire di mano e potrebbe non avere il tempo di avvisarle tutte, specie se credentogli ciecamente si sono moltiplicate. E se ci riesce per forza di cose ha creato un’organizzazione, che a sua volta deve essere gestita da altre pecore (ma sempre esseri umani)che se fossero perfetti non sarebbero pecore! ecc. ecc…..mi scuso ma stanotte ho dormito poco!! Sarebbe bello se qualcuno mi togliesse qualche dubbio, sulla domanda: …alla fine c’è sempre qualcuno che ci rimette di suo per salvare gli altri?
Certo che si! te ce metto a fa er lupacchiotto, cò a gallinella en bocca, e speramo che nun te vada de traverso, ce arresterebbe maluccio, e io direbbe che avrebbe stato molto più assai migliore che nun ce fummo mai conobbi. a Mymmo!!… te saluto. ce vedemmo a Natale.
Salve a tutti.
mi intrometto ormai a partita conclusa direi.
vorrei però dare la mia impressione, prescindendo dalla qualita filmica e dalla scelta delle immagini.
personalmente è interessante, io classe 1978, in cui le proposte dell’esperienza zen sono in un certo senso “incanalate”, vedere come poteva essere inizialmente.
In maniera spontanea in una soffitta in città, un posto per fare zazen, prendere un the e parlare.
direi “bella storia”…
tanto di capello a chi si è prodigato …..
Quello di cui parla Alessandro è un altro aspetto -o motivazione- del film e dell’averlo pubblicato qui. Il mondo, noi, il modo di “fruire” quello che c’è è molto cambiato. Per dire: all’epoca di cui si parla nel film non solo in Italia c’erano sì e no tre posti in cui si poteva fare zazen, ma non esisteva neppure una pubblicistica, una letteratura (a parte il professor Suzuki), anche la parola “buddismo” era pura immaginazione. Non c’era neppure il modello (errato) costruito in seguito dagli imitatori dei giapponesi. La spontaneità era una necessità e per questo molto autentica. Non vuol dire non vi fossero difetti: la tentazione di fare il santone o cedere alla deriva di trasformare lo zen in una propaggine del beat o del freak era talmente facile che per molto tempo Castaneda e Zen sono andati a braccetto, trasgressione e buddismo si sono spesso incontrati.
Caro Efheso (un operaio con nick così mi fa pizzicare lì, nella scatola della curiosità), sì sì ci si può sempre lamentare e le cose non andranno mai bene, nessuno è perfetto e non ci sono più nemmeno le mezze stagioni. Sei sicuro di aver praticato davvero una forma di buddismo? Da come fai le domande direi che più che altro ti parli un po’ addosso. Poi, capisco che sei un operaio (una volta gli si perdonava tutto in nome della cultura proletaria…) ma l’espressione “C’è sempre qualcuno …che ti fotte la donna come è successo a me” è più da utilizzatore finale che da buddista. Dove la tenevi ‘sta donna, nell’armadio pronta all’uso? Poi hai dimenticato la porta aperta e ‘sto santone l’ha fottuta… mah, po’ pure esse, a Centocelle, fuori da un ambito buddista, tra i burinacci… 🙂
Vorreri fare una piccola osservazione a margine di questo dibattito che – prescindendo dal filmato – ha toccato temi di grande interesse. L’osservazione è relativa al ruolo del cercatore, del ‘discepolo’ (uso questi termini fuorvianti per semplicità), : chi, alla ricerca della via, si imbatte in un presunto ‘maestro’, non è scevro di responsabilità. Non c’è nessun maestro. C’è un detto che dice che è il discepolo che fa il maestro. Ora, è compito del discepolo mettere alla prova il (presunto) maestro, fino all’esasperazione, onde verificarne la affidabilità ed eventualmente fino a smascherarne il ruolo, qualora questo abbia divorato l’Uomo. Certo, oggi il Buddhismo è essenzialmente ‘square’, la ‘forma’ ha ripreso il suo dominio; ciò da un certo punto di vista è/vorrebbe essere una sorta di garanzia contro ciarlatani, esaltati ed impostori. D’altra parte impone però le regole dell”organizzazione’, il che significa scollamento, gerarchia, ritualità d’importazione, distanza tra il cercatore e l’oggetto della sua ricerca (tant’è vero che siamo qui a parlarci per internet…!). Per cui diventa sempre più difficile entrare in contatto così intimamente da mettersi reciprocamante alla prova e da porre le condizioni necessarie ad un reale travaso di esperienza da un contenitore all’altro. La ‘spontaneità’ cui accena mym diviene affettata, falsa. Nell’era del beat-zen le cose erano profondamente diverse, forse più vicine a quel che poteva essere il buddhismo delle origini (forme ancora vive, per quanto ne so e mi auguro, in molte tradizioni, non solo buddhiste). Quel tempo è passato: ciò comporta che sia ulteriormente necessaria una attenta ed approfondita verifica della persona cui ci affidiamo. Non basta che un medico abbia laurea e titoli accademici, per farne un medico davvero affidabile anzichè un buon funzionario. Le organizzazioni religiose, tutte, rispondono a ben altre esigenze e c’è effettivamente il rischio che, nel mondo dello ‘square’, i rappresentanti titolati trovino più gratificazioni ed interesse in queste che non nel rapporto ‘cuore a cuore’ con chi si rivolge loro con sincerità.
Tutto ciò dal filmato non si evince: è un limite delle immagini, che pongono l’accento sul ‘protagonista’ anzichè sul ruolo dinamico delle relazioni, esaltando involontariamente il culto della persona.
Nel mondo dell’immagine, dei media, di internet, ci pare di essere più vicini perchè siamo tanti: ma siamo certamente più lontani. E’ il regno della quantità, che non può che generare sconforto e pessimismo. Urgono provvedimenti.
Ciao mym, si hai ragione, al tempo della donna ancora non praticavo e la persona in questione “era un falso predicatore”, come si è rivelato e non ovviamente zen.Ed io sono stato anche se per qualche anno un fraquentatore dei gruppi che praticano” il buddismo di nichiren, che conoscerai”,che è un buddismo non buddismo, una vera e propria setta. Sono capitato per caso in un sito che mi ha aperto gli occhi definitivamente, facendomi capire quanto tempo ho perso si chiama”no soka gakkai,sito di carlo”, un’amico mi ha parlato di cristianesimo-zen, per questo sono finito nel tuo sito.E ne ho sparato un pò. Ma come dici tu un pò mi piango addosso, un pò marcio con luoghi comuni, e vorrei aggiungere che oltre alle mezze stagioni, non si trova neanche il posteggio.Ciao sono certo di non aver inciso negativamente sui tuoi umori, e se fosse perdona questo operaiaccio. Tra l’altro oggi dolorante per un lavoro fatto ieri su di un terrazzo nel centro di genova.Beh un piccolo lamento ci voleva, P.S. avrei giurato che quel che ho scritto lo avresti cancellato,ma cosi non è stato! Grazie e a presto. e dimentica le mie domande è meglio!!
Belìn che pittima… 🙂
Fai pure tutte le domande che vuoi, chi pensa di poter rispondere lo farà. Questo in parte è avvenuto, se ne hai altre o di non pienamente soddisfatte per una volta dedicati solo alla domanda: la censura la rischi se invece di postare un commento (sui 500 caratteri) scrivi una filippica da 2500 (37, 38 e 44) o più. Salutami il Righi…
Nel testo che ho io (ed. Paoline ’86) la frase si legge così: “Se dunque il tuo corpo è tutto nella luce, senza alcuna parte nelle tenebre, sarà tutto splendente, come quando una lampada ti illumina con il suo fulgore”.
Mi pare che ci sia una differenza non da poco, determinata dal senso che diamo a quel secondo ‘tutto’.
Penso che il “ti” di “ti illumina” spiani la possibile differenza riferendo “tutto” (in ambedue le versioni) a “tuo corpo”. Aspettiamo che si svegli l’esperto per una parola dotta in materia.
Ho preso il testo come compare nel libro, che forse cita la nuova versione Cei. Comunque, in generale, le edizioni italiane moderne sono un pianto: qui lo scopo era solo accennare alla bella frase pronunciata da Gesù, ma senza approfondire i dettagli.
Traduzione letterale dal greco: “Quindi, se il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere nessuna parte di tenebra, (allora) tutto sarà luminoso come quando la lampada ti illumina con il suo splendore.”
In ogni caso la frase è suggestiva. E’ vero che il ‘ti’ di ‘ti illumina’ sembra riferire tutto al corpo: però è anche pleonastico, dato che è stato appena detto. Questa ambiguità è intrigante.
Ora che ho controllato de visu son più tranquillo. Certo che il senso dell’umorismo di voi dotti è imparagonabile alla vostra kultura. In altre parole -come s’usa dire oggi- siete più dotti che intelligenti… 🙂
La frase del vangelo di Luca l’ho letta e riletta nelle due versioni ma non ci trovo nulla di interessante. Qualcuno mi vuole aiutare? È una bella frase, sì, ma o vuol dire una cosa del tipo “se ti tocchi diventi cieco” oppure… oppure?
Quella frase di Gesù, nei vangeli, è isolata, non ha paralleli. D’altro canto la domanda posta prima da doc conferma che non se la fila sostanzialmente nessuno, la Chiesa non l’ha promozionata come la molto più “sfruttabile” sentenza: Tu sei Pietro, e su questa pietra…
Ciò detto, padre Gruen la riporta come promessa implicita della risurrezione, di una trasfigurazione bella e profonda della nostra corporeità.
Al recensore piaceva soprattutto per la sua evocatività, senza che per forza se ne ricavino delle conseguenze.
Al recensore/bis piaceva inoltre quell’espressione come descrizione di sé da parte di Gesù, di quando il suo corpo sarebbe stato trasformato in puro “disegno di luce”, foto-grafia.
Daccordo con in buona parte…stabilire ruoli non è cosa facile,tutti possiamo essere l’uno il maestro dell’ altro.Ma forse è un punto di arrivo, non alla portata di tutti.Ricerca? A volte mi domando di cosa? Di un respiro profondo e duraturo,in un mondo caotico?Il distacco: essere al di sopra delle parti, pur uniti al tutto, o al nulla, non rischia d’essere una pura e semplice vita non vita? O solo una via per darsi una ragione, nell’esserci? O semplicemente non ho capito un tubo?Vai doc! Dai una compassionevole risposta a questa entità virtuale vagante.
Scusate, mi sono assentato un attimo. Forse è solo la mia fantasia. Comunque di interessante ci ho trovato una suggestione di parallelismo con altre tradizioni come lo yoga (il lavoro sulle nadi, la purificazione interiore attraverso il lavoro sul corpo) o anche lo zen di Doghen (la Via si raggiunge soprattutto tramite il corpo). O l’eschia con le tecniche di respirazione/recitazione, che svolgono un lavoro sul corpo.
Mi fa pensare che ciò che viene definito ‘maculazione’ o ‘contaminazione’ nelle tradizioni più devozionali, o ‘nodo/tensione/blocco’ in linguaggio più moderno ma anche nello yoga appunto, posa avere un corrispondente, più preciso di quanto abbia finora immaginato, nell’idea di ‘peccato’.
Non mi sovvengono altri spunti o indicazioni di ‘lavoro sul corpo’, di pratica del corpo, nella Bibbia. Anzi, il corpo sembra di solito negato.
In questa ottica la purificazione del corpo(/mente) è condizione/prelude alla chiara visione del ‘tutto’.
D’altronde non vi sembra un po’ banale dire che se tutto il corpo è luminoso, allora tutto il corpo è luminoso?
Però! 559 caratteri. Disciplina forense o del battilastra? L’animo umano è una miniera di misteri. Vai Doc, si puedes, altrimenti qualcuno finisce che conferma il suddetto tubo…
Hai un pallottoliere sulla scrivania?
Temo di essermi un po’ perso…
Ricerca? Non so bene cosa si dovrebbe cercare. Personalmente la metto più sul ‘lavoro’ indirizzato a ricomporre le tendenze di opposizione/antagonismo con la realtà che mi circonda.
Probabilmente Hui-neng ha tutte le ragioni: non c’è nè polvere nè specchio. Tuttavia a me tocca pulire lo specchio per vagamente intuire, ogni tanto, un barlume di pacificazione.
Ciò si ricollega ai commenti sulla frase evangelica citata da dhr nel post Cosa c’è dopo la morte.
Di per sé il corpo non è “negato” nella “Bibbia” tutta intera. Nel c.d. Antico Testamento ha un valore positivo, e un rabbi non sposato – come Gesù – faceva addirittura cattiva impressione. E’ stata la storia del cristianesimo a premere sulla questione del sesso peccaminoso: il senso di colpa è un’arma formidabile. Mentre nell’ebraismo NON esiste neppure il concetto di peccato originale.
A dire il vero non ho proprio la scrivania.Io pensavo ad una ricerca in se stessi,per capire meglio come ci si rapporta nei confronti di tutto ciò che ci circonda “umani” compresi, e forse forse scoprire se c’è troppa arroganza, o autostima… o se ce nè poca, non mi sembra cosa da poco. Riguardo al lavoro la ricerca è continua visto che lavoro saltuariamente con ditte interinali.”Lo specchio”?…ne ho uno solo, e non lo pulisco molto, tranne che nel punto dove mi si vede la faccia.L’idea del pallottoliere però non è male Grazie.Ora me lo compro!
Scusa, la frase sul pallottoliere era rivolta a mym che ormai ha preso il vezzo di contare i caratteri…
Quanto al lavoro, ovviamente intendevo il lavoro su se stessi, intesi come corpo-mente, lavoro che trova un eauriente paradigma nella pratica (ad es.) dello zazen. Sono dell’idea che procedere sul piano del ‘capire’ sia assolutamente insufficiente, se non mettiamo anche in relazione i processi mentali e percettivi con quelli corporei.
In un certo senso, non ‘Il distacco: essere al di sopra delle parti’, ma proprio il suo opposto: essere completamente (dentro) le cose, il momento che viviamo. Corpo-mente, appunto.
E’ vero. Tuttavia, mentre nelle tradizioni orientali – salvo direi rare eccezioni – il corpo è valorizzato come strumento, come terreno di pratica religiosa, non mi pare altrettanto succeda nella tradizione giudaico-cristiana; con l’eccezione appunto dell’esichiasmo.
Circa l’attuale pratica ebraica – che comunque saranno “pratiche” al plurale – non saprei.
Nel cristianesimo degli ultimi decenni si tenta spesso di rilanciare il “valore positivo del corpo”; l’impressione generale però è di un certo isterismo, che è semplicemente l’altra faccia della medaglia del disprezzo tradizionale.
Furbacchiotto!
Se non ci vedi (più) alcun dualismo, allora…’tutto è nella luce’.
Una volta le montagne erano montgne, i fiumi erano fiumi: poi le montagne non erano più montagne…
La storia a l’è bela, a fa piasì cuntela…
No problem doc, ho realizzato,è il mio complesso di inferiorità che ogni tanto affiora, inoltre mi piace ironizzare,… ma con senso.Vorrei dire a dr che corpo è corpo e mente è mente. possiamo non dar senso a nulla o credere importante tutto, comunque di sicuro corpo è quello che ci fa stare diritti. Mente è quello che ci frega,o ci aiuta, o tutte due insieme.Perdona il mio linguaggio ordinario ma con i miei limiti non vedo altre possibilità.Dimmi tu….Caro doc di certo essere dentro alle cose implica il fatto che c’è da girare con paraocchi e tappi negli orecchi se non si è al di sopra delle parti,o “distaccati”, si rischia l’influenza (A). Anzi… già accuso dei sintomi, speriamo che non si attacchi virtualmente.
Grazie per la correzione.
Esicasmo, esichiasmo, esichia sono forme usate con una certa indifferenza in letteratura. Senza dubbio la prima è quella linguisticamente corretta.
C’è un tempo per i tappi e per i paraocchi; e c’è un tempo per l’influenza. Siamo sempre noi, la vita che si manifesta.
Ognuno ha i suoi percosi e le sue esperienze, a prosito delle quali – soggettive ed aleatorie come sono – meno si dice, in fondo, meglio è.
Personalmente ritengo che prendere rifugio nel buddha che è me stesso, raccogliendo corpo e mente in una adeguata postura, sia una buona medicina. Meglio se in compagnia.
…giusto per rompere il ghiaccio, in questo pomeriggio d’autunno in cui il cielo è così terso da non far “pensare al male”…
La prima riflessione mi sorge se penso al “male” come ad una “deviazione ( errore, sbaglio..)” dalla via che sto percorrendo, per cui prima della ricaduta eventuale ( ma forse anche non necessaria ) su qualcun altro o qualcos’ altro, ciò che viene colpito è il “me stesso” che viene a trovarsi fuori…
Se poi considero il “me stesso” comprensivo del mondo che mi circonda, facendo “il male” a qualcuno o a qualcosa ( che solo apparentemente è fuori di me), il cerchio si chiude …sempre su me stesso.
Detto così mi sembra troppo semplice, però può essere un piccolo inizio… o no? Ciao
Oppure quando smetti di chiederti perchè ? Ma forse c’è poca differenza.Di certo sai perchè!… ma non è altrettanto certo che puoi sapere cos’è,senz’altro saprai che è solo una cosa tua,e come tutte le cose nostre, difficile da spiegare, in questo dò ragione a doc, meno si parla e meglio è. Grazie per l’insegnamento… anche se io purtroppo sono un chiacchierone, ed ho deciso di accettarmi così.
Nonnonnò, né perché né cos’è. Insomma, siete proprio una disperazione. L’unica cosa che conta è realizzare il come e continuare per sempre. Quale come? Il come uscirne. Il resto son chiacchiere perse, che sian tante o che sian poche non fa differenza. Se poi avete la bontà di rivedere il film, alla fine vi è una famigliola di criceti in una gabbietta. Chi non si identifica o chi si identifica “solo” per chiedersi perché et similia…
Non è troppo semplice e neppure un piccolo inizio, piuttosto è -con altre parole- proprio quello di cui parla il sutta. Io però chiedevo se qualcuno fosse disponibile a sbilanciarsi un po’ di più, cioè se qualcuno sia pronto a dire che cos’è o come distingue. Apparentemente dr -detto anche lingua tagliente- è nel vero, si sa in realtà solo ciò che si vive. Però in pratica ripete il grido di battaglia di Pierinux quando gli chiedo di aiutarmi a risolvere un problema sul sito: “Ranges!”. Che in veneto corrisponde più o meno al più mite adagio “aiutati che ‘l ciel t’aiuta”.
A non rispondere alla domanda, almeno a sè stessi, sembrerebbe quasi di procedere alla cieca, a pensare di rispondere si potrebbe pensare che ci sia veramente una risposta nascosta da qualche parte che ci consente di poter scegliere sempre ( o quasi ) la strada giusta. Personalmente non vedrei altra strada che il riferimento al proprio percorso. Le indicazioni date dagli insegnamenti credo siano abbastanza chiare, il come metterle in pratica, è la sfida continua di ogni giorno …
Certo che è tosta questa domanda…. ma porsela ogni tanto non può fare altro che bene. Ciao
ciao a tutti..
io quando si parla di questo argomento, bene e male,
ho in mente quel passo che dice che, quando non siamo rapidi nel bene la mente si diletta nel male.
ora, se non erro, nel buddismo si dice che bene è tutto ciò che mi mantiene nella “via” e male ciò che mi fà deviare da essa, il famoso “inciampo” probabilmente.
a questo punto direi che la questione è spostata a cosa sia questa benedetta via da seguire…
azzarderei che questa via voglia condurre ad una modalita dell’essere, del modo in cui cammino, che spontaneamente mi fà agire in modo conforme alla situazione( emancipazione da schemi precostituiti).
per cui questo male lo posso trovare nelle possibili ipostatizzazioni dei concetti di bene e male, che appunto essendosi fissati non mi fanno agire in maniera creativa e responsabile agli eventi…quindi il rischio di nascondersi dietro la regola…mi sembra che era confucio che disse che il saggio seglie caso per caso.?!
“Certo che è tosta questa domanda…. ma porsela ogni tanto non può fare altro che bene”, anche rispondendo ad Alessandro direi che si può fare qualcosina di più: “…. ma porsela spesso non può fare altro che bene.” Un altro discorso interessante potrebbe essere la relazione con ciò che noi (dico “noi” perché in due terzi del pianeta non esistono neppure le parole per dirlo) chiamiamo senso di colpa.
Va bene, ci riprovo: PRIMA di agire siamo mossi dall’istinto (automatismi psichici), ANCHE quando pensiamo di avere “ponderato bene”. Solo a posteriori comprendiamo il valore positivo o negativo di ciò che abbiamo fatto, e questo incide sugli automatismi successivi, ma in tutta la vita sarà grasso che cola se riusciamo a modificare l’1%.
..si hai ragione,e mi scuso ancora una volta.Il fardello è individuale,e le risposte non possono esserci.Il mio uscir dal tema in origine di questo sito, come ormai hai compreso, e causato dalla mia difficoltà a dare un senso minimo alla mia esistenza,così è da sempre.E mi ritrovo a cercar domande, senza risposte possibili.Avevo notato i criceti ma senza dar loro molto peso.Ora credo di aver capito.Ma non credo di farcela.Almeno non in questo periodo.(Tra i peggiori).
Questa cosa della precedenza mi pare interessante. Sarebbe quindi il senso di colpa già desto prima della mala azione a far sì che noi si sappia… Diabolico! È il gusto del peccato. Se fossimo nel “secolo giusto” a dr comincerei a mostrare gli strumenti…
@12
Pare di capire che la “salvezza” intesa come libera possibilità di scegliere il bene sia negata a priori dagli “automatismi/istinto”. È però un modo di negare la possibilità del distacco. Per non andar troppo lontano, anche Eckhart…
al n. 14 – La sfumatura era un po’ diversa: compiamo cattive azioni PERCHE’ avvertiamo già una colpa, un peso, una inadeguatezza dentro di noi.
Però va anche precisato che Agostino e Pelagio avevano sotto gli occhi (materialmente, fisicamente) lo STESSO mondo.
al n. 15 – La libertà potrà essere un punto di arrivo, non di partenza. Trovo abbastanza assurdo, per esperienza vissuta, il presupposto: “Siccome possediamo la libertà del volere, allora dobbiamo…”
I periodi peggiori… fanno star male. Mi spiace. A mio parere dovresti lasciar perdere (almeno per un po’) il buddismo e pensare in termini più liberi, ariosi. Chi te lo fa fare di cercar domande? I peggiori periodi hanno, almeno, il pregio di preludere ai migliori.
Riemerge il male, dunque, non un male individuale ma un male che coinvolge la Terra con tutto ciò che comprende. Difficile dire, a mio parere, se la colpa sia solo di coloro che compiono l’atto finale, mi viene da pensare che siamo coinvolti un po’ tutti, perchè queste azioni sono possibili per il tipo di società in cui siamo inseriti ( cosa banale e risaputa se vogliamo, ma che dovrebbe metterci di fronte alle nostre responsabilità, non fosse altro per come “fruiamo” i beni costruti anche con ciò che poi diventa rifiuto tossico). Quanto e come sia possibile evitare questa fruizione, non lo so, già il mezzo che sto usando in questo momento, mi sembra, è di “difficile” riciclaggio.
Probabilmente c’è un modo per trattare in modo conveniente i rifiuti di vario genere, ma, da quel poco che so, la cosa più importante e sulla quale bisognerebbe forse scommettere è la capacità dell’ uomo di cambiare la modalità di, diciamo, “produrre rifiuti” che comporta anche un nuovo ( o antico )modo di vivere ( mangiare, divertirsi, muoversi..)
Mi sembra che, oltre alle necessarie denunce ( necessarie perchè il prendere coacienza del problema è il primo passo per potere cambiare qualcosa) , sia questo, forse, un possibile contributo da parte dello zen, alla “cultura” occidentale intesa in senso lato. Cioè far scorgere che c’è un’alternativa al modo di vivere ” consumistico” ( con tutto quello che comporta) a cui siamo abituati. Un modo di vivere in cui magari, ci si sente più uomini ( o donne ) e meno soggetti ( o oggetti ) di consumo.
Scusate se mi sono dilungata un po’….
Sì, certo, tutte queste cose. Oltre ad un senso d’impotenza. Se si guarda da un’ottica buddista il cambiamento deve essere personale, senza curarsi dei numeri, una sorta di continuità nel fare come se dal nostro singolo gesto dipendesse tutto. Nella misura in cui si riesce a farlo tutto comincia a cambiare. Il futuro non è una nebulosa in mano a qualche entità misteriosa. Il futuro è quello che facciamo giorno per giorno. Praticare la libertà con caparbietà.
Torna con forza la questione dell’origine dl male sopratutto alla luce della dimensione del “con-essere”, la quale nell’uomo,in particolare, è inevitabilmente riflessione politica.
Certamente la religione vissuta nel sociale -possibilità evitabile solo con mai perfetti isolamenti eremitici- ha luoghi, aspetti che attengono al politico. La scelta dei consumi (cibi, beni vari) è tra questi. La potenza politica di tali scelte è funzione della profondità dell’etica personale. In termini più “comuni”: la fede muove le montagne.
Tiscrivo qui perché ormai da giorni non riesco a reggiugerti al tuo indirizzo: la posta mi è rimandata indietro con la nota che è impossibile trasmetterla, appunto, all’indirizzo indicato. Come mai? E’ un problema della mia macchina o della tua? Ciao
Se c’è qualche blogger umbro: il 19 novembre, ore 16, il libro verrà presentato a Perugia presso il Centro ecumenico (via del Verzaro, 23). Presenti lo storico Mario Tosti e il traduttore. Doveva venire l’autore Hesemann, ma ha pensato bene, buddisticamente, di dileguare in silenzio…
ciao, cristina, non so se il messaggiodove dicevi che non riuscivi a raggiungermi era riferito alla mia richiesta, se era possibile soggiornare per un week end presso la vostra comunità. sono interessato allo za zen che ho praticato per un periodo presso un dojo.gazie
ivan cecca
e-mail ivan.cecca@libero.it
Errore!
Scusa Ivan, il mio programma di posta agisce in modo autonomo rispetto quello che le chiedo, certamente il mio messaggio non era indirizzato a te!
Auguri. Cristina
Salve a tutti!
Volevo sapere se a questo concorso poteva partecipare anche il mio elaborato. Solo che si tratta dell’elaborato finale della scuola triennale di Rimini di Filosofia Orientale e Comparativa.
E tratta di stati di coscienza (anche se punta alla multiculturalità).
Vi ringrazio anche per l’incontro della settimana scorsa ad Urbino con Forzani e Marassi: è stato davvero interessante e soprattutto mi ha trasmesso una grande serenità. A presto e complimenti per il vostro lavoro.
Caro Carlo Maria,
Ci ha scritto pubblicamente perciò le rispondo pubblicamente. Il comitato che si occupa dell’esame delle tesi ha risposto negativamente alla sua richiesta. Come può vedere, all’interno del bando si specifica chiaramente che la borsa è destinata ai soli laureandi presso l’Università di Urbino. Un saluto, mym
Non credo, per come conosco Enzo Bianchi più che esperto di nascondimenti e silenzi lo ricordo come combattivo e tenace. Staremo a vedere, come sempre nella tenera parte dell’agnello… 🙂
mannaggia che tocca fare come Achille Campanile che spiegava le battute. Il riferimento ironico era a uno che, siccome è sempre a parlare in radio e in tv…
🙁
“Mauricio Yūshin Marassi fa emergere, attraverso un approccio rispettoso delle specifiche identità, le differenze sostanziali che separano il buddhismo dal cristianesimo.”
La seconda metà della frase capovolge la prima metà. Della serie: A buon intenditor…
Nuovo slogan per il dialogo interreligioso. Invece di “Cerchiamo ciò che ci unisce, invece di ciò che ci divide” ora vale: “Venezia è bella, ma non ci abiterei” !
Già.
Sono con quelli che considerano la parola ‘dialogo’ ambigua se non perniciosa. Se ci si incontra per conoscersi, confrontarsi, magari capirsi e con questo si spera di pervenire ad un rispettoso riconoscerci, allora il prerequisito minimo è di saper dire ‘Venezia non mi piace’.
La piaggeria è una falsa strada per la pace.
Può essere che la parola dialogo sia usata impropriamente in vari contesti, ma all’ interno di un “confronto” sincero sulle proprie identità religiose, non trovo un’altra modalità di comunicazione che possa portarci ad un “rispettoso riconoscerci”.
Non so, ma in un dialogo mi sembra sia importante lasciare comunque aperta la possibilità che l'”altro” mi possa cambiare, anche radicalmente…
Ciao Marta,
è ineccepibile quanto tu dici. Ma non ritiro la mia considerazione. Anche se riconosco che, grazie a Dio, ci sono tante persone che usano la reciprocità dell’uso della parola (dialogo) anche come reciprocità, ad es., di ascolto. Non solo per sbattere la lingua o fare la ruota. O peggio.
Questo Cd si intitola ‘confronti’: già questo mi pare un buon segno.
Capperi, Doc, così spiattellata fa un certo effetto, però considera che -come sai- la presa per i fondelli come non presa è stata insegnata. Perciò è detto presa per i fondelli, presa per i fondelli. Forse così è più chiaro, no?
Proprio così, proprio così o Mym-Subuthi!
(Ma non sarà che studiare troppo i sutra può far male?)
Comunque la mia Signora, cui ho trasmesso la pagina web come gentile omaggio, ha immediatamente colto la venatura ironica (o la vogliamo chiamare linguaggio-intenzionale?). Più veloce del cronometro!
Be’ era un post per soli maschi, ovviamente… E poi gliel’avevo detto che quel “quasi imprendibili” faceva acqua da tutte le parti. Complimenti alla sua Signora, comunque, le manderemo il kit omaggio.
Giuro, non sono io l’autore di quei versi. Basta confrontare il livello dei bellissimi haiku di Lasting con quello penosetto dei miei haiku pubblicati nella sezione “In English” di questo stesso sito. Se la signora vince il kit, io nella competizione vincerei il kat…
L’intreccio s’infittisce: assodato che attorno è fuffa -di gran lusso ma pur sempre fuffa- di chi sono i versi attribuiti ad Alan? Al primo che lo scoprirà un CD in omaggio, al secondo due CD in omaggio, al terzo…
Ciao doc, già, confronti importanti, tra le altre cose, anche da ascoltare. Non sempre si è in grado di porsi come interlocutori ( parlo per me ovviamente ) all’interno di un contesto ampio di confronto tra fedi e dottrine diverse, ma il porsi in ascolto delle varie diversità e somiglianze mi sembra permetta ( anche ) di mettere in crisi alcune “certezze” cresciute dentro di noi, magari senza che ce ne rendessimo conto, con quel che ne consegue…
Per questo ( e non solo )mi sento di ringraziare chi in questa continua ricerca investe una parte “non da poco” della sua vita….
semi e alberi sono la stessa cosa, uno dipende dall’altro.il “male” ? é la parte povera dell’uomo che ha avuto il dono della ragione, ma aimè… troppo spesso ne è vittima, perchè il sacco è troppo grande rispetto a quel che può metterci dentro, e sembra sempre vuoto.
Il convento ringrazia. Nel post ho dimenticato di aggiungere che il ricco incasso andrà interamente alla comunità di Bose. Mettere a frutto i talenti è arte antica in quel dei cristiani…
E’ normale vendersi. Lo facciamo tutti in questo mondo, inclusi gli eremiti. Con i soldi la sostanza non cambia, è solo meno ipocrita.
Sono d’accordo che il dialogo interreligioso non significa fare minestroni newage, lo ha detto anche il Papa 🙂
D’altra parte se si trova qualche analogia di precetti o intenti morali, notarlo non guasta.
Ciao
Grazie Al, è vero lo ha detto anche il Papa. Vorrei davvero sbagliare ma l’impressione che ne ho tratto ascoltandolo è che lo dicesse affinché non si confondesse l’oro (loro) con la paglia (gli altri), ma sai, sono un filino prevenuto per cui…
Be’ il Papa è un po’ come qualche altro noto aspirante monarca. Basta aggiungere “lui escluso”. Premesso ciò si può condividere anche quello che ha detto alla FAO contro il lusso e gli sprechi…
Sul sincretismo idem. E’ indubbio che in politica si trasforma facilmente in trasformismo e in filosofia/religione in qualunquismo ideologico.
Guarda guarda, con un anno e mezzo di ritardo mi sono imbattuta in questa denuncia di Jiso: non so come mi sia sfuggita allora… nè c’è altro da aggiungere, in realtà, alla più che esauriente, lucida, precisa delineazione e denuncia dell’aberrazione da parte di Jiso stesso. Posso solo dargli il sostegno, in pauroso ritardo, della mia totale adesione…
Ringrazio Cristina per il sostegno dell’adesione, non tardiva per il semplice fatto che le cose non vanno certo meglio. L’unica differenza è che non siamo più a maggio, ma il tempo continua a essere bruttino. A forza di resistere cesseremo di esistere, ma qui sta il bello della faccenda. Tutto ciò che inizia ha fine, e verrà dunque anche il giorno che le nostre “denunce” saranno osbolete. En attendant…
Il fatto è che cesseremo di esistere sia che resistiamo, sia che accettiamo e/o subiamo… e nessuno di noi individualmente ha il potere di cambiare le “cose”. Per me il problema è: Che fare? ( ti ricordi “Fontamara”? Plus ça change, plus c’est la mème chose!)
Se semi ed alberi sono “la stessa cosa” allora anche bene e male sono la stessa cosa. Quando parlavo del “ricordo dei semi passati” intendevo, in metafora, il loro lascito: gli alberi. Invitavo a vedere nell’albero anche il seme che lo ha prodotto. Fuor di metafora: il periodo di frontiera, spontaneità e fantasia di cui si “parla” nel film La Tana del Buddha è padre di questo presente, quindi un po’ si assomigliano.
Sì, è proprio così. Una delle ragioni per cui ho accettato l’esilio (chi scrive vive e lavora a Parigi) è stata per vedere se riesco a costruire qui un approdo, magari anche solo momentaneo, per giovani fuoriusciti dal nostro disgraziato paese, che non è più un Paese per giovani (neanche per vecchi, se è per questo, ma noi in fondo possiamo acquattarci più o meno ovunque). Prima di tutto per i mei figli, se vorranno, ma non solo per loro.
E’ la misura di quanto triste sia la situazione, il fatto che si debba
invitare i propri figli ad andarsene dal futuro che gli abbiamo preparato.
Perché per quanto le proporzioni delle responsabilità siano diversamente
distribuite, non possiamo chiamarci fuori, e attribuire la colpa di questa
miseria morale e umana a solo chi ha in mano le leve del potere. Gliele abbiamo date noi o almeno abbiamo lasciato che se le prendessero, ma non solo. Qui (in Italia) il degrado è endemico, il pesce non puzza solo dalla testa. Quando leggo con incredulo terrore (sì, perché ormai non fa più ridere, fa davvero paura) che un ex ministro della giustizia (!) propone di mettere la croce sulla bandiera, per arginare massoni ed islamici, senza che i custodi (che tali si impalcano a essere) di quel simbolo urlino all’oltraggio e lo fulminino con i loro anatemi, senza che i suoi colleghi lo invitino a un ricovero urgente, senza che da ogni parte si levino voci ad ammonire che le croci si uncinano, a maneggiarle con le mani e la mente sporche, allora mi accorgo, un mattino, che è finita davvero, è solo questione di giorni, anche fossero mesi. Abbiamo lasciato un’altra volta che i nemici del bene, il pubblico bene che è la casa del bene privato, trafugassero le chiavi e ci sequestrassero tutti. Glielo abbiamo lasciato fare, e questo è concorso di colpa. Ieri ero in metrò, nel ventre di Parigi, domenica c’è poca gente. Un tragitto un po’ lungo, mi siedo e di fronte un signore orientale legge un quotidiano cinese. Il retro della pagina che stava leggendo è di fronte ai miei occhi, mi ci cade uno sguardo.
Sulle prime credo a un abbaglio, guardo meglio. E’ una pagina intera dedicata al primo ministro del nostro paese. Al centro campeggiano due foto accostate: una è quella del Nostro, l’altro è Benito, vestito da gerarca fascista: appaiati, gemellati, quasi indistinguibili. Mannaggia, ho pensato, lo san pure i cinesi, solo noi non vogliamo vedere! Ragazzi, andate via, oggi il mondo è più accogliente del vostro paese. Andate via, e non perdonateci.
@mym: “Da quando ha iniziato l’università le consiglio di provare a pensare ad un futuro all’estero”. Beato chi c’è già arrivato e chi ci andrà. E’ anche il mio sogno.
@JF: “Non possiamo chiamarci fuori, e attribuire la colpa di questa
miseria morale e umana a solo chi ha in mano le leve del potere”. Ecco, appunto.
Vero vero, facciamo esame di coscienza, autocritica e quant’altro. Nel frattempo cheffamo co’ ‘sti ragazzi? Io non me la sento di dir loro: state qui e lottate per il vostro Paese. Soprattutto perché temo non servirebbe a nulla. Allora: all’estero all’estero!
Ho letto le considerazioni di Federica Sgaggio che Pierinux ci invita a prendere in considerazione, e mi pare che in effetti spostino l’attenzione dal messaggio al mezzo, per dirla in termini mediatici. Anch’io, leggendo la lettera del direttore generale Celli ho avuto retropensieri assai simili a quelli esposti nel blog di cui sopra. In particolare l’argomento Alitalia mi è parso uno dei meno pregnanti fra i tanti che si potevano scegliere per invitare i propri figli all’abbandono della patria e per di più presentato con un taglio ricattatorio e antipatico. Anch’io, per seguire la giovane giornalista nel suoi ragionamenti, penso ogni tanto che Saviano, col suo copyright su ogni sospiro, potrebbe personalizzare un po’ meno la sua battaglia. Però ho paura che siamo alle solite: il Titanic affonda e qui si discute se l’orchestra doveva suonare Mozart o Vivaldi o se il primo violino sia lì perché è brava o solo perché è l’amante del direttore. La lettera di Celli è uno spunto di riflessione, quali che siano i più o meno reconditi motivi per cui l’ha scritta e Repubblica gliela pubblica in prima, proprio perché l’esemplare figliolo non ha nessun bisogno di lavorare per vivere, né di faticare per cercare un posto, né rischia di fare il precario a vita: se, per strumentale che sia l’operazione giornalistica, è ammissibile pensare che uno così ben piazzato dal destino possa preferire l’espatrio agli agi di una vita da privilegiato, vuol dire che siamo proprio mal messi. Non è quando scappano i topi che ci si deve preoccupare davvero: è quando salgono alla chetichella sulle scialuppe gli ufficiali di bordo.
Quindi il punto è: servirà a qualcosa andarsene? E chi lo sa! E’ una scelta in perdita, questo è chiaro, la ratifica di una sconfitta. Ma serve qualcosa restare in un paese dove, sul fronte dei resistenti, chi frequenta i vertici come il signor Celli (ex-direttore generale della RAI!!!) sembra indignarsi più che altro per i ritardi dei voli Alitalia, e chi stimola la riflessione indipendente si incaponisce nella critica al narcisismo di colleghi che comunque rischiano la pelle per dire la loro?
Sì, mi era stato segnalato il post di Federica appena uscito, non avevo commentato (se non per mail) tuttavia credo che, una volta disquisito della correttezza politica o meno degli argomenti a supporto, il tema posto dalla lettera di Celli andasse affrontato nel merito. Che riassumo: indicare ai giovani, figli e non, la via di una sconfitta pressoché certa nel buio delle conseguenze o favorire una scelta (quasi?) altrettanto difficile (chi non ha esperienza del migrante non sa quant’è salato l’altrui pane), magari pronti a tornare quando e se…
In Italia – è vero, è un paese pieno di difetti gravi – ci sono più leaders che seguaci. Vogliamo essere tutti leaders: armiamoci e partite!
Tutta ‘sta storia secondo me rientra nella strategia ‘politica’ di Repubblica, giornale-partito che non amo partcolarmente, visto che da un quotidiano cerco se possibile un po’ di informazione; non mi piace il lavaggio dei cervelli né la manipolazione strumentale (come ad es. nel nostro caso il rinforzo ossessivo della delusione-depressione, nella speranza che le masse trovino il famoso sussulto di orgoglio, a favore di ‘buoni’ naturalmente). Questo genere di strategia, spesso impantanatasi nel gossip più squallido, fa leva sull’emotività dei fedeli di parte e si propone come centro di potere mediatico alternativo. Mi puzza. La ritengo corresponsabile del degrado del nostro paese. (In sintesi, non è la destra che ha vinto, miei cari, ma la sinistra che ha perso!).
Qualche tempo fa mi furono tirate le orecchie da un caro amico per aver espresso l’umano desiderio che mio figlio raggiunga un titolo di studio ed una professionalità che possano aprirgli una qualche strada per la sopravvivenza futura: mi fu fatto notare che da un punto di vista buddista, preoccuparsi per il futuro dei figli e tentare di ‘indirizzarli’, è proprio ciò che non si dovrebbe fare.
Noto quindi che, appena la si gira in ‘politica’, la passione ridiventa incoercibile, ed i figli ridiventano ‘figli e mammete’
Emigrare? In quale paese? Uno dei paesi ‘ricchi’, immagino: Usa, Canada, nord Europa… . E magari con un posto di prestigio: ambasciatore, scrittore ecc…. Siamo alle solite. Credo che nessuno speri per i suoi figli di farsi strada con le proprie capacità – magari partendo dalla gavetta – a Kabul o in qualche angolo dell’Africa, dal Congo al Biafra se ancora esistono, o giù di lì. Se non da ‘ricco europeo’ con babbo alle spalle o, nella migliore delle ipotesi, funzionario di rango o leader di qualche organizzazione umanitaria.
Forse sarebbe il caso di vedere i nostri rampolli con un po’ più di fiducia e stima, magari evitare di condizionarli. Non è possibile che siano meglio di noi, che abbiano occhi più chiari dei nostri? Suvvia, un po’ di fede!
Caro doc,
la mia adesione alla “proposta” di mym non era certo dovuta all’influsso nefando di Repubblica, che di certo non leggo, anzi neppure ho letto il testo riportato qui nel blog; ho semplicemente visto l’introduzione di mym.
Essendo un libero professionista relativamente giovane, non vorrei mica andare all’estero a fare l’ambasciatore; però sogno un Paese qualunque dove, se mandi in giro il CV, la gente almeno gli dà un’occhiata, anche se non sei parente – amico – amico degli amici – amante di nessun intrallazzatore.
Caro doc, aspettavo un tuo intervento, visto che sei uno dei pilastri di questo sito, sei padre e sei, pensavo, per vari motivi coinvolto dal tema. Mi permetto dunque quello che credo sia un uso improprio di questa pagina, rivolgendomi a te personalmente. Ma visto che lo faccio in modo pubblico per un discorso allargato, forse il guardiano del sito mi concederà l’eccezione.
Per me la questione è assai semplice, e vorrei tanto sbagliarmi. L’Italia, se non succede qualcosa che non saranno le prossime elezioni, è ormai destinata a diventare un paese “fascista”. Uso intenzionalmente la parola proibita, perché condensa, nella mia sensibilità, quell’insieme di protervia, egoismo, vitellonaggine, cattiveria, meschinità, razzismo, stupidità, mancanza di visione ideale, ottusità… elevata a sistema di potere che il fascismo ha incarnato così egregiamente nel secolo scorso. E allora vorrei che i miei figli e i tuoi e quelli di chiunque non vivessero in un posto così.
Non ho nessuna aspirazione dirigenziale per i miei figli, se mi dicessero che vanno in Congo a guidare un trattore o a Stoccolma a suonare in un gruppo rock la mia preoccupazione sarebbe solo per la loro salute, come ovunque peraltro. E’ l’aria che si respira in Italia che mi preoccupa, per quanto io possa avere fiducia nelle loro capacità critiche. Se il fumo passivo fa male anche a chi non fuma, perchè mai non dovrebbe far male il fascismo passivo?
Tutto qui.
Certo, questo modo di vedere, che è anche uno stato dell’animo, ha a che fare col pensiero che mio padre mi ha consegnato un paese appena liberato dal fascismo e io lo riconsegno a mio figlio in questo stato. E’ più che probabile che i miei figli siano meglio di me, non ci vuole poi molto. E dunque ho fiducia in loro, ma questo non c’entra col nostro discorso. Anzi. Oggi andare all’estero, magari per qualche anno, anche non da rampolli di dirigenti, è un’esperienza che fa respirare aria nuova, fa vedere le cose da altri profili. E magari fa venire in mente soluzioni, per il proprio Paese che non verrebbero in mente se non si uscisse a prendere un po’ d’aria meno viziata.
“Quell’insieme di protervia, egoismo, vitellonaggine, cattiveria, meschinità, razzismo, stupidità, mancanza di visione ideale, ottusità” che si trova benissimo anche in Umbria, dove da 60 (SESSANTA) anni di seguito senza interruzione governa la c.d. sinistra. Italiana.
Il che, caro dr, è ,ahimé, irrilevante. Il fascismo di cui parlo non è un partito politico, è un modo di essere (anche se in Italia siamo riusciti nel “miracolo” di incarnare in un partito politico uno stile di vita, ed è per questo che lo chiamiamo così, quello stile). E’ una forma mentis, e come tale si ritrova ovunque. Dunque in questo dx o sin per me pari sono. Anzi, visto che per storia storica e personale la stragrande maggioranza delle persone che ho frequentato in vita mia sono state (e sono) di sin, mentre quelle dichiaratamente di dx le conto sulle dita di una mano, va da sé che, per la legge dei grandi numeri, i peggiori fascisti che ho conosciuto erano di sin. Me compreso, a volte. E sì, perché essendo una forma mentis, una categoria dello spirito, un comportamento di vita, e non una tessera, si è fascisti quando lo si è. Il lato buono della faccenda è che, essendo un modo di essere, si può dismettere, volendo, come ogni altro modo d’essere. Però bisogna saper riconoscerlo. Qui torniamo all’Italia di oggi. Un’occhiata allo specchio è un dovere che abbiamo prima di tutto verso noi stessi, credo. Ama il prossimo tuo come….
1. “Anzi, visto che (…) va da sé che, per la legge dei grandi numeri, i peggiori fascisti che ho conosciuto erano di sin.”
Quello che adoro di questo “luogo” (situs) è che vi si dicono cose che nessun altro sa dire.
2. “Il lato buono della faccenda è che, essendo un modo di essere, si può dismettere, volendo”.
Hmm, fosse così facile…
Ciao Jf e ciao Dr,
…tuttavia siamo su un sito buddista a parlare di persone.
Il tema si è fatto molto ampio e non ho una posizione particolare da sostenere, salvo concordare che sì, viaggiare ed avere esperienze anche all’estero certamente è una grossa opportunità per una crescita personale, a patto che la si sappia cogliere nel modo giusto. E questo può essere utile, come suggerisce Jf, a migliorare anche il proprio paese d’origine.
Poi, a volte, al bar, si può anche dire che sì, piuttosto che gli italiani, meglio andare all’estero…
Ma il tema originale, quello della lettera a Repubblica, è un’altra storia: a me pare un artefatto giornalistico che dà fiato ad un piagnisteo misto di pessimismo, autocommiserazione e rassegnazione, di facile presa emotiva. E’ una scena ad effetto studiata ‘politicamente’ (eh sì, purtroppo siamo a questi livelli…) e politicamente direi quantomeno di ‘cattivo gusto’. Non credo che meriti analizzarla ulteriormente.
Tuttavia mi viene da dire: i nostri figli non meritano certi consigli, soprattutto da padri che hanno fatto brillanti carriere sapendo benissimo come si fa a fare brillanti carriere.
(scusate il ritardo, ma sono rientrato tardi :-[ )
Mi viene da rilevare che, in realtà, non si parla di fuggire dall’italia bensì dagli italiani. Pertanto, non siamo tanto un paese fascista, quanto un paese popolato da ‘fascisti strutturali’.
Ma sapete quanti italiani ci sono in giro per il mondo? come scansarli? 😀
Siamo responsabili del degrado della nazione quanto lo potrebbero essere delle aspiranti pulci in confronto a consolidati elefanti.
La sinistra è colpevole ma non così becera e volgare come i cialtroneschi neo-crociati dell’altra sponda.
Repubblica non sarà il quotidiano ideale ma lo preferisco mille volte al Giornale.
Il declino politico-morale dell’Italia è innegabile ma quando vedo i livelli di censura, oppressione, miseria e precarietà dell’esistenza di tre quarti dei paesi del mondo, penso quanto sono fortunato a vivere qui…
Caro doc,
all’estero è pieno di italiani, però il mondo del lavoro – almeno in parte – funziona in modo alternativo. Perfino nella Cina monopartitica, iper-funzionarizzata e insabbiatrice c’è posto per la meritocrazia, quando la si ritiene utile allo sviluppo del Paese.
Perciò se V. (figlia di mym) avesse bisogno di aiuto per fare le valigie, non ha che da chiamarmi.
Un altro piccolo addentellato a quel “volendo” scritto da JF: se nulla possiede consistenza e tutto è impermanente, perchè l’unica realtà affidabile dovrebbe essere la volontà? Che anzi…
Caro doc,
l’Italia la fanno gli italiani (come diceva Garibaldi, o era Nino Bixio? o Claudio Bisio?) e il fascismo lo fanno i fascisti. Non ho detto, e non lo penso, che gli italiani siano fascisti in quanto italiani e dunque il problema degli italiani all’estero in questi termini per me non si pone. Ho semmai suggerito che, se il fascismo è una categoria mentale e un modo di essere prima di tutto individuale, gli italiani hanno regalato al mondo e alla storia la capacità di renderlo partito politico, nel senso di aggregazione organizzata per la gestione e l’amministrazione della polis, della res pubblica. E non è poco. Per cui oltre che guardarci allo specchio ogni tanto per dare una controllata a noi stessi come individui, sarebbe il caso di farlo anche come collettività a rischio. La lettera di mr. Celli, quali che siano i motivi per cui l’ha scritta, è per me un’interessante provocazione, nel senso etimologico di “chiamarmi fuori” dal mio habitat mentale e costringermi a guardare in un altro specchio. Ricordate il Sutra del Loto? Ai figli nella casa in fiamme, inconsapevoli, il padre non dice: Voi che siete tanto bravi, state dove siete, gettate acqua sul fuoco e spegnete l’incendio! Li alletta con un dono stupendo perché escano fuori e si salvino. La questione è: la casa (nella fattispecie l’Italia) sta bruciando o è solo un fuoco di paglia, e il fumo una manovra dei disfattisti? Mi sa che presto lo sapremo.
Caro dr, “volendo”, fra due virgole, non stava a dire che per dismettere un modo d’essere basta volerlo né che si fa con la forza di volontà. Stava a dire che per dismettere un modo d’essere bisogna volerlo fare, innanzitutto. Volerlo e farlo son due cose distinte, ma credo sia il volerlo che conduce sulla soglia del farlo.
(Esco lievemente di topic, ma resta comunque legato alla “possibilità di redenzione” di un singolo o di una nazione)
“Credo sia il volerlo che conduce sulla soglia del farlo”: sulla base di Spinoza, tendo a capovolgere la questione. Si fa – di fatto – qualcosa, per cui lo si percepisce come “voluto” (“Se un sasso lanciato in aria potesse pensare, penserebbe di muoversi di sua spontanea volontà”). A decidere che cosa si fa, a monte, sono una serie di spinte inconsapevoli difficilmente controllabili.
Pessimismo? Attendo smentite con trepidazione. Le attendo dalla vita; a cominciare dalla mia.
Nel frattempo, se c’è bisogno anche di un facchino per le valigie, ecc.
Caro Jf, non è che io non veda gli aspetti preoccupanti che tu sottolinei: è, innanzi tutto, che spero che tu ti sbagli. E’ che voglio/devo aver fiducia nei più giovani. E’ che penso che un sano spirito critico vada applicato sempre (quindi anche di fronte ai giochini come quelli di Repubblica); mentre il rinunciare allo spirito critico quando a spararle grosse sono quelli che consideriamo ‘amici di parte’ rientra proprio tra quei vizi italiani, modi di essere, che tu stigmatizzi e che stanno alla base del ‘fascismo strutturale’ e dei nostri ragionamenti. Così un po’ come vedere l’erba del vicino sempre più verde.
Non sono d’accordo nello stiracchiare la metafora del sutra del Loto per applicarla a situazioni contingenti. Una metafora vale per il campo di applicazione per cui viene proposta: nella fattispecie qui si tratterebbe di scappare di casa abbandonando nella casa che (forse) brucia, donne e bambini. Oltretutto nutrendo quella che mi pare un’altra bella illusione: che fuori di casa si trovi tout court l’Eldorado, i ‘veicoli’ di ogni foggia e rivestiti di mille pietre preziose. E’ vero, è molto tempoche non viaggio e non ho poi girato il mondo così tanto: ma se andiamo a guardare i paesi ‘esteri’ e la loro storia con spirito critico, così come facciamo per il nostro stivale, non mi pare che ci sia poi così tanto da ridere.
Certamente, chi vuole andare via fa bene a farlo (per ora, almeno, è possibile!); casomai, se e quando ci ripensa, torna indietro.
A questa sera…
Sarà pure che io arrivo a credere di voler fare questo o quello per una serie incontrollabile di spinte e controspinte che risalgono al big bang (o chi per esso), però se mi fermo nella risalita alla decisione (di tirare il sasso che poi se potesse pensare crederebbe ecc..) conta o non conta la mia voluntas? Ho un margine per cui posso decidere di tirarlo o no? Non sempre, certo, ma almeno in qualche caso. Altrimenti che bruci la casa, metto anch’io la mia fascina, è così bello il fuoco! Lo so, è vexata quaestio, però posso almeno credere di voler credere che posso credere di poter volere. O no?
E così siamo arrivati a Llosa: ”Posso anche immaginarmi che scrivo che già avevo scritto che mi sarei immaginato che scrivevo che avevo scritto che mi immaginavo che scrivevo che mi vedo scrivere che scrivo” (La zia Julia e lo scribacchino). Comunque oggi su La Repubblica c’è un interessante articolo (on line non lo trovo) di Benedetta Tobagi che è ben rappresentato nel titolo “Ma i padri non devono invitare alla fuga”. Egregiamente argomentato.
Che ritmo, comincio ad ansimare. La mia precedente era, con evidenza, per dr.
Caro doc, è proprio perché ho fiducia nei giovani che gli consiglio di farsi un giro. A casa si sta bene, fa caldo, si capisce la lingua, in fondo non manca niente e qualche frustrazione si può anche mandar giù. Fuori non c’è il Bengodi e l’erba è verde se la innaffi. Però ogni erba non è un fascio (absit iniuria verbo). Qui dove mi trovo parlo con un giovane italiano che fa studi umanistici, è sostenuto economicamente da questo governo di destra che spende per la ricerca (perfino quella umanistica che non serve a niente!) e finanzia senza guardare la nazionalità (“non ce n’è per i nostri, figurarsi per luri” direbbe un ministro nostrano) e incoraggiato dai professori solo sulla base del suo impegno (che è qualcosa di diverso dal merito). Non è che al di là della siepe c’è l’Eldorado, è che al di qua l’erba è secca. E poi, guarda, andare a vivere lontano dal proprio paese non è come fare un viaggio, per lungo che sia. E’ un gran sacrificio, anche se non sei un sans papier, come dicono qui, un extracomunitario clandestino, come si dice da noi. Non è una bazzecola neanche per chi va per star meglio e non solo per fuggire a un orrore. Però sembra che tiri un’altr’aria, finché dura, mentre da noi a me pare viziata. Ma chissà, forse è solo il mio naso ad esser viziato. Spero, con te, di aver torto. E se ho torto la metafora del Loto me ne scuso: lo sapevo che qualcuno avrebbe eccepito. Però le situazioni sono sempre contingenti. E i giovani non lasciano donne e bambini, a meno che non siano molto precoci.
Concordo con Louis per quanto riguarda la lettura dei quotidiani.
Anche a proposito dei neo-crociati.
Lo stesso sul fatto che nascer qui è una specie di fortuna, ma se ci si paragona al peggio un colpo di machete è una carezza in confronto a uno di bazooka (si scrive così?).
Tante pulci pesano come un elefante.
Poi a meno di uscite fantasmagoriche depongo le armi.
L’articolo di Benedetta Tobagi è davvero da leggere (anche per chi ha in uggia La Repubblica). E’ l’altra faccia dell’articolo di Celli. Lei poi il rapporto adulto col padre se lo è dovuta inventare. Mi pare abbia fatto un egregio lavoro.
Ma allora quelli di Repubblica non sono così malfidati se mettono in prima entrambi i lati della medaglia (l’ho detto, però non ricominciamo daccapo, per cortesia).
Molto bene. Un punto per Repubblica, per quanto mi riguarda. E si può perdonare la tardività della ‘risposta/punto di vista complementare’: voglio sentirmi magnanimo . (O sarà la magnanimità che si traveste da volontà per farmi fare la solita figura del fesso?!)
Complimenti anche alla sintesi di Louis (n. 16), con cui concordo.
Aggiungerei solo una cosina, non certo per critica ma per rinforzo: quel quarto di mondo che non citi è proprio quello dove tutti vorrebbero andare per ‘stare meglio ed avere maggiori opportunità’: ed è anche quello la cui popolazione si crogiola in agi determinati dalle ricchezze sottratte agli altri 3/4 del pianeta con mirabile sprezzo del prossimo e crudeltà passate presenti e, temo, future inaudite. E’ quello che consuma ed inquina non so quante volte più degli altri 3/4 di mondo ed è quindi particolarmente responsabile del disastro ecologico planetario. E’ quello che ha inventato la guerra preventiva; è quello che ha appena votato al referendum per continuatre a produrre e vendere armi e non vuole i minareti; eccetera eccetera
Non è tutto oro quello che luccica.
E così – contro tutto il senso del discorso imbastito da JF – si è arrivati alla rassicurante conclusione che chi vuole emigrare per lavoro è un imperialista e un fascista.
Peccato che a lanciare la discussione “pro espatrio” sia stato mym, che in comune con “lui” ha giusto la pelata.
Hai ragione doc, e qui si aprirebbe più che un nuovo canale di discussione, una voragine. Non parlavo comunque di equità, ma di fortuna. Tale è purtroppo, in questo mondo, il “normale” diritto di non morire di fame e di stenti o di bombe. Aggiungo che il poter ancora parlare liberamente in un blog, non essere, come avviene nei regimi teocratici, lapidati o decapitati per preferenze sessuali o per aver manifestato idee contrarie al ras di turno ecc. sono valori che la laicità e l’illuminismo hanno portato nella nostra cultura e noi dobbiamo preservare con tutte le nostre forze. Non gettiamo l’acqua sporca insieme al bambino (non dico a te, ma in generale a chi tende a rappresentarsi solo il marcio e gli aspetti meno edificanti della nostra civiltà).
Ciao anche a Louis.
Io, caro Dr, ero arrivato ad altra conclusione ,che provo a tratteggiarti. (Ho notato una certa propensione ad una visone ‘personale’ del tema, in questo blog: o è solo la mia sensibilità?!)
Ovunque siamo, siamo ‘qui’ ed abbiamo a che fare con i problemi e la gente di ‘qui’: che non è un posto geografico, naturalmente, ma – vergognosamente citando a mente le criptiche parole di Doghen – è nientemeno che il “mondo della trasmissione del dharma”!. Le cose cambiano e così le condizioni esterne a noi. Gli stessi paesi attraversano, tutti, fasi cicliche e non esiste un mondo fisico a nostra personale misura. Se non tutto almeno una parte del nostro disagio profondo, inteso come dukkha, non dipende dalle condizioni ambientali.
Che poi la mia volontà sia causa efficace e sufficiente ad eliminare il ‘velo’che mi tiene ai margini di quel “mondo della trasmissione del dharma” , non saprei; ma non posso fare a meno di volere. Ci sarà pure un motivo…
Caro doc,
in sé hai ragione, ma se a sentire quel disagio sono anche personaggi come mym e jf, che sicuramente sanno riconoscere i trabocchetti delle “false fughe illusorie”, allora qualche problema ci sarà sul serio.
Quanto ai toni “personali” dei miei post, verissimo. Vorrei guadagnarmi onestamente da vivere con il sudore della fronte… sì, l’ho detto, arrestatemi!!
Oggi, 3 dicembre, su La Repubblica vi è il terzo articolo della serie, s’intitola “I miei figli all’estero col cuore italiano”, di Veronesi Umberto. Tratta del Villaggio Globale. Fa sbadigliare fin dal titolo…
Ah beh, allora è da leggere prima della nanna…
Caro dr, capisco cosa vuoi dire: è buona cosa avere dei punti di riferimento che ci aiutino ad orientarci, soprattutto quando trattasi di ‘buoni amici’ al di sopra di ogni sospetto. Ma appoggiarsi ad altri è comunque perdere l’equilibrio. Ed in più si rischia di caricare questi altri di responsabilità che non hanno, quale quella di aver indirizzato una nostra scelta: un domani potremmo dire ‘ecco, è colpa dei suoi consigli se oggi mi trovo in questa situazione!’
Andare, venire, stare: perchè preoccuparsi tanto delle opinioni altrui? perchè dire ad altri cosa è bene fare e cosa no? quali sono le reali motivazioni che ci spingono a fare una scelta o l’altra?
Nessuno ti arresterà nè ti criticherà, se vorrai andare: anzi, se trovi un bel posto magari invitami chè mi farebbe giusto bene muovere un pò il sedere da qui…
Mi ero persa questa questione, e forse nessuno leggerà più, chissà, meglio così.
Se torniamo alla “frasetta” e al monito di leggerla buddista, mi viene da pensare che male non sia sostantivo, ma aggettivo e avverbio (non ci sono sostanze in casa di Buddha). Male è la qualifica che può avvighiarsi a ogni cosa, come quel rampicante a quell’albero. E’ l’effetto male di una causa male. Anche amare, non lo sappiamo?, può avere effetto male. Come è possibile? Perché ho amato male. Se amiamo bene c’è l’effetto bene. Si vede dopo, però di solito lo si sapeva anche prima. E questo è doppio male, perché non posso dire che non lo sapevo, eppure l’ho fatto. Questa è la vera megalomania, di pensare che posso mutare in effetto bene la causa male. E quando non lo so, se quel che sto pensando, che sto per dire, che vorrei tanto fare è causa bene o male, ci son apposta i precetti a suggerire. E là dove tutto tace, la coscienza e i precetti, non fare niente è sempre bene fare.
Per il resto ogni torto è irreparabile e c’è solo il momento che viene.
Bene, allora non facciamo(ci) male. Se non sono cose non si può neanche chiedere che cosa sono. Le modalità non si possono fissare, anche brucia! non ha temperatura, figuriamoci lento e veloce. Però, stabilito che non sono cose, vi è un conoscerle o no?
PS: i commenti non passano mai inosservati. A volte inevasi.
(copio un post che avevo scritto su un altro blog tempo fa)
Strano ma vero, la cosa [la questione del crocifisso] potrebbe essere considerata in chiave polemica anche da un punto di vista cristiano.
Infatti per almeno 500 anni — quindi ben oltre le necessità di “segretezza” imposte da persecuzioni a ritmo alterno — i cristiani per primi non si sarebbero mai sognati di esibire dappertutto l’immagine del Crocifisso. Il quale, per ammissione dello stesso Gesù e poi di Paolo, aveva un valore scandaloso, quasi orrorifico, una “medicina forte” contro qualsiasi pericolo di idolatria. E invece… si è riusciti a trasformare in un idoletto perfino quello, soprattutto a partire dal XIV secolo a opera dei francescani.
Una storia che, nel suo insieme, ha risvolti davvero paradossali.
“per ammissione dello stesso Gesù”. Fammi capire meglio: il crocifisso esisteva già come simbolo in Palestina/Israele, prima della crocifissione di Cristo?
Caro doc,
esisteva come PATIBOLO ed esclusivamente così. Un patibolo riservato agli schiavi senza dignità e ai peggiori delinquenti — i cittadini romani venivano decapitati, che era considerata una forma di onore, diversamente dalla gigliottina nel ‘700. Per gli ebrei era sinonimo non solo di esecrazione ma di maledizione.
Per questo, adottare la croce come “trono della divinità” era uno scandalo inconcepibile.
Già, e come uno “scandalo” viene percepito da coloro che, non “resi ciechi” dall’abitudine, lo vedono per la prima volta. Non è infrequente nelle scuole elementari trovarsi a dover “giustificare” la strana presenza di “quell’uomo” messo in croce ai bambini stranieri. Certamente non viene vissuto come un simbolo di pace e di amore. E spiegarne la storia veramente non è semplice…
Ci sarebbero tante altre cose da dire prima…
Intervengo con un sensibile ritardo perché ho pensato a lungo se, e come, esporre il mio dubbio in relazione a quanto scrive padre Luciano. Leggo nel suo Corollario: ” Chi può comprendere un islamico ignorando il suo tipo di religiosità? Oppure un orientale, o un sudamericano? E chi può comprendere la storia di questa Italia, ignorando la religione cattolica?” Questo mi trova pienamente d’accordo: nell’attuale convivenza di culture diverse è, più che importante, essenziale conoscere la componente religiosa di ognuna di esse. Ma a questo punto mi sconcerta l’affermazione successiva che “il messaggio religioso, quindi universale” sia declassato a “messaggio culturale, quindi locale”. Cosa significa? Come può essere universale un messaggio che si può comprendere, come è stato appena detto, solo in relazione a una determinata cultura e viceversa? Se è un messaggio universale, è ugualmente comprensibile in quasiasi tipo di cultura, per definizione stessa del concetto di “universalità”. Oppure tutte le religioni sono universali, ma qualcuna è più universale delle altre?
Cara Cristina, il dubbio che proponi è, almeno formalmente, solo in apparenza problematico come a te appare. Infatti Luciano (mi permetto qui di interpretarlo, ma credo di non sbagliare) scrive “come si può comprendere la storia di questa Italia, ignorando la religione cattolica?” e non come si può comprendere la religione cattolica ignorando la cultura italiana (o europea o occidentale). E’ vero che nella prima frase c’è un doppio scarto, perché si parla della religiosità di un islamico (che non è una definizione né etnica né geografica ma religiosa) poi della religiosità di un orientale o di un sudamericano (cioè del sentire religioso in base alla geografia culturale) e poi dell’influsso della religione cattolica (la Chiesa? l’educazione ricevuta? il sentimento diffuso? il fatto che comunque dai e dai qualcosa è permeato del messaggio religioso cattolico?). Però è difficile negare, quale che sia l’accezione in cui quell’affermazione è dichiarata, che la storia italiana non è comprensibile ignorando la religione cattolica (italiana, aggiungerei io). Tutt’altra storia è parlare di radici cristiane dell’Europa, questa sì un’affermazione incomprensibile dal punto di vista religioso. Ammesso e non concesso che la religione abbia e metta radici (il Figliol dell’Uomo non ha dove posare il capo, ma dove piantare i piedi sì?) visto che l’albero si giudica dai frutti e l’Europa è il frutto dell’albero cristiano… auguri. Ma sopratutto, dire che le radici dell’Europa sono cristiane equivale a dire che le radici cristiane sono europee (a ogni albero la sua radice, da una radice un’albero), e dunque l’unica possibilità di essere cristiani è europeizzarsi, almeno nel modo di intendere la religione. Questo è il piccolo grande trucco pseudo-religioso dei nostri tempi, a questa greppia li trovi tutti, cristiani europei, islamici arabi, buddhisti giapponesi e via cantando. L’equazione cristianesimo uguale fede evangelica più logos greco che manda in visibilio papi e teologi è, alla fin fine, una forma di colonialismo culturale che ogni Chiesa declina a modo suo ma che, a me pare, con la religione nulla ha a che fare.
A Luciano, piuttosto, chiederei altro, ma non so se mi sente, quindi lo chiedo a che ascolta. Scrive: “L’aver declassato la religione a materia facoltativa e confessionale è stato una scelta miope”. Ma in Italia l’insegnamento della religione è sempre stato confessionale, anche quand’era obbligatorio. E definire la religione una materia mi pare discutibile. Penso che si dovrebbe sì insegnare a scuola la religione, altroché, ma so anche che la religione non si insegna. Oggi si pongono problemi che un tempo non sussistevano. Ai miei tempi, nel medioevo di cinquant’anni fa, la religione era una e “insegnare” quella voleva dire insegnare tutta la religione. Non è più così e non lo sarà mai più, per quanto scalcino i nostalgici. Che fare?
Grazie di mantenere viva l’attenzione sul “politico”.
Ricordare è significare(se ji è JUYUzanmai..), altrimenti poi sono le ricostruzioni pre-potenti che si impongono, altrimenti poi “siamo” costretti a invitare i giovani ad andarsene all’estero.
Aiutiamoci a risignificare,aiutiamoci a ricostruire, aiutiamoci a con-vivere.
Quando il politico penetra con violenza, con l’inganno nella vita di tutti non è “solo” politico. È anche banditismo, terrorismo. Il vulnus che provoca è nella totalità della vita. Pur con differenze di ambito e di strumenti nessuno dovrebbe chiamarsi fuori. Fare, per esempio, il parroco a Corleone o a Casal di Principe non può non deve prescindere da tutto quello che vi accade di “politico”.
C’entra eccome, eccome se c’entra. Quelle bombe del 12 dicembre di quaranta anni fa hanno cambiato il corso delle nostre vite, come quando si devia un fiume con la dinamite. Viviamo ancora nel cono d’ombra proiettato da quell’evento, noi che avevamo vent’anni e tutti quelli che son venuti dopo. Il nostro qui e ora non è un attimo senza tempo, avulso dal prima e sconnesso dal poi. A ciascheduno il suo, ma ciascheduno è fatto della materia con cui siamo fatti tutti.
Dice bene mym: è un pezzetto della nostra storia. Ed è sacrosanto ravvivare la memoria per comprendere il presente e costruire il futuro.
Anche altrove ci sono state stragi o delitti irrisolti (mi sovviene ad es. la saga dei Kennedy), ma qui da noi la storia rimane ‘politico’, tanto che ancora non è definitivamente storia neppure l’epoca del fascismo. Ciò premesso, concordo: il ‘politico’ diventa materia in noi e ci costituisce. Come il pane consumato, come l’aria che abbiamo respirato, le letture e gli amori di cui ci siamo nutriti . Anche l’espressione della nostra ‘religiosità’ ne risulta di conseguenza condizionata.
Non ne consegue però, a mio avviso, che il ‘religioso’ debba o possa diventare ‘politico’. Sennò è un guaio peggiore. Mi auguro che i parroci, così come gli imam o i loro colleghi ministri di altri ‘credo’, colgano la differenza.
Non entro nel merito del bell’articolo di Ferrarella: non sono abbastanza preparato in materia, non è la sede, e poi si aprirebbe un vaso di Pandora. Concedetemi solo una piccola, ironica considerazione: alla fin fine mi risulta che l’unico ‘mandante’ accertato dell’epoca delle stragi, che si è fatto tutta la sua bella galera, sulla sola base delle dichiarazioni di un ‘pentito’, senza riscontri oggettivi, sia stato Adriano Sofri. Ha proprio ragione il Sire Nostro in The Sky a prendersela con la magistratura politicizzata!
Dice bene doc: il politico diventa materia in noi e ci costituisce. Ma non finisce qui, temo. Non di solo passato vive l’uomo. Il politico è anche ciò che noi (come e cosa pensiamo, diciamo, facciamo) materializziamo nel nostro ambito, quale che sia. Il nostro modo di stare nella polis, nella vita associata. D’istinto tendo a concordare sulla considerazione che non ne consegue “che il religioso possa o debba diventare politico”. Ma poi mi dico: c’è un religioso astratto, che non si incarna nella vita vissuta? E c’è una vita vissuta che non tange il politico? E poi, quale “religioso”? E Gandhi? E Bonhoffer? E don Puglisi e don Diana? In un contesto brahamanico separare religioso e politico non ha senso, così come, mi pare di capire, in un contesto ebraico, islamico e in fondo anche cristiano. L’imperatore Asoka, il principe Shotoku han fatto del buddhismo religione di Stato, uno in India, l’altro in Giappone. Sulla base di quale riscontro possiamo dire che questi eventi politici non hanno influito sulla vicenda, anche spirituale, del buddhismo? Questioni antiche e amare. Forse è lecito dire che si può (deve?) provare a vivere religiosamente anche il politico: cesare e dio stanno su facce opposte dell’unica medaglia, la terza faccia sono io che le tengo insieme.
Ciao Jf. Era chiaro che scoprivo un fianco, con le mie affermazioni. E giustamente tu ti ci infili. Però credo che converrai con me su un punto: che va preservato uno ‘spazio’ – che possiamo anche non chiamare ‘religioso’, ma come chiamarlo? – dove chi ne ha necessità possa ‘ritrovarsi’. Se lo zen avesse avuto, ai tempi, connotazioni ‘politiche’ nè tu, credo, nè io ci saremmo mai lasciati coinvolgere. E non avremmo avuto questa splendida opportunità. Opportunità che io spero venga preservata per altri.
Inoltre, seppur io nutra poche convinzioni in materia, credo che ciò che chiamiamo ‘politico’ non sia l’unica nè la principale causa della sofferenza: personalmente non metto il ‘sociale-politico’ al primo posto nella genesi di dukkha.
E’ naturale che, percorso un cammino di liberazione, il praticante ritorni poi a considerare il mondo che lo circonda e quindi anche a riconsiderare il ‘politico’ come parte integrante della (propia) esistenza. Ma questa è un’altra storia.
Mi piace pensare che è proprio quella ‘opportunità’- simboleggiata se vogliamo dallo zazen – che faceva dire al Patriarca: non dobbiamo contaminarlo!
Perdonate ancora una piccola chiosa ‘politica’.
Forse sarà per l’età o per vecchio vizio italico, ma sembriamo troppo spesso più orientati al passato che al futuro.
Va bene la ‘memoria’, ma intanto la storia è andata avanti… Oggi i grandi temi politici sono anche e soprattutto quelli che si dibattono e si combattono per le strade di Copenhagen.
Alla enorme, spietata, tracotante violenza delle multinazionali e dei loro lacchè, si contrappone il sacro e santo furore di giovani che si battono per poter domani ancora respirare l’aria o bere l’acqua che gli lasceremo (se glie ne lasceremo), seppur imputridita dai reflui del nostro folle stile di vita.
Il politico ha cicli brevi (20-30 anni, max. una generazione). Il religiso ha cicli lunghi (secoli, millenni). Il religioso include il politico, non viceversa. Per questo il politico di turno si allea sempre strumentalmente al religioso. Sia il politico che il religioso sono sovrastrutture che celano e giustificano ideologicamente il potere reale, concreto e materiale. Politico e religioso – in pratica la cultura – sono omnicomprensivi o esiste una natura più profonda dell’uomo che sussiste al di là di essi?
La domanda è birbante. Se sussistesse farebbe parte anch’essa del calderone, a volte politico a volte religioso, comunque: potere reale e concreto. Se non sussistesse: be’ ragazzi, scendete dal pero, siete come gli altri ecc. ecc. Il problema è antico. Il fatto di dire che “tutto è illusione” non è in contraddizione col fatto che io mi tenga alla larga dalla galera: c’è illusione e illusione. Il punto per il quale sia la vita sottoposto al 41 bis, sia un soggiorno nella suite reale di Maracaibo sono illusioni alla pari…. ecco lì si può cominciare a parlare di natura profonda che sussiste aldilà.
“… sovrastrutture che celano e giustificano ideologicamente il potere reale, concreto e materiale”.
Un onesto riassunto del marxismo, ma ingannevole. Il potere è TOTALMENTE virtuale. Esempio: se nel momento in cui il padrone X esigesse la cosa Y, NESSUNO gli obbedisse, il suo potere crollerebbe.
Certo, se A disobbedisce, e invece B, C, D ecc. obbediscono e sbattono A in galera, allora la cosa non funziona e il potere sussiste. Quindi è “reale, concreto e materiale” solo perché si troverà sempre qualcuno che, per un qualsiasi motivo, acconsentirà a fare il “lavoro sporco”.
Postilla. Il marxismo tutto sommato è una forma ottimista di utilitarismo: la gente fa le cose “per soldi” (qui si stanno ovviamente tagliando le cose con l’accetta).
Ma sono arrivato alla conclusione che la gente NON agisce affatto per il proprio utile. Si potrebbero “guadagnare molti più soldi” se si agisse diversamente.
Per tornare al precedente blog sull’emigrazione all’estero: gli italiani credono di essere molto furbi e di procurare l’ “utile” proprio e dei propri amici con l’uso sistematico dell’ammanicamento. Invece l’unica cosa che hanno ottenuto è di trasformare l’Italia in una pozza di m***a.
Ciao Doc, concordo con quasi tutto ciò che scrivi nel 6. Credo anche che lo spazio di cui parli, che mi ha attirato a suo tempo e sempre mi richiama, debba “inghiottire” tutto il tempo della mia vita e non essere un ritaglio di tempo fra altri tempi. La meta della via mi pare quella. Altrimenti quell’opportunità (rappresentata idealmente e praticamente per me dallo zazen) diventa nicchia di rifugio, e questo può essere un altro modo di contaminare. Quanto al 7, certo, non di solo passato, ma anche di futuro… Però senza la luce sul passato il futuro è più buio. Se i ragazzi di Copenhagen, coi quali probabilmente correrei fossi ragazzo, guardano solo il presente per sperare nel futuro, senza vedere il passato che li conduce lì, che vuol dir anche essere disposti a rinunciare a parte degli enormi benefici che quel passato ha loro regalato, il rischio è che domani buona parte di quei ragazzi si trovino a schierare la polizia contro i loro nipoti, se ci sarà ancora qualcuno in giro.
Una parola al 9, non per sproloquiare su tutto, ma perché il tema è fondamentale. La vita dentro al 41bis e quella nella suite di Maracaibo sono parimenti illusorie ma forse non sono illusioni alla pari. Forse il 41bis è così cogente che può indurre più dell’altra condizione reazioni radicali, conversione o suicidio; mentre la suite coltiva la mollezza. Però dalla suite si può uscire in qualunque momento, dal 41bis è un bel po’ problematico. Infatti, nel mito fondativo, Sakyamuni è uscito da una suite, non da Bad’e Carros.
Dalla bellissima Divina Commedia a fumetti di Go Nagai (il creatore di Goldrake), un dialogo che avviene nel cerchio infernale degli avari, parole non presenti nel testo originale del poema:
DANTE – Dimmi, maestro: per quale ragione la brama umana è senza limiti? Perché ci si riduce a esseri così meschini?… Oppure quella è la vera essenza dell’uomo?
VIRGILIO – Io non ti posso rispondere. Non sono un santo. E forse ciascun uomo deve sforzarsi di trovare dentro di sé la risposta a quella domanda.
Chiarimento per dr n.10: sono d’accordo con l’osservazione. I tre attributi con cui ho connotato il potere si includono l’uno nell’altro. Reale è il contenitore più ampio che implica anche gli aspetti psicologici, motivazionali ecc. Marxianamente invece avrei dovuto parlare di “rapporti materiali di produzione”, ma non credo che si esaurisca tutto lì.
@louis
Spero comunque che i lettori apprezzeranno il nostro sforzo di dare i Massimi Sistemi in pillole 🙂
Shakyamuni ci è riuscito bene con la seconda Nobile Verità.
Caro jf, forse non mi sono spiegata bene: convengo pienamente sul fatto che la storia d’Italia, ma non solo la storia: anche la letteratura, l’arte, le tradizioni popolari e la concezione stessa dei rapporti sociali, non è coprennsibile a prescindere dalla religione cattolica, e convengo altrettanto pienamente sul fatto che qualsiasi altra storia, di qualsiasi altro paese, non sia comprensibile ignorandone la, o le religioni. Precisamente questo è, secondo me, il punto: la religione si dimostra, proprio perciò, un importantissimo fattore “culturale”. E con altrettanta chiarezza si dimostra “non universale”: a ogni cultura la sua religione, a ogni religione la sua cultura. Suggerisco di abbandonare la metafora dell’albero: certo un albero ha un’unica radice e da’ frutti tutti uguali. Pensando all’Europa, non mi pare proprio che – cito a caso – Greci, Lapponi, Svedesi, Islandesi, Portoghesi siano frutti tutti uguali dello stesso albero dall’unica radice. Semplificazioni di questo tipo sono eccessivamente riduttive, il linguaggio figurato ha un suo fascino evocativo ma a a volte è opportuno non lasciarsene suggestionare. Dire che le radici dell’Europa sono cristiane equivale a fare un’affermazione senza senso. Meglio tacere, lasciar parlare il silenzio. E non perché io abbia paura a parlare.
Cara Cristina, pienamente d’accordo ad abbandonare la metafora dell’albero: le metafore sono come le zattere, servono fin quando servono, poi sono d’ingombro. Credo che nel nostro discorso si mischino almeno due piani. La religione è certo un fattore culturale, ma la formula “cuius regio, eius religio” (a ogni regione la sua religione) non dice tutto. Un cristiano lappone (ce ne sarà uno), un cristiano vaticano, un cristiano del Bangla Desh, hanno un quid religioso in comune? E se ce l’hanno, è quella l’universalità del cristianesimo? O è nel fatto che un lappone, un vaticano e un Bangla Desho possono riconoscersi cristiani? Io da un po’ di tempo a questa parte penso che l’universalità, intesa come fattore che tutti accomuna consista nell’unicità di ciascuno, non in qualche forma di generica eguaglianza. Ognuno di noi è unico, siamo nati tutti, ma ciascuno è nato lui , lei, non altro; moriamo tutti, ma solo io muoio come me. In questo siamo accomunati e uguali, nell’essere ognuno unico, e qui ci possiamo ritrovare. Francamente non so se c’entra molto con il discorso che stavamo facendo, ma mi viene di “risponderti” così.
Prima e oltre Shakyamuni e Marx siamo interpellati dall’E-mergenza , e anche oggi da lì partiamo e lì dobbiamo con-venire.
L’esperienza luogo della relazione inesauribile tra verità e illusione, politica e religione, luogo della sofferenza e della (possibile?) libertà..
o quantomeno non ne vedo un’altro.
Nemmeno io so bene se c’entri, che ridere! ed è forse per questo che ora mi sento sulla stessa lunghezza d’onda. In effetti le definizioni perdono consistenza di fronte al fatto che “ognuno è nato lui/lei; solo io muoio come me.” Questo, si, è “universale”… Ciao.
Esco dalle mie nebbie lisergiche(preso come sono dalla farsa dell’esame per abilitazione)e scrivo senza disposizione mentale(insomma non letto un bel niente).L’ostensione della vagina, come immagine corrente, ne rivela il segreto e la sputtana.Le prestazioni ginniche degli amanti hanno lo scopo di abolire la madre e codificare il figlio come un incidente erotico che non meritava attenzione.La pornografia è lo sbarazzarsi infastidito di ciò che copre ancora le pudende e gli atti inerenti come un paio di vecchie brache.Si apre la via per una nuova castità che non costerà rinuncia e martirio ma sarà spontanea come il profumo di un fiore o l’aria che si respira.Lo sfrontato principio di vita non troverà più la bruciante materia prima.
PS.Ho il karma della tartaruga, sosto ancora nella tana del buddha..
a dr
Semmai, un sesshin val bene Parigi.
Ma poi, un sesshin non è una messa, io non sono Enrico IV né un convertito per l’occasione che occasione non è. Au contraire, si tratterebbe di convertire Parigi….
– Appunto.I sistemi religiosi costituiscono una sorta di metafisica popolare destinata a comunicare Dio al popolo(un pubblico vastissimo).Se la natura popolare di tutte le religioni è un limite insuperabile e Dio per i pastosi sentimenti della gente non significa nulla(o al massimo ‘parigismo’),come si fa a comunicare la verità senza l’abuso religioso?Adieu mon ami(si fa per dire).PS.Sono sconvolto dal grande insuccesso..
Non penso vi sia una verità da comunicare. Al più, per chi ama quel tipo di cose, potrebbe esservi una verità da cercare. Mi spiace per il grande insuccesso. Dalle “mie” parti si dice “a golpes se echen los hombres”, quindi, in quel senso puoi considerarti fortunato, almeno come hombre.
Anche a me spiace per il grande insuccesso, di qualsiasi cosa si tratti. Spesso però un grande successo è ben peggio.
Comunque, che c’entrano Dio, il popolo e la verità con la RE LI GIO NE? E poi (10), io sono SERISSIMO…
Rifletto sul grande insuccesso.E’ così:forze soprannaturali mi sono contro.Se i divulgatori di religioni non possono che esprimere la verità sensu allegorico per il tramite del veicolo mitico spetta alla filosofia comunicarla sensu proprio per via immediata. Secondo il concetto la verità è unica ed eterna.Quando conoscere la verità diventa un pericolo mortale il meno che si possa fare è comunicarla agli altri.Se lo stato di diritto ci difende dallo stato di natura chi ci difende dalla società?La metafisica non è altro che la politica di una mente più accorta.
PS.Agli spiritualisti dico:se non volete leggere le tracce di diritto penale sessione 2009 di ieri(16.12.09)guardate blob di oggi (17.12.09).Giusto per comunicare la CO MU NI CA ZIO NE.
PS.Dalle “mie” parti si dice “My love is a revolver!Do you wanna die happy?”.
Siccome vengo da una infernale maratona di tre giorni questa argomentazione non vuole essere un pezzo di bravura.Premesso che senza una seria riflessione sulla musica rock non si può parlare di etica, secondo la cosmologia buddhista il mondo NON è la mia rappresentazione. Da amateur dissento in toto sulla ‘Proposta europea’.Le spiegazioni mistiche sono superficiali e rivendico il primato della teologia. Tuttavia resto un antiagostiniano: la verità sopravviene all’individuo come un incidente, dal di fuori per cui è l’idea del visibile che alletta, non ciò che si vede.L’appello terapeutico è mendace.Gli occidentali non hanno mai sentito parlare di una salute che passa attraverso la rinuncia ad essa.L’esistenza del medico attesta che c’è qualcosa per cui la società gli sfugge, e soprattutto sfugge al suo naturale rappresentante, il politico.La politica introietta la malattia, e quindi il medico, nell’ordine di sua pertinenza.La salute diventa un fatto politico e il medico politico a sua volta.Oggi se la ‘società’ ti cura stai fresco.(N in illo tempore come se l’avesse previsto indico un’altra via:naufragare nella malattia).
P.S. Capite?Io posso conoscere tutto,ma proprio non voglio. Al silenzio preferisco i LIT FI BA – Apapaia – (pleasure listening).Della serie ‘critica’ ai nervi di mym..
NB.Je ne recherches pas le temps..
@ homosex
Leggere i tuoi commenti è fantastico.Mi sento leggera e sicura nella fortezza delle tue parole anche se non le capisco.Visto come scrivi sono fiduciosa sull’esito fausto del tuo esame.Ciao.
Caro Doc, leggo in ritardo e in ritardo intervengo, così, tanto per scaldarmi un po’ in questa gelida domenica mattina parigina. Mi riferisco al 4. Capisco che la parola “dialogo” ti sia in uggia, spropositamente usata com’è, ma non c’è granché altro fra umani. Ma non di questo volevo dirti. E’ la questione di saper dire “Venezia non mi piace” che non mi convince. Venezia, cioè il luogo dell’altro, è per lui il suo tutto (parliamo di religione, no?) come per te è Torino, per restare alla metafora campanilista. Mentre per te, di e da Torino, Venezia è luogo di visita, di pensoso turismo, al meglio. Non ha senso che tu gli dica che non ti piace, come prerequisito minimo del”incontro. La piaggeria non c’entra. Tu di quello che è per lui “Venezia” non sai niente, o meglio, sai solo che è per lui quel che per te è “Torino”. E’ proprio la tua idea di Venezia, il sentimento che ti piaccia o no, che devi scordare, per ascoltare come te la racconta lui, che è la sua casa, la sua vita. Sempreché tu lo voglia o lo debba incontrare. Altrimenti è meglio guardare le foto da soli.
Ciao Jf, sono orso , è vero, ma non poi così tanto. Mi piace ‘smascherare’ quel po’ di ipocrisia che traspare a volte da certo politically correct.
Nella fattispecie l’accento era sul ‘saper dire’: il fatto che Venezia mi piaccia o no lo consideravo irrilevante (per altro Venezia è, a mio avviso, uno splendido luogo dell’anima). Se, per accattivarmi la simpatia o l’attenzione dell’interlocutore, o semplicemente per non dispiacerlo, dico che amo Venezia anche se non è vero, apparentemente il dialogo è favorito. In realtà tutto quanto ne segue è basato su una menzogna o quantomeno un misunderstanding di fondo, che vizia ascolto e comprensione reciproche. Poi, ci sono modi e modi…
Sono del parere che (di solito) sia meglio una verità, anche se poco gradevole all’orecchio, che non una armonica bugia. La sincerità è quindi il prerequisito minimo che mi preme. E non interdisce l’ascolto, quando il mio ruolo nel dialogo è di ascoltare.
Anche se noi torinesi siamo famosi per essere falsi e cortesi!..
Sono d’accordo, se con “mente” si intende una cosa del tipo: “la sintesi neuronale della sequenza delle nostre azioni, e dei nostri progetti (per l’immediato, non i sogni)”.
Oooooh! Sono proprio contento. Finalmente qualcuno che non solo apprezza ma (addirittura!) si trova leggera e sicura nella prosa di Homosex. Mi ero scervellato, avevo chiesto aiuto ai pezzi da novanta per scrivergli due righe a tono. Ma nessuno era in grado neppure di rilevarlo, il tono. Ed ora Isabela. Grazie. E un “in bocca al lupo” a H. Che il grande insuccesso fosse “solo” percepito?
Gna gna, sempre spiritoso. Volevo evitare un concetto di “mente” molto niùeig come se fosse chissà che cosa. Meglio una visione minimalista, ma pratica, che produce appunto quegli effetti auspicati dal Dhammapada citato.
Caro doc, mi spiego meglio. La sincerità (l’onestà intellettuale) è senz’altro un requisito necessario anche se non sufficiente. Ma quello che volevo dire è che se di dialogo religioso si tratta, la “città” dell’altro va in linea di principio accettata in toto: è una questione di sincerità anche questa. Fuor di metafora, se A è il testimone buddista e B è il testimone cristiano, A deve accettare di farsi raccontare il cristianesimo da B, e non partire dal presupposto che il ii cristianesimo “non gli piace” perché la sua frequentazione, i suoi studi, la sua esperienza glielo hanno reso spiacevole. Poi semmai, gli potrò fare degli appunti: Venezia è umida, ci sono un sacco di topi, troppi turisti e troppo da camminare… oppure fargli notare che fra il suo racconto e quello che tu vedi ed esperimenti ci sono discrepanze. Ma se parti a dire che non ti piace, che ci si incontra a fare? Credo che la cosa che più conta in questa faccenda del dialogo sia l’intenzione: a che pro’ dialogare? Forse è su questo che ci si dovrebbe mettere d’accordo come prima cosa.
Io non so se apprezzo, perché troppo mi sfugge, ma due notazioni le faccio.
Prima, le spiegazioni mistiche non possono essere superficiali (né profonde) perché non sono spiegazioni, nel senso che non sono esaurienti: c’è sempre un resto. Il passaggio mistico (la porta stretta?) è lì, in quel resto.
Seconda, non è vero che gli occidentali non hanno mai sentito parlare di una salute che passa attraverso la rinuncia ad essa: vedi Paolo di Tarso e/o Francesco di Assisi, per fare solo due casi lontani nel tempo e nel linguaggio.
Con l’aggiunta che se al posto del silenzio ci fossero davvero sempre i Liftiba, forse anche homosex preferirebbe il silenzio.
In effetti hai ragione Jf, la frase ‘venezia non mi piace’ è un paradigma sbagliato ( a chi mai può importare se mi piace o no?), e devo ammettere che l’ho tirata in ballo proprio io al n° 4. Impropriamente, l’ho già detto qui sopra. Chiedo venia.
Mentre il tema era più o meno ‘il mio modo di vivere è diverso dal tuo’, oppure ‘la mia religione è diversa dalla tua’. Quello che mi premeva dire è che, in ogni caso, c’è il rischio che il non saper dire, nel senso di non osare dire, vizi la reciproca comprensione. Molto spesso la parola ‘dialogo’ viene usata come se implicitamente contenesse in sè l’obiettivo di trovare una quadra, una formula che faccia sembrare tutti d’accordo, tutti contenti; ad esempio, concludere che tutte le religioni sono uguali ecc ecc Anche per questo, nasconde molte insidie. Perciò ‘confronto’ mi pare un termine più sincero e meno ambiguo.
PS- Mentre cenavo, lasciata questa mia in sospeso, ho sentito Bersani dire la stessa cosa (la parola dialogo è ‘malata’ ecc ecc). Mentre altri personaggi politici intervistati, di quelli cui non affiderei le chiavi di casa neanche per un secondo, continuavano ad usare enfaticamente il termine ‘dialogo’. Che Bersani segua questo blog?! Che ne abbia anche lui le scatoline piene di demagogia e di politicamente corretto?!
Magari, caro doc, ne avesse Bersani le scatole piene di quella roba. Sono del tutto d’accordo, la parola dialogo è malata, ma lo è perché sono “malati” (leggi in malafede) i dialoganti, e lo sarebbero anche si usasse la parola “confronto”, che in italiano significa anche “paragone”, motivo per cui non mi pare adatta per il ….(non so più come chiamarlo) religioso: “non facciamo paragoni” si diceva una volta. Io ogni tanto la metto così: il dialogo è un’impossibilità logica (non si può che constatare irriducibili differenze, a cominciare dai linguaggi) e una necessità esistenziale (vivere implica dialogare, prima di tutto con se stessi). Comunque auguri a Bersani. E un consiglio da amico: non guardare la tele o ascoltare la radio, quando ceni, soprattutto le news: ti fa andare i bocconi di traverso. O forse mi sbaglio, e Bersani era a cena da te.
Milano in questo momento non mi piace… ma ci andrei (in treno, per le vacanze in Piemonte). Se lo Yeti non ci rapisce e il Dalai Lama non viene a salvarci.
– – – – –
AUGURI A TUTTI !!!
fiiiiùùùùùùùùùùùùùù che roba! Anzitutto, grazie della fiducia, per avermi immeritatamente inserito tra gli eletti… beh, arrivo subito al sodo: sono d’accordo. ok ok, anche nella chiesa cattolica ogni tanto salta su uno a dire “torniamo all’essenziale, liberiamoci dagli orpelli” ma poi in realtà non lo fa nessuno. invece, conoscendo i tipi, so che VOI state dicendo sul serio. anzi, QUESTA è la differenza QUALITATIVA che il “buddismo zen di scuola Soto del sito La stella del mattino” ha nei confronti di qualunque religione, filosofia, setta, movimento ecc. ecc.
caro Yushin, hai ragione quando dici che trasferire l’esperienza giapponese in materia di formazione e approfondimento è sbagliato. Non ti seguo quando dici che i centri non hanno ragione di esistere. Mettiti nei panni di qualcuno che senta il desiderio di capire cosa ha da offrire lo Zen. Si compra un libro — magari uno dei tuoi — e si dice: mmmm, interessante, voglio saperne di più. Cosa fa?
Adesso fa un google e scopre che in Lombardia c’è un centro Zen, dove i responsabili hanno una traiettoria personale non da buttare, e che ha uno spazio dove ogni settimana a tale e tal ora ci si siede in zazen. Prende su e ci va. Gli fa male il culo ma ritorna. Fa un passo in più nella conoscenza dello zen e poi può decidere di lasciarlo oppure di farne un altro.
Se tu abolisci i centri, come ci si raccapezza chi vuole saperne di più in prima persona su che cosa è lo zen? Come trova il fratello a fianco del quale sedersi? Facebook? Un abbraccio,
CG
Caro CG, grazie, sei coraggioso: mettere i piedi nel piatto espone a rischi… Il tuo intervento, in una certa ottica, è perfetto. Molto chiaro e diretto. Allora: o sono un pollo e non ho pensato ad una cosa così platealmente chiara, oppure… Se clicchi qui trovi un “centro”. Per cui sarei doppiamente pollo: dico una cosa e ne faccio un’altra. Oppure… A mio modesto avviso, la parte interessante di questo breve scritto sta esattamente nella tua domanda. Per non essere troppo sibillino, una cosa penso sia bene dirla: chi ha parlato di “abolire i centri”? E poi, a proposito di chi legge dello zen in un libro e vuol saperne di più… prima di preoccuparmi voglio vedergli le mani: se non sono scorticate a forza di bussare a destra e sinistra… può continuare a leggere libri.
Caro Yushin, Tutto questo è molto molto interessante e di attualità, dato che siamo entrati – dopo la fine di Galgagnano – nella via invisibile di Buddha. Abbiamo già parlato di questo con Jiso e sono d’accordo, senza esitazioni, con la tua interpretazione. Ho appena discusso di questo nel mio testo nell’ultimo numero de “La Stella del mattino”: il buddismo come ricerca – attraverso l’appartenenza a un centro – di una nuova identità individuale e sociale. Per me, leggere questo, è una boccata d’aria fresca. Ma come puoi immaginare, per tanti altri – in particolare la “scuola” di Deshimaru – sarà preso come un attacco, un discorso scandaloso di un uomo che vuole dare
lezioni su ciò che non è il buddhismo. Eppure ha il merito di essere detto apertamente. Però nessuno chiuderà “il suo” centro, come tu e Jiso avete giustamente deciso per Galgagnano. Penso che questo messaggio possa
essere d’aiuto per un giovane che stia provando a percorrere la via del buddha, praticando in un centro, a sviluppare la domanda interiore: cosa sto facendo cosi? Fu (è ancora) per me una domanda interiore durante anni con la vicinanza di “insegnanti” che – penso- non avevano più aperto questa domanda da molto tempo. Sì, è un testo molto controverso, perché si vuole rovesciare tutto il movimento della storia del Buddismo Zen in Occidente. Lo Zen è venuto dai missionari giapponesi motivati dalla diffusione del loro insegnamento. Mi riferisco, naturalmente, alle “scuole” che ho frequentato qualche tempo fa, Deshimaru in Francia, Suzuki Roshi a San Francisco e Maezumi Roshi a Los Angeles. Credo che Uchiyama abbia fortemente incoraggiato i suoi successori alla creazione di centri. Dato che questo mondo oggi è così fragile e falso, la tua raccomandazione, relativa a una prassi più solitaria e invisibile, è una discussione sull’onestà e l’integrità della nostra fede in zazen e nella vita, prima di condividere questo in un gruppo. Un funzionamento con incontri
“organici” di fratelli praticanti (è infatti una caratteristica della
tradizione Theravada, credo) mi sembra anche più vicino della via del dharma che una costruzione piramidale di un centro.
Spero di essere un poco utile in questa risposta. Ci vediamo presto spero. Un abbraccio – OP
Caro Op, grazie per il commento, la tua lunga e varia esperienza su tre continenti fa di te un testimone prezioso. Una precisazione: il testo di cui stiamo parlando, è un documento interno alla Stella del Mattino, se gli appartenenti ad altre “scuole” vogliono discuterlo sono i benvenuti, con il rispetto e la cautela che avremmo noi qualora discutessimo i loro documenti interni.
Caro Y, permettimi di sprecare qualche parola in difesa delle persone comuni che incorrono nell’errore segnalato in “Pantomima”, errore dovuto sì ai costruttori di fantasie che si concretizza in centri per insegnare, per far fare –al servizio della propria vanità e della propria borsa -, ma non solo, credo. L’errore fa parte della nostra struttura mentale costruita negli anni: gli autodidatti sono una specie generalmente irrisa da chi si è formato lungo i percorsi accademici e sotto la guida dei più quotati maestri, e questo vale in tutti i campi della conoscenza umana, dall’arte del cuoco a quella del pensatore. Difficile per la persona comune cogliere subito dal primo approccio la differenza sostanziale tra queste conoscenze e la pratica del Buddismo. Inoltre, in ogni attività che si esercita è prassi ed anche esigenza materiale farlo nel luogo adatto: non è pensabile studiare o scrivere di filosofia, per esempio, nel ripostiglio o nel gabinetto di casa! D’altra parte, il cercare tenacemente il confronto con chi ha esperienza richiede un luogo fisico dove poterlo fare! Io parlo da non iniziata, però penso che il discorso possa essere esteso a molte persone che non hanno raggiunto una consapevolezza pari alla tua e degli altri che come te hanno impegnato in questo per intero la loro persona. Ti scrivo tutto questo come augurio per il nuovo anno: augurio per te e per tutti noi.
Ciao! Non so se vada “cercato tenacemente il confronto con chi ha esperienza”, probabilmente si, e certamente ci sono delle persone che vanno cercando questo rapporto. Quelle che vengono qui, immagino, abbiano anche questa motivazione. Alla fine, dal mio punto di vista – che è il punto di vista non di chi cerca un rapporto ma di chi si offre ad un rapporto – la questione di fondo è: con quale intenzione ti offri alle persone? Perché è evidente che mi offro ad una relazione innanzitutto e, in quella relazione, porto quello che posso portare e ciò che sono e ciò che mi muove. Le persone si usano a vicenda, comunemente, ma non è detto che debba essere per forza così. Perchè mi offro? Perché è nelle cose che mi offra, sarebbe innaturale non farlo. E’ manifestazione di un protagonismo? E’ un esibire? Queste sono domande pertinenti e dalle quali ho dovuto partire, da tempo. Che cosa mi rispondo? Che un tempo c’è stata una traccia evidente di egoità e, misurandomi con essa, ho potuto lavorarla e trasformarla. Misurandomi con essa. E’ scomparsa? Non saprei, di certo non è condizionante. Se sono andato oltre me stesso, in una qualche misura, è perché ho accettato la sfida che da me stesso veniva. Oggi non ho alcun particolare interesse per me ed offro ciò che sorge dalla mia esperienza di vita: potrei tacerlo o posso offrirlo, qual è la differenza se questo non mi riguarda,
cioè se non sollecita nulla sul fronte della mia identità? Sono in gioco io? Mi “riguarda” quel che propongo, mi torna come “guadagno”? Nel tempo il mio sguardo su me e sulla realtà è diventato più vasto e con esso è anche sorto quel gesto naturale del mettere a disposizione. Sarei uno stupido e brucerei questi anni se non avessi uno sguardo lucido sull’intenzione che mi muove. Dal mio punto di vista si possono aprire centri come si possono chiudere, si può tacere o si può parlare, si può ricavarne un reddito oppure no, tutto dipende dall’intenzione che ci muove. Ciao!
Il problema è per me quello segnalato sopra da CG: “Se tu abolisci i centri, come ci si raccapezza chi vuole saperne di più in prima persona su che cosa è lo zen? Come trova il fratello a fianco del quale sedersi?” Ce n’è un altro ad esso legato: quello della consapevolezza: ma questa non è un’intuizione immediata, bisogna impararla…
…. Ricorderete la storia del diavolo e un suo amico che, camminando, vedono un uomo chinarsi, raccogliere qualcosa da terra e metterselo in tasca. L’amico chiese al diavolo: “Che cosa ha raccolto?”. “Un pezzo di Verità”, rispose il diavolo. “Un brutto affare per te”, disse l’amico. “Per niente!”, rispose il diavolo.
“Aspetterò che la organizzi!”….
Forse qualcuno ricorda questo passo tratto dal ‘discorso dello Scioglimento dell’Ordine della Stella’ (ma guarda un po’ a volte le analogie…)di Krishnamurti: 2 agosto 1929.
Può essere interessante andare a rileggersi tutto il discorso.
Perdonate, devono essere ancora i postumi della sbronza di stanotte: ma in questo giorno, che inaugura il nuovo calendario, sono in vena di Amarcord.
Spero di non tediarvi dunque con un’altra citazione, forse non così autorevole ma a mio avviso ben centrata sul tema posto da mym e Cristina (12 e 13).
A seguire…
…. “Molto contiene la dottrina del Buddha cui la rivelazione è stata largita: a molti insegna a vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo tra centinaia di migliaia. Questo è ciò di cui mi sono accorto, mentre ascoltavo la dottrina. Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un’altra e migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n’è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri e raggiungere da solo la mia meta o morire. Ma spesso ripenserò a questo giorno, o Sublime, e a questa ora, in cui i miei occhi videro un Santo”…. Omissis …. “ Se io diventassi ora uno dei tuoi discepoli, o Venerabile, mi avverrebbe – temo – che solo in apparenza, solo illusoriamente il mio Io giungerebbe alla quiete e si estinguerebbe, ma in realtà, esso continuerebbe a vivere e a ingigantirsi, poiché lo materiereri della dottrina, della mia devozione e del mio amore per te, della comunità con i monaci!” …
Dal dialogo tra Siddharta e Gotama.
Hermann Hesse – Siddharta – 1922. pagg. 56-57
Essere o appartenere.
Lo zen senza la pratica cos’è?
E senza insegnanti?
E quali insegnanti?
Girare con un sudoku al collo?
Essere riconosciuto all’interno di un gruppo?
OK si capisce cosa non è.
Parlarne non é facile.
Vivere “francamente” senza nascondersi dietro a niente non é uno scherzo.
Ogniuno se la veda da solo.
speriamo di rivederci da qualche parte.
Condivido.
Penso che le ultime parole della frase conclusiva siano “fondamentali”:al riconoscimento del limite deve accompagnarsi la consapevolezza(e responsabilità)della doverosa testimonianza di chi “ha già esperienza”.
@ Roccia
‘Ogniuno se la veda da solo’, mi pare l’estremo opposto della ‘pantomima’.
Non due! non è ‘da solo’, ne convieni?
Se qualcuno sa testimoniare questo, …beh, la faccenda si fa interessante.
@21, 22 Concordo, concordo. Chi cerca tenacemente e chi ha esperienza non sono né due né uno. Ma più uno che due, nel senso che ciascuno è anche l’altro, per questo il senso non è “da solo” in senso escludente o autarchico. Ma da solo in quanto nessuno può fare al mio posto, né in un ruolo né nell’altro.
OK, alla fine si arriva che ci si stanca “a raccontarsela”: c’è sempre un topolino che rosicchia tutto quello che trova e la sotto c’è una bella tigre che si lecca i baffi. La soluzione? Penso che nessuno possa rispondere.
Ne tigri né topi, temo. Chi non sa che fumare fa male, accorcia la vita ecc.? Bastasse saperlo per chiuderla lì anche il Cristo sarebbe stato a girare i pollici con Maddalena. Ci facciamo pena, poveri noi, ecchesarammai ed ecco che d’un tratto siamo vecchi e coglioni, troppo tardi anche solo per pentirsi
Non è per fare il topolino ad oltranza. Ma ho come l’impressione che il discorso si sia un po’ incartato, o quantomeno sbilanciato. Ci sono momenti e casi della vita in cui l’incontro e la frequentazione di un “buon amico” può letteralmente salvarci ed aprirci ad una nuova occasione. Così come c’è il tempo in cui si sente l’urgenza di stare, di praticare con altri compagni di strada: ed il luogo di pratica non è solo un rifugio ove nascondersi.
Questo è ben diverso dalla ‘pantomima’, secondo quanto io ho inteso.
Perciò con l’acqua sporca non butterei anche il buon consiglio di Uchiyama: “Contribuite e mirate a creare un dojo dove i praticanti sinceri possano praticare senza disturbo”.
Poi…si fa quel che si può.
Organizzare un luogo in cui praticare al meglio, accogliendo chi vuol fare lo stesso. Il resto è fuffa. A volte si può stabilire che la fuffa serve per un momento, in un’occasione, ma con cautela e smettendo subito. Non si scherza con la vita, né con la propria né -soprattutto- con quella altrui.
Per quanto possa apparire strano, organizzare un luogo senza orpelli, solo perché si possa praticare al meglio, è la cosa più difficile del mondo. Non solo occorre esser passati e ripassati per la porta stretta, ma continuare a passarci pur sapendo che non è quello l’obiettivo. Non solo, occorre poi fare per tutti e perciò non avere mio. E poi: occorre saper pensare.
Dio tiene conto non delle cose che si fanno, ma dell’animo con cui si fanno, e il merito e il valore di colui che agisce non consistono nell’agire ma nell’intenzione.(Abelardo, Scito te ipsum) La pantomima natalizia è stata un successone.Ho riso sempre per finta e nessuno se ne è accorto(Il trucco è giocare seriamente con le persone..).Dopo una overdose da buone maniere rompo il protocollo e un bel commentone è il mio biglietto d’auguri.Buena suerte.
E’ una proposta fattibile smettere di aprire o gestire centri?
Perché non provare invece a rinnovare l’idea di centro. Lo scopo dei “centri” buddisti dovrebbe essere sostenere il risveglio dei praticanti.
Un centro dovrebbe avere le caratteristiche di un laboratorio di apprendimento e, se possibile, di ricerca. Gli insegnanti in quanto tali dovrebbero occuparsi di andragogia e metodologia e fornire gli strumenti necessari, i mezzi abili, a coloro che si avvicinano al buddismo. Chissà che in questo modo…
Non so se sia “fattibile smettere di aprire o gestire centri”, non ci avevo mai pensato, però mi pare una cosa abbastanza priva di senso. Perché questa domanda (cfr. 3, 4, 12)? Non penso che “lo scopo dei centri buddisti dovrebbe essere sostenere il risveglio dei praticanti”, perché non penso che questo sia possibile: chi e come farebbe una cosa simile? L’idea di laboratorio di apprendimento e di ricerca mi piace. Invece non penso proprio che esistano “insegnanti in quanto tali”, anzi: è proprio questa (auto)convinzione che ha condotto i gruppi zen europei, occidentali, nelle pessime condizioni in cui si trovano.
Anche se è già passata molta acqua sotto i ponti
“smettere di aprire o gestire centri”
è una frase del documento in questione.
Cancelliamo pure “in quanto tali” ma gli attuali insegnanti dei
centri zen occidentali però ci sono e continuano a svolgere
la loro funzione. Perchè non dare un suggerimento per tentare di rinnovare il loro ruolo?
Non bariamo: la frase è “smettere di aprire o gestire centri per insegnare, per far fare, occorre interrompere subito questa pantomima al servizio della propria vanità e -spesso- della propria borsa.”, l’estrapolazione rischia di diventare manipolazione. Come si può rinnovare il ruolo di qualchecosa che non esiste? Il fatto che lei dica “ci sono” non mi pare basti a farli esistere. So che ci sono persone che si autodefiniscono (o accettano di essere definite) in quel modo. Ma è una sciocchezza priva di senso. Basta chiedersi: “che cosa insegna, o dovrebbe insegnare, l’insegnante di un centro zen?”.
Prego, siccome avevo citato 3, 4 e 12 pensavo fosse chiaro che il documento non afferma, semplicemente, che occorra “abolire i centri” o simili. Prima che il “centro” (prima o poi usiamo un altro termine?) della mia città aprisse i battenti, mi sono seduto a casa mia, da solo, per 13 anni. Ora, oltre a sedermi a casa mia, mi siedo anche in un luogo aperto ad altri. Si parla, pochissimo, ci si scambia gli auguri. Per lo più tra persone che non riuscirebbero (per tanti motivi che conosce chi ci ha provato) a sedersi a casa loro, senza essere in contatto con altri che fanno quella strana, folle cosa che consiste nello stare fermi davanti ad un muro.
Con riferimento a (35) – buon anno, homosex – ‘sta storia dell’intenzione salta sempre fuori, ma non mi convince poi mica tanto. Troppo comoda. L’intenzione conta, sì, ma anche il risultato: provate ad entrare in sala operatoria come pazienti e pensare che ciò che conta è che il chirurgo abbia… buone intenzioni!
Il karma è azione: l’effetto è causato dalle azioni. L’intenzione non agisce su questo piano. Abelardo forse non conosceva il detto “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
Ben detto doc-tore, ben detto ;-). La cernita delle intenzioni, infatti, vale in negativo: chi ha cattive intenzioni va tenuto lontano, evitato comunque. Poi, come in ogni cosa … In “questo caso”, però, non c’è modo di sapere prima come si fa, né qualcuno ce lo può insegnare. Per cui il detto “nel dubbio astienti” andrebbe capovolto: “astenersi chi non ha dubbi”. Ma siamo, di nuovo, nel campo del negativo.
Caro Mauricio, sono contento della mail che mi hai inviato che non mi ha creato sconcerto ma anzi mi da l’opportunità di riflettere su quanto vado facendo da 26 anni.Quando ho iniziato per quanto fossi preso dalla cosa in un periodo di confusione mentale,avevo intuito che era una pantomima, non ho mai amato le divise e le gerarchie infatti non ho ceduto alle lusinghe di prendere i voti da monaco e consegnare la mia vita “al maestro” per ottenere l’illuminazione e risolvere tutti i problemi. Qualcosa nella vita pur frequentando situazioni pericolose mi ha preservato dal prendere decisioni radicali,non dovendone subire le conseguenze. Percio a partire da questi presupposti ho continuato la mia ricerca dando importanza allo zazen e fortunatamente ho trovato in te e Giuseppe gli stimoli giusti per sviluppare la mia incompatibilità al luogo comune, al già fatto, al simulacro che sono esattamente l’opposto a quanto ho capito dello “spirito zen” se vogliamo usare quest’ espressione che è cogliere ogni momento nella sua transitorietà.Ti chiedo però i testi nella loro inaffidabilità a causa delle traduzioni e dell’interpretazione delle parole in tempi diversi, sono la riprova della giustezza dell’insegnamento buddista? é probabile che nessun testo prescriva l’apertura di un centro,ma non è sempre stato detto che la via è nella vita quotidiana che le scritture, bruciare incenso e prosternarsi non serve a nulla? La vita quotidiana è il sangha perciò un gruppo di persone si forma attorno ad una persona che ha più esperienza, ed eccoci daccapo.Ora se questo anziano pensa di esercitare un potere, di avere fama e profitto questa è un’aberrazione e su questo ammoniva Dogen nel 1231. Sedersi nell’anonimato è la cosa che faccio da sempre, mi fa molto piacere vedere però che chi potrebbe usufruire dei benefici di un certo status sociale ed economico rinuncia a tutto questo per amore della chiarezza e della verità.Per questo apprezzo il tuo continuo pungolare affinche tutto non si istituzionalizzi e si atrofizzi,
fabio
Ciao Fabio. Sono contento sia intervenuto anche tu, ora -tra i soliti noti- mancano solo i romani… Due cose vorrei enucleare in quello che dici. Seguire la via detta zen implica scelte radicali, quantomeno perché si possa parlare davvero di zen. Pantomima (che poi è fare un po’ di scena per attirare persone da abbindolare) e scelte radicali non sono necessariamente la stesa cosa. La radicalità è necessaria per attuare la conversione che non può essere parziale, altrimenti non è. Poi le scritture: non penso siano il Vangelo 🙂 tuttavia poiché molti (tutti?) in certi ambienti danno per scontato che sia normale aprire centri dove si insegna lo zen, da dove è nata questa convinzione? Da che cosa è sostenuta? Dicevo: dalle scritture certamente no. Ciao
Anche Zot si iscrive tra quelli che “c’erano già arrivati”, (come già 5, 9, 45 e qualche altro che mi scrive via mail e non vuol apparire) e mi segnala un vecchio numero di Buddazot, sempre godibile e graffiante. Però, in questo caso, davvero Zot è precursore del discorso di questo post?
I trafficanti? Quelli li abbiamo messi subito in gattabuia, il loro travestimento non ha ingannato il maresciallo: “Certamente amici di Esperancia, sorella del noto D’escobar…” ha detto.
Non entro nel merito della discussione sui luoghi (va meglio di “centri”?) che consentono e “facilitano” la difficile pratica, né sulla pantomima (46 ci spiega cosa si debba intendere in questo contesto con quel termine e, per altro verso, sappiamo bene che tutto può diventare pantomima, anche una discussione sulla pantomima medesima – questo per dire: non sentiamoci mai al sicuro noi, rispetto ad altri). Vorrei invece portare l’attenzione su quella che secondo me è la questione cruciale, che non mi pare sia stata ancora rilevata a dovere e che il titolo dello scritto indica invece chiaramente: “ci si può perdere, scioccamente, la vita”. La vita si perde comunque, e perdere la propria vita è, tutto sommato, “in religione”, il da farsi (e.g. Vangelo Matteo 10,39) Tutto si concentra allora su quel “scioccamente”. Ci sono sciocchezze forse inevitabili: se una macchina guidata da un ubriaco mi falcia mentre cammino tranquillamente sul marciapiedi, potrete poi dire che, in un certo senso, ho perso scioccamente la vita, ma non di questo tipo di sciocchezza si sta qui parlando. E’ la sciocchezza che si può e dunque si deve evitare, quella da cui guardarsi. Per questo bisogna anche saper pensare (vedi 32), per discernere sciocchezza, che si annida ovunque.
Già, perder la vita è quel che fanno tutti. Per cui perderla seduti davanti a un muro o tra un viaggio e una settimana bianca, in definitiva cambia solo il panorama e dipende da molte cose, per lo più fuori controllo. Ma farci pure la figura dei pisquani, degli uccellati, sfruttati e derisi, quello dipende solo da noi. Non dovrebbe un minimo solleticare l’orgoglio degli zen italioti? Possibile che una vita gregaria, nella speranza di un inversione dei ruoli, valga davvero la vita?
“Non si scherza con la vita, né con la propria né -soprattutto- con quella altrui”(31).
Se non ci fosse questa sorta di ‘responsabilità’, le pisquanate farebbero tutt’al più sorridere.
Complimenti: se oltre a perderci la vita (mi sto toccando di qua e di là) e far la figura del pisquano riesci anche a sorriderci… ci hai gli attributi come silviuccio nostro… 🙂
“A Rosarno c’è una situazione difficile come in altre realtà, perchè in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un’immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall’altra ha generato situazione di forte degrado” (Roberto Maroni, Ministro della Repubblica)
“Chiunque faccia qualcosa -non importa per quali motivi- in grado di ostacolare l’invasione, a questo punto mi sta bene” (sostenitore della Lega sul Forum di Radio Padania)
A Rosarno la situazione più difficile è la criminalità organizzata e la completa assenza di coscienza civile. Sino a che gli immigrati si fanno sfruttare in silenzio… non problem. Se protestano bisogna cacciarli.
Di fronte a questa cosa, e già in passato a cose analoghe, mi chiedo: al di là di esprimere lo sdegno, c’è qualcosa che io, CC da Chiavari, posso concretamente fare? Avete dei suggerimenti? Mi sento impotente…
A Cristina: se possibile sporcarsi le mani nella vita pubblica, condividere idee, votare, scrivere articoli come questo=
indignarsi (dovrebbe essere “naturale”..)e non stare in silenzio.
Non si tratta di trovare il meglio, ma di provare a realizzare il meno peggio.
Vorrei proporre a J di pubblicare la sua riflessione da qualche parte dove possa essere accessibile a un pubblico più vasto e non solo a noi pochi eletti… Si può fare?
Cara Cristina, quella “riflessione” ha già una sua circolazione internautica (facebook e altri snodi, mi dicono) e peraltro varie considerazioni analoghe di altri si trovano qui e là, sui giornali e in rete. Comunque è del tutto pubblica, e se qualcuno vuole diffonderla per altri canali, prego. Gli eletti, poi, son sempre pochi, per definizione: non è la quantità che conta, ma l’intensità. A salare tanta acqua basta poco sale, ma se il sale non sala….
D’accordo, ma ci vuole anche l’acqua perché il sale la sali, e più ce n’è più ne sala… A questo dovrebbe servire, secondo me, la divulgazione di massa..
Così mi autorizzi a mandare la tua “riflessione” al Secolo XIX, il giornale di Genova, nella rubrica in cui si concede la parola ai lettori? Se si, ti ringrazio; se no, ti ringrazio lo stesso…
A Cristina.Il senso di radicale impotenza è la condizione dell’anima moderna che può ‘limitarsi’ a sorvegliare il futuro.Un tema per il futuro può essere la Rete ovvero la variante elettrificata della comunicazione universale incorporea(WOW!)oppure il koan 41 — Adornate il cuore di chi la contempla,perchè il Buddha della sala infiorata non è altrove.
Dal programma delle Nazioni Unite del 1997 apprendo che l’83% del reddito mondiale è spartito da 800milioni di Occidentali mentre all’82% della popolazione mondiale va il resto.In Occidente gli stati nazione hanno fatto le guerre perseguendo il nobile fine delle tasse e dello stato sociale ovvero di una più equa distribuzione della ricchezza.E’ chiaro che i paesi terzomondisti non possono fare la guerra ‘nobile’ all’Occidente per spartirsi il bottino e allora vai col mercato dell’odio.E chi si odia?Chi, vivendo una non-vita, reagisce alla logica violenta del profitto con una impotenza rozza e proditoria(che porta botte,cazzotti e guai..)Mentre l’impotenza degli schiavi in giacca e cravatta è rispettata..Spero che nessuno si offenda ma al sud siamo ai livelli dell’africa(giusto un pò più eleganti) e al nord?
A Cristina: manda pure a chi vuoi, il Secolo poi è stato il “mio” giornale per anni.
A homosex: al nord non siamo neppure eleganti: ti pare elegante un fazzoletto verde che spunta dal taschino? Questa storia scoperchia un verminaio, uno dei tanti del belpaese (le galere nostrane sono un altro, contiguo): faranno in fretta a ricoprirlo, a non parlarne più, e a continuare peggio di prima. La civiltà di una nazione si vede da come tratta i disgraziati, più che da come educa le élite: e le due cose potrebbero (dovrebbero?) andare di pari passo.
Yushin, riesci sempre a spiazzare chi si rivolge a te. questo credo sia dentro ciò che sei e lo sento profondamente stimolante. la domanda di Stefano- non chiara, è vero- io la sento così: si sente una cesura tra te, Jiso e noi “orfani” di galgagnano. Come la colmiamo?
A me sembra di capire che non c’è altro che il cercare. Sono stata a Roma alla sesshin, ho sentito ancora la forza dello zazen, ho sentito che per me è importante farlo con altri.
So che sia tu che Jiso ci siete per le domande, ma a me sembra di non avere ancora domande sensate, e cerco di fare come il mio cane che ogni mattina mi fa le feste come se fosse la prima volta
appena prima della chiusura di Galgagnano avevo chiesto a Jiso di prendere i precetti. Dopo tanta frequentazione sentivo il bisogno di un passaggio avendo l’impressione che anche nella pratica si potesse innestare un automatismo. Allora cercavo come un testimone esterno, una sorta di necessità di render conto di ciò che facevo.
Jiso mi deve ancora una risposta, ma nei fatti la risposta c’è stata e defragrante.
e questo scambio nato dalla “pantomima” di Y. ne è la prova. eppure ancora non sono capace di essere testimone di me stessa….e chiamo questa cosa bisogno di sangha….
Ciao billibello,
Grazie, l’argomento è centrale e ancora in ombra. Come hai compreso, è la fine degli automatismi che stanno uccidendo il bambino prima ancora che venga concepito, una sorta di ambiente sterile, soffocante. Sui bisogni dovremmo fare un po’ di cernita. È vero che lo standard religioso attuale assieme alle indicazioni “fornisce” la comunità (parrocchia o centro zen fa poca differenza). Per cui se manca il gruppo pare che la religione sia in debito. Io penso che religione sia un grande lusso, la risposta a un bisogno che non riguarda quelli “elementari” (cibo, tetto, affetti) un bisogno forte, chiaro ma diverso dagli altri. Così come la sete è diversa dalla fame; per cui occorre una riflessione ulteriore. Se poi, al termine di questa, in un certo caso si stabilisce che per cercare senso profondo, serenità nella pace non derivata da ottenimenti concreti materiali, è utile un gruppo/sangha allora per un po’, in quel caso lo si organizza. Non lo si pretende già organizzato. Il “pacchetto tutto compreso” fa parte di quegli automatismi di cui sopra… E poi, ancora più importante, ciascuno di noi si deve dar da fare per conto suo, non c’è qualcuno -il prete il monaco- delegato a quello scopo per cui noi siamo fruitori di un servizio che in qualche modo ci deve essere garantito. Ciascuno è il protagonista, parliamo rivolti a uno specchio.
Certo che i cattolici il papato la chiesa hanno fatto un bel disastro con i nostri cervelli. Perché mi vuoi tagliar fuori dagli orfanelli? Caso mai, come ero orfano io prima ora lo sei anche tu, benvenuta. La cesura la fai tu, non farla ed è già colmata. Specialmente con SP non intendevo proprio essere spiazzante, anzi. A modo mio (non sono il re dei diplomatici) ho cercato di essere attento, vicino, capire ascoltare per collaborare. Mi ha sbattuto la porta sul naso due volte. A un povero orfanello! E poi giù lamentazioni e “signora mia…!”.
Gli animali si divertono ogni giorno, anche cento volte al giorno con lo stesso giochetto, dice Kundera, perché loro non sono stati scacciati dal paradiso terrestre. Noi sì (pare), per questo ecco tutto ciò.
Grazie. Sei coraggioso: “centro Dojo Zen Sanrin” sembra una summa del contrario… ovvero pantomima completa. Proprio vero che la forma, a volte, non conta. Ciao, mym
Buon pomeriggio,
Ho letto tutto con attenzione, mi sono sentita chiamata in causa in quanto io sono quella che da anni cerca un centro o qualcuno con cui sedersi senza successo. Senza centro, zazen si fa ugualmente peró si fa piú fatica perché non si ha alle spalle una realtá che ci protegge. Non si ha un posto dove tutto é preparato per noi: qualcuno che organizza gli orari, ci fa trovare i cuscini pronti, ci corregge la postura ecc ecc. Si soffre di piú nel confronto con gli altri, perché non c’é un luogo in cui andare a rifugiarsi e dove trovare amici che praticano zazen come noi e coi quali confrontarsi. D’altra parte, lo zazen diventa un pratica quotidiana come le altre, come mangiare, fare la lavatrice e stirare. E’ il momento in cui “Sara sta insieme a Sara” ed é tanto importante quanto lavare i piatti o rifare il letto. Fa parte del mio quotidiano, non é qualcosa che va oltre l’essenziale, come possono essere la palestra, la piscina o il ristorante… voglio dire che, forse, il non frequentare un centro toglie “l’aura di solennitá” alla pratica quotidiana dello zazen e non sono sicura che questo sia completamente negativo. La prima volta che l’ho incontrata, otto anni fa, Lei spiegó che “zazen non é altro che l’essere in grado di sedersi senza fare nulla” e tutto il resto sono conseguenze, effetti collaterali che arrivano. L’incontrarsi in un luogo per fare una determinata cosa crea inevitabilmente un atteggiamento settario o conferisce significati ‘deformati’ (credo). Le casalinghe non si incontrano per fare il bucato, eppure lo fanno ogni giorno ed é necessario che lo facciano. Si incontrano per bere il tea e magari discutono su quale detersivo utilizzano… tutto qui. E’ probabile che il mio punto di vista sia del tutto fuori da ogni contesto proprio perché mi arrangio da sola, se é cosí, mi spiace averle fatto perdere tempo. E’, credo, la prima volta che intervengo su una cosa importante e mi sento molto impacciata e fuori luogo. Mi scusi. Spero di incontrarla ad Urbino presto,
Un caro saluto
sara
Caro Mauricio,
Cosa dire se non che condivido pienamente quello che scrivi.Già altri maestri ci hanno messo in guardia dal materialismo spirituale e la stessa psicoanalisi più recentemente ha messso al centro del suo dibattito il tema del falso-Sè. Ma il falso Sè si traveste in mille modi e perchè no anche di spiritualità,l’esoterismo è di moda
e spesso al servizio proprio di quell’ego che tanto vorrebbe ridimensionare
PS
Grazie, PS. L’espressione “altri maestri” ne presuppone almeno uno. Potrebbe anche stare, non bisogna aver paura delle parole, anche se a volte hanno implicazioni molto negative.
Pubblico qui di seguito una risposta alla mail di SP che ha dato inizio allo scambio che trovate al n. 53, mym.
————————————————-
Caro SP,
come ti avevo promesso, ho cercato di leggere con calma la tua lettera, non senza avere però letto anche tutto il dibattito che c’è stato sul sito della “Stella” in merito alla “pantomima” e, in fondo, alla chiusura di Galgagnano. Provo a esporti il mio pensiero. Credo che il motivo di fondo per cui ho amato quel posto e la sua situazione è stata fin dal principio la profonda”laicità” che mi è sembrato di trovarci. Per “laicità” (non credo che sia il termine esatto ma non ne trovo uno migliore) intendo il senso di “non chiesa” che c’era; un senso che, secondo me, era dovuto alla essenzialità estrema delle pratiche che si seguivano. Laicità che continuo a trovare nel pensiero profondo di Padre Luciano, che pure è inquadrato formalmente nella chiesa più chiesa di tutte, e in Jiso che è diventato addirittura il rappresentante ufficiale della sua chiesa.
Il discorso religioso che fanno entrambi, ognuno dal suo punto di vista, è l’unico discorso religioso che è riuscito a richiamare e a trattenere il mio interesse per un periodo di tempo così lungo, e questo proprio grazie alla loro carica anti-istituzionale e totalmente umana (nel senso di interessata all’uomo in quanto tale, per quello che ciascuno di noi è).
Insomma mi considero molto fortunato per avere avuto l’opportunità di fare questo incontro. Fatta questa lunga premessa, non riesco in nessun modo a esprimere un giudizio critico nei confronti della scelta di Jiso di chiudere Galgagnano, le cui motivazioni sono forse state espresse, almeno in parte, nei due documenti, il primo firmato anche da Yushin e il secondo dal solo Yushin. Nella tua lettera dici che sei disposto a “qualche compromesso iniziale se questo può aiutare”. Credo che proprio lì sia il nocciolo del dissenso, troppe volte (per qualcuno forse sempre) i compromessi iniziali sono causa di deviazioni forse non del tutto imprevedibili. Nel sito poi ho trovato un dibattito molto ricco e articolato e, per la verità, non parolaio, proprio sul problema che sta particolarmente a cuore a te, a proposito dei centri e dei luoghi dove “sedersi” e mi sembra che le cose sono ampiamente sviscerate, anche con opinioni molto vicine alla tua, senza nessuna polemica, e ancora una volta con risposte che mi sono sembrate comprensibili e non didascaliche. Tra l’altro, diversi interventi, compreso uno, molto sottotono di Yushin, sono del tutto allineati con la tua (nostra?) iniziativa di Rovofiorito. Insomma non mi sembra che ci siano motivi per polemizzare. Questa è, ovviamente, la mia opinione del tutto personale molto caratterizzata dal fatto che se ho trovato nella pratica del “sedersi” una pratica (religiosa?) che in qualche modo mi corrisponde, non riesco peraltro in nessun modo a definirmi o a considerarmi un buddhista o un adepto di qualche particolare scuola.
A presto risentirti, un abbraccio anche a C,
Stefano
Grazie, Stefano. Il tema della laicità, che interpreto come “non appartenenza”, non era ancora venuto in luce, almeno in modo esplicito. A mio vedere il percorso/veicolo/proposta che chiamiamo buddismo zen da un lato implica un riconoscimento di appartenenza assoluta, universale, ovvero come facenti parte della stessa barca assieme a tutte le creature. Dall’altra implica una completa non appartenenza, una libertà che è anche solitudine. Cercarsi, costruirsi un’identità o una confraternita d’appartenenza tramite lo zen o il buddismo è antitetico, una contraddizione superabile solo superficialmente: a volte occorre che mi dica buddista (in qualche caso addirittura “monaco zen”) per tagliar corto, offrire un’etichetta da cui poi uscire, se me ne viene offerta la possibilità.
Ciao Mauricio.
Ho seguito con interesse e quasi in diretta lo svolgersi della discussione, non sono intervenuto perché mi sembrava che l’argomento fosse già ben sviscerato, d’altro canto mi viene da pensare al motivo per cui tu abbia scritto quel testo.
Personalmente io vi scorgo l’incitazione al cammino personale “cercando tenacemente” e responsabile “continuando per sempre”, con il sonoro richiamo ad una visione disincantata rispetto a quello che viene dall’esterno, ed alle forme attraverso cui i messaggi di ogni genere, e nello specifico quello buddista , ci giungono. La provocazione arrivando da te direttore della stella e promotore di un “centro di pratica”, è chiaramente indicativo del fatto , che anche se in maniera imperfetta e con tutte le precauzioni possibili, la porta per chi bussa va aperta. E una porta dove bussare ci deve essere. dall’altro per chi bussa ci deve essere la coscienza che non c’è nessuna “ PORTA”. Anche se forse questa nozione arriva solo dopo aver a lungo bussato. Da un altro punto di vista vedo anche una provocazione a chi inneggia alla indispensabilità delle comunità ma non se ne serve, oppure le usa tutte senza valorizzarle o sostenerne nessuna.
a.p.
Grazie AP, è vero, vi è l’accento che ho messo sull’esigenza indispensabile di bussare e ancora bussare. Però c’è un altro aspetto, che pare in contraddizione, del quale sino ad ora solo Sara ha colto il segno in modo chiaro: la religione, lo zazen, il percorso è un fatto personale, individuale da scoprire con le proprie forze e da percorrere da soli. Altrimenti è un associarsi, partecipare, esserci anch’io con quelli “giusti”, nel posto giusto ecc. ecc. Tempo perso, insomma.
Ciao! Ricevo le tue mail anche se sono 3 anni che ho deciso di non aderire più alla Stella del Mattino, facevo parte del gruppo di Luciano. Ti risparmio i perchè della mia scelta.
Ti scrivo per dirti che la tua lettera è molto coraggiosa, ma poco “umana”. Spiego: l’uomo è un essere da sempre comunitario, identitario dunque anche quelli che si riconoscono nella pratica zen (la più personale, la meno comunitaria di tutte le pratiche) hanno bisogno del gruppo, del luogo, della persona di riferimento. Se lo zen è una proposta per pochissimi, quello che presenti tu nella mail è per ancora meno. Ammiro molto la capacità del silenzio, del non voler insegnare nulla a nessuno, dello smettere le pantomime; io credo che sia ora di sciogliere la Stella definitivamente, anche via web. Sarebbe un gesto di libertà enorme soprattutto per chi non se ne fa una ragione, la “comunità” si trascina ormai da anni e, in buona fede, crea confusione. Se non riesce a farlo Luciano, abbi il coraggio di Jiso. Buon cammino. Pietro
Grazie, Pietro. Sì, non è umano (almeno nell’accezione solita) essere adulti. Persone in grado di compiere il proprio destino senza dipendere da pacche sulle spalle e rassicurazioni dovute alla vicinanza di sodali. Il fatto è che la posta in gioco è inumana. Per questo la risposta è altrettanto inumana. Oppure finalmente umana. Vendi quello che hai, distribuisci il ricavato ai poveri, lascia la tua casa, non ti preoccupare del cibo e del vestito, lascia che i morti seppelliscano i morti, non andare neppure al funerale di tuo padre. Che cosa c’è di umano in ciò? È adulto. Ma siamo tutti bamboccioni in eterno?
Sciogliere la Stella dici. Di più ancora? Che cosa c’è di legato che possa essere sciolto? Se non vuoi più ricevere le mail basta cancellarsi e fuuu niente più … Cosa? Parolette sullo schermo. È quella la Stella? Che legame può costituire una pagina colorata su uno schermo… I legami sono nella nostra testa.
Caro Yushin,
Di ritorno dal Giappone, Buon Anno !
Sono grato di cuore per avermi inserito nella lista.
Avevo già avuto modo di leggere la “Pantomima”, domande e risposte e avevo pensato di non potermi inserire in una riflessione che coinvolge, a volte mi rendo conto anche molto intensamente, persone esperte, che hanno inoltre seguito un percorso comune molto diverso da quello su cui ho incontrato la “pratica” (che non oso certo chiamare zazen).
Rispondo sollecitato dal tuo gesto amichevole e sei ovviamente autorizzato alla pubblicazione (anche perchè ho dimenticato la procedura per scrivere i commenti).
Ho ripreso a sedere dopo una pausa consapevole di qualche mese e in un momento non facilissimo.
La scelta delle poche righe di testo che leggo una volta conclusa la pratica sono quelle del Ghenjokoan, e mi è sembrato subito di essere tornato a casa (magari un po’ diroccata…, ma tant’è).
Il punto centrale mi pare quello di sempre ri-tornare a una/la presenza, corpo e spirito.
La mia esperienza di questi primi giorni di gennaio, in cui siedo a sera da solo, mi ha tuttavia reso ancora una volta perfettamente chiaro che la pratica – se non è “pantomima” – non è certamente la mia/nostra pratica, in un mio/nostro luogo.
Eppure altri altrove così si siedono, e il sedersi avviene; so per esperienza diretta che è così, e che questo, in un modo misterioso (viceversa non saremmo qui a parlarne… o no 🙂 ), cambia di fatto le cose.
L’esperienza del sedersi insieme è qualcosa di cui sono grato; e lasciare spazio a (luoghi di) gratuità e fiducia, sarà allora (semplicemente?) dare tempo a questo spazio (vogliamo chiamarla vita?).
Forse, ciò che accade in questo inverno piuttosto freddo, è proprio un invito a stare anche con le foglie secche, che pure alimentavano il fuoco del povero Ryokan-Sama nell’eremo di Gogoan; lui che non aveva paura di lamentarsi della solitudine, ma non aveva perso la fiducia nel soffio del vento.
E noi, abbiamo ancora fiducia in una/nella pratica, che non è (solo) nostra?
Nella tradizione in cui sono cresciuto, esiste questo koan; il Figlio non ha luogo ove posare il capo, e il vento soffia dove vuole; ma il Figlio, quando torna, trova ancora fiducia? Oh uomini, ecco,
nel vento invernale
custodite una palla di neve;
risplende nel silenzio
il vostro cuore sincero
[Hitobito ya
yuki dama mamoru;
fuyu no kaze.
Kokoro no makoto
shizuka ni ikaru]
(anonimo)
Grazie come sempre,
A presto,
Giorgio
Già, il punto è che “cambia di fatto le cose”. Ora, non si pretende che si lascino le cose come stanno, abbastanza difficile, ma che almeno non ci si metta a tocchignare aggiungere impiastricciare. Perché questo “cambia di fatto le cose”. Per cosa, poi? Sentirsi leader in mezzo a quattro zendipendenti? Apparire su qualche libro-rivista-trasmissione TV per dire finalmente come si fa? Fregiarsi di qualche titolo confuciano-giapponese? Oppure appartenere a un gruppo che ci qualifichi in qualche modo? Se vogliamo giocare meglio trovare qualche cosa di più dignitoso.
Ciao Giorgio, grazie. In quest’epoca l’esperienza del perdurare nello zazen da soli è fondamentale.
Buongiorno Mauricio,
Innanzitutto grazie.
“Chiedere, cercare, a volte sedersi a fianco per un po’, permette di rifare tutto, da capo, ogni volta. Continuando per sempre, ciascuno provi a scoprire la difficile strada da sé, cercando tenacemente il confronto con chi ha esperienza.”
Mi scuso, le poche righe che seguono non hanno nessun valore, sono soltanto un’opinione personale molto poco significativa.
Se il “luogo della via” non si facesse conoscere come “luogo della via”, come sarebbe possibile incontrarsi e scoprire?
“Sedersi nell’anonimato” dovrebbe significare comunque non essere silenziosi ed anonimi quando serve.
Non ho le mani “scorticate a forza di bussare a destra e sinistra”, ma se non avessi avuto l’occasione di frequentare il dojo di Vercelli e di conoscere proprio quelle persone, non avrei ancora idea neppure di quale direzione prendere.
Mi chiedevo come dovrebbe essere quel “posto” che permetta un’esperienza autentica. L’unica risposta che so darmi è quella che a mia volta ho sentito: “tiepido in inverno e fresco in estate”.
Sono convinto che chiedersi “come dovrebbe essere” sia fuorviante, almeno per principianti come me, che rischiano di voler provare qualcosa a loro misura, più che trovare un “luogo della via”.
C’è anche l’impossibilità oggettiva di discriminare chi possa sedere al fianco di chi (buon senso a parte), per cui forse il problema non si può porre in termini generali.
Certo in ognuno entra ed esce quel che può. Può essere che senza il passaggio dalla pantomima non si possa raggiungere nulla, un po’ come i bambini, che per imparare qualcosa scimmiottano gli adulti, e poi, cresciuti, smettendo di imitare, fanno.
E’ importante che qualcuno coraggiosamente ci riporti all’essenza della cosa: la responsabilità dell’esperienza personale è in parte dell’insegnante, ma viene condivisa individualmente da noi principianti, nella nostra tenacia e onestà di intenti.
E senza un impegno condotto da soli, continuativo e sincero, non si va lontano.
Volevo scusarmi se scrivo senza “aver fatto bene i compiti”, mi ero riproposto di leggere con attenzione gli interventi, ma impegni famigliari, di lavoro, ecc… mi lasciano poco tempo in questi giorni, e ieri notte quando mi sono svegliato sul divano con il mio portatile in bilico sulle ginocchia mi sono detto che era meglio rimandare.
Siccome assolutamente non ci conosciamo, ma tralasciando i particolari: ho scarsissima esperienza, sono assolutamente un principiante, mi sono accostato al buddhismo da pochissimi giorni (da giugno scorso ho cominciato a leggere qualcosa, da settembre frequento il ******* di Vercelli). Ancora grazie
Massimo
La Chiesa aveva già assunto una prospettiva del genere quando, sotto Leone XIII all’inizio del ‘900, aveva deciso di reintrodurre ovunque la teologia Scolastica medievale.
Si trattò di pan-tomismo.
Chiedo scusa ma so poco di queste cose: di quale prospettiva si tratta e/o che cos’è il pan-tomismo? Grazie. Se stai in 500 battute (più o meno, veh!)…te ne saremo grati in tanti.
Tomismo = teologia di san To(m)maso d’Aquino, massimo autore della Scolastica medievale.
Pan = universale.
Sebbene il termine “pantomismo” non sia mai esistito, può essere ora chiamato all’esistenza quale “pantomima del tomismo”. E la peggiore pantomima è quella che lo prende (e si prende) troppo sul serio.
Un breve chiarimento sul perché ho citato Enzo Bianchi. Le parole che mi hanno colpito sono: “Noi monaci non abbiamo una particolare missione o funzione nella chiesa: siamo semplicemente uomini e donne insieme, da un punto di vista umano, quasi per caso. Siamo qui, siamo là, nei deserti o nelle selve, sui monti o nelle valli, per che cosa? Per stare davanti a Dio insieme, in una vita comune, niente più. Non facciamo nulla di particolare se non rimanere davanti a Dio […] Lo ripeto, i monaci non hanno compiti, non hanno missioni particolari: se sono fedeli alla vocazione ricevuta «fanno segno», sono come dei segnali sul cammino, niente di più.”, il resto l’ho citato per contestualizzare. Penso di poter dire che vi venga espressa una “posizione” estremamente simile a quella contenuta nel testo La Pantomima.
Prendendo spunto dal film Avatar, una serie di agghiaccianti notizie su schiavitù e sterminio (conquistadores e francescani furono ancora più efficienti di Hitler!) dalle pagine di The Guardian. Una traduzione dell’articolo si trova su Internazionale del 22 gennaio; una diversa traduzione italiana è on line all’indirizzo http://www.alessandracolla.net/?p=368
Dal link proposto da dr (12):
La mattanza ebbe inizio con Colombo. Fu lui a massacrare la popolazione di Hispaniola (ora Haiti e Repubblica Dominicana) servendosi di mezzi incredibilmente brutali. I suoi soldati strappavano i bambini dalle braccia delle madri e ne spaccavano la testa contro le rocce. Davano in pasto ai loro cani da guerra bambini vivi. Una volta impiccarono 13 Indiani in onore di Cristo e dei suoi 12 apostoli, «ad un patibolo lungo, ma abbastanza basso da permettere alle dita dei piedi di toccare il terreno evitando lo strangolamento […]. Quando gli indiani furono appesi, ancora vivi, gli spagnoli misero alla prova la loro forza e le loro spade, li squarciarono in un solo colpo facendo fuoriuscire le interiora, e c’era chi faceva di peggio. Poi gettarono intorno della paglia e li bruciarono vivi» [cit. da Bartolomé de Las Casas, History of Indies, trad. e cura di Andree Collard, Harper&Row, New York 1971, p. 94, in: David E. Stannard, Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo, Bollati Boringhieri 2001, p. 136.
Di solito, dalle accuse di genocidio contro i Conquistadores, “si salva” almeno Colombo. La cosa andrebbe approfondita. A casa di mia madre, non qui sottomano, ho un libro con le descrizioni fatte da Colombo della scoperta e dei primi contatti (solo i primi, però), e lì non mi pare che comparissero scene truculente. Però è vero che, già pochi anni dopo, Ariosto nell’Orlando Furioso esaltava (sic) la sottomissione violenta degli indios per opera degli europei. Viceversa, a metà ‘600, il poeta inglese John Milton descriverà le efferatezze dei Conquistadores, ma per denunciarle.
Getto la maschera:sono un eresiarca della comunità degli uomini suono. Per la comunità il prossimo può impiccarsi senza che ciò commuova il cuore. Verso Dio si ha solo un cosciente impegno a non amarlo. La funzione dei monaci è quella di fare soldi (cfr.G.Mombiot).Per questo le comunità vanno in bancarotta. I monaci del passato sono esempi inattuali e impossibili mentre i truffatori di oggi hanno poca ambizione.
Ricollegandomi ad Avatar credo che il metastorico eresiarca indiano Aldo Rane confermi il pan-nazismo come il più romantico degli ideali politici. Al lato cristiano dico: questa eresia la si apprende stando seduti a guardare il muro senza cuscino e con la camicia di forza.. (della serie Pan-tomismo). La chiusura della sede storica della Stella mi sembra una acutezza sprecata alla luce della ricchezza dei contenuti del sito mentre scioglierla definitivamente via web una crudeltà e una sconfitta (seppur nobile).Convengo che il futuro non è più quello di una volta e che la strada è incerta.
Mi auguro che i lettori abbiano sufficiente pazienza (e acume) da perdonare/accettare le originali aggressioni pacifiche di Homosex. Altrimenti dovrei censurarle.
Compagneros constato che le mie spiritosaggini producono svenDole non solo al Sud..(Il trucco è essere onesti e avere un buon antidolorifico).A Kamakura ho appreso lo ‘zen sull’istante’ analizzando l’esperienze dei nyudo.Durante le meditazioni veniva praticato il ‘pensare l’impensabile’ ovvero l’espressione hi-shiryo. Mentre gli anziani stavano in zazen i novizi erano impegnati con l’acciaio dei bilancieri. Allora chi è ‘0 bbuono e chi ‘o malamente(?).
Nadie comprende lo que sufro yo,todos me miran y se van.. ma un vero basterd non vuota mai il sacco.Sulla sua collana pendono denti di lupo e cucita è la sua bocca ,o no? (^_^)
Santa polenta, cumpa’, qui fai scappare i vivi e i morti… E l’odiens, dove mi finisce l’odiens? Per non parlare dello scear … Qui l’Editore ci stacca la spina a tutti. Ciao, mym
Sono fuori dal circuito del’editoria.Di scrivere un libro prima di compiere il 45esimo anno d’età non mi passa neanche per l’anticamera del cervello. L’odiens italiano lo salto a piè pari mentre sullo scear internazionale ha ancora un certo appeal la cara vecchia madonnina..It’s incredibile,let’s finish what we started.Ciao.
Il guaio è, a mio parere, che la stessa domanda può essere fatta, ( se c’è una certa sensibilità ), da chi ha una casa, un lavoro che magari gli piace.. oppure da chi è senza lavoro, magari emarginato ecc…
E viceversa, c’è chi trova un senso al vivere sia che abbia un lavoro oppure no, che stia bene oppure no…
Non mi sembra che ci sia la possibilità di riconoscere in una situazione “oggettiva” ciò che dà un senso alla vita e questo, talvolta, è abbastanza drammatico, perchè si corre il rischio di non trovare un “serio motivo” per alzarsi al mattino…
Da questo punto di vista, è proprio dura…
Ciao mym, grazie. Certo, la domanda riguarda tutti. Molti di noi vivono, credo, in una situazione privilegiata, per un motivo o per un altro, e si sono trovati ( e si trovano ) comunque, a dover rispondere a questo interrogativo, che spesso non si sa neanche da dove nasce….( Già cercare questo magari…)
Le risposte che ci si dà cambiano, a seconda dei momenti, delle circostanze, di ciò in cui si crede e delle persone che si incontrano. A volte non si trovano proprio, nonostante tutto…
Tutte cose ovvie…
Mi verrebbe da dire che queste sono domande destinate a rimanere tali, eppure non possono non avere una risposta, sia pur mutevole e individuale…
Sì, lo so che non ho azzardato nessuna risposta, ma.. a chiedermelo adesso ( se la mia vita ha un senso), ho paura che mica saprei cosa rispondermi!
Un saluto
Il 21enne non ragiona male. Personalmente sono un fanatico del lavoro, e sono assai poco filo-sessantottino, però mi capita spesso di chiedermi: questi giovani (non il 21enne, credo) che arrivano ad alcolizzarsi, drogarsi… è perché non hanno capito niente, o sono gli unici che hanno capito tutto? Trovassero pure il mega-lavoro brillante e scintillante, il sogno della loro vita… a che servirebbe? a tenere in piedi che cosa?
…
[Torquato] TASSO – Che rimedio potrebbe giovare contro la noia?
GENIO – Il sonno, l’oppio e il dolore.
Già, per quello pensavo che gli adulti scrivendo ai meno adulti… Vabbe’: Qoelet 1,2 “Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità, tutto è vanità”. Qoelet 3,1-9: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?”
Sì, però, allora?
(L’ultima frase c’entra un piffero: si era detto fino al v. 8, non 9)
Appunto: SICCOME tutto è vanità, ALLORA il bello – e il difficile – è sapere fare la cosa giusta al momento giusto. Anche l’indifferenza o l’apatia sarebbe una scelta unilaterale.
Non mi pare che una risposta in termini ‘religiosi’ sia pertinente a questo caso.
Ri leggendo la lettera del 21 enne, a me viene da pensare: o non la conta giusta, o non la conta tutta…o si atteggia a …
A un 21 enne si può giustificare quasi qualsiasi espressione: compreso il sentirsi fregato ancora prima di cominciare.
Ma tutto questo non è ancora una presa di coscienza del ‘disagio’, di dukka. Manca una domanda che parta dal cuore. E fintanto che questa domanda non venga formulata, qualsiasi risposta verrà assorbita da una smorfia di scetticismo.
Sono d’accordo. Il giovanotto ha posto le cose in modo impeccabile per ottenere consenso, ma si è tenuto ben distante dalla radicalità estrema. In altri termini, a me pare che chieda soprattutto come tenersi/godersi il malloppo
Al giovanotto, come a chiunque altro del resto, a cominciare da me, darei le due classiche notizie, quella cattiva e quella buona. La cattiva è che, siccome è nato, gli tocca morire. La buona è che deve morire proprio perché è nato. La porta è strettina ma qui s’ha da passare, dalla radicalità estrema è un po’ difficile tenersi ben distante. Allora tanto vale occuparsene un po’ più da vicino, della “fregatura”, ma questo deve venire a ciascuno da dentro, non si può suggerire.
Qoelet non mi pare così pertinente. Il tempo di cui parla è il tempo dell’alternanza, del condizionato: siamo ancora nella fregatura, tutto sta prenderla bene. Deboluccio, non ci metterei le fondamenta. Infatti Qoelet ha poi bisogno del timor di Dio per darsi una mossa. Il nostro fantomatico giovanotto (si) chiede: il tempo che fine fa? La fine che fa lui stesso. Dunque, gli direi, lo tenga un po’ più in conto. Del resto a 21 anni chiedere come tenersi/godersi il malloppo mi par più che legittimo: temo però lo abbia chiesto alle persone sbagliate….
La frase “L’uomo pericoloso è l’uomo che ha letto un solo libro” significa che di quel libro fa poi il suo idolo perciò non ha senso l’affermazione successiva “Figuriamoci se non ne ha letto nessuno”
relata fero: mio figlio Alessandro mi dice che non fu affatto Gorgia a sostenere per primo che la parola per l’anima e’ come i farmaci per il corpo, bensì Protagora, una cinquantina d’anni prima. non sarà rilevante per la discussione ma mi sono sentito improvvisamente un vecchietto rinco…
come avrà fatto a sfuggirmi questa cosa ? 😉
A dr: “Fare la cosa giusta al momento giusto”? Cosa vuol dire “giusto”? Chi o che cosa determina cosa è giusto e cosa non lo è? Foprse solo l’esito del Fare?
Caro Yushin,
Trasferisco questa citazione del sempre più attuale Ryokan-Sama, apparsa dopo la pratica di qualche giorno fa.
Nel poema “Shoudoushi” : 唱導詞 (se non ho sbagliato a copiare 🙂 leggiamo:
“Se la Legge avesse permesso fondare delle sette,
Chi tra gli antichi non lo avrebbe fatto?
Se gli uomini fondassero ciascuno la sua setta,
Ah! Quale seguire?”
Anche Ryoukan dunque aveva affrontato un dubbio analogo (“centri” versus “sette”?) al nostro. E che risposta aveva dato?
Consapevole, ritengo, del fatto che 迷い と 悟り, (“mayoi to satori”, sempre a scanso di equivoci), ecco cosa scrive pochi versi a seguire:
“Per preghiera e indicazione del cammino, c’è naturalmente un inizio:
Lasciate che io cominci dal monte Grdhara (in nota: il luogo di preghiera di Buddha Sakyamuni, quindi – nota mia – là dove il Buddha storico semplicemente sedette in silenzio).
Giacchè Buddha è il Cielo del Cielo,
Chi oserà discuterlo?”
I necessari riferimenti:
Mitchiko Ishigami-Lagonitzer, “Ryokan Moine Zen”, CNRS Editions, Paris, 2001, pg. 93-94 e ivi n. 23 per le edizioni e 24).
P.s. (un po’ insinuante) a proposito del Cielo del Cielo… ma non abbiamo forse una indicazione altrettanto precisa nel “siate dunque perfetti come è perfetto il Padre, quello nei Cieli?”
Ahi ahi ! Qui la “pantomima” sconfina nel versante cristiano… Mi fermo subito… 😉
Grazie per la pazienza,
Giorgio.
Il cuore, poverino, pulsa e nemmeno sa di farlo. Cosa può sapere di tutto il resto? Ebbene, mio caro dr, io intendevo piantare una grana del tipo: come puoi tu, che a volte ti manifesti piuttosto sottile, cadere in simili banalità e/o luoghi comuni? Ma con questa risposta mi hai disarmata. Bravo!
Ma la banalità, il luogo comune sarebbe quell’insegnamento di Qohelet?? Ammappa, io trasecolo.
In ogni caso, sì: a definire un’azione come giusta non è l’intenzione che si ha PRIMA di compierla, ma il suo risultato DOPO. Le intenzioni sono chiacchiere, e notoriamente servono solo a lastricare le strade dell’inferno.
Nonnonnonnò! La banalità è parlare di “cosa giusta al momento giusto”, cioè inserire una cosa qualunque, concreta, in una categoria astratta difficilmente definibile: la Giustizia platonica è un’astrazione, le singole cose sono giuste o no sempre e soltanto in relazione a qualche altra cosa… e in genere la definizione è soggettiva! E’ “giusto” dare un cocco in testa a uno che mi minaccia col coltello, è “giusto” farlo un momento prima che abbia il tempo di usarlo, ma non è più “giusto” dare lo stesso cocco in testa a uno che mi contraddice… E questo si può dire per ogni azione, fermo restando quello su cui concordi, cioè che in genere possiamo valutare solo dopo, e quindi “fare la cosa giusta al momento giusto” può essere al massimo un autocompiacimento a posteriori.
Mi sono accorta che l’esempio che ho portato da’ ragione al detto. Ne ho pensato uno più appropriato, eccolo. Cesira si è sposata a 25 anni con l’uomo dei suoi sogni, ha avuto il primo figlio a 27 e il secondo a 30, è ora appagata e soddisfatta delle sue scelte giuste. Caterina si è sposata a 25 anni con l’uomo dei suoi sogni, ha avuto il primo figlio a 27 e il secondo a 30, ora è frustrata e depressa. Il “momento giusto” e la “cosa giusta” sono strettamente soggettivi! Mym, permettimi questo esempio.: mi sembra che abbia carattere religioso come ce l’ha ogni scelta di vita.
Ego vos absolvo … (speriamo si dica così…).
Comunque. Se ogni scelta di vita ha carattere religioso non c’è spazio per fare distinzioni, quindi non c’è più religione, mezze stagioni ecc. È sempre inverno o sempre estate. Almeno nella religione delle sacrestie (non le sacre stie… 🙂 se do uno schiaffo ad un giovane collassato per abusi vari, ne stimolo la vita, lo salvo. Sono un eroe. Se incrocio il don all’uscita della chiesa e gli appioppo uno smataflone perché “ai preti questo e altro” sarò sempre un eroe per qualcuno (è sempre estate…) ma … Pietà l’è morta. Nulla toglie, però, che per lo schiaffo al giovanotto di cui sopra debba comunque andare all’inferno (la violenza non paga…) ma, fuori dalle sacrestie (e dalle sacre stie) religione non c’entra con inferno e paradiso.
Esatto, esattissimo, caro mym. “Tra il samsara e il nirvana non c’è la minima differenza”.
A parte il fatto, ovviamente, che sono l’uno l’opposto dell’altro.
Mym, ego quoque te absolvo… se dai uno schiaffo al giovane non ti mando all’inferno. Ma se tu rubi senza farti prendere, e io sono già stata presa più di una volta, la tua scelta -perlomeno quella del momento giusto- è stata migliore della mia: hai l’ammirazione di tutti i ladri! Se scelgo di fare il ladro anzi la ladra, sarò condannata dalle persone che non rubano ma non dagli altri ladri! E comunque la mia è stata una scelta “religiosa”, cioè vincolante, che mi obbliga, per ragioni che tu non conosci e che evidentemente per me erano determinanti. A proposito. Quanto contante tieni nel cassetto della scrivania?
Cheers Maestro!
Ma anche tu ultimamente hai letto l’anticristo di Nietzsche?;)
Scherzi a parte, e me ne scuso, a questo punto non farei che chiudere tutti questi discorsi, per limitarmi alla pubblicazione dei luoghi e giorni in cui sedersi.
Ti chiamo maestro non perchè qualcunque cosa tu dica sia oro colato.. ma perchè che tu voglia o no hai una maestranza maggiore della mia in certe tematiche.
L’Anticristo di Nietzsche? No, non sono mai riuscito a leggerlo. Capisco cosa vuoi dire, purtroppo pubblicare solo luoghi e giorni non basterebbe. Siamo animali complicati e anche il mantenere semplici le cose semplici è un affare complicato. Però, soprattutto giocando pulito, è anche abbastanza divertente, no? Ciao, mym
PS: per la tua (e la sua) “salute” ti consiglio di non chiamare nessuno “Maestro”. Tra l’altro, in quest’area, l’ultimo è finito in croce.
L’aspetto interessante di tutta questa faccenda, per quanto mi riguarda, è che; quanto si constata che il re è nudo, tanto tocca imparare a pensare ed agire come un re.
Ho letto col consueto grande interesse la tua pagina e quella di Comolli, senza però riuscire a mettere a fuoco del tutto se tu concordi, e in che misura, con quello che dice lui. In realtà anch’io penso che nei decenni scorsi l’interesse grande per le dottrine orientali sia sorto in gran parte proprio per il loro essere “diverse” rispetto a una cultura cui ci si sentiva vincolati per educazione, tradizione, imposizione, e si voleva rompere con le tradizioni che uno si trovava offerte bell’e pronte e imposte da tutto il “sistema”. Credo che in gran parte, per molti, il fascino dell’esotico prevalesse sulla reale adesione a una dottrina e che, nel Buddismo in particolare, piacesse la mancanza del principio di autorità, dell’essere supremo, di una dottrina particolareggiata che regolasse ogni momento della vita e anche i pensieri. Non per tutti, ovviamente, ma certo per molti il fascino dell’Oriente ha giocato la carta vincente. Questo ora è finito, l’Oriente si è occidentalizzato e la sua voce suona molto simile a quelle che siamo soliti sentire… Cosa ne dici? Ciao. Cristina
Comolli l’ho citato non per i contenuti ma perché se un autore valdese ha sentito l’esigenza di occuparsi del “problema” vuol dire che il cattivo odore si è sparso ben oltre le stagnanti acque buddiste. All’interno delle quali, invece, pare che si preferisca turarsi il naso piuttosto che scoperchiare il verminaio. Il buddismo non è Oriente, almeno non più di quanto il cristianesimo sia -tout court- Occidente, il fascino anarcoide che si percepiva, perché vi è connaturato, nel buddismo zen, non ha nulla a che fare con l’Oriente, tant’è che Cina prima e Giappone poi hanno ingabbiato lo scugnizzo, temendo facesse guai.
Ciao,
trovo una certa ripetitività nella tessitura di questo ordito.
Tuttavia, penso che quanto ho letto nell’allegato voglia preludere a un linguaggio diverso da quello ordinario.
Sento che c’è un forte desiderio di non aderire a quella forma a quel linguaggio ritenuti appannaggio di altre storie diverse e lontane dalla nostra non solo geograficamente.
Tuttavia, chi usa un linguaggio ordinario non dovrebbe essere criticato nel senso ordinario del termine, penso che ognuno possa essere libero di parlare la lingua che più gli aggrada o gli corrisponde.
Se uno si sente affine a una modalità esistenziale, quella perseguirà e a nulla serviranno le critiche.
Io ho un figlio di 24 anni e per quanto mi sia sforzato di insegnarlgli a rapportarsi in un certo modo con l’esistenza, lui continua a fare, naturalmente, di testa sua con tutti i pro e i contro del caso. Tuttavia, ho potuto verificare che una possibilità di comunicazione e relazione con lui si produce solo con il mio fare, il mio esempio, quello lo elabora, lo considera, può anche farlo suo, e non quello che dico per quanto realistico e razionale possa essere.
Questo per dire che non credo che il dibattito sulle cosidette “pantomime” possa sortire un qualche effetto positivo ai fini dell’approfondimento del Dharma e dello zazen dalle nostre parti. E in definitiva ripeto, ognuno è libero di adottare il linguaggio che a lui è più affine, se altri lo troveranno adottabile procederanno per il loro cammino…che può darsi non giunga in nessun posto…ma ognuno non può che percorrere il suo karma, anche dentro allo zazen. E lo zazen non è contaminabile nè dagli usi cino-giapponesi, nè dagli usi europei. In definitiva, se non si trova propedeutico aderire a una forma, a una esperienza ritenuta troppo connotata, se la si ritiene un ostacolo sul proprio e altrui cammino realizzativo, l’unica via d’uscita non è provare a cambiare gli altri (impossibile comunque), ma partire sempre da se stessi, vale a dire dare forma ed espressione alla propria modalità religiosa senza curarsi troppo delle pantomime altrui, eterne in ogni modalità vengano
Marzo 20th, 2006 at 11:29 am
Riflessioni sulla risposta di Mauricio Y. Marassi al mio articolo Alla scoperta della via maestra.
Credo che la risposta di Mauricio Y. Marassi alla mia recensione de La via maestra contenga alcuni spunti rilevanti e meritevoli di una analisi più approfondita. L’accolgo, dunque, come un’occasione per chiarire meglio il tipo di riflessione che da tempo sto conducendo sul buddhismo e che hanno fatto da sfondo alle considerazioni da me proposte nella citata recensione.
Su di un punto, tuttavia, mi sembra opportuno replicare esplicitamente: trovo perlomeno contraddittorio attribuirmi l’attitudine di combattere “Lucifero”, così resuscitandolo, proprio mentre viene condivisa la mia affermazione che “bisogna maneggiare l’orgoglio con molta cura, con grande delicatezza”. Mi sembra piuttosto evidente che quella cura e quella delicatezza traducono proprio l’atteggiamento di non contrapposizione caldeggiato dallo stesso Marassi, e non vedo proprio come esso possa essere trasformato in bellicoso per il semplice fatto che considero l’orgoglio universale e “l’essenza del problema fondamentale dell’uomo”. Che l’uomo navighi in acque perigliose in ragione di un suo “problema” esistenziale fondamentale è addirittura il predicato delle prime due Nobili Verità del buddhismo, e da ciò non consegue alcuna automatica definizione dei contenuti e della modalità della cura. Per quello che mi riguarda, anni di pratica nella vipassana mi hanno insegnato che l’unico modo per accostarsi a ciò che viene avvertito come un problema esistenziale è esserne consapevoli, accoglierlo in modo equanime e lasciare che sia, così com’è, osservando ciò che accade nel nostro corpo-mente e, nel caso, rendendo oggetto di consapevolezza anche l’attitudine della mente a volersene sbarazzare. La mia concezione dell’orgoglio è perfettamente coerente con questo atteggiamento fondamentale.
Il fatto è che io, a differenza di Marassi, non trovo affatto “alquanto simpatico” Lucifero, e la ragione potrà apparire paradossale solo se non si è compreso il senso della mia argomentazione: perché non credo per nulla alla sua esistenza – e, a fortiori, al suo “illuminare il cammino”. Al di là dell’ironia che pervade le considerazioni di Marassi sul “portatore di luce”, io ritengo che sia questo il punto in cui si rivela la sostanziale diversità fra le nostre due impostazioni, e che a mio parere non è affatto irrilevante, perché concerne la diagnosi della causa di dukkha, ossia, nientedimeno, che la seconda Nobile Verità..
Non c’è dubbio che la mia convinzione che sia l’orgoglio, e non l’ignoranza o il desiderio, alla radice di dukkha è debitrice del cristianesimo, ma in un senso affatto diverso da quello che conduce i “tanti agitati predicatori cattolici” di cui parla Marassi a redarguire un’umanità in preda al peccato. Per me – ma chiunque avesse l’interesse e la pazienza necessaria potrà constatare che la mia interpretazione corrisponde esattamente sia al testo biblico, sia a quanto affermato da molti Padri della Chiesa – l’orgoglio, che non ha nulla a che vedere con la presunzione, di cui è invece la perfetta antitesi, si sostanzia nel rifiuto della propria vulnerabilità, impermanenza e dipendenza, che spinge all’emulazione di un modello di perfezione, ritenuto incarnare le qualità ambite dell’autonomia, dell’autosufficienza e del potere. Già da questa breve descrizione appare evidente la compatibilità dell’orgoglio, inteso in questo modo, con l’affermazione buddhista che a generare tutta la sofferenza dell’uomo è la brama di possedere un io autonomo ed autosufficiente.
In questo senso, Lucifero – o, più correttamente, Satan (letteralmente “l’accusatore”, per cui ad “accusare”, a combattere Satana si diventa come lui), ossia ciò che diventa l’angelo più luminoso dopo una caduta determinata proprio dall’orgoglio: “Tu dicevi in cuor tuo: Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio…, sarò simile all’Altissimo” (Is. 14:12-14) – è il simbolo di questa attitudine tipicamente umana, perché descrive il processo per cui, l’ambizione a divenire “come Dio” (Gen. 3:5), porta di fatto alla negazione del proprio semplice esistere, così come si è e, in nome dell’acquisizione di un’autonomia assoluta e divina, proprio perché nega l’essere in nome di un fantasticato dover essere, in realtà porta alla “caduta”, trascina verso il basso, fino all’autodistruzione.
So bene che il termine di “autonomia” è sempre “correlativo a ‘dipendenza’”, ma proprio questo è il problema di ogni orgoglioso: sa di essere dipendente dal maestro-modello e vuole diventare come quello s’immagina che sia, autonomo ed autosufficiente. Il paradosso dell’orgoglio è che si coltiva una dipendenza col fine ultimo di divenire infine totalmente in-dipendenti. Naturalmente l’orgoglioso si vergogna della sua attuale dipendenza per cui, in genere, o la dissimula accuratamente, pretendendo di essere già autonomo nel proprio giudicare e scegliere, oppure denuncia solo modelli nobili e approvati culturalmente (come un “maestro” zen). E’ anche vero che tutto ciò è paradossale, perché mostra “l’assurdità di una relazione pretesa liberante ma che, invece, crea dipendenza”, ma questa assurdità è proprio il gioco dell’orgoglio, la satanica e sottile omeopatia del voler sacralizzare se stessi coltivando una dipendenza che liberi da ogni dipendenza. In questo senso più profondo, dunque, l’autonomia non è il contrario della dipendenza, perché il binomio autonomia-dipendenza è tutto interno alla logica dell’orgoglio, ne rappresenta la più autentica sostanza. In questo contesto, chiunque si faccia paladino dell’autonomia e possegga una certa autorevolezza, diviene automaticamente un candidato a rivestire il ruolo di modello agli occhi dell’orgoglioso, perché quell’autonomia è, ripeto, proprio ciò che, emulandolo, il discepolo ambisce ad acquisire.
E a nulla giova ricordare che l’autonomia “corrisponde a ‘prendere rifugio in se stessi’”, perché quel “prendere rifugio” non avviene nel vuoto esistenziale, non determina automaticamente la liberazione dalla vocazione a sbarazzarsi della propria vulnerabilità in nome di un modello di perfezione. Al contrario, finché l’orgoglio non viene dissepolto e reso consapevole, è la pratica che viene messa al servizio delle sue mire, e l’insegnante-maestro diviene il nuovo modello di perfezione, più o meno occultato dalla parola d’ordine – rassicurante per l’orgoglio – di “prendere rifugio in se stessi”. Va rilevato, infatti, che la dinamica maestro-discepolo, così acutamente svelata e descritta da Marassi nel suo libro, non è una caratteristica tipica dello zen occidentale ma, per limitarmi a un esempio di cui ho esperienza diretta, si ritrova anche nella vipassana, in forma più sottile ma anche più invasiva e difficile da riconoscere, perché s’instaura proprio laddove vi è la minore enfasi possibile sulla figura dell’insegnante, definito quale semplice “amico spirituale” (kalyanamitta). E proprio la tradizione Theravada, col suo mettere al centro la pratica meditativa, il “prendere rifugio in se stessi”, rappresenta una riprova estremamente pregnante della pervasività dell’orgoglio. Il quale, giova precisarlo, non è un’attitudine della mente rozza e mondana, ma propriamente religiosa, è l’essenza del religioso tradizionale (mi si consenta, in questa sede, questa semplificazione), perché si sostanzia nello sforzo di trasformare se stessi applicando diligentemente i dettami – etici, rituali, sacramentali o meditativi – propri di una qualche via religiosa. Va da sé che quei dettami sono sempre veicolati da una persona in carne ed ossa, comunque lo si chiami: maestro, insegnante, amico, guida spirituale.
L’orgoglio, dunque, è un’attitudine esistenziale e non morale e, in via di principio, addirittura incompatibile col “peccato” (l’errore), perché si nutre proprio dello sforzo di emendarsi da ogni imperfezione o traccia di vulnerabilità e, dunque, anche dalla vulnerabilità all’errore. Il “peccatore” e l’orgoglioso sono due tipi radicalmente diversi: il primo sa di non rispettare le regole della propria religione e non si erige a giudice di nessuno, mentre è l’orgoglioso che è predisposto a divenire un “agitato predicatore”, perché ha un senso abnorme e paradossale dell’errore (o del peccato), trasfigurato in ambiguo segnale lungo la via: da un lato è ciò che testimonia della distanza dall’ideale perseguito; dall’altro è ciò su cui occorre lavorare, che bisogna “combattere”, in sé e negli altri, al fine di addivenire alla perfezione. Al contrario, la consapevolezza dell’orgoglio, essendo inscindibile dall’accettazione della vulnerabilità, genera uno sguardo compassionevole sulla propria e altrui fallibilità, vede nell’errore o nel peccato niente di più che l’inevitabile conseguenza di essere creature limitate, né onnipotenti né onniscienti, insicure ed esposte alla prevaricazione in difesa del proprio piccolo, fragile, impermanente e tuttavia prezioso io. Proprio quello sguardo di cui sono incapaci i “tanti agitati predicatori cattolici”, che solitamente censurano moralisticamente le umane debolezze in nome di principi assoluti di cui, naturalmente, si ritengono i più autentici interpreti, e per i quali sovente chiamano a raccolta battaglioni armati fino ai denti.
Ma anche costoro vanno compatiti e non giudicati, e tanto meno si può ironizzare sul loro comportamento, perché rivelano, con la loro intransigenza, la lacerazione interiore che li devasta e che consegue dal continuo giudizio di conformità fra ciò che sono e ciò che vorrebbero, o pretendono, essere. Nell’ergersi a modelli, mostrano di aver lungamente logorato ed isterilito se stessi nella diuturna opera di emulazione del loro ideale, e di pretendere che tutti combattano la medesima battaglia contro la loro stessa umanità.
In questo quadro, l’unico modo per aiutare l’orgoglioso è mostrargli (o meglio, suggerire una via che gli consenta di vedere in se stesso all’opera) questo gioco perverso e assurdo, che produce solo la proroga e l’intensificarsi di una dipendenza auto-distruttiva e generatrice di sofferenza. Consapevolezza che apre non all’autonomia, ma alla serena accettazione dell’universale ed irrimediabile interdipendenza, nel bene come nel male, nella bontà e nell’errore, nell’orgoglio come nell’umiltà. Tutta la storia umana può essere letta con la chiave della lotta contro la nostra vulnerabilità. I sogni di immortalità, di potere, di fama, di successo, di ricchezza, di bellezza imperitura e così via altro non sono che traduzione della fuga dalla condizione fragile e insicura che irrimediabilmente ci appartiene, talmente imprevedibile che “perfino” da un pervicace orgoglioso ci si può aspettare un po’ di luce. Ma non in quanto tale, piuttosto perché, nel suo rivelare, pagandone lo scotto sulla sua pelle, la sfrenata ambizione alla sacralizzazione, può apprendere e diffondere un po’ di compassione e di saggezza.
Ha ragione Marassi, nel ricordare il Sutra del Diamante, ad affermare che il segno “buono” è “quello della non esibizione dei non segni”. Ma, “quanto al resto”, il parlare che è profanare riguarda solo la pretesa di comprendere e di enunciare la verità, di afferrare la vita – ambizione che, non casualmente, caratterizza sempre coloro i quali finiscono per divenire dei modelli. Ma c’è un parlare che non profana, ed è quello che ci aiuta a comprendere il nostro errare, ciò che turba ed agita il nostro cuore-mente (citta), e che può sostenere con una conoscenza più adeguata delle proprie difficoltà l’investigazione pratica, consapevole e accogliente di sé (come ben mostra la sequenza circolare e sinergica dei fattori dell’Ottuplice sentiero, dove la retta visione “precede” i fattori più propriamente pratici, per esserne, poi, a sua volta nutrita e trasformata). Invece, il ritenere che, in nome dei “nondue” buddhisti, questo “prendere rifugio in se stessi” che costituisce il nucleo della pratica sia, sempre e comunque, inscindibile dal “risultato”, per cui non se ne possa parlare cercando di comprendere i termini ed il contesto esistenziale in cui inevitabilmente la pratica viene accolta, non nobilita il discorso in dialettico ma, se si vuol essere realmente conseguenti, consegna solo al silenzio assoluto.
Carlo Di Folca
Marzo 20th, 2006 at 8:30 pm
De hoc satis?
Larga la foglia …
mym
Maggio 5th, 2006 at 9:36 am
Nel commento all’”Arpa Birmana” mi pare sia necessaria una chiarificazione.
Dapprima mym scrive:
e via col primo tema che è quello della religiosità Birmana. OK
Poi, il secondo tema è introdotto dalla frase:
che, come si evince proseguendo nella lettura, è qualcosa di profondamente settario, nazionalistico. Ed il ragionamento è sviluppato senza capovolgimenti dialettici.
Ora, secondo me, dovrebbe essere spiegato meglio cosa ci sia di ‘religioso’ in una visione profondamente settaria e nazionalistica della vita e della morte (perché di ciò si parla nel film); o almeno quale uso viene fatto in questo contesto del termine ‘religioso’.
Il tema è probabilmente interessante, ma detto così non posso che trovarmi in disaccordo.
Maggio 8th, 2006 at 11:49 pm
Il tema proposto da Paolo è interessante e complesso. Prima o poi occorrerà occuparsene in modo sistematico perché le implicazioni particolari (influenza diretta sul buddismo giapponese e perciò anche sullo Zen) e generali (concetto di religione) sono tutte in gioco ed hanno una valenza che non deve essere ignorata…
Continua in una pagina apposita
Maggio 12th, 2006 at 11:41 am
Edizioni Marietti, 285 pagine, prezzo € 20,00.
Maggio 13th, 2006 at 7:41 pm
Grazie.
Sì, potevo essere un poco meno irruente… più amorevole nei confronti del vecchio Fromm.
Su un altro piano si può dire che “interdipendenza” intesa come pratītyasamutpāda ha come fondamento il vuoto/śūnya, né essere né non essere, per cui essenzialmente diciamo la stessa cosa: la differenza parrebbe tattica, come si diceva una volta. Un aspetto interessante nella risposta è l’invito a ripensare al ’68 (numero che è sineddoche) in termini attuali: con occhi che -in parte grazie al ’68- hanno “visto” anche il buddismo.
Ringrazio il direttore Torrero per le parole di apprezzamento che ha scritto a proposito del libro sul Buddismo Mahāyāna. Parole che pubblico per completezza, essendo parte integrante del suo articolo.
Luglio 4th, 2006 at 11:06 am
Non so come mai nella chiesa manchi la religiosità che fa gridare alle abitudini oscene di allevare animali con metodi contro natura e di trattare la loro vita come giocattolo.
Al cuore della religiosità biblica c’è il sacrificio, ossia l’immolazione della vita di un essere vivente. Ciò è nato proprio dall’aver percepito che la vita, negli animali come negli uomini, è sacra e tale santità custodisce intimamente la funzione di sacrificarsi per le altre forme di vita.
La vita è ricevere e dare, ma in una legge santa, insegnata dalla natura. Nessuna vita vive per se stessa, ma nell’economia della vita universale. Così molti animali vivono di altri animali; così anche l’uomo nell’equilibrio della sua funzione si nutre della carne degli animali di cui ha cura. Solo come atto sacro, per la conservazione di un equilibrio naturale. L’unica usanza contro natura che fa gridare la chiesa, purtroppo, è quella circa la genetica umana: ciò è ovviamente giusto, ma la legge che guida la genetica umana anima tutta la vita nelle sue forme.
Tra l’altro, la chiesa non si rende conto che il separare il valore della genetica umana dalla economia universale della vita indebolisce il suo insegnamento, perché appare snaturato.
p.Luciano
Luglio 5th, 2006 at 1:29 am
Se avete lo stomaco forte e volete capire che cosa prova un cacciatore quando alla fine dell’appostamento – con grande eroismo e sangue freddo – riesce a piazzere il colpo perfetto, potete leggere la cronaca dell’abbattimento di un capriolo o ancora meglio di un cinghiale o di un altro capriolo.
Dobbiamo fermare questa pazzia.
Pierinux
Luglio 18th, 2006 at 11:18 am
Nel Paleolitico l’istinto primordiale ha indirizzato alla caccia in quanto unico mezzo per assicurare la continuità della specie umana che, in seguito, ha trovato per garantirsela mezzi ben più intelligenti e adeguati a una specie, appunto, intelligente. Alcuni individui dell’età paleolitica sono sopravvissuti fino ad oggi, senonché, all’interno di civiltà più avanzate, hanno dovuto travestire l’ormai inutile istinto primordiale con la maschera di una nobile attività sportiva e di un sano divertimento…
Cristina
Agosto 1st, 2006 at 12:20 pm
Sottoscrivo caldamente quanto dice Mauricio: sparare ad un animale non può essere come dilettarsi al tiro al piattello. Desidero però introdurre una piccola ma significativa integrazione, dovuta anche al fatto che vivendo io sull’Appennino (e amando questi luoghi) ho a cuore pure il problema dell’abbandono di queste terre e del fatto che stanno diventando sempre di più zone depresse.
Leggo dal quotidiano “La Repubblica”, di domenica 25 giugno 2006, dall’articolo di Giampaolo Visetti, dal titolo “Messner-Corona. Addio Alpi” (sottotitolo: Il re degli Ottomila e l’alpinista-scrittore in cammino insieme per lanciare un allarme. La cultura delle nostre montagne sta per essere cancellata da avidità e ignoranza.):
“Prendiamo la caccia – sta parlando Mauro Corona, scrittore, scultore ligneo, alpinista e arrampicatore, nonché sopravvissuto alla tragedia del Vajont – poche balle, una montagna di carne è una risorsa. Come i pesci nel mare: perché lasciarla marcire nei boschi? Sulle Alpi la selvaggina può far vivere osterie, salumifici, macellerie, piccole concerie. I primi a non sprecare la fauna sono i montanari. Nelle capitali si è pubblicamente ambientalisti e privatamente vandali”.
Ecco, mi sta bene pure quello che dice Corona. No dunque alla caccia come gioco, ma sì come attività legata alle radici di un luogo. (Ad esempio: perché non consentire la pratica della caccia solo ai residenti in quella determinata area?)
Federico Battistutta
Agosto 1st, 2006 at 12:25 pm
[…] Per evitare doppioni i vari commenti a questo articolo sono stati spostati nell’analoga pagina dell’ambito buddista. […]
Agosto 2nd, 2006 at 3:26 pm
Consiglio a tutti coloro che ne hanno la possibilità di frequentare il Corso di Laurea specialistica in Sociologia della multiculturalità dell’Università di Urbino.La mia seconda laurea è infatti quella in Antropologia ed Epistemologia delle Religioni, antesignana dell’attuale corso di laurea nel quale si è trasformata. E’ un corso di laurea veramente interessante e molto, molto formativo. Il presidente del corso, il Prof. Alfieri è un’istituzione ad Urbino ed è una persona veramente squisita dal punto di vista umano (oltre che professionale).
David Monticelli
Agosto 4th, 2006 at 6:46 pm
Capisco che cosa vuol dire Federico. A suo tempo avevo letto anch’io le parole di Corona e non mi erano piaciute. Considerare gli animali selvatici dei boschi “carne” che addirittura “marcisce” se non viene macellata a fucilate mi pare eticamente identico al pretendere di cacciare per passione o divertimento perché si è pagata la tassa venatoria o perché si è sempre fatto così: è l’uomo che tratta la natura, il mondo attorno a sé, acqua, aria, alberi, animali come cose a sua disposizione. Per il piacere o per la borsa.
Vorrei si provasse a ragionare in modo differente. Per quanto possa essere scomodo e poco economico, affrontare la vita in armonia con la vita, con le altre vite, dovrebbe essere primario a quasi tutte le altre valutazioni, economiche, politiche, ideologiche, dottrinali. Che cosa questo significhi non è possibile dirlo prima, caso per caso, momento per momento occorrerà prendere delle decisioni almeno riducendo il danno che l’esistere di una vita causa alle altre vite. Respirando inquino, mangiando uccido e distruggo. Accendendo la luce aumento la necessità di sconquassare l’ambiente con centrali sempre più potenti, comprando il giornale causo l’abbattimento degli alberi necessari per la carta, uscendo in automobile… ecc. ecc. Siccome così stanno le cose, se pensassi che non c’è nulla da fare potrei dedicarmi al cannibalismo, magari di bambini, più teneri e delicati delle coriacee carni degli adulti. Se non lo faccio, se riconosco un limite al danno che il mio esistere può causare alle altre vite, è possibile un discorso diverso. Chiamiamolo di riduzione del danno. Non necessariamente a partire da una base etico religiosa quale potrebbe essere il non voler, per principio, nuocere ad altre vite, o il non voler versare sangue.
Si potrebbe pensare in termini di interesse personale in modo più ampio che l’incasso immediato di piacere, denaro, carne o nutrimento. La sostenibilità della vita, nel suo complesso, del pianeta Terra, così come vanno le cose, non è più possibile. Al primo posto certamente la pretesa di crescere ad ogni costo, anche a quello di distruggere la razza umana. Le guerre, che sempre più appaiono un modo per non dover fare i conti con il diritto dei terzi e dei quarti mondi a “consumare” come i primi e i secondi, o guerre più “semplicemente” dettate dall’esigenza di mantenere il controllo di risorse strategiche e impedire che il prezzo delle materie prime (che cosa determina il “prezzo” del petrolio?) possa calare. In mezzo a tutto questo c’è anche la caccia. Non è un problema primario, ma è un simbolo, la faccia esposta del sistema di rapina su cui si basa buona parte del nostro mondo.
mym
Agosto 8th, 2006 at 7:36 pm
“Caprioli, la caccia non è l’unica soluzione”
Fulco Pratesi Presidente del WWF:
L’ARTICOLO di Francesco Merlo sui caprioli piemontesi pubblicato [su La Repubblica] in prima pagina il 5 agosto, merita qualche considerazione, al di là degli atteggiamenti disneyani (comunque degni di rispetto) o di scherno.
Il nostro è un paese che certamente, in alcuni contesti territoriali, ha per qualche specie di animali problemi di soprannumero di capi. Sono comunque animali che pagano scelte dell’uomo, il quale – sterminando i predatori naturali o facendo reintroduzioni sbagliate per motivi venatori -ha alterato quegli equilibri che governano i rapporti tra le varie specie. Quando però si tratta di gestire questi problemi, la scelta cade sempre sulla caccia. Si chiamano abbattimenti selettivi, ma sempre caccia è.
Le catture e altri possibili interventi per limitare l’espandersi delle popolazioni, ricercando comunque soluzioni alternative, sono ipotesi che non vengono neppure prese in considerazione. E vero che spostare questi caprioli all’interno di tanti parchi che ne sono privi e li ricercano per reintrodurli, come proposto oltre che dal ministro dell’ambiente anche dal Wwf, non risolverà il problema (anche se per i cinghiali le catture sono molto più efficaci delle fucilate per contenerne il numero). Ed è anche vero che altre specie vengono abbattute senza sollevare analoga emotività.
Ma altrettanto vero è che rispondere in qualche modo all’indignazione che molti hanno avuto per l’ennesima mattanza significa affermare che una società civile può e deve cercare e darsi soluzioni, magari a medio o a lungo termine, per gestire questi problemi senza necessariamente dover imbracciare una carabina, oltretutto in periodi di caccia chiusa.
(La Repubblica, 8 agosto 2006)
Settembre 3rd, 2006 at 10:23 pm
[…] Riportando un articolo da Repubblica, a proposito del post sulla caccia… Fulco Pratesi Presidente del WWF: […]
Settembre 3rd, 2006 at 10:23 pm
[…] (a seguito delle recenti dichiarazioni del Dalai Lama apparse su La Stampa del 8/8/2006, fa seguito questo articolo, sempre su La Stampa, il giorno dopo) […]
Dicembre 31st, 2006 at 6:18 pm
[…] Eccoci, ci siamo, il DRM sta entrando nelle nostre vite in modo massiccio: attraverso i telefonini, quale migliore opportunità per un controllo totale ? Non vogliamo creare falsi allarmismi, ma la situazione delineata in questo precedente articolo è obiettivamente preoccupante. […]
Dicembre 31st, 2006 at 6:19 pm
[…] Avevamo segnalato qualche tempo fa nell’articolo Prove di dittatura informatica i pericoli che il DRM (Digital Right Management) nasconde. […]
Dicembre 31st, 2006 at 6:19 pm
[…] A proposito dei due articoli recentemente apparsi su questo sito riguardo la successione al Dalai Lama (Dalai Lama eletto per sfidare la Cina e Il Dalai Lama: dopo di me basta con le reincarnazioni), M.Y.Marassi ci spedisce questo commento. […]
Gennaio 1st, 2007 at 6:46 pm
Domanda:
Se il buon giorno lo si vede alla sera, adesso che è pomeriggio che famo? Aspettiamo sera?
Gennaio 2nd, 2007 at 1:37 pm
Non so come si aggiungono commenti ai commenti, ma, sapendolo, direi a “Doc” (mi par di non ignorare lo pseudonimo) che se ha meglio da fare che aspettar sera lo può fare tranquillamente, e se poi ce lo vuole anche dire, finalmente, cosa di meglio ha da fare, lo ascolteremo con grande interesse (mentre aspettiamo sera…)
Gennaio 3rd, 2007 at 1:55 am
Ho pulito a fondo la tavernetta. Aspettando la sera.
Buon anno
doc
Gennaio 3rd, 2007 at 12:33 pm
Brilla la tavernetta
mentre la sera aspetta:
dice un antico adagio
che chi comincia bene
a metà l’è del viagio;
gli risponde il cinese
che se di cento miglia
devi fare una strada,
calcolare conviene
che la metà del tutto
sia circa a novantotto.
Se la vedano loro,
di rane insulso coro:
noi non facciamo conti
né domandiamo sconti…
ma gli auguri sinceri
graditi riceviamo
con la voce del cuore
squillanti ricambiamo.
Aprile 4th, 2007 at 9:05 am
[…] Dubito che questi consumatori di carni appartenenti ad animali appena nati (nella tradizione romana l’abbacchio non deve avere più di 20 giorni), abbiano mai visto un macello, un mattatoio o anche solo l’uccisione di un agnello, di un capretto. Non sarebbe sciocco vedere per sapere. Rendersi conto delle conseguenze, anche di sofferenza, dovute alle nostre scelte alimentari non può che affinare le motivazioni legate a tali scelte. Chi produce, immette sofferenza nel mondo -ovvero in un sistema interconnesso- si assume una grave responsabilità. Da altri punti di vista, abbiamo già preso in considerazione il problema con un post e nell’introduzione ad un recente libro. […]
Aprile 6th, 2007 at 5:25 pm
Grazie per l’articolo. L’atto di uccidere un qualsiasi animale non può lasciarci indifferenti; molti mangiano la carne, ma pochissimi hanno visto uccidere un animale: è atroce! Non si può fare a meno di specchiarsi in quegli occhi.
Buona Pasqua
Aprile 7th, 2007 at 3:07 pm
[…] Condividendo la posizione espressa da «La Stella del Mattino» aderiamo volentieri alla campagna «Lasciami vivere» lanciata da Gattivity e Species invitando la blogosfera a fare un post contenente il banner realizzato da Veganitalia… […]
Aprile 9th, 2007 at 10:42 am
E’ una bella domanda. Direi che le cose, le cose umane almeno, non siano dotate di moto proprio e vadano come e dove uomini e donne le fanno andare: finché scene come quella che ha “sorpreso” l’amico Y. riempiranno le chiese di gente e faranno accorrere i fedeli a gremire le piazze, avranno ogni diritto di riprodursi. Molti secoli or sono tale monaco Francesco si presentò davanti a Papa e Cardinali e, sconvolto e sbigottito, esclamò: “Guardate i gigli del campo!”. Ma nemmeno la sua risposta fu sufficiente, la povertà sua sposa restò solo a caratterizzare un ordine religioso… Che fare? Bisogna modificare le norme per modificare gli esseri umani, o è necessario che questi ultimi cambino per cambiare le norme?
Aprile 9th, 2007 at 1:37 pm
Ricordate nel film “Roma” di Fellini: quella surreale sfilata di moda per gli alti prelati? In effetti siamo per certi versi un po’ nel surreale, ma nel “secolare” anche l’arte e lo styling chiedono la loro parte, gli italiani poi…
Al
Aprile 9th, 2007 at 3:38 pm
…ho letto il nuovo post: se la cosa ti fa piacere (ma dovrebbe allarmarti, tale sintonia…) quelle cose lì che scrivi me le sto chiedendo sempre più spesso, da un po’ di tempo a questa parte.
Però anche tua moglie e tua figlia hanno ragione: i rivoluzionari che abbattono i riti, poi ne introducono degli altri… l’umanità non si “accontenta” di un muro bianco o un fiore che sboccia. sono riusciti a ritualizzare perfino il buddismo, e perfino il cristianesimo, fondato da Uno che, proprio il giorno di pasqua, è stato definito il Non-è-qui.
Aprile 9th, 2007 at 6:53 pm
Il miglior commento che mi sento di farti è questa poesia dell’amico leo (Leopoeto):
TEATRINO
Aprile 10th, 2007 at 4:02 pm
Ho visto la foto … Da chierichetto qual ero (monaguillo in spagnolo, vero?) tutta questa pompa mi piace, fa molta atmosfera… Tutta questa magnifica fuffa mi evoca le stesse sensazioni che mi risveglia un bel melodramma italiano: pieno di sentimenti eroici, di grandi emozioni, pianti e urla, di morti santi e malvagissimi cattivi, e fondamentalmente senza senso.
Aprile 13th, 2007 at 12:01 pm
Caro mym sei troppo democratico 🙂
Non c’è paragone, qui è tutto molto più essenziale, indubbiamente.
Sono stato invece in qualche tempio tibetano e ho visto tantissimi tessuti finemente disegnati e colorati da tutte le parti. Ma era un bel vedere e rallegrava la vista. Sarò io lo strano?
Al
Aprile 13th, 2007 at 7:43 pm
Anche la mancanza di fronzoli può diventare un fronzolo. Si è liberi quando lo si è da tutto, anche da niente. 😉
Aprile 14th, 2007 at 11:56 am
L’abito non fa il monaco, dice un adagio nostrano: vuol dire, credo, che non si deve giudicare una persona da come si veste, ricca interiormente se di splendidi abiti addobbata, indigente di cuore se di laceri panni rivestita. Anche se non è lo specchio dell’anima, l’abito non è però sempre innocente: vestirsi per un rito religioso non è indossare a caso la prima cosa che si trova nell’armadio: c’è dietro una scelta, un’intenzione. La domanda dunque è lecita e solo in parte retorica: perché tanti prelati di tante religioni si conciano, per celebrare riti che simboleggiano la libertà dello spirito, in modo da suscitare, alla vista, non il raccoglimento e l’ardore, ma incredulo ironico stupore? La vanità è un peccato, e pazienza, nessuno è perfetto: ma il ridicolo è letale, perché non suscita lo stimolo al perdono.
Aprile 15th, 2007 at 11:24 am
Caro Mauricio, hai fatto una buona Pasqua? Mi immagino la danza di colori delle colline marchigiane!
Sono stato occupato in questi giorni […]
Hai chiesto il mio parere sull’olocausto degli agnelli pasquali. Anzitutto mi domando quanti agnelli debbano nascere ogni anno soprattutto per l’iid el kebir, la grande festa del sacrificio, che i musulmani celebrano un mese circa dopo il Ramadan. (Nel mondo cristiano l’agnello pasquale è molto ridotto al confronto).
Gesù ha celebrato l’ultima cena col pane e col vino, e lo fece non assecondando l’usanza registrata e prescritta dall’Esodo e dal Deuteronomio biblico. Il Vangelo non è certamente caratterizzato dal sacrificio degli animali; anzi presenta il sacrificio volontario di Gesù come perfetto una volta per sempre. Quindi l’agnello pasquale senz’altro è da un richiamo ebraico e rende opaca la novità della cena pasquale di Gesù proiettata tutta sulla morte e vita di cui si compone l’esistenza umana.
Tuttavia io so per esperienza (quando facevo le elementari anche mio padre teneva un gregge di un centinaio di pecore che pascolavano lungo il fiume Taro) che quella metà di agnelli nati maschi durante l’inverno, ben presto ad alcuni mesi di vita percependo l’energia sessuale cominciano a darsi cornate senza pietà. Ricordo una volta che impietosito tentavo di separarli e allora ambedue i contendenti si sono messi a dare cornate al sottoscritto. La natura non permette che a pochi agnelli maschi di crescere nella normalità. Se l’uomo o gli animali rapaci non intervengono, si creano l’equilibrio fra di loro e letteralmente si abbattono l’un l’altro. Io credo che l’uomo abbia cominciato a nutrirsi di carne vedendo quello che facevano gli animali.
Io mi chiedo che significhi il fatto che senza la legge predatori – prede non ci sarebbe l’equilibrio della vita. Alcuni ritengono che però l’essere umano, dotato di riflessione, debba prendere le distanze da questa legge del mondo dei viventi. Io li rispetto, mentre da parte mia scelgo di mangiare la carne in media una volta la settimana (ma non è che ne ho fatto una norma). Ricordo mio padre, allevatore e contadino, come trattava gli animali come membra della sua famiglia. Eppure il sabato un abitante dell’aia veniva sacrificato. Mio padre mangiava le zampe della gallina, perché non voleva che si buttasse via niente. Certamente il guardare negli occhi la gallina mentre le si tira il collo è un dovere naturale e religioso. Il sapere che la mia vita mi è nutrita dalla vita sacrificata degli altri esseri viventi mi insegna molto e anche mi commuove. So che deve essere anche della zanzara a cui indispettito dò la manata fatale.
Mauricio, auguri e arrivederci.
Aprile 15th, 2007 at 7:19 pm
Sono appena rientrato dal sesshin, dopo una discussione animata su questo tema.
Il consumo della carne ci fa riflettere sulle diverse sensibilità individuali, siamo fatti soprattutto di esperienze, io non riesco a vedere un film dove si picchia una donna, probabilmente perché ho assistito in casa a scene di questo tipo e ad averle subite.
Spesso, non sempre, ho una reazione analoga di fronte alla carne: forse perché ho vissuto in campagna dagli zii e ho potuto assistere all’uccisione di animali, non posso fare a meno di immedesimarmi. Ho riflettuto a lungo se questo non fosse frutto di un’idea di me stesso da difendere e a dire la verità non sono ancora giunto a una risposta definitiva, comunque spesso la vita non ti da il tempo di capire, si deve agire e chiarire come nel caso della discussione che abbiamo avuto in comunità. Bene, sono giunto al punto che chiederò al responsabile della comunità se quest’ultima continuerà, durante i sesshin, i ritiri, a consumare carne; dopo di che deciderò se continuare quest’esperienza danzando sul filo di un rasoio. Oppure, data la mia sensazione di “disagio” decidere molto dolorosamente di interrompere questa esperienza.
Con Padre Luciano, che stimo e saluto, abbiamo già discusso di questo e anche nei confronti della religione cristiana il fatto di avere essa il simbolo della passione e crocifissione di Gesù (e della sua resurrezione, in verità) ha creato a me non poche difficoltà. L’uccisione di un animale penso sia accettabile solo in caso di necessità. Comunque la storiella del buon predatore e un po’ ridicola; la necessità di uccidere gli animali per chissà quale equilibrio non è plausibile se il 99% della carne che si mangia viene dagli allevamenti, smettiamo di allevarla.
Grazie dell’opportunità
Aprile 16th, 2007 at 7:40 pm
Onanismo solitario o di gruppo?
Ringrazio Yushin per aver accettato di aprire questo piccolo dibattito e raccolgo la sua esortazione a non lasciarlo morire senza qualche ulteriore arricchimento.
Sono effettivamente un po’ stupito dalla sua presa di posizione così netta, almeno nelle conclusioni; cerco quindi di capire perché ritenga opportuno sbilanciarsi così.
La prima cosa che mi salta agli occhi è che, dato il ruolo che svolge, Yushin non poteva dire molto di più: dopo aver onestamente confessato il ‘peccato’ (seduto da solo 13 anni…) tenta di balzare al di là della contraddizione assestandosi in una posizione ‘politicamente corretta’. E certamente il consiglio che se ne ricava, cioè che è meglio soprassedere allo sedersi da soli in quanto pratica sterile, è un consiglio di buon senso e di prudenza; come missionario di una scuola (o tradizione o chiesa che dir si voglia) quale lo Soto Shu, effettivamente mym non poteva che prenderla da quel verso. Un buon padre dà sempre consigli sensati e di prudenza. Corretti. E pensa alla sua famiglia.
Già, è proprio il politically correct, in questo caso meglio il ‘religiosamente corretto’, che per cominciare mi lascia perplesso, poiché in nome di quella sorta di ideologia oggi assolutamente dominante, controllata ed alimentata a sua volta dei ‘media’, che mi spingerei provocatoriamente a chiamare ‘idolatria del sociale’, si rischia di banalizzare ogni argomento senza penetrarne più di tanto la superficie.
Pensiamo – ad esempio – alla parola ‘interdipendenza’, sempre più utilizzata come traduzione del termine pratityasamutpada, che è stato a lungo tradotto in italiano con ‘co-produzione condizionata’ o ‘produzione condizionata’ o ‘originazione dipendente’: perchè si preferisce oggi questo brutto termine (interdipendenza)? La mia preoccupazione, anche considerando i contesti nei quali viene per lo più utilizzato e l’età generazionale di coloro che oggi pensano e scrivono sull’argomento (pur senza scomodare il ’68), è che con l’uso di questo termine si insinui di fatto, non dico coscientemente o volutamente, una valenza ‘sociale’ all’idea che pratityasamutpada vuole esprimere. Si colora così, inconsciamente e sottilmente, di tinte formente sociali/sociologiche e quindi umano-centriche la chiave di volta dell’impianto dottrinale buddista (la produzione condizionata); la si ontologicizza perdendo di vista il tratto distintivo di pratityasamutpada che è sostanzialmente ‘vacuità’ (‘tale la vacuità, tale per noi la produzione condizionata’, mi pare reciti ripetutamente il buon Nagarjuna): qualcosa dunque che va ben al di là di opposizioni dialettiche/mentali quali il sociale-non sociale, uguaglianza-diseguaglianza, diritto-non diritto.
Lasciarsi prendere la mano ed accettare acriticamente la prevalenza della ‘dottrina sociale’ è una tentazione inevitabile e forse irresistibile, un percorso che un po’ tutte le religioni sono prima o poi indotte a fare, trasformandosi così in chiese e mescolandosi e contrapponendosi alla politica o alle scienze, in una pericolosa commistione di interessi e di valori che, se non si sta in campana, può generare orribili mostri. La storia di tutte le chiese è lì a testimoniare questo pericolo.
Ed un cenno, a questo punto, credo debba essere fatto riguardo l’uso del termine ‘religione’, termine strategico che come il prezzemolo è diventato buono per condire ogni tipo di minestra e per adeguarla ad ogni tipo di palato, come se una cosa solo chiamandola religione assumesse quella valenza di importanza e di inattaccabilità, divenisse uno scudo protettivo che ci mette al riparo da dubbi ed incertezze e, soprattutto, dagli ‘altri’. Nel corso del tempo mi è capitato di veder ascrive a radici etimologiche diverse e anche non proprio in sintonia tra loro, il termine religione. Ma lascerei questo tema agli appassionati, poiché mi pare molto più rilevante l’uso corrente che si fa della parola viva. Questo spazia da risvolti cultuali (di credenza, credo, confessione) riferiti in linea di massima ad un impianto dottrinale che prevede una ‘spiegazione’ della realtà di origine trascendente e ad una serie di regole comportamentali cui attenersi, spiegazione e regole di cui nessuno si assume la responsabilità perché derivanti da una qualche ‘rivelazione’ di natura non umana; a risvolti mistici (devozione, adorazione; di qualcuno, per qualcosa..) per lo più sostenuti da impianti dottrinali dogmatici o confessionali; fino ai risvolti socio-politici propri almeno di tutte le forme di integralismo. E’ un contenitore così generoso che può contenere praticamente qualunque cosa: dal misticismo al fondamentalismo o all’integralismo, dall’anacoretismo al ritualismo e così via.
A quale scopo introdurre questa parola come chiave di lettura al nostro tema? E’ il Buddismo una religione? Lo è lo Zen? E lo zazen, shikantaza, è una religione?
Lo so che è un tema dibattuto, ma mi pare anche un tema da superare in fretta perché ostacola la nostra ricerca. Ho sottomano l’ed. Ubaldini della < ‘Realtà dello zazen’ di Uchiyama Roshi: a pag 78 il tema è sviscerato in modo ampio e (per me) esaustivo. Lo zazen non è una religione nel senso di una setta o una professione di fede e neppure in quanto sottomissione alla autorità di un Dio. Se con la parola religione invece intendiamo ‘la dottrina del comportamento più intimo di fronte alla vita’, allora il Buddismo (lo zen) è religione ‘ nel senso più puro del termine’.
Mi fermo qui; tanto mi basta.
Ma allora, se uno si siede da solo con questo atteggiamento, orientato a vivere il sé che vive pienamente la vita del sé e null’altro, allora non è una cosa seria? Non è abbastanza ‘religioso’?
Dicevo all’inizio che quello di mym è sicuramente un buon consiglio. E’ evidente che sia meglio praticare in compagnia e, potendo, sotto la guida di un insegnante o comunque di chi è più esperto di noi. Non ho dubbi, non dobbiamo avere dubbi al proposito. E’ un po’ come le massime alla Catalano, di televisiva memoria: è meglio star bene che male, è meglio una moglie bella e ricca…e via sorridendo. Ma non è questo il punto.
Il punto è che non è una impostazione corretta (dal punto di vista dell’analisi, evitiamo facili ironie…) quella di porre il ‘sedersi da soli’ versus il ‘sedersi in compagnia’. Come se una cosa escludesse l’altra. Non si tratta di un aut aut. Se di questo si trattasse sarebbe, per me, un tema privo di ogni interesse, una contrapposizione sensa senso.
No; la domanda che dobbiamo farci qui, per non truccare le carte, è: “quando si è soli è bene sedersi da soli o no? Quando si è in compagnia è bene sedersi in compagnia o no?” E poi, così come studiamo nei dettagli i modi e l’atteggiameto migliore per sedersi in compagnia, possiamo chiederci anche: “Quale è l’approccio migliore alla pratica seduta da soli?”
Ma potremmo parlare della recitazione del Nembutsu, o della presenza mentale nelle attività quotidiane o di qualunque altra cosa: per quale motivo, quando siamo da soli, dovremmo fare le cose male o non farle affatto, svilire le cose che facciamo e sentirci per di più egoisti, e invece in compagnia dare il meglio di noi stessi?
L’unico motivo ostativo, che renda ragione alla posizione di Yushin, potrebbe essere quando/se noi appositamente, intimamente, ricerchiamo la condizione di ‘soli’ contro una visione plurale della vita; allora siamo particolarmente malati di orgoglio, di misoginia o – come vuole mym – troppo amanti del comodo ed anche un po’ troppo pigri. Ma anche qui ci sarebbe da discutere…
Bisogna anche sgomberare la mente da una altra ambiguità, determinata dall’uso della parola ‘soli’.
In realtà chi pratica da solo non necessariamente è un misogino o un pratyekabudda che si è arroccato in una caverna sul M. Bianco. Anzi, quasi mai è così.
Solitamente si trova in questa necessità, di sedersi da solo, chi vive in famiglia ed ha un lavoro, magari abita fuori città o si muove continuamente per affari: chi è, quindi, proprio all’interno del sociale, nel cuore profondo della ‘condivisione’. Pensiamo alla condizione con figli piccoli o con genitori anziani e via di seguito. Di solito – ma non ho fatto una indagine al proposito – si tratta di persone che comunque frequentano periodicamente un centro di pratica, che hanno forse dei referenti o degli insegnanti ‘qualificati’ i quali, per varie ragioni, sono raggiungibili con difficoltà; persone che non ignorano il valore dei 3 gioielli e che rispettano ed onorano e frequentano la sangha con modi e tempi propri, non correlati a formali rituali ‘di esercizio’. Almeno, questo è ciò che spero.
Lo zazen è una pratica per la vita (intesa come buddha-dharma, per dirla con Uchiyama, al di là della dicotomia tra illusione ed illuminazione); voler fare della vita una pratica per lo zazen, lasciando immutate le condizioni, è un rischio e può diventare un errore fatale. Chiunque può fare la prova.
Chi vuole impostare la propria vita in funzione della pratica ‘religiosa’ e null’altro, se ha buon senso non rimane in una condizione laica, evita di costruirsi una famiglia da sostentare con un lavoro, si fa monaco e si reca dove si deve recare per il tempo che verrà stabilito; non tiene il piede in due staffe. Così è sempre stato, perché questa è la condizione migliore per fare una pratica che sia ad un tempo mezzo e fine.
Confondere i due piani significa fare tutto male, mandare a carte quarantotto famiglia, lavoro e ambiente sociale di riferimento; non è questa la lettura raccomandabile del passo evangelico in cui Gesù esorta ad odiare i propri figli ed i propri parenti e amici per guadagnare il regno dei cieli… Oppure significa disamorarsi presto della pratica.
Naturalmente il mio è un ragionamento da ‘laico’, da laico che non si augura di vedere il mondo trasformato in una immensa teocrazia ma piuttosto si augura che la luce del ‘fondare la fede sul Sé’ permei questo mondo così come è, con le strategie che il Sé ritiene più opportune, anziché seguendo modelli precostituiti da altri uomini, in altri tempi e luoghi, che calzano alle singole realtà spesso come scarpe troppo strette.
Infine, il sedersi da soli è pratica che ha una lunga tradizione, anche di tutto rispetto.
A cominciare dal fondatore Sakyamuni, ad altri illustrissimi personaggi come Bodidharma o Milarepa, per finire, attraverso molti altri, con Uchiyama roshi che narra della sua pratica da solo (vedi ad esempio quando narra di come lui ed il suo confratello Sodo-san, in Antaiji, sedessero in stanze separate; commento al Bendowa di Dogen/ trad. di S. Okumura Tokyo 1993/ pag 142 ed altrove, ma siccome non trovo più le pagine e per ora non posso citarle…; tra l’altro, rispondendo ad una domanda sul perchè, anzichè operare nella società, siede solo in un posto così isolato U.R. risponde: “Society always moves without direction. Within such a society it is the greatest contribution to sit immovably by oneself”. Siamo ai margini del nostro tema, ma non mi pare uno spunto cos’ irrilevante), fino ai succitati 13 anni di Yushin.
Ho buoni motivi di ritenere che nei paesi dove la cultura buddista è radicata da tempo, nelle famiglie o in altre situazioni, ci si sieda in zazen tranquillamente, anche da soli: cosa che il cinema (ad esempio) talvolta ci permette di osservare.
E questo ci conduce ad una ulteriore, interessante considerazione, che giustifica e riporta nella sua giusta luce la correttezza e la prudenza della risposta di Yushin: siamo pronti, noi occidentali, noi italiani? La nostra pratica è sufficientemente matura da balzare al di là di questi dilemmi che possono sembrare un po’ assurdi ed artefatti ma che tali, a mio modesto avviso, non sono?
Saremo sufficientemente maturi per sederci lasciando che il sé sia semplicemente il sé, per fare della pratica non un mezzo e neppure un fine o un rifugio al nostro proprio ego, ma una condizione piena, che possa anche rinvigorire la nostra vita e quella di chi ci sta vicino ed indirettamente anche quella di chi vicino non è? Inclusi piante, animali, aria e via discorrendo? In compagnia quando le circostanze sono ‘compagnia’, da soli quando le circostanze sono ‘soli’.
Ma poi: quando siamo realmente soli?
Che la nostra ricerca e il nostro sforzo possano essere di beneficio a tutti gli esseri.
PS
Aprile 17th, 2007 at 10:26 am
Oggi, lapidario lapido: la frase “Che la nostra ricerca e il nostro sforzo possano essere di beneficio a tutti gli esseri” senza sedersi in compagnia, con tutti gli annessi e connessi che questo comporta, rischia di sembrare un po’… vuotarella.
Ciao
PS: in “Onanismo religioso” ho aggiunto una precisazione, all’ultima riga.
Aprile 17th, 2007 at 10:37 am
E se l’ umanità avesse un meccanismo, in sé, di autoregolamentazione? Se in quelle situazioni dove la popolazione raggiunge un certo grado di benessere scattasse come una sorta di meccanismo in modo che alcuni individui di quella popolazione cominciassero ad essere insofferenti a delle abitudini acquisite, ma che sentono superate? non è il piantare i cavoli tra gli igloo, Con la mente spesso cerchiamo una risposta esauriente, ma non c’è. Nell’Italia contadina si uccidevano gli animali, e si insegnava da bambini e si faceva assistere all’uccisione degli animali (anche al sottoscritto), ed era giusto: si sacrificava un essere considerato inferiore per la sopravvivenza dell’ uomo. Ora non è più così e qualcosa nell’ animo c’è lo dice, non è più in discussione la sopravvivenza dell’ uomo al punto da dover uccidere, tenendo presente che a quel tempo si uccideva si, ma la carne non era consumata così spesso come oggi. L’assistere o attuare l’uccisione ci faceva sentire anche la compassione per quell’ essere che doveva essere vinta, si doveva vivere. Ecco perché c’era più rispetto per la vita perché era una sorta di coinvolgimento totale emotivo e istintuale.
Ora di carne se ne mangia molta e già pronta confezionata al supermercato emotivamente asettica.
Ciao,
Silvano
Aprile 17th, 2007 at 4:54 pm
Che buffo: perchè mai uno non dovrebbe sedersi in compagnia?
Comunque anche qui si potrebbe aprire un bel capitoletto.
Ma, come ti ho scritto, perchè il dibattito non inaridisca ci vorrebbe qualcuno che allarghi il gioco sulle fasce, che so…. Pirlo!
ciao
p
Aprile 17th, 2007 at 6:09 pm
Ribaltando il discorso: secondo Pascal, l’origine di tutto il MALE del mondo sta nel fatto che NON riusciamo a stare seduti da soli in una stanza.
Vado bene come Pirl…o?
Aprile 17th, 2007 at 8:14 pm
Una volta i ministri del culto di molte religioni, prima di avvicinarsi all’altare, si lavavano le mani e indossavano abiti puri per non contaminarlo con le lordure della vita quotidiana: quegli abiti dovevano rendere onore al dio cui si rivolgevano ringraziamenti e preghiere, e i fedeli erano lieti di rinunciare a una fetta di pane per offrire ai ministri un frammento di quell’abito.
Una volta la maggior parte delle persone vivevano in dieci in una stanza senza pavimento e senza mobili e offrivano ai ministri il loro centesimo, risparmiato sulla lana per coprirsi, perché potessero ornare la parete del tempio con drappi di porpora e oro.
Una volta i ministri celebravano i riti servendosi di lingue e formule arcane, incomprensibili ai fedeli, cosicché questi erano colti da timore reverenziale davanti a chi, con tale linguaggio, sapeva comunicare con la divinità.
Una volta i ministri, paludati nella porpora e parlando latino, reggevano i fili della vita di ognuno che, ammirato e sbigottito, sceglieva di ubbidire a chi sapeva e poteva tanto di più.
Una volta il popolo straccione e incapace di parlare bene non avrebbe mai pensato di poter chiedere “perché?” a chi vestiva e parlava con tanta evidente superiorità.
Una volta?
Aprile 18th, 2007 at 8:01 pm
Intanto devo pubblicamente ringraziare Licia per la sua presenza nella Comunità che fa rendere il luogo “vivo”. Sono d’accordo con Y. pratica è anche cura del luogo,
la mia cura purtroppo la riservo da qualche anno nel venire in Agosto per circa una settimana è un pò poco, ma finora è quello che posso fare e penso che lo farò anche quest’anno sperando nella disponibilità di Jiso per fare qualche ora di “studio”, ho notato che le sesshin sono state inframezzate dal lavoro, anche se preferirei un ritiro intensivo, capisco che solo così si può avere la presenza delle persone per svolgere le mansioni necessarie. Penso che lo zen deve entrare nella vita anche avendo a cuore e nel cuore il luogo. Licia ha bisogno di un aiuto nell’orto, si accettano volontari.
Silvano
Aprile 20th, 2007 at 7:04 pm
Approfitto della pausa di silenzio sul blog per dire ancora la mia; scusate.
Ho molto apprezzato l’introduzione postuma al tema, che Yushin ha messo in home page col titolo Zazen? Da soli!, e da questo vorrei trarre spunto per qualche altra riflessione.
Il “sacrificio del dono della legge” di Vimalakirti, a mio modesto avviso, non è da leggersi come obbligo morale, neppure è da misurare con una qualche scala di meriti né tantomeno va soppesato come causa dell’effetto ‘uomo della via’.
Quel sacrificio non può essere cercato, sennò è viziato da calcolo, da intenzione: non può essere rifiutato o evitato, sennò si contrappone una volontà propria al corso delle cose e siamo daccapo. In realtà non è un sacrificio nel significato comune della parola; se non fosse un modo di parlare un po’ arcaico dovremmo dire che è un non-sacrificio.
Se può, può essere solo come ‘agio’ del presente che realizza il presente: “grazie al quale gli esseri maturano senza principio né fine”.
Per noi uomini comuni, questa parrebbe una buona rotta da seguire. Con un po’ di prudenza.
O mi sono perso qualcosa?
Cosa significa poi, ciò, in termini concreti? Ad esempio che ognuno segua innanzi tutto la sua propria ‘vocazione’ naturale, il religioso come religioso, il laico come laico (Vimalakirti docet! se non ricordo male infatti, proprio il sutra di Vimalakirti segna la legittimazione storica della condizione di ‘praticante laico’); che ciascuno misuri – se proprio vuole misurare – il suo impegno con la scala delle proprie possibilità e potenzialità, delle circostanze personali, sociali ed ambientali in cui si trova a vivere. Dei propri talenti e dei propri limiti.
E’ vitale, certo, tenere in alta considerazione il parere, il giudizio e l’esempio di altri, soprattutto quando giungono da ambiti ‘qualificati’: ma poi facciamo comunque, necessariamente, le nostre scelte con la nostra propria testa, assumendocene la responsabilità (a chi altri potremmo addebitarla?) evitando nei limiti del possibile di scimmiottare, divenire succubi o di farci plagiare o indottrinare più di tanto. Rischiando. Sbagliando. Cadendo anche e cercando la forza di rialzarci ogni volta.
E’ “sacrificio del dono della legge”, a mio avviso, anche un piccolo atto di vita quotidiana, quando riusciamo a mettere da parte per un attimo il nostro io ed agiamo nel presente che si realizza proprio in quel piccolo atto: lo è lo stare con persone che neppure conoscono il buddismo, donare la nostra attenzione ed ascoltare, anche perché nessuno è nato ‘imparato’ e tutti, proprio tutti, hanno qualcosa da insegnarci. Lo è anche donarsi in toto ad una chiesa, per chi sente questa scelta come sua , come lo è donarsi ad una famiglia, a una comunità religiosa o ad altro ambito laico, oppure ad attività non cercate necessariamente in funzione del nostro esclusivo profitto o vantaggio. Pulire il sedere ad un vecchio parente malato o dedicarsi ad attività di volontariato verso terzi. E, perché no?, anche sedersi da soli anziché andare in discoteca o a andare a cercare del (questo sì, solitario) sesso a pagamento (siamo su questa terra). O scrivere su questo blog senza voler vincere, e leggervi senza temere di perdere.
C’è già da troppe parti un costante tentativo di omologare lo standard dei comportamenti corretti: mi asterrei dal creare ‘modelli’ con cui misurare il ‘sacrificio’.
Perché dunque catalogare forme non standardizzate come ‘disimpegno’? Mi pare, scusa mym, un atteggiamento un po’ sprezzante. Perché – ad esempio – partire dal presupposto che dietro una pratica da soli ci siano prevalentemente arroganza, orgoglio e sovrastima di sè, e non invece – che so – difficoltà, paure, disabilità, insufficienze o necessità di altro genere? (Non tanto diversamente che nella pratica collettiva, peraltro. Siamo comunque un mix di tutte quelle cose.) Il quale interrogativo consiglierebbe forse un ascolto più attento, piuttosto che comandamenti o richiami all’ordine.
Mi rendo conto che predicare bene è facile, quasi quanto razzolare male: è la mia vita, è la nostra vita. Non possiamo fare che errori, temo: ma l’errore peggiore mi sembra ‘giudicare’ gli errori altrui.
Un’ultima precisazione: non intendo minimamente millantare una qualche presunta superiorità del sedersi da soli rispetto alla forma collettiva o comunitaria, tutt’altro. Non nutro e non insinuo nessun fascino particolare nello stare soli. Non ci trovo nulla di eroico o di vantaggioso. Nè nego che makyò (forse la scrittura è errata, intendevo riferirmi alle vivide illusioni/allucinazioni che si presentano talvolta durante la pratica e che a volte scambiamo per realtà) stile eremita-samurai-non-ho-bisogno-di-nessuno possano più facilmente tentarci, stando soli. Fa parte del rischio. Per questo non è consigliabile così, senza riserve. La pratica da soli rimane in qualche modo un ripiego dettato dalle circostanze, ad esempio come integrazione di una pratica collettiva quando non è possibile (qui sì, concordo che non debba diventare un alibi per imbrogliare noi stessi) frequentare regolarmente un gruppo o una comunità o si sente l’esigenza di una maggiore applicazione, oppure in altre circostanze delle quali si possono, volendo, cercare testimonianze presumibilmente non prive di interesse.
Questo mi sembrava si dovesse evincere chiaramente dal contesto della mia precedente. Temo pertanto di essere stato frainteso, ovvero di essermi espresso male.
Penso però che, ponderata attentamente e con le dovute cautele, sia una pratica – quella da soli – che non merita nemmeno di essere demonizzata a priori, al di fuori dei contesti in cui viene adottata. C’è situazione e situazione, c’è persona e persona e così via; le generalizzazioni assolutistiche mi lasciano sempre molto, molto perplesso.
Infine due righe su Pascal: Dario, hai gettato un amo come si deve. Però è abboccando che si supera la contraddizione.
Confesso di non aver letto Pascal; immagino che avrà (e avrai) ampiamente commentato quella riflessione di grandi potenzialità.
Aprile 21st, 2007 at 6:19 pm
L’aspetto normativo non va certamente al primo posto: solo perché se mangio la gallina non avrò più uova, porre la legge salvagalline al primo posto non mi salverà dai mangiagalline. Tuttavia è indispensabile che, se mi occupo di galline, io sappia che una volta che ho fatto l’ultimo arrosto…: fine della storia, per me, per tutti. Perché dico questo? Perché nella mia esperienza (e da quello che leggo nei testi penso si possa dire lo stesso di molti nel passato) appare chiaro che sedersi da soli è di grande comodità, appagante, soddisfacente e privo di inconvenienti (un bell’arrosto già pronto, cotto come piace a noi) e contiene in sé stesso l’antidoto affinché ogni diversa inclinazione si spenga: chi non conosce la radicalità con cui in un pomeriggio di zazen scompare tutto quello che al mattino ci pareva doveroso?
Io penso che il sacrificio di cui si parla nel Vimalakirti non sia da interpretare troppo largheggiando di senso. Certamente in Estremo Oriente l’attenzione a mantenere sempre attivi i conti del dare e ricevere (ovviamente si va in attivo quando si è dato più di quello che si è ricevuto) fanno sì che certi discorsi solo raramente vengano affrontati e quasi unicamente su un piano accademico: il rubagalline (ho spiegato sopra il senso di “furto”) non è, non sarà mai considerato -da sé o da altri- un legittimato.
L’idea che mi sta venendo è che allo stesso modo si discuta del tema qui in Occidente, ovvero in modo altrettanto astratto: siccome vanno in paradiso anche i rubagalline, allora perché no? Sì, va bene, ma è come tagliare il ramo sul quale siamo seduti.
Da un lato. Dall’altro, provare per credere, la rotondità della vita dedicata alla pratica sente l’assenza del sacrificio del dono della legge quando questo ci è negato, non solo quando lo abbiamo rifiutato.
Aprile 22nd, 2007 at 8:47 am
Raccolgo la sfida di P. Luciano, la natura ci mette alla prova, ci chiama a fare il nostro ruolo, mette alla prova le nostre convinzioni più profonde e le nostre presunte etiche-tte da supermercato. Attenzione Luciano però, perchè il discorso ci può portare su un terreno minato e vorrei un tuo commento su “il dovere del medico” di Pirandello.
sc
Aprile 24th, 2007 at 3:57 pm
Però, contraddicendo in parte quanto affermato sopra, è vero che
la ritualità è una costante antropologica, però è anche vero che
bisogna dirsi ben chiaro: se il Crocifisso ha dato origine a dei
RITI in cui il fedele rivive il Suo sacrificio, allora il cristianesimo
è un banale culto misterico, come Iside o Mitra. Se invece la
forza eterna del Cristo consiste nella sua capacità di creare
“scandalo”, allora diventa lecito dubitare che lo scopo della
sua missione fosse quello di inventare nuove cerimonie (neppure
troppo nuove, peraltro…).
Aprile 28th, 2007 at 9:54 am
Assieme agli amici vegetariani ho discusso spesso se sia giusto mangiar carne o no. Io, ammetto, non sono un vorace carnivoro, perchè nella mia famiglia si mangiava carne quasi sempre, sia a pranzo che a cena. Perciò ho sviluppato in me un senso di sazietà ad essa; nonostante ciò non riesco a trattenermi davanti alla carne di maiale. Golosità? Certamente. Nonostante ciò, sono convinto che l’umanità, nei secoli, abbia sviluppato un modo di cibarsi conforme sia all’ambiente circostante che alla quantità di lavoro da svolgere; è un fatto: senza la carne, moltissime popolazioni umane si sarebbero estinte. Ma è un fatto altrettanto assodato che, soprattutto nell’antichità, l’animale sacrificato era rispettato come un dio, perchè donava vita. L’esempio più ecclatante che possiamo adottare è quello dei bisonti delle praterie americane che venivano usati dalle popolazioni autoctone per tutto: dal cibo, alle scarpe, alle tende. ai vestiti ecc. Moltissimi capi venivano abbattuti ogni anno; ma, per millenni, i bisonti non si sono estinti, anzi, a quanto pare, aumentavano. E’ bastato qualche anno di caccia “non sacrale” e questi si sono praticamente estinti.
Oggi, nel Villaggio Globale, con la produzione “in batteria” di carne da consumare voracemente, tra una telefonata e l’altra, mi sembra giustissimo che molte persone preferiscano cercare un modo di cibarsi che eviti questa mattanza. Quello che vorrei, però, e che i vegetariani abbiano quella tranquillità interiore di non trasformare la propria scelta in un gesto eroico per salvare gli animali da macello o l’umanità dalla barbarie; riconoscendo, semplicemente, che la maggior parte dell’umanità oggi non ha la possibilità di scegliere di cosa cibarsi e neanche la certezza che si ciberà di qualcosa durante la giornata. Questo vale per tutte le nostre scelte, non incensiamole troppo, acquisiamone consapevolezza e non meriti.
Aprile 28th, 2007 at 11:46 am
Su blogsfere (gia’ ampiamente “gemellato” con il nostro sito) prosegue parallelamente un dibattito su questo stesso tema, vi segnalo un paio di link interessanti:
Animale e uomo e
Il parere dell’esperto
Aprile 28th, 2007 at 7:11 pm
Sono d’accordo con Pietro di non fare guerre sante, ma chiediamoci come mai gli esperti ci consigliano il consumo della carne rossa non più di una o due volte al mese e il pollo una o due volte la settimana. Pietro abita a Verona come me ha visto i numerosi capannoni di allevamento dei polli sulle nostre colline, e la grande azienda nota in tutta Italia sotto casa. Mi chiedo se il consumo della carne non sia un business. Allora, giustamente, a parte i vegetariani, qual’è il nostro reale bisogno?
Aprile 30th, 2007 at 6:31 pm
È più facile meditare che fare effettivamente qualcosa per gli
altri. La mia sensazione è che limitarsi a meditare sulla compassione
equivale a optare per l’opzione passiva. La nostra meditazione dovrebbe
creare la base per l’azione, per cogliere l’opportunità di fare
qualcosa.
Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama
Aprile 30th, 2007 at 11:33 pm
Non sono un nutrizionista, ne un dottore. Da quando è nata mia figlia (10 mesi orsono) ho capito però che ogni “luminare” ha la sua tesi personale riguardo l’alimentazione. Io mi rivolgo, per fiducia, ad un medico che ha approfondito la sua conoscenza della medicina “ufficiale” con molti altri aspetti del corpo umano che vengono genericamente chiamati “psico-somatici”. Ma, devo dire la verità, non gli ho mai domandato nulla sulla carne.
La carne è un business, certamente. Proprio nel numero di “Internazionale” di questa settimana c’è un articolo di Le Monde che s’intitola “L’argentina in vendita”: il 10% del territorio (un superficie grande come l’Italia) è in mano alle multinazionali della carne, il resto è stato venduto a poco prezzo, nel momento della crisi economica, a famiglie ricche argentine che non rispettano l’antica tradizione dell’ “estancias” perchè abitano in città oppure all’estero.
Anche il biologico ha il suo bel giro di soldoni, seppur in tono minore rispetto alle multinazionali (hai mai fatto un giro al “Natura Sì”?). La dieta macrobiotica, per esempio, impone un import sempre maggiore di cibi di origine orientale che in Europa non sono disponibili in natura. Ultimamente anche il “The economist” britannico ha tentato di fare contro informazione scorretta ai danni delle reti di distribuzione biologiche ed equo e solidali, scrivendo un articolo delirante ma che ben mostra quanto, oggi, la ricerca di un cibo più sano e più giusto eticamente stia facendo tremare i polsi a diverse imprese influenti.
L’unica via più semplice per risparmiare, ed uscire il più possibili dal giro dei megastores sono i GAS (Gruppi d’Acquisto Solidali http://www.retegas.org): gruppi di famiglie che comprano dai piccoli produttori della zona. In questo modo: evitano la grande distribuzione, scelgono il produttore che effettivamente usa tecniche agricole salutari, controllano che il personale non sia sfruttato, riducono l’inquinamento e la circolazione dei maledetti TIR, costituiscono una rete vasta di amicizia e scambi d’idee. Anche questo è un piccolo passo, non illudiamoci però che i supermercati spariscano in un batter d’occhio. Io stesso, pur facendo parte di un GAS, devo recarmi nei supermercati a fare la spesa per tutti gli alimenti che il Gruppo d’Acquisto non fornisce.
Pietro
Maggio 1st, 2007 at 6:20 pm
Ringrazio Pietro per la notizia dell’esistenza dei GAS. Ho visitato il sito http://www.retegas.org se ne trovano sparsi in tutta Italia, andrò sicuramente a vedere come funziona e lo consiglierò a chi conosco.
Grazie ancora, Ciao
Maggio 1st, 2007 at 11:59 pm
Date un’occhiata per i gruppi d’acquisto anche a http://www.mondobiologicoitaliano.it
Ciao,
Al
Maggio 2nd, 2007 at 12:09 pm
[…] Nei commenti ad un post pubblicato nel periodo di Pasqua, si sta sviluppando un dialogo attraverso il quale sta emergendo anche un diverso modo di rapportarsi ai cibi in quanto merci. Per questo vi invitiamo, se condividete, a votare quel post ora in evidenza qui, un sito di segnalazione dei post più interessanti […]
Maggio 3rd, 2007 at 10:08 am
Nella discussione “carne sì-carne no” ho trovato, finalmente, un punto di vista interessante pubblicato da un carnivoro. E’ pubblicato qui
Maggio 3rd, 2007 at 9:52 pm
La discussione non ha fine, spero comunque che tutto serva a mangiare meno carne e più coscientemente, evitando di produrre sofferenza. Può essere un piacere mangiarla, ma spero che col tempo si insinui il sospetto che il più delle volte se ne può fare a meno.
Ciao
Maggio 4th, 2007 at 11:01 am
Le battute a proposito della Chiesa affondano tristemente nei luoghi comuni, che è la peggio cosa (a meno che non si aprano dibattiti elevati, come su questo sito). Però anch’io, a leggere che l’OR ha usato il termine “terrorista”, ho provato un senso di disgusto per il Vaticano che usa un linguaggio da campagna elettorale padana. Allora, visto che diventa lecito sparare a raffica, lo faccio anch’io: aridatece er puzzone, cioè la Chiesa cattolica com’era prima del Concilio, quando non aveva tutta ‘sta smania di “dialogare alla pari” con il “mondo contemporaneo”.
Maggio 4th, 2007 at 5:49 pm
“E’ vile e terroristico lanciare sassi questa volta addirittura contro il Papa”.
I sassi???
Chi lancia i sassi va in galera, non mi sembra questo il caso.
Nei giornali per farsi le ossa, un tempo, si cominciava con l’occuparsi di cronaca o di sport, prima di diventare opinionisti.
Maggio 4th, 2007 at 7:08 pm
Attenzione a non fare il gioco di chi provoca per arrivare a scontri senza fine, o peggio, a chi li crea per essere martirizzato. I provocatori sono una specie antica come l’uomo, una volta stavano vicino ai cortei, oggi in Vaticano, in Parlamento e sui giornali.
Maggio 5th, 2007 at 1:38 am
Non ho visto lo spettacolo e non conosco il “terrorista” in questione, ma se le frasi dette da quel signore son quelle e la risposta del vaticano quell’altra (riportata nel link), mi par che fra i secondi ci sia profonda nostalgia dei bei tempi del Sant’Uffizio, neanche tanto celata…
Spulciando poi su internet ho letto due ineffabili dichiarazioni. Ne riporto alcuni passaggi chiave:
1) “…Ci sono due forze oggi contro l’occidente. Una è la sfida islamica, l’altra è la sfida interna all’occidente che odia se stesso. Oggi l’odio antioccidentale emerge nel mondo, unisce l’America latina al mondo islamico. E figure che hanno espresso l’identità dell’occidente e l’unità dell’occidente come Bush, Blair, Berlusconi e Aznar, non hanno più tanto potere da suscitare odio. L’unica figura odiabile dagli occidentali di occidente e dagli antioccidentali d’occidente è la chiesa cattolica. E segnatamente questo grande Papa, che ha difeso l’appartenenza all’occidente della cristianità assieme all’universalità della fede cristiana…” (Gianni Baget Bozzo su Il Foglio)
No comment
2) “…Gli scriteriati ci sono sempre, ci sono sempre persone che usano linguaggi al di sopra delle righe. Chi ha più buonsenso lo usi, diceva sempre mia madre: cerchiamo di usarlo” (Prodi su La Stampa)
No comment bis
Ciao, Al
Maggio 5th, 2007 at 9:56 am
UOMINI
Mi ricordo circa trentanni fa, era la metà degli anni ’70, i miei erano molto legati alla Madonna e spesso capitava che andassimo alla messa in un santuario della Madonna di Lourdes. Bene una domenica un solerte sacerdote ci invitò ad uscire perchè mia sorella (handicappata) recava disturbo (?).
Ci trovammo sotto il sole sulla scalinata vergognosi e colpevoli.
Poco dopo venne il momento di far fare la comunione a Cristina, il parroco del paese si rifiutò dicendo che tanto lei non capiva niente, intervenne l’ex curato allontanato dalla parrocchia per idee troppo progressiste che aveva grande seguito fra i giovani, volle fare una cerimonia solo per lei e, guarda caso nello stesso santuario dove qualche tempo prima eravamo stati cortesemente invitati ad uscire. Fu molto bello, mi ricordo ancora, con commozione, i giovani che suonavano la chitarra. Nel 2003 mia sorella è morta e fu ancora quel curato divenuto parroco di un piccolo e sperduto paese di montagna a celebrare i funerali.
Maggio 6th, 2007 at 7:08 pm
A proposito di rigurgiti da Sant’Uffizio sapete di questa?
http://www.uaar.it/news/2007/05/05/una-vergogna-italiana-chiusura-ergo-sum
Amen, Al
Maggio 7th, 2007 at 12:54 am
Oggi spulciando su Internet ho trovato casualmente questa citazione:
“La realtà è che quando un clericale usa la parola libertà intende la libertà dei soli clericali (chiamata libertà della Chiesa) e non le libertà di tutti. Domandano le loro libertà a noi laicisti in nome dei principi nostri, e negano le libertà altrui in nome dei principi loro” Gaetano Salvemini
Maggio 7th, 2007 at 10:08 am
“Sogno una chiesa più umile, meno autoritaria, nel senso di più conscia della sua ‘umanità’ e che la fa vicina a tutti in quanto ‘sorella e discepola’ proprio per essere ‘mater et magistra”
Luigi Sartori, sacerdote della diocesi di Padova
Maggio 24th, 2007 at 8:51 pm
Giugno 4th, 2007 at 10:54 pm
Non si può tacere, non si deve tacere, quando le libertà sono solo del più forte
allora qualcuno deve difendere il debole.
Facciamolo firmando, informandoci, parlandone anche se a qualcuno potrebbe dare fastidio, quel qualcuno farebbe bene meditare sulla propria miseria.
Grazie a Pierinux.
Silvano
Giugno 4th, 2007 at 11:02 pm
Sono sempre titubante quando si tratta di “abolire qualcosa” o di “non permettere a qualcuno di fare qualcosa”. La libertà è sacra.
Eppure stavolta non ho dubbi. Quando la libertà è a senso unico perché l’altra parte – la controparte – non dispone degli strumenti per esercitare la propria, allora si deve agire.
Blocchiamo questa brutalità.
Giugno 5th, 2007 at 7:53 pm
Da perfetta atea, iconoclasta, egocentrica ecc., riconosco un unico valore: la dignità della persona. La pedofilia è una grave violazione di questa, sia da parte di chi subisce sia anche da parte di chi si impone con la violenza. Tanto mi basta.
Giugno 6th, 2007 at 10:21 am
Che cosa si può dire per commentare tanta brutalità. Non c’è nessuna giustificazione che possa spiegare tanta brutalità, se non che per soddisfare le proprie perversioni, il proprio bisogno di affermazione, l’uomo è capace di tanta crudeltà. E’ come se facesse calare un velo, un filtro che intensifica solo il proprio “godimento” e cancella la sofferenza, il calvario che inevitabilmente viene inflitto alla “Vittima”..
Pensare ad un modo che faccia provare la stessa sofferenza delle vittime, ai loro carnefici!!, Questo li farebbe star fermi, forse, ma almeno non si azzarderebbero a proporre cose oscene come questa!!
Mi viene in mente Gesù Cristo sulla croce che urla a Dio, “Perdona loro, perchè non sanno quel che fanno”… Chissà se lo direbbe anche in questo caso?!
Giugno 8th, 2007 at 9:25 pm
L’uomo è stato educato a essere una merce, me ne accorgo al lavoro, sui mezzi pubblici, appena accendo la televisione: l’uomo è una merce di scambio preziosa. Il suo accedere a forti somme di denaro o meno, gli permettono di essere più protetto dalla legge o meno.
In Italia si aggiunge, a questo nefasto meccanismo, quello delle “conoscenze”: basta dare uno sguardo alla ridicola situazione del nostro parlamento e moltiplicarlo per ogni posto di “gestione dello stato”: dalle panetterie fino ai vertici militari: se io conosco posso, se invece non conosco non posso.
I bambini, in questa enorme macchina, non contano nulla, sono anch’essi merce di scambio, materiale grezzo da manipolare, esporre, litigare nei tribunali, scambiare, educare a diventare oggetti.
Ma come facciamo a non comprendere che la strada presa dalla nostra società porta proprio dritto alla pedofilia? Com’è che possiamo sopportare pregiudicati seduti comodamente al Parlamento e una manifestazione di orgoglio pedofilo no? Se guardiamo hanno la stessa matrice: io, uomo potente e influente, posso decidere che violentare i bambini è lecito, faccio una legge “ad personam”. Nessuno di noi ha ancora detto nulla che un gruppo di imbecilli con la legge Biagi ci ha fatto diventare tutti precari, tutti schiavi, mettendo sulle spalle dei nostri figli oneri che loro, i criminali non vogliono portare (tanto loro in tre anni vanno in pensione).
Perchè dovrebbe interessare qualcosa al Parlamento europeo l’incolumità dei nostri figli? Non hanno già il nome e l’indirizzo delle agenzie di viaggio che fanno miliardi con i pedofili occidentali che vanno a divertirsi nel sud est asiatico, perchè nessuno fa nulla? Perchè non smettiamo di pensare che chi ha potere si interessi di noi e dei nostri figli?
Ho quasi finito di leggere “Memorie di un soldato bambino” scritto da Ishmael Beah, un ex bambino soldato della Sierra Leone. Leggetelo, se avete tempo. Bene, gli stessi che oggi dicono in Europa di sostenere e proteggere i nostri figli sono quelli che sono sponsorizzati da chi fornisce armi a questi ragazzi.
Come può un paese che produce bombe anti uomo, che appoggia le guerre in Iraq e Afghanistan, come l’Italia, avere il coraggio di dire di essere dalla parte dei bambini? Uccidere, violentare, mutilare sono la stessa identica cosa. Ho fatto il servizio civile con i bambini e le bambine violentate e credetemi non c’è nessuna differenza.
Ora vorrei che la BBC, così giustamente precisa sui crimini pedofili del Vaticano, faccia un altro bel video su queste persone che in Olanda vogliono il partito pedofilo. Vorrei nomi e cognomi e soprattutto sapere da chi sono sostenuti, chi li protegge e a quale loggia massonica appartengono, perchè solo da lì può essere sostenuta questa idea di legge diabolica.
Giugno 9th, 2007 at 12:42 am
Condivido lo sdegno verso ogni prevaricazione compiuta su deboli ed indifesi, bambini in primis. Mi trovo anch’io impreparato a questa cosa, però dubito che sia conveniente liquidare l’argomento in modo puramente emotivo. Mi permetto di segnalare, a chi lo avesse perso, il bel film di Kevin Bacon, THE WOODSMAN.
Il termine pedofilia indica un peculiare orientamento sessuale (‘polarizzazione dell’interesse erotico verso i bambini’), sia dal punto di vista etimologico che da quello del linguaggio scientifico; come altre –filie… ce ne è per tutti i gusti. E’ una realtà per alcuni nostri simili, che piaccia o no a noi ed a loro. Ed è cosa diversa dalla intenzione di agire, di nuocere o dall’adozione di comportamenti più o meno esecrabili o delittuosi (adescamenti, violenze, stupri, omicidi e via discorrendo). Questa distinzione tra imprinting ‘karmico’ e azione/intenzione di nuocere/comportamento delittuoso, in democrazia è costituzionale. E anche dal punto di vista buddista – e cristiano – è assai rilevante.
Che il fenomeno pedofilia resti una questione nascosta e sotterranea, che non ci siano interlocutori visibili con i quali aprire un dialogo, che rimanga un tabù non conoscibile e non analizzabile, credo non vada, prima di tutto, a vantaggio delle (potenziali) vittime. Conoscere per prevenire, anche in questo caso, mi pare la regola aurea. Almeno quanto reprimere senza sconti atteggiamenti lesivi ed abusi di ogni sorta (ma per far questo dobbiamo aspettare la vittima….).
Pertanto non mi sento di condannare a priori iniziative come quella olandese che, (forse…confesso di non saperne praticamente nulla), mirano a sdoganare per far emergere un fenomeno nascosto, sotterraneo e proprio per questo doppiamente pericoloso.
Giugno 9th, 2007 at 4:05 pm
Vorrei chiedere a Paolo Sacchi di spiegare questa affermazione che non mi è molto chiara:
“Questa distinzione tra imprinting ‘karmico’ e azione/intenzione di nuocere/comportamento delittuoso, in democrazia è costituzionale. E anche dal punto di vista buddista – e cristiano – è assai rilevante.”
Ricordandoti che la Verità non è soggettiva ed essa deve essere ricercata nei frutti che dà. Da questo segue la seconda domanda: l’atto pedofilo è vitale o mortale?
Giugno 9th, 2007 at 5:51 pm
Paolo, credo ci sia un argomento che taglia la testa al toro: in tutto cio’ che riguarda i bambini non ci sono praticaemnte affermazioni che possiamo fare con certezza. Nella fattispecie e’ impossibile dire con certezza quanto danno psichico potrebbero subire da rapporti sessuali con adulti. Gli psichiatri tendono a dire che questi danni sono enormi.
In ogni caso, anche ammettendo per un istante che la pedofilia potrebbe essere considerato un orientamento sessuale “normale” o per lo meno “discutibile”, nel dubbio sarebbe criminale correre il rischio di fare del male a esseri incapaci di difendersi, sia fisicamente che psicologicamente.
Fatte queste premesse, se la pedofilia resta un tabu’ e non verra’ mai “razionalizzata”, pazienza, che resti tale. Tanto comunque andra’ sempre e comunque repressa perche’ prima ancora di considerare sia pur remotamente la possibilita’ che possa avere la dignita’ di tema razionalizzabile, prima di allora viene la difesa del piu’ debole, un principio che non ammette deroghe.
Le “potenziali” vittime sono tutt’altro che potenziali. Ce ne sono gia’ a iosa, e a Palermo il 23 giugno la fiaccolata silenziosa servira’ anche a ricordarle. Quelle che non possono piu’ raccontare quello che e’ loro successo e sopratutto quelle che non l’hanno mai fatto e non avranno mai il coraggio di farlo.
Pierinux
Giugno 9th, 2007 at 6:46 pm
Ci provo comunque, a chiarire.
Per imprinting karmico intendevo un po’ quello che, scientificamente, si può chiamare genotipo (DNA)/fenotipo (es. una violenza subita): la discussione se le cosiddette devianze siano di origine genetica o ambientale, se siano malattie o solo alterità, penso non avrà mai fine. Per il buddismo si potrebbe dire che sono l’effetto delle azioni (karma) passate, anche se ci sono probabilmente da fare infiniti distinguo tra le scuole e tradizioni; per il cristianesimo direi che sono un modo di esplicarsi di ciò che viene chiamato peccato originale.
La pedofilia è, appunto, un aspetto della personalità ( o dell’ego o della persona, come si vuole). Bene o male che sia, il fatto esiste: è una realtà. Questa è la verità. Il lupo va guardato negli occhi. Non è questione di opinioni: rifiutarsi di prenderne atto non giova a nessuno.
L’atto (atto pedofilo, dici) è cosa più complessa: nel decidere di compiere una azione ( es adescare un ragazzino) la persona si assume la responsabilità della sua scelta, della sua battaglia interiore, della sua azione e delle conseguenze che ne derivano.
L’imprinting karmico, in sostanza, orienta il desiderio: al desiderio può corrispondere una azione efficace alla soddisfazione, ad esempio l’impossessarsi della cosa desiderata. E’ questa azione che crea effetti, sia sul piano giuridico che su quello della retribuzione karmica. Anche soltanto attaccarsi ad un pensiero, pur riconoscendolo non salutare, e coltivarlo, da questo punto di vista è azione (una formula confessionale mi pare sia ‘perdona perché ho peccato in pensieri, parole ed azioni). Mentre invece la legge dello stato non punisce i pensieri e garantisce i diritti costituzionali a qualunque cittadino, indipendentemente dalle sue convinzioni e dai suoi orientamenti sessuali.
Insomma, se io vado pazzo per le bionde di un metro e settanta, mi innamoro di una e la desidero, è una cosa. Se le salto addosso in ascensore e la violento, è altra cosa.
Non mi interessa fare un discorso morale: voglio essere pragmatico. Dopo il tempo dell’indignazione, assolutamente legittimo, viene il tempo dell’azione: non possiamo sempre delegare a qualcun altro (a chi? ai professionisti della politica o della religione? ) la soluzione dei problemi dell’umanità. Perciò, che fare? Che fai tu? Che faccio io?
Sono a favore della logica preventiva per un semplice motivo: potendo, preferisco evitare un abuso agendo prima che succeda, piuttosto che punire, dopo, i colpevoli.
E’ piu difficile? Forse. Ma può –in teoria- spezzare il circolo vizioso che crea mostri e vittime.
Giugno 10th, 2007 at 12:12 pm
Tra pensiero e azione non c’è che un piccolissimo margine; e comunque amare le bionde e desiderarle a livello sessuale è una cosa, mentre desiderare le bionde e violentarle è tutta un’altra cosa; o pensi che fare l’amore con una bionda consenziente sia la stessa cosa che violentarla?
Dunque, che fare:
1)Abituare i bambini, attraverso le fiabe e la figura dell’Orco, a distinguere l’adulto molesto da quello amico. E soprattutto a scappare più velocemente possibile se dovessero fare brutti incontri.
2) Lo Stato deve garantire a tutti i cittadini che chi compie l’atto pedofilo, dopo un processo regolare, deve essere punito con il carcere e tenuto sotto controllo a vita. Non deve più nuocere. Se lo stato non s’impegna a farlo s’innescherebbe subito l’oscuro periodo dei processi sommari, anche contro gente innocente, e i conseguenti linciaggi; dove sarei costretto a diventare, mio malgrado, carnefice del carnefice.
3)”Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino e fosse gettato negli abissi del mare”.
Il punto terzo è un pò duro? Ma chi ci ha insegnato che Gesù era un buon fricchettone che andava in giro a dire “Volemose bene. Peace and Love”?
Caro Paolo, penso che non avresti coraggio di fare questi ragionamenti se fossi una vittima. T’invito a passare un periodo da volontario nei centri di recupero dei bambini violentati. Così, come è capitato a me, incontrerai lo sguardo di S. prostituta di 6 anni, mentre M. per i primi mesi non avrà il coraggio di guardarti in faccia solo perchè sei un “maschio violentatore”, sentirai L. non dormire la notte perchè era il momento in cui lo zio entrava in camera sua per divertirsi un pò con lui, dopo qualche mese A. ti racconterà tutto per filo e per segno cosa le hanno fatto questi onesti pedofili chiedendoti di spiegarle il perchè e così via. Quando la smetteremo di coltivare e mascherarci dietro graziosi pensieri borghesi?
Giugno 10th, 2007 at 2:52 pm
Io penso che cercare motivazioni genetiche o karmiche alla base delle proprie deviazioni sessuali sia un po’ come cercare delle scuse per dire “non e’ colpa mia, ma dei geni o del karma” per essere più accondiscendenti verso se’ stessi.
Mah, a me non pare mica del tutto vero. Una persona può assumersi la responsabilità delle proprie azioni solo quando le conseguenze dei propri atti ricadono solo su di lui, cosa palesemente falsa nel caso del pedofilo che adesca un ragazzino. Anzi, è vero proprio il contrario. Il problema è proprio che le conseguenze dell’atto pedofilo ricadono in modo quasi esclusivo sul minore, cosa che fa del pedofilo un irresponsabile (oltre che criminale).
Certo, però non è che possiamo fare molto nella nostra posizione, se non aiutare chi ci sta attorno (a cominciare dai nostri figli, i nostri amici, le persone con cui ci relazioniamo) a sviluppare un senso critico solido ed equilibrato, capace di digerire mattoni come questi, ma anche di riconoscere la pericolosità di un pensiero che vuole solo mascherare con argomentazioni pseudo-logiche quello che è soltanto una manifestazione di misero egoismo. Questo è – secondo me – il senso della pubblica denuncia su questo ed altri blog…
Pierinux
Giugno 10th, 2007 at 8:07 pm
Bene, pare che la pubblica denuncia su questo blog abbia davvero un senso, almeno quello di approfondire una questione delicata come questa. Peccato sia così difficile capirsi, però… Ad esempio, PB scrive ‘..e comunque amare le bionde e desiderarle a livello sessuale è una cosa, mentre desiderare le bionde e violentarle è tutta un’altra cosa’. Ma scusa, non è esattamente quello che avevo scritto io?
La mia tesi ,comunque, resta quella che lavorare sulla prevenzione paghi in termini di efficacia molto più di qualunque altro approccio (forse dove c’è la pena di morte certi reati sono diminuiti?!); anche se è molto meno spettacolare e più faticoso di altri metodi. E per fare prevenzione sono premessa essenziale l’analisi, la conoscenza e la comprensione del fenomeno.
La prevenzione ha tuttavia un grosso limite: può raramente dimostrare la sua efficacia, poiché è impossibile quantificare eventi che non sono mai accaduti essendo stati evitati. Quindi la pubblica opinione, i politici, i burocrati, non investono in mezzi e risorse per questa attività. Non credo proprio sia roba per fricchettoni…ma certo si potrà anche vedere così.
Ciò che mi rallegra è sapere che tra chi scrive su questo blog almeno uno si spende davvero, in prima persona, proprio sul fronte della prevenzione . Infatti il lavoro di cui narra Pietro con le piccole vittime, potrebbe parere il cardine centrale di un serio progetto preventivo: è probabile (statisticamente certo, oseri dire) che alcune delle piccole vittime di oggi, abbandonate a se stesse, divengano i mostri di domani. Prendere coscienza di essere in un ruolo ‘preventivo’ significa lavorare meglio e con più determinazione razionale. Tanto di cappello per la tua forza di volontà! ma non pensare, per questo, che sensibilità e compassione siano peculiarità solo tue e di pochi altri che ti danno ragione; per favore. Così offendi molti.
Infine, non sono ovviamente d’accordo con l’affermazione di Pierinux: ‘una persona può assumersi la responsabilità delle proprie azioni solo quando le conseguenze dei propri atti ricadono solo su di lui’. Forse ho capito male. Ma se non sono io responsabile delle mie azioni, chi lo sarà mai?
Giugno 10th, 2007 at 9:15 pm
Grazie dei chiarimenti, Paolo, su questi argomenti e’ facile che gli animi si scaldino, tanto siamo carichi di emotivita’. L’importante poi è capirsi.
Si, intendendo dire che “assumersi la responsabilità delle proprie azioni” significa assumersi l’onere di riparare se si fa uno sbaglio, proclamare la propria disponibilità a pagare di tasca propria gli errori o le conseguenze delle proprie azioni. Cosa che i pedofili evidentemente non possono fare. Codardi e vigliacchi fanno solo il proprio egoistico interesse sapendo perfettamente che chi paga poi sono solo gli altri.
Comunque capisco il tuo punto di vista: parlarne, razionalizzare, aiuterebbe a conoscere il fenomeno e forse prevenire. In linea di massima sarei d’accordo, se non fosse che: a) il problema di fondo, non superabile, sta nel fatto che l’atto pedofilo è un atto fondamentalmente egoista la cui vittima è una persona che non ha gli strumenti per difendersi, non vedo cos’atro ci potrebbe essere da razionalizzare…, b) il pericolo – viceversa – è che da questa razionalizzazione alcuni possano trovare pure una plausibile giustificazione alla loro perversione e quindi venire allo scoperto ed agire (cosa che pare sia già successa in passato, negli Stati Uniti, con conseguenze tragiche).
Quindi il mio punto di vista, lo stesso espresso dal presidente dell’AIIP (Associazione Italiana Internet Provider) ieri in una mailing list interna degli associati, è che “il sito va bannato“, punto e basta.
Ciao, Pierinux
Giugno 10th, 2007 at 10:11 pm
Non ho problemi ad offendere i molti se c’è in gioco la vita delle persone. Su tutte le altre questioni umane (religiose, politiche, filosofiche ecc.) preferisco ascoltare, contemplare e condividere il cammino di ricerca con tutti. Ma se essere chiari vuol dire offendere, allora sono fatti di chi s’offende, non certo miei.
Caro Paolo, io mi sto disintossicando con fatica dall’ “oppio mentale”, fratello gemello, ma meno conosciuto, del famoso “oppio religioso”. E nei tuoi discorsi ne ho sentito il profumo e il sapore. L’ “oppio mentale” ce lo hanno piantato nel cervello da piccoli, a scuola e poi lo hanno coltivato ben bene attraverso tutti le altre agenzie educative in cui ci siamo imbattuti.
Che effetto ha questa droga? Confonde la Verità con le opinioni, creando paesaggi possibili ma lontani anni luce dalla realtà. In questi mondi i pedofili possono esserlo anche senza far violenza sui bambini; oppure esiste la “guerra umanitaria” e gli esempi possono essere moltissimi.
La nostra mente è allenata a toglierci dal reale e spostarci in un soffice mondo dove non sentiamo e non vediamo più nulla tranne che il nostro piccolo orticello. Fa così perchè difficilmente sopravviveremmo all’assurda società in cui viviamo.
Lo zazen mi sta aiutando molto a disintossicarmi ma, allo stesso momento, sono conscio che, come ogni forma della spiritualità, può riportarmi indietro nella dipendenza.
Per uscire immediatamente dagli effetti devastanti di questa dipendenza celebrale c’è un interessante “gioco” che mi è stato insegnato: chiedersi se ciò che vedo, ciò che penso e ciò che scelgo di fare sia “mortale” o “vitale”. Alla domanda è “giusto o no?” “E’ bene o male?” Il nostro cervello reagisce con degli imput ben precisi che fanno diventare tutto un “dipende”. Col “mortale” o “vitale” non hai scampo, o scegli l’uno o scegli l’altro, o continui a farti d’oppio o ne vieni fuori, ma lì è tua/mia libera scelta.
Concludendo, non scrivo sul blog per farmi lodare o cercare rissa…anche se qualche pugno mediatico, ogni tanto, ci sveglia dal nostro comodo e fumoso torpore. Infatti, Paolo, osserva il tuo primo intervento e il tuo ultimo e dimmi se non hai acquistato mille volte in chiarezza, grazie (forse) alle punzecchiature mie e del buon Piero. “Ma se non sono io responsabile delle mie azioni, chi lo sarà mai?” La strada è ancora lunga per tutti, ed è bello condividerla.
Giugno 10th, 2007 at 10:17 pm
Grazie, così si scioglie la competitività…
Pericoli ce ne sono qualunque scelta si faccia: non penso sia ipotizzabile ‘estinguere’ la pedofilia in tempi medio-lunghi. Nè so dire se sia meglio ‘bannare’ i siti oppure no: non avremo mai un convincente ritorno di informazioni che ci dica cosa è (era) più giusto fare.
Ciascuno fa il suo mestiere e ne è condizionato: i ‘preventori professionisti’ danno valore a tante razionalizzazioni e considerazioni che, a chi non è del mestiere, possono apparire insignificanti. Ciao
Giugno 10th, 2007 at 10:31 pm
Scusate, non avevo ancora visto la risposta di Pietro Bizzini. Che dire? Non ti conosco ma ti vboglio bene. Dal tuo alto soglio… hai acquistato qualcosa anche tu? o preferisci continuare a “giocare”?
Giugno 11th, 2007 at 1:56 pm
Amo la parte ludica della vita; grazie a Dio, faccio fatica ad essere serio su tantissime cose, ma sulla pedofilia non scherzo.
Non ho un alto soglio da cui guardarti, non lo voglio, non lo cerco. E mi spiace se hai percepito questo dai miei ragionamenti, ma non ci posso fare nulla. “La Verità vi farà liberi” questa è la mia ricerca che non ammette comode deviazioni.
Ti ringrazio del tuo affetto che ricambio volentieri, da fratello a fratello, nella nostra confusa umanità. Sono sicuro che su tantissime altre questioni andremmo d’accordissimo e magari sarai tu a tirarmi fraternamente l’orecchio se dovessi deviare in ragionamenti barocchi. Ci conto!
Giugno 11th, 2007 at 2:03 pm
Scusa, posso sapere quanti anni hai?
Ciao
p
Giugno 11th, 2007 at 2:15 pm
Ho 29 anni, perchè?
Giugno 11th, 2007 at 3:01 pm
Volevo capire se avevo sbagliato approccio: evidentemente sì. Ti facevo assai più giovane. Così posso solo lasciarti alle tue Verità, sperando che non ricadano su altri. Auguri.
Giugno 11th, 2007 at 3:16 pm
Anche su questo non posso essere d’accordo, Paolo. Se Pietro sbaglia le vittime dei suoi errori ne avranno ricevuto forse solo una limitazione della libertà di agire secondo le proprie pulsioni. Pazienza. Se invece ha ragione, avrà salvato delle vite.
Se non fosse altro, per il principio del minor danno ha ragione lui: l’eventuale ricaduta delle sue Verità non fa male a nessuno.
P.S. …e sono pure molto più vecchio di Pietro 🙂
Giugno 14th, 2007 at 1:03 am
Orgoglio pedofilo, sito bloccato
Gentiloni contro “Love boy day”
Oscurato in Italia il sito tedesco che sostiene la giornata dell’orgoglio pedofilo
ROMA – Almeno in Italia, il sito tedesco che sostiene il Love boy day, la giornata dell’orgoglio pedofilo, è stato oscurato. Dopo lunghe e accese polemiche, non si farà più pubblicità online “sull’abominevole giornata”, come l’ha definita il Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni.
L’invito è per il 23 giugno, tra appena dieci giorni, quando “tutti i pedofili della Terra – come scrivevano i sostenitori dell’iniziativa – accenderanno una candela azzurra per ricordare i pedofili incarcerati, vittime delle discriminazioni, delle leggi ingiuste e restrittive”. Il tam-tam tra i pedofili ribalzava da settimane su internet e il sito tedesco oscurato in Italia era la piazza vituale sulla quale i sostenitori dell’iniziativa si davano appuntamento e si scambiavano opinioni.
Parlando della decisione di cancellare dai computer italiani il sito tedesco, il Ministro Gentiloni ha sottolineato il “particolare significato di questo successo, sia per l’ubicazione all’estero dell’inidirzzo elettronico (come tale non assoggettabile all’autorità italiana), sia per la collaborazione prestata dagli Internet Service Provider italiani e dal mondo delle associazioni di volontariato, come la Meter di don Fortunato di Noto, i quali hanno cooperato per contrastare l’iniziativa pedofila”.
(13 giugno 2007)
Giugno 15th, 2007 at 12:50 pm
Meglio tardi che mai!
Giugno 22nd, 2007 at 9:54 am
“Affida i fiori al tempo e gli uccelli al vento”
(Shobogenzo – Bodaisattva Shishobo)
sc
Giugno 28th, 2007 at 9:01 pm
Leggendo SF3:
cosa ha fine? Cosa si compie? Niente ha inizio, niente ha fine.
La fine è solo nei films.
Luglio 3rd, 2007 at 11:14 pm
Magnifico Yokoyama. Non manca nulla, nulla che ecceda. Complimenti a chi ha scovato e curato questa rara chicca di un autore così pudico nello scrivere…
Luglio 6th, 2007 at 6:49 am
Quella volta a ricevere l’ospite e metterlo alla prova fu mandato un monaco con un occhio solo. L’ospite, andandosene, disse di aver perso la prova perché quando aveva indicato con un dito il Buddha aveva ricevuto come risposta due dita a significare Buddha e il Sangha; allora aveva esposto tre dita per indicare i tre gioielli ma gli fu risposto “unità” con la mano serrata. Il guercio era arrabbiato dicendo che era stato preso in giro perché dell’ospite, mostrando un dito aveva inteso ricordargli: hai un occhio solo. Lui con due dita prendeva atto che l’ospite ne aveva due. Ma quando l’ospite alzò le tre dita indicando che c’erano tre occhi soltanto in quella stanza deridendolo di nuovo, lo minacciò con un pugno.
Luglio 18th, 2007 at 7:27 pm
Salve, sono Gennaro Iorio.
Ho letto il suo commento al ”Il papa chiede perdono”.
La ringrazio di aver letto la mia scheda e di aver trovato il
tempo di fare un commento.
Tuttavia non ho capito bene cosa volesse dire.
Vorrei solo precisare un punto: quello non è un articolo, ma una scheda di commento ad un libro da me letto.
Se avessi scritto un articolo, avrei dovuto precisare tanti punti
che in quella scheda sono omessi.
Penso alla complessità della figura di Giovanni Paolo II.
Davvero grazie per il commento e spero che lei possa commentare, là dove sono interessanti per lei, anche le altre schede che verranno.
Un saluto.
G. Iorio.
Luglio 18th, 2007 at 7:32 pm
Caro Iorio,
grazie per la precisazione sul post.
Le perplessità a cui mi riferivo sono quelle espresse dal teologo Kung e che erano riportate nel link che ho citato. Non sono un vaticanista esperto, ma da semplice osservatore laico non mi sembrano considerazioni peregrine e, a un anno dalla sua dipartita, inducono a riflettere in modo più distaccato e obiettivo sulle scelte istituzionali operate da quel, comunque grande, papa.
Ma ripeto, non me ne intendo più di tanto. Rimasi però molto sorpreso quando un mio caro amico mi riferì che il prete della sua parrocchia gli confidava in privato che papa Wojytila era “una disgrazia per la chiesa perché ultraconservatore, assolutista” e aggiungeva “quanta superbia, quanta mancanza di carità e di rispetto per i preti!”. Io invece ne ero affascinato e avevo tutta un’altra immagine di lui…
Saluti
Al
Luglio 23rd, 2007 at 5:08 pm
Da qualche parte ho letto che l’estrema vetta della poesia è arida.
Questa mattina il cielo era pieno di uccelli che cacciavano insetti,
tutto era così…semplice e nello stesso tempo spettacolare, non saprei con quali altre parole descriverlo.
Luglio 30th, 2007 at 11:17 am
Descrizione di un’interessante esperienza post-mortem… o è la vita?
Da E. A. Poe, “The Colloquy of Monos and Una” (1841)
“For that which was not – for that which had no form – for that which had no thought – for that which had no sentience – for that which was soulless, yet of which matter formed no portion – for all this nothingness, yet for all this immortality, the grave was still a home, and the corrosive hours, co-mates”.
Per ciò che non era – per ciò che non aveva forma – per ciò che non aveva pensiero – per ciò che non aveva sensibilità – per ciò che era senz’anima, senza però che neppure la materia ne costituisse la minima parte – per tutto questo nulla, e tuttavia immortale, la tomba era ancora una casa, e le ore distruttrici erano compagne.
Luglio 30th, 2007 at 5:21 pm
Finché ci siamo noi, non c’è la morte. Quando c’è la morte non ci siamo più noi. Così diceva un filosofo greco per fugare la paura della morte. Io non credo che basti questo argomento razionale. Nessuno sinceramente vorrebbe mai morire. Anche chi le va incontro precocemente o in fretta secondo me lo fa spinto sempre dalla paura (della serie: farla finita per superare l’angoscia). Ma è bello e consolante pensare, come propone mym, che la morte invece è un’opportunità per celebrare la vita. Forse chi ha paura della morte, in realtà ha paura della vita.
Ciao,
Al
P.S. Suggestiva la citazione di Dario. Ho incontrato uno di quelli clinicamente deceduti e poi recuperati in extremis. Dice che “di là” si stava una vera meraviglia, sarà…
Luglio 31st, 2007 at 4:39 pm
Commercio equo: i contrari…
Nel post di ieri sottolineavamo come l'acquisto di prodotti nel circuito del commercio etico, potesse garantire una maggiore giustizia nei confronti dei produttori e lavoratori dei paesi in via di sviluppo.Ci sono però aspetti, sia sul piano…
Agosto 2nd, 2007 at 11:40 pm
Senza corpo non c’è sensualità e di conseguenza comunicazione e coinvolgimento. Lo percepisci, oltre che nella poesia (e in Lesbo c’è con una potenza sconvolgente), soprattutto nell’arte scenica: un attore/attrice, un ballerino/a, un/a musicista senza corpo non ha neanche anima/vita. Cupido è una versione molto annacquata di Eros.
Ciao,
Al
Agosto 3rd, 2007 at 4:22 pm
Vero. Eros e Cupido, come anche le rispettive madri Afrodite e Venere, benché abbiano caratteristiche in comune abitano però Olimpi diversi: sono cioè espressione di due culture profondamente diverse. Perciò non si può rimproverare all’uno di non essere pari all’altro: equivarrebbe a rimproverare ai Romani di non essere Greci, o viceversa… come a un pensatore non potremmo rimproverare di non essere un ballerino o a un matematico di non essere un attore! Ciao
Agosto 3rd, 2007 at 7:56 pm
Sono d’accordo. Non era infatti un rimprovero, solo una considerazione supplementare e una constatazione. I Romani comunque erano ancora molto vicini; siamo noi che, ahimè, abbiamo perso tanto di quella vitalità originaria. Oggi questo straordinario mito della potenza della natura è ridotto a un insulso e frigido puttino per i fumetti. Mi astengo dal dire per colpa di chi…
A proposito, complimenti per il dotto e interessante post!
Felice week end,
Al
Agosto 4th, 2007 at 6:57 pm
Nemmeno il mio era un rimprovero… Il fatto è, credo, che essendo entrambe le culture quasi altrettanto lontane da noi, poco avvertiamo la distanza che c’è tra l’una e l’altra… Grazie a te per l’interesse e per i complimenti, e buona domenica, Cristina
Agosto 6th, 2007 at 1:10 pm
Ringrazio Mauricio per avermi citato, non in giudizio 🙂 Invece lì speriamo che, oltre al tribunale della storia, ci siano realmente trascinati, come tutti i comuni cittadini, anche quei prelati che adesso se la cavano con un congruo “rimborso spese” ai parenti delle vittime della pedofilia. Oltretutto a spese dei contribuenti (vedi 8×1000). Certo il potere è potere, è sempre stato così. Possono raccontarci tutte le balle, pardon bolle che vogliono…
Ciao,
Al
Agosto 9th, 2007 at 3:55 pm
Ciao, ho letto la bolla papale che hai pubblicato.
Sono pienamente d’accordo con te, quando affermi che ci sono passaggi agghiaccianti.
La storia della Chiesa è lunga e con tante, forse troppe, zone d’ombra. Maritain su questo punto osservava: bisogna distinguere il personale della Chiesa dalla Persona della Chiesa.
Questa osservazione del pensatore francese è l’unica via per salvare il salvabile. Anche se, credo, che la Persona della Chiesa si formi sulle persone.
Per fortuna, o grazie a Dio, in circa 2000 anni la Chiesa ha avuto degli uomini degni come S. Francesco, Madre Teresa, ecc. Questa istituzione antica si regge sulle spalle di pochi giganti.
Potrà avere un futuro, credo, solo se avrà altri giganti, di contro diventerà troppo pesante e tutto crollerà. Ciao.
Agosto 11th, 2007 at 2:41 pm
Sono venuta a conoscenza della vostra realta’ per puro caso, da una rivista.
Grazie a voi posso ora informarmi su antiche tradizioni, vicine a casa che non conoscevo…
grazie
Ada
Agosto 12th, 2007 at 4:53 pm
Prego,
benvenuta
mym
Agosto 21st, 2007 at 11:26 pm
c’è anche un post di Grillo sull’argomento…
Pierinux
Agosto 24th, 2007 at 12:11 am
Per ogni persona che incontriamo c’è una parte di noi che nasce e vuole vivere.
Le persone vanno e vengono e noi nasciamo e moriamo in ogni istante. E’ difficile sia partorire che lasciare andare, ma questa è la vita…
Silvano
Agosto 24th, 2007 at 10:12 am
Partorire lasciando andare potrebbe essere una soluzione, comunque difficile.
Agosto 26th, 2007 at 7:32 am
Molto difficile, si. A volte il dolore è lo scotto che paghiamo per qualcosa di veramente importante che per un attimo abbiamo trattenuto.
Un po’ di dolore forse va messo in conto per un “attimo fuggente”.
Prima di morire potremo dire di aver sofferto e sorridere per aver sofferto di un qualcosa che ci ha dato molta gioia.
Buon rientro a tutti.
roccia
Agosto 26th, 2007 at 12:33 pm
Prego, accomodatevi. Ognuno è ciascheduno. Poi, però, non venite a piangere… 🙂
Ciao,
mym
Agosto 27th, 2007 at 12:57 pm
Ci voleva, grazie a Yushin e collaboratori. Nel campo dello zen è vero che si trovano informazioni diciamo pure inadeguate per non dire di peggio.
Agosto 30th, 2007 at 12:00 pm
La mia intenzione era di parlare di quello che crediamo sia il nostro “io”, che spesso cerchiamo negli sguardi altrui o nelle ipotesi che continuamente fa la nostra mente,
la sua inconsistenza è come quel detto che dice che ogni cosa precipita anche quella a cui ti sei afferrato per non precipitare, al quale mi sono ispirato negli ultimi versi.
Settembre 3rd, 2007 at 5:45 pm
[…] [il filosofo Epicuro si trova nel “vero” inferno, Democrito no!, eccolo tra i savi del limbo. Anzi, l’aspetto fisico dell’inferno stesso somiglia al cosmo di Democrito, con quei suoi atomi che volano e si aggregano nel vuoto, creando le nebulose. Vedi anche G. Semerano, L’infinito: un equivoco millenario] […]
Settembre 12th, 2007 at 12:42 am
[…] Ecco la seconda puntata de L’ovra inconsummabile. Potete trovare qui la prima […]
Settembre 12th, 2007 at 7:46 pm
Il caro Cibì scrive per se stesso?… Qual è la chiave per l’ovra incosummabile?
Ciao,
Cri
Settembre 19th, 2007 at 2:04 pm
per il Sig. Gennaro Iorio
Ciao sono Gabriele, tra me e specialmente Fulvia abbiamo letto quasi tutti i libri del Dalai Lama, che troviamo veramente istruttivi anche dal punto di vista cristiano. Ti chiedo un favore, il titolo di un libro; come per i cristiani c’è il vangelo, sulla vita e gli insegnamenti del Buddha che libri ci sono da leggere?
RingraziandoTi anticipatamente, un caloroso saluto da Gabriele e Fulvia
Settembre 19th, 2007 at 7:00 pm
Ciao Gabriele, grazie per la domanda e grazie per la fiducia che essa comporta.
Non posso darti un titolo, per il buddismo, che corrisponda ai Vangeli Cristiani.
Perchè, io credo, non vi sia nel buddismo un equivalente.
Tuttavia, vi è una letteratura sterminata sulla vita e su ciò che ha detto il Buddha, se mai ha detto qualcosa!
Mi permetto di rinviarti al sito de La stella del mattino in bibliografia commentata, qui puoi trovare una divisione ragionata degli argomenti ed ogni libro è seguito da un breve commento utile per la scelta.
La letteratura buddista è davvero sterminata, i Sutra, che raccolgono l’insegnamento del dharma, sono decine e decine per migliaia di pagine.
Uno dei punti centrali del Buddha è: tutto ciò che verificate da un punto di vista concettuale, tendete sempre a verificarlo nella vostra vita. Sostanzialmente il buddismo è pratica.
Ecco perché c’è chi pensa che Buddha non disse proprio nulla.
Spero, anche se non in modo diretto, di aver risposto alla tua domanda.
Resto sempre a disposizione per un ulteriore scambio di opinioni.
Gennaro
Settembre 27th, 2007 at 11:02 am
mah, non sono del tutto d’accordo. nel caso specifico mi pareva che stessero occupandosi della sopravvivenza della loro gente piu’ che di politica. o anche questo e’ politica ?
grazie,
pierinux
Settembre 27th, 2007 at 11:09 am
Se fossero andati a coltivar patate (forse) non sarebbe stata attività politica. Scendere in piazza è¨ “far politica”.
Augh!
Ciao
y
Settembre 27th, 2007 at 11:10 am
ok, capito, sono un po’ meno in disaccordo ora, ma solo un po’.
bye!
pfm
Settembre 27th, 2007 at 11:21 am
Sono d’accordo sull’ultima frase “certi errori vanno fatti, altrimenti non ha senso essere religiosi”. Ricordo i vescovi combattenti dell’America Latina, pagarono sulla propria pelle. Anche “coltivar patate” è una scelta politica, quella di astenersi o far finta di niente. La peggiore!
Al
Settembre 27th, 2007 at 11:33 am
Il senso della vita. L’errore dei monaci birmani…
I monaci non si dovrebbero occupare di politica. La loro resistenza pacifica è un errore di cui pagheranno le conseguenze. Tuttavia, in alcuni casi, certi errori vanno fatti, altrimenti non ha senso essere religiosi….
Settembre 27th, 2007 at 11:35 am
Ci sono alcune petizioni online che si occupano dell’argomento:
http://www.petitiononline.com/Relieve/
http://www.PetitionOnline.com/kha8954b/
http://www.PetitionOnline.com/9848/
http://www.PetitionOnline.com/UNSCFRC/
http://www.amnesty.org/actnow/myanmar/myanmar_eng.htm
Settembre 27th, 2007 at 12:38 pm
Vivere senza commettere errori, che bella vita serena!
Settembre 28th, 2007 at 12:57 am
Anche se Samsara e Nirvana sono non due,le vie del mondo e la via del risveglio non sono la stessa cosa.
Uchiyama dice che (vado a memoria) seppur è sacrosanto liberarsi della povertà, la pratica del risveglio è totalmente su un altro piano.
Condivido questa tesi.
Certo, ho avuto un moto di orgoglio personale nel sapere degli accadimenti di Birmania. Mi rendo anche conto però di aver pensato in termini emotivi, a partire da quelle categorie occidentali che mi costituiscono e mi condizionano profondamente: benessere, democrazia, progresso scientifico e tecnologico, uguaglianza. Categorie relative. Categorie che, peraltro, mostrano oggi anche la loro faccia oscura, della quale non ci siamo forse ancora resi ben conto: la democrazia è sempre più una oligarchia; il progresso uccide il pianeta; il benessere allarga la forbice tra ricchi e poveri; l’uguaglianza, la libertà…restano quel che sono. Sogni.
Dunque, che dirne? Mi piace pensare che molti di quei monaci si siano mossi animati da un sincero senso di compassione ed abbiano scelto di donare un po’ del loro ‘buon’ destino a favore di tanti più sfortunati, per favorirne la liberazione. A costo di guadagnarsi un po’ di inferno karmico in più.
Ma non sarà stato così per tutti: molti si saranno mossi spinti dalle loro emozioni mondane, altri per acquisire meriti, altri per ordini di scuderia. O un po’ di tutto ciò.
E molti saranno rimasti nei loro monasteri, alcuni anche coltivando aspettative opposte a quelle dei manifestanti.
Bisognerebbe conoscere la situazione dall’interno, per capirne qualcosa.
Intanto però due cose sento che sono successe. E’ stato pesantemente incrinato il luogo comune che vede, almeno in occidente, il Buddhismo come dottrina della quiete e dell’estinzione; ed è iniziato un processo di liberazione e consapevolezza per un intero popolo che tanto ha già duramente pagato le coseguenze del colonialismo e della guerra, ed alla fine il sadico fanatismo di pochi oligarchi.
E mi sento meglio; ed anche un po’ migliore.
Settembre 29th, 2007 at 11:06 am
Complimenti, bell’articolo, direi che hai centrato il nocciolo del problema, purtroppo però il tuo programma non è né urlato con un “vaffa” né scritto su 240 pagine, né proclamato in 10 punti. E’ solo sussurrato, e nessuno ascolta chi sussurra.
Pierinux
Settembre 29th, 2007 at 6:02 pm
Segnalo la campagna “Free Burma”: http://blogosfere.it/2007/09/blogosfere-lancia-la-campagna-free-burma.html
Al
Settembre 30th, 2007 at 9:57 am
[…] 106. La Stella Del Mattino – Ambito Buddista: Il Senso della Vita (post e fascetta) […]
Settembre 30th, 2007 at 11:41 am
Forse tra qualche settimana, ripreso il solito tran-tran, avremo dimenticato ciò che avviene in quei paesi lontani così come ciò che troppi esseri umani patiscono ogni giorno in vari luoghi del pianeta… Questi monaci che sfilano a migliaia e si fanno ammazzare ma non demordono, muovono intanto qualche emozione profonda. Ci fanno ricordare che “non si vive di solo pane…” Chissà?
Il mio contributo ideale: http://protonutrizione.blogosfere.it/2007/09/free-burma-e-la-canzone-della-liberta.html
Al
Settembre 30th, 2007 at 4:47 pm
“Free Burma” e la canzone della libertà…
Aderiamo alla campagna "Free Burma" e marciamo anche noi idealmente con i monaci birmani. Dedico a questi eroici difensori della libertà il testo di una vecchia canzone dei Gufi (anni '60):CANZONE DELLA LIBERTÀ G. Lunari / …
Ottobre 2nd, 2007 at 5:07 pm
Un caro amico mi scrive:
Mingalabar,
notizie non ne ho ne’ posso averne, riguardo alla domanda che pone il tuo
articolo e quello che scrive Bianchi, se da un lato il Dalai Lama decise di
abbandonare la lotta armata, forse a Ceylon oltre ai laici anche i monaci
non hanno mai smesso di sparare.
Che Ne Win, il primo dittatore Birmano, fosse appoggiato dalle alte sfere
Buddhiste è noto ma interessante che anche ora, mi risulta, la giunta sia
benedetta dagli alti rappresentanti del clero.
Purtroppo per loro (i Birmani), oltre alla posizione strategica
“problematica”, una eventuale democrazia giovane salterebbe in aria dopo
poco sotto alla spinta delle richieste di autonomia delle tribù (tra 60 e 70
etnie) almeno delle più numerose come i Karen
che da sempre combattono e
vengono regolarmente massacrati dall’esercito Birmano, e Cinesi, Indiani
Indu’ e Mussulmani e i Birmani che vivono tutti compressi dalla dittatura,
se poi qualcuno volesse buttarci un cerino…
In sostanza, comunque sia, la vedo brutta, l’unica cosa che mi è parsa
strana è che i militari sparino sui monaci che da queste parti sono
veramente rispettati da tutti. Ciao
dm
Ottobre 2nd, 2007 at 11:11 pm
Temo di dire di essere d’accordo con Yu Shin. Non lo siamo quasi mai.
Tuttavia curiosando sul Web si è rinnovata in me una preoccupazione che nutro da tempo, quella cioè che il Buddismo, manipolato da noi occidentali (ma non solo) e filtrato dalle nostre categorie, stia assumendo il vero carattere di un –ismo, sulla falsariga di altre religioni, dottrine ecc.
Il rischio che il Buddismo prenda una forma, segnatamente quella di una ideologia, è stato messo a mio avviso in risalto da quanto accade in Birmania (mi rifiuto di usare quell’altro nome imposto dai miltari) e dalle conseguenti reazioni emotive di molti occidentali…
Continua qui
doc
Ottobre 3rd, 2007 at 5:11 pm
Possibile che a nessuno sia venuto in mente che non fanno quel che fanno perché sono monaci e buddisti, ma perché sono esseri umani con un po’ di coscienza della condizione in cui si trovano? Dove sta la meraviglia? Che siano monaci e buddisti fa parte della contingenza, come il fatto che sono birmani. Se lo facessero come monaci e come buddisti dovrebbero essere sempre in piazza per qualunque minima questione in qualunque parte del mondo (dell’universo?): oppure non muoversi per nessuna ragione. E soprattutto lasciamo stare l’orgoglio di parrocchia: questo sì che è disdicevole, standosene sul divano a pontificare sull’altrui pelle. Sarebbe anche il caso di non scordare che è la gente comune quella con cui solidarizzare: il clero se la sfanga sempre, sia con le dittature che con le democrazie. Quindi tutta la stima e la solidarietà pudica ai birmani che non ci stanno, laici o monaci che siano.
Un saluto, Jiso
Ottobre 3rd, 2007 at 5:12 pm
Non concordo con quanto dice Jiso perché -da quel che appare con evidenza- i monaci son scesi in piazza in quanto tali o soprattutto in quanto tali (oltre che come birmani, esseri umani ecc.). Gli idraulici non hanno fatto il loro corteo, magari in salopetta, e così via tutti gli altri. Non penso vi sia nulla di male né in questo, né in quello, anzi; ma il fatto che siano scesi in piazza (anche?) come monaci buddisti ha una forte valenza in Birmania dove sanno di contare, e molto, proprio come monaci, ben più dei semplici esseri umani/birmani. É, mutatis mutandis, la stessa valenza che hanno i parroci quando consigliano i loro fedeli, in Italia. E, a giudicare a posteriori, la loro uscita ha una forte valenza anche nel resto del mondo. Anche se forse un tale impatto mediatico non se lo aspettavano e, per la maggior parte, forse, neppure lo sanno.
mym
Ottobre 3rd, 2007 at 11:32 pm
Pensare alla vostra comunita’ e leggere cio’ che offrite sul vostro sito, mi riempie il cuore di serenita’ e pace…..
Pur nella quotidianita’ di tutti i giorni, tra impegni e lavoro, tornando a casa al tramonto e sapere di poter leggere pensieri di amore e speranza mi riempie il cuore….
Il tutto, nel rispetto della verita’ …
Grazie
Ottobre 4th, 2007 at 12:51 pm
Grazie, Adalgisa, per le buone parole che ci dedica. Il sito è più patinato e splendente della realtà…
Un saluto
mym
Ottobre 5th, 2007 at 6:44 pm
La soluzione sarebbe semplice: la guerra costa una cosa veramente esagerata e anche il volume d’affari che ne consegue. Basterebbe un minimo aumento (pochi punti percentuali) di tassazione ai produttori di materiale bellico e risolverebbero il problema dell’assistenza sanitaria.
Ovviamente preferirei che non ci fossero né guerre, né venditori di armi, ma queste sarebbero considerazioni, se non banali, quantomeno scontate in questo contesto.
Al
Ottobre 5th, 2007 at 6:54 pm
Mi sembra un’ottima idea. Far sì che “il male” renda meno e in più con gli incassi finanziarci “il bene”. Se si riesce a far diventare business conveniente anche “il bene” … abbiamo una speranza.
Grazie Al,
mym
Ottobre 5th, 2007 at 7:33 pm
Follia criminale: Bush nega l’assistenza sanitaria ai 4 milioni di bambini…
Si commenta il recente veto di Bush alla proposta del Congresso di allargare l’assistenza sanitaria a 4 milioni di bambini indigenti: i soldi servono per continuare la guerra in Iraq….
Ottobre 15th, 2007 at 7:45 pm
Ho letto qui (http://www.sullanotizia.ilcannocchiale.it:80/post/1630806.html) queste cifre: 500 miliardi di dollari l’anno per le forze armate + 620 miliardi aggiuntivi per la guerra senza fine. Davvero impressionante! Se un parlamentare chiede invece di stanziare 35 miliardi per assistere almeno i figli di chi non può pagare le cifre da riscatto chieste dalle assicurazioni private, viene tacciato di “stalinismo”.
Al
Ottobre 22nd, 2007 at 12:15 pm
Non capisco la divergenza, mi pare che entrambi negate legittimità all’uso politico della religione,e nel caso specifico, del buddhismo: sono completamente d’accordo con questa impostazione, che però molti buddhisti spesso dimenticano.
Dopo di che ognuno ha il diritto dovere di agire politicamente, ma certo un grosso problema si pone per coloro i quali la religione rappresenta il loro modo totale di vivere, come i monaci, nel caso buddhisti.
Si tratta di questioni delicate, ma io credo che i religiosi di professione debbano essere forza di chiarimento interiore,di pacificazione, di dialogo, ma non i protagonisti della battaglia politica, altrimenti dovrebbero dedicarsi ad altro, rinunciare al loro status formale di religiosi.
Ottobre 22nd, 2007 at 12:16 pm
Che ne pensate di Bernie Glassman, a proposito di buddhismo e impegno sociale? Sul fatto che i religiosi non debbano fare politica, sono del tutto d’accordo col redattore di questo splendido sito.
Ottobre 22nd, 2007 at 3:42 pm
“Splendido sito”? Wow! Grazie, troppo buono. Gli errori sono tutti del webmaster, i meriti… si sa: meglio non caricarsi di troppo bagaglio o dalla porta senza ingresso non si passa… :-).
Su Glassman preferisco non dir nulla, qualcuno si potrebbe offendere.
Ciao,
mym
Ottobre 22nd, 2007 at 4:34 pm
Sì, non c’è stata op-posizione. Avrei letto con interesse l’esposizione di una tesi divergente. Per non correre il rischio di adagiarsi su posizioni di comodo.
Ciao
PS: non conosco Glassman.
Novembre 12th, 2007 at 7:50 pm
Ho visto questo film un sacco di volte, ho una vecchia videocassetta, anche io lo sto cercando
in dvd.
E’ molto bello.
Un cordiale saluto da Peter C
Novembre 14th, 2007 at 11:25 pm
siamo sempre piu’ vicini ai figli-fotocopia. ormai non ci sono piu’ scuse tecnologiche. si puo’ fare e basta, ed e’ solo una questione etica farlo o non farlo. mi piacerebbe che ci fosse un po’ di discussione su questo tema…
pierinux
Novembre 14th, 2007 at 11:35 pm
Passi da gigante verso la clonazione umana. Per la prima volta gli scienzati hanno creato embrioni da primati adulti….
Per la prima volta gli scienzati hanno creato qualche decina di embrioni da primati adulti. Ma quali sono le implicazioni di questo impressionante passo avanti per il futuro dell’umanità ?…
Novembre 14th, 2007 at 11:55 pm
Già da alcuni anni si sa che le cellule staminali presenti nei tessuti adulti posseggono la stessa plasticità di quelle embrionali. (Vedi ad esempio, tra le altre, questa ricerca) Utilizzando cellule emopoietiche presenti nel midollo osseo diventa poossibile qualsiasi tipo di terapia cellulare senza dover far uso di cellule embrionali, senza cioè dover utilizzare i cosiddetti embrioni soprannumerari creati nella fecondazione in vitro. E’ stato accertato che esse si possono differenziare in muscolo e che quelle derivate da tessuto nervoso e muscolare possono ricostituire a loro volta il sistema emopoietico. Studi hanno anche documentato la capacità delle cellule del midollo osseo di ripopolare il fegato dopo trapianto o di trasformarsi in cellule che esprimono marcatori neuronali. Inoltre, a differenza di quelle embrionali, l’uso delle cellule staminali adulte non crea problemi di rigetto perchè possono essere prelevate dalla stessa persona che poi le riceverà come tessuto da impiantare. Ci sono anche alimenti ed erbe che favoriscono la migrazione endogena delle staminali dal midollo verso organi e tessuti da riparare. Ma perché non si spinge in questa direzione? Semplice: non creerebbe abbastanza profitti ai mercanti di staminali.
Novembre 15th, 2007 at 12:41 am
sicuramente ci sono enormi interessi economici in gioco, per prima l’industria cosmetica come la potentissima industria della salute (per i ricchi).
tuttavia penso che molto si giochi anche sul concetto che l’uomo vuole a tutti i costi dimostrare di poter costruire se stesso ed affrancarsi cosi’ da Dio.
pierinux
Novembre 15th, 2007 at 3:41 am
E’ da sempre (o se preferisci dopo la cacciata dall’Eden) che l’uomo cerca l’immortalità con vari sistemi (alchemici, magici, scientifici). A parte i soldi, penso che questo sia il desiderio principale che lo muova. Per le staminali io penso che sarebbe un grande progresso della medicina riuscire a trovare i modi di stimolare quelle endogene ed evitare i farmaci. E’ un processo che già avviene fisiologicamente e naturalmente. Si tratta solo di favorirlo e indirizzarlo meglio. Già con alcuni nutrienti e fitopreparati giusti possiamo dare una mano.
Vedi ad esempio qui:
Novembre 15th, 2007 at 8:25 pm
[…] Siamo lieti di annunciare che Martedì 20 novembre, l’Università Carlo Bo di Urbino conferirà a monsignor Gianfranco Ravasi la laurea ad honorem in Antropologia ed Epistemologia delle Religioni. […]
Novembre 23rd, 2007 at 1:03 pm
[…] SAN DIEGO — Per un gruppo di docenti universitari che studiano teologia, il Flying Spaghetti Monster (di cui abbiamo avuto modo di parlare tempo fa) – icona “spirituale” di una nuova religione nata e cresciuta su Internet – è qualcosa di più di un piatto piccante di cultura pop. […]
Novembre 23rd, 2007 at 7:52 pm
Il Flying Spaghetti Monster ispira un dibattito religioso traballante…
Per un gruppo di docenti universitari che studiano teologia, il Flying Spaghetti Monster – icona “spirituale” di una nuova religione nata e cresciuta su Internet – è qualcosa di più di un piatto piccante di cultura pop….
Dicembre 3rd, 2007 at 2:54 pm
Molto chiaro ed esplicativo il ragionamento di Jiso. Quello che non si evince chiaramente è, però, come il difetto stia (anche o soprattutto) nel manico: infatti la veste con cui il Dalai Lama si propone e presenta ad un incontro di questo genere è comunque sempre duplice, e cioè quella di guida spirituale di una comunità ormai transnazionale e contemporaneamente quella di capo politico di una regione o nazione che dir si voglia. Quando è l’uno e quando è l’altro?
Come si può essere credibili sul piano del dialogo religioso, nell’accezione di Jiso, se contestualmente si incarnano le istanze politiche di centinaia di migliaia di persone? Se tu operi a difesa degli interessi del tuo popolo, anche io opero allo stesso modo per il mio: mi pare ovvio.
Quando Cesare e Dio parlano per bocca di una sola persona, dovrebbe essere specificato ad ogni frase se si tratta di una o dell’altra opzione. Oppure, parlando con Bush bisognerebbe indossare’giacca e cravatta’ e parlando col Papa l’’abito talare’; ma sarebbe una ridicola messa in scena. Una teocrazia è per definizione e sua propria natura inscindibile, i suoi rappresentanti ne incarnano l’unità e l’ambiguità ad un tempo. E quando poi la teocrazia non è più espressione di una dottrina di pace – come nel caso del buddismo – ma di ‘guerra’ (comunque la si intenda) allora le cose si fanno tragiche….
L’idea stessa di potere politico-religioso (teocrazia) è oggi anacronistica prima che pericolosa.
La battaglia per la laicità non è solo un velleitario tentativo di affrancarsi da superstizioni ‘religiose’ o di liberarsi da imbarazzanti quesiti etici: proprio per quello che Jiso dice e che il voltafaccia Vaticano dimostra, appare sempre più come un indispensabile cammino da percorrere per potersi incontrare con trasparenza, con franchezza, senza ambiguità e finzioni.
doc
Dicembre 3rd, 2007 at 4:56 pm
Un appunto tecnico: il tipo di potere incarnato dal dalai lama non si chiama teocrazia (forma di governo in cui il potere civile e politico è esercitato da un’autorità, una persona, una casta o un’istituzione che si ritiene essere stata investita da Dio) ma è più simile alla ierocrazia -o gerocrazia- (ordinamento politico fondato sul potere della classe sacerdotale). Più prossimo al potere teocratico è quello papale: i cardinali che lo eleggono sono ispirati dallo Spirito Santo ed il suo ruolo (in questo caso religioso) è “vicario di Cristo”.
Anche secondo me l’ambiguità è duplice: sono ambedue monarchi (il papa lo è, oggi, più in piccolo ma in modo più reale), sono ambedue appartenenti al clero. Se al dalai lama, ed al suo entourage, spiace per il mancato incontro è certo a causa di un calcolo politico. Un tipo di calcolo simile a quello che muove l’altra parte.
Concordo sul fatto che il dialogo abbia poco o nulla a che vedere con le istituzioni: sono ambiti formali adatti a simboleggiare atti (per questo incontro sì/incontro no ha importanza) e non a compierli. La titolarità dell’azione religiosa è altrove, nel normale aprir la porta a chi suona, senza chiedere certificati di battesimo.
mym
Dicembre 7th, 2007 at 12:21 am
Interviste Intraviste – Katsushika…
Come previsto, il pittore è di una cortesia squisita. Un vecchietto arzillo di un’età indefinibile tra 70 e i 140 anni. Ci offre il tè che ha preparato lui stesso, in questa casa disordinatissima e piena zeppa di disegni buttati in ogni angolo pos…
Dicembre 11th, 2007 at 11:24 pm
Già, gli scarafoni… Personalmente sono molto scettico nei confronti di quel dialogo interreligioso che si realizza a livello di istituzioni, come anche sull’efficacia ed i risultati che esso possa raggiungere; mi sembra ormai una attività formale, una “moda” avviata verso il tramonto, con i relativi esperti in materia destinati a doversi reinventare.
Quando un’esperienza di fede finisce con l’ istituzionalizzarsi, perde una grossa fetta della propria autenticità, diventa meno libera, si incontra e si imparenta con il potere temporale (politico, economico, ecc), il quale impone di essere difeso ed accresciuto. Ecco allora la necessità del calcolo, del muoversi secondo quanto più opportuno e l’uomo è sufficientemente intelligente per inventarsi tutte le motivazioni e le scuse del caso, a prescindere anche dai ruoli e formalismi religiosi dietro i quali si nasconde. E poi, esperienza quotidiana di ognuno, non è neanche facile entrare in relazione con chi ritiene di essere inevitabilmente nel giusto e pensa all’altro come uno che si trova nell’errore, per dirla in termini occidentali. Ben venga allora il dialogo vissuto a livello informale, tra persone che non abbiano molto da difendere e forse, proprio per questo, più capaci di ascoltare…
Dicembre 12th, 2007 at 10:27 am
Grazie per il commento Max. Nel caso specifico (incontro tra capi di stato detentori di alte cariche clericali) non penso che il dialogo -che comunque non c’è stato- avrebbe avuto profondo senso religioso. Sarebbe stato prima di tutto un atto di sensibilità nei confronti della situazione civile, politica dei tibetani. E avrebbe avuto anche ricadute inerenti al dialogo religioso: il fatto che il “capo” dei cattolici incontri il presunto (e in qualche misura “sedicente” visto che il titolo di “sua santità” compare accanto al nome del dalai lama anche nel suo sito ufficiale) “capo” dei buddisti sarebbe almeno un segnale di accettazione della religione buddista a livello paritetico: se i due “capi” si incontrano e si omaggiano quantomeno si riconoscono…
Più interessante il discorso del dialogo religioso di base. Al di là del superamento delle intolleranze e delle discriminazioni (ottimo motivo per dialogare), ha anche un senso religioso? Quale?
Un saluto
mym
Dicembre 14th, 2007 at 3:41 pm
Le morti “bianche” – I morti sul lavoro non sono un caso ma effetto di una strategia complessiva…
I morti sul lavoro non sono un caso ma effetto di una strategia complessiva. Il modo con cui i cittadini possono opporsi alla cultura che pone il profitto al primo posto, riaffermando la cultura della vita, è attenzione, informazione, denuncia di ogni…
Dicembre 15th, 2007 at 4:21 pm
Mi siedo nello zazen da alcuni anni, quasi cinque. Ne capisco ancora poco ma ho cominciato da poco a “vedere” e vivere i buchi che ci sono nei pensieri o tra i pensieri. Secondo me cambia tutto, prima è un’altra cosa. E senza migliorare la posizione si riesce a poco. Scusa ma è tutto quello che ti posso dire.
Et
Dicembre 16th, 2007 at 1:43 am
Intanto hai visualizzato ‘il turbinio di pensieri che affollano la mente’, che mi pare il primo e indispensabile passo. Il resto verrà da sé, senza fretta. O quantomeno, questa è la speranza di ogni praticante che diviene gradualmente fede.
Scusa se mi permetto di dire la mia; non è perché io pensi di sapere qualcosa che tu già non sappia, ma perché accomunato a te dall’età, da un corpo irrigidito dagli anni e da una certa affinità emotiva; almeno, così mi è parso.
Stati d’animo come quelli che tu esprimi non sono una rarità: in un certo senso paiono connaturati alla ricerca; il dubbio è il sale, è carburante. Non si tratta di estirparlo, a mio avviso, ma di farlo ardere senza bruciarsi.
Come fare?
Non so, ma ti dico le mie riflessioni.
Il shanga. Per molti anni, se non fossi stato trainato da un’onda di amici, avrei mollato o sarei andato fuori di senno. E anche oggi la mia pratica sarebbe ben misera, senza gli ‘altri’.
Per quelli come me ,e forse come te, cavalli indolenti, una seduta di zz ogni tanto non è sufficiente ad ‘entrare’ nello spirito della pratica. Sarebbe utile concedersi un periodo di ‘vacanza dal mondo,’ in ambiente protetto, ove poter apprendere nelle migliori condizioni possibili. Sì…ci saranno pure anche i cavalli che partono al galoppo al solo veder l’ombra della frusta…ma questo lo sanno solo loro. E …dove andranno mai?
Non meno importante credo sia il rapporto privilegiato con qualcuno che identifichiamo come nostra guida, l’amico spirituale – o il ‘maestro’ come molti amano definire un po’ enfaticamente questo tipo di relazione – colui cioè che ha superato l’esame del nostro spirito critico e della nostra diffidenza, e ci ‘garantisce’ di non operare per secondi fini.
‘Intestardirsi’ è un termine assolutamente eloquente: ricordo ancora di quando fui rimproverato di mettere nella pratica un sforzo intenso ma ‘ottuso’. Non ho più scordato quell’aggettivo: ottuso. Cioè intestardirsi. Tuttavia, senza intestardirsi un po’, non si va da nessuna parte. Cerchiamo di essere testardi, ma non ottusi.
L’età: conta anche quella. Penso che più si va avanti con gli anni, più sia dura iniziare. Un proverbio dice; chi non ha testa abbia gambe. Noi non più giovani dovremmo ribaltarlo: chi non ha gambe, abbia testa.
Cosa significa aver testa? Penso debba significare innanzi tutto sforzarsi di ‘pacificare’ la nostra vita, in modo da non coltivare troppo il senso di colpa e di rivalsa (rancore, emotività, passione…): così potremmo, come effetto collaterale, arrivare allo zendo con l’animo il più possibile sereno e sgombro dai pesi della quotidianità o della nostra ‘storia’ personale. E poi, non aspettarsi nulla di particolare – un riscontro, un risultato – dallo zazen. L’ordinarietà è la dimensione di Buddha. Qualunque ‘di più’ ci rappresentiamo, causa inevitabilmente, prima o poi, frustrazione e disagio. E aggrava le nostre difficoltà. Proviamo a riconsiderare lo stato di Buddha come ordinario, ed invece il nostro disagio, la nostra sofferenza come straordinari. Come ci siamo finiti, in questa situazione?
Infine lo zazen. Se non lo si pratica con una certa diligenza, si perde del tempo. Certo, ognuno ha il suo metro di ‘diligente’: ma quando mettiamo zazen al primo posto dei nostri valori, la nostra disposizione diviene più diligente. Senz’altro.
Dicembre 17th, 2007 at 7:47 am
Anch’io ultimamente non riesco a praticare senza il dolore alle ginocchia e la necessità di sciogliere la pozizione spesso e vivo nel completo sconforto e la voglia di alzarmi e andarmene definitivamente e abbandonare tutto, sorge in me l’abbattimento e sto lì abbattuto e cerco di lasciar scorrere, con i pensieri di ogni genere, ultimamente con un senso di solitudine abissale. Effettivamente non so come fare e cosa fare, non saprei aggiungere altro.
Un saluto
Dicembre 18th, 2007 at 1:24 am
Caro River,
la tua franchezza è stimolante e di questo ti ringrazio. Francamente non vedo niente di particolarmente eccezionale nel resoconto della tua esperienza: mi pare generalmente condivisa dai più, con modalità e tempi differenziati secondo i caratteri e le circostanze: il senso di fallimento non è certo un problema, si tratta di renderlo anche salutare anziché semplicemente frustrante. Col passare degli anni comincio a pensare che lo zazen sia in gran parte quello che sembra: una posizione del corpo a volte molto scomoda, più per alcuni che per altri per motivi anatomici, a volte assai confortevole (ebbene sì, succede anche questo) a cui comunque è estremamente difficile adeguare la posizione dello spirito, mente, cuore, psiche e via dicendo. Due anni di pratica discontinua, come tu la definisci, ritengo siano pochi per tirare bilanci, ma forse possono bastare per capire se ti va di continuare oppure no, quali che siano le motivazioni occasionali. Non saprei che ricette in cui credere consigliarti, ma forse, dato che esordisci dicendo di “esserti avvicinato allo zazen”, puoi anche verosimilmente dire che lo zazen si è avvicinato a te: chissà che se lo ascolti con più attenzione, con un po’ più di costanza e con gli occhi aperti non abbia cose più interessanti da dirti. Prova a considerare il fatto di poterti sedere in zazen, con la compagnia di altri amici e la guida di una persona come MYM, come una fortuna, e non come una frustrazione, anche se non sapresti dire neppure a te stesso perché mai dovrebbe essere una fortuna: non ti costa niente e chissà che non ti aiuti a vedere anche altre prospettive. Un caro saluto e tanti auguri. Giuseppe
Dicembre 18th, 2007 at 8:51 pm
Voglio rispondere ai quattro commenti ricevuti .
Comincio col ringraziarvi per la gentilezza con cui avete accolto il mio intervento , sinceramente mi aspettavo qualche frase del tipo :
“Di che ti lamenti , te l’ha ordinato il medico di fare zz ? …”
Invece arrivate voi , con consigli da amico .
Ringrazio ET , in poche righe mi suggerisce che “qualcosa” inizia a vedere e vivere , grazie ad una pratica composta ( cura nella posizione ) e costante .
Grazie a “Doc” e Giuseppe che mi danno buoni consigli e incoraggiamenti senza usare argomentazioni o linguaggi troppo accademici .
Ultimo ( ma non per ordine di importanza ) un grazie a Roccia che è nelle mie condizioni ( e per questo lo sento particolarmente vicino ) .
Non sa darmi suggerimenti e mi offre quel che può , la sua solidarietà .
Vorrei poter contraccambiare , davvero , ma io non possiedo proprio nulla .
Grazie tante , spero di non perdervi , fatevi risentire
Ciao
Dicembre 18th, 2007 at 11:17 pm
Questa sera a “Katori” il maestro ha citato che bisogna essere sempre all’altezza delle situazioni anche nella sconfitta. Chi mette il cuore penso lo sia sempre. grazie a te River.
Ciao
Dicembre 19th, 2007 at 5:44 pm
Anch’io vorrei ringraziare River, per aver aperto questo interessante dialogo e per avermi dato di conseguenza l’opportunità di riflettere su alcune importanti questioni .
A risentirci presto
doc
Dicembre 19th, 2007 at 7:14 pm
Però. Non l’avrei mai detto che si sarebbero accumulati 7 commenti sette. Voglia di partecipazione? Mostrarsi in pubblico? Solidarietà? Argomento stimolante? Anch’io anch’io? Chissà.
Certo a casa nostra “da sempre” si fa zazen. Non c’è dubbio che siamo tutti (noi, quelli che fanno zazen) partecipi della stessa storia ma sul filo di questa storia siamo saliti in momenti diversi. Anche per questo il panorama che ciascuno di noi vede ora è diverso da quello visto dagli altri. Confrontare, palesare i panorami su internet (non dimentichiamo dove siamo), davanti a tutti, può avere senso? Non dico di no.
Grazie
mym
Dicembre 21st, 2007 at 11:06 pm
Approfitto dell’occasione che ci viene offerta… per questa volta, poi non saprei. Lo faccio con solidarietà nei confronti di River, che ringrazio ed al quale dico di trovarmi anche io in una situazione simile alla sua. Scoprii lo ZZ nei primi mesi del 2004 (mi sembra!)per reazione ad una esperienza spirituale che stavo vivendo da anni e che mi era diventata sempre più asfissiante. Semplicemente iniziai a starmene quieto da seduto su di un cuscino, davanti ad un muro, come poi questa “cosa strana” si chiamasse lo seppi mesi dopo, dopo aver letto uno dei testi scritti da MYM. Da allora nella pratica dello ZZ ho incontrato tutta la mia incostanza e molti dolori, alle gambe, alle anche, alla schiena… Non ho consigli o ricette da dare, non mi sembra nemmeno che ne esistano, ognuno eventualmente ha le prorie motivazioni e risposte da trovare e sentieri da percorrere. Dallo ZZ fino ad oggi ho imparato semplicemente a riconoscere che la mia testa era intasata da una moltitudine, un turbinio di pensieri e che questi sono un qualcosa che possono condizionarmi molto, pur non essendo tangibili e presenti soltanto nella mia mente…
Dicembre 23rd, 2007 at 10:27 am
Caro Max è un piacere leggere la tua mail sintetica, sincera ed eloquente, anche a te va il mio ringraziamento e colgo l’occasione per salutare Doc, Et, Giuseppe e Roccia.
In ultimo vorrei aggiungere che mi rendo conto dei motivi tecnici per cui non è possibile creare un vero e proprio “blog-Zen”.
Noi non siamo un gruppo appassionato di gastronomia, dove potersi scambiare ricette in continuazione o indicazioni sull’ultima trattoria visitata.
Pertanto credo che questo scambio di opinioni sia stata una piacevole e proficua avventura, finita presto, come spesso accade per le cose belle.
……… però mi dispiace.
river
Dicembre 23rd, 2007 at 7:16 pm
[…] Presentiamo il nuovo capitolo delle Interviste Intraviste. Trovate qui la serie completa. […]
Dicembre 24th, 2007 at 2:20 pm
Ciao a Tutti,
volevo sottoporre agli Amici e cmq tutti i gentili “meditanti”
una domanda domanda che sta accompagnando da un po’
“il valore di una persona”
Quanto vale ognuno?
…ammesso che abbia un valore…
grazie e vi abbraccio
Sara
Dicembre 25th, 2007 at 4:47 pm
Cara Saralultimastella, la domanda è birbantella.
Quasi da monella il giorno del Natale quando, come si sa nelle risposte puntute c’è da farsi male.
Allora calcoliamo pure, però prima occorre un poco di partecipazione. Il valore, come lo vorrebbe calcolato? Perché a seconda del tipo di valuta le cose cambiano assai. In moneta della galassia, per dire, una persona in più o in meno sul nostro pianetino squinternato e periferico suppongo valga meno di un volo di farfalla. Essì che di voli le sventatelle ne fanno un bel po’. Per sua madre, sua figlia, suo marito o affini qualsiasi pulzella a me sconosciuta è la luce degli occhi, più preziosa di ogni somma, in qualsiasi valuta. Ecc. ecc.
Per cui: se vuol sapere se -diciamo- fra un miliardo di anni quello che io sto scrivendo ora e che lei sta leggendo avrà una qualche importanza le dico che non lo so, ma dovessi proprio dire direi che né questo né le nostre singole esistenze conteranno più nulla. Però il mare è composto di gocce: tolte quelle… niente più mare. Insomma, dica lei: dove sono i Pirenei?
Buon anno
mym
Dicembre 26th, 2007 at 12:01 am
mym dice in forma piu’ elegante cio’ che penso anch’io: che il valore di ciascuno puo’ e deve essere nullo o infinito (in termini matematici), a seconda della prospettiva e quindi e’ nullo ed infinito allo stesso tempo.
l’importante e’ essere in grado di accogliere queste prospettive (che mettono alla pari lo zero e l’infinito con buona pace dei matematici) con equilibrio e coscienza, senza farci sconvolgere e imparando a trovarvi un senso compiuto come se fosse l’unica cosa vera.
pierinux
Gennaio 3rd, 2008 at 11:20 am
I miei complimenti!
Grazie a tutti gli editor e commentatori del sito.
Gennaio 3rd, 2008 at 11:41 am
grazie Rune, mi fa molto piacere reincontrarti anche su questo sito, torna presto a trovarci e buon Anno!
pierinux
Gennaio 8th, 2008 at 1:03 pm
domanda
dagli occhi lucidi
risposta
schietta e delicata come miele
beh…mi avete regalato una finestra
luminosa
un grazie di cuore ad entrambi
(^_^)
Sara
Gennaio 8th, 2008 at 11:26 pm
Nei giorni scorsi ho concluso la seconda lettura di questo testo ed ora il suo aspetto è ampiamente usurato…La prima volta fu quella, appena uscito, di una scorsa generale, nella quale rimisi insieme ben poco sul suo contenuto. Recentemente è giunto invece il momento di una forma diversa di lettura, quella che utilizza il lapis…. Ora al suo interno vi sono tutta una serie di segni strani e passi posti in evidenza… Lo ammetto, mi è piaciuto molto ed ha svolto il compito di entusiasmarmi non poco in certi suoi passi, oltre ad avere suscitato non poche domande su di me ed il mio vivere la vita…. Ora “i fiori del vuoto” riposa tranquillamente in libreria…
Gennaio 12th, 2008 at 8:55 pm
Dans ma maison divento uno di quei sfigati del digital divide (vergogna tutta italiana dei passati governi e peggiorata, Gentiloni docet, dai nuovi) che di vedere i filmati su Internet se lo sogna. Se ne riparla lunedì dal mio ufficio, farò sapere. Per ora foie gras mi evoca solo “alta cucina”.
Gennaio 13th, 2008 at 1:02 am
povero Al, te lo racconterei ma e’ meglio che aspetti lunedi e lo guardi con i tuoi occhi. probabilmente dormirai meglio anche nel weekend…
Gennaio 13th, 2008 at 2:10 am
Grazie Pierinux, so più o meno di che si tratta (alimentazione forzata, gabbie, dissanguamenti…) ma vedere suppongo farà molto più effetto. Sono già abituato purtroppo ai film dell’orrore che mi propongono continuamente gli animalisti. C’è anche, non dico sadismo, ma un po’ di morbosità da parte di qualcuno: una volta un superintegralista mi mostrò anche il “dolore” della lattuga quando viene “strappata dalla terra” tramite elettrodi che registravano variazioni d’onda… Personalmente cerco di attenermi ad una scala di valori al contempo nutrizionale ed etica. Certi prodotti non sono essenziali e si possono sicuramente evitare, ma ho visto negli anni bambini, figli di alcuni di questi estremisti, fortemente denutriti e ci è scappato anche qualche decesso a causa dell’ideologia. Certi video, che sono una giusta denuncia di crudeltà superflue, possono fomentare ulteriormente alcuni fanatismi alimentari. Bisogna andarci cauti.
Gennaio 13th, 2008 at 3:07 am
Il filmato è di quelli che colpiscono, buono per far partire una lunga catena di commenti dove ogniuno razionalmente spiega come è giunto alla propria scelta personale in merito, servirà a poco perchè ogniuno resterà probabilmente sulle proprie posizioni e il foie gras continuerà ad essere prodotto. Alla fine della fiera cosa resterà? Forse Dogen ci aiuterà a risolvere questo “koan”? O forse un bel pò di zazen?
Gennaio 13th, 2008 at 10:41 am
Sono in armonia, almeno teoricamente, con il principio jaina per cui esistere è solo a scapito di altre forme di vita. Perciò non c’è un esistere innocente (è la traduzione più letterale di ahimsa). La mia opinione è che per quanto non si sia mai assolutamente innocenti c’è una gradazione in questo. Nutrirsi di bambini, vitelli, oche torturate, cacciagione, pesci, uova, formaggi, latte, verdure, erba di campo non è tutto allo stesso livello di innocenza. E siccome più cerco di essere innocente meglio sto, la mia scelta è fatta
Ciao
mym
Gennaio 13th, 2008 at 11:40 am
sono d’accordo, non c’e’ l’esistere innocente, ma chi lo cerca? c’e’ il vivere in modo equilibrato cercando di fare il meno male possibile a chi ti sta intorno. ora, costringere un essere vivente a una esistenza di sofferenze atroci per soddisfare pochi minuti di piacere nostro non e’ equilibrato. il caso del foie gras aiuta a capire che l’asse di questo equilibrio puo’ essere molto lunga, delimitandone un estremo (per lo meno spero che sia un estremo e che non esista nulla di piu’ atroce di cio’ che ho visto). secondo me questo tipo di considerazione, se meditata e fatta propria, non e’ perduta quando finisce il filmato.
Gennaio 13th, 2008 at 6:53 pm
[…] Da settembre a dicembre del 2007, il Soto Zen Shumucho, braccio amministrativo di quella piramide di potere, ha organizzato in Francia la prima ango europea, pare proprio con l’intento di riprodurre in Europa lo stesso meccanismo all’interno del quale lo zen giapponese è una holding di amministrazione del lutto, le cui filiali sono i singoli templi. Quando l’ango europea era ancora in preparazione, Jiso Forzani, Daido Strumia ed io avevamo inviato una lettera all’Ufficio europeo del Soto Zen, in cui sconsigliavamo di procedere in quella direzione. Ora, ad ango conclusa, pubblichiamo l’intervento di Jiso Forzani alla riunione di chiusura. Riunione nella quale vi è stato chi, come Pierre Dokan Crepon, dendo kyoshi (un rango tra quelli ora detti, appositamente studiato per gli occidentali) direttore del centro zen di Vannes, auspica una continuazione delle ango per contrastare “l’anarchia spontaneista” che a suo dire dilagherebbe tra i praticanti zen. Vi sono stati altri, come Jean Pierre Taiun Faure, dendo kyoshi, direttore del tempio Kanshoji a Limoges, che auspicano senz’altro che le prossime ango “rilascino attestati ai partecipanti in modo da certificarne la maestria”. Se quello che sta accadendo proseguirà nella medesima direzione, avremo un Soto Zen europeo di rito confuciano giapponese. Il buddismo occorrerà cercarlo altrove. […]
Gennaio 14th, 2008 at 5:02 pm
Caro mym,
di queste cose ne parlavamo già molti anni fa, ricordi? Beh, prima o poi doveva diventare palese; inutile sorprendersi oggi.
Gli uomini sono sempre uomini, in ogni latitudine, e cercano e desiderano ciò che gli esseri umani cercano e desiderano. Potere, dominio, controllo delle situazioni. E lo strumento – sul piano collettivo-sociale – è sempre uno, la logica colonialista, che si avvale di tre opzioni principali: quella economica (oggi quella più in voga) quella militare e quella religiosa.
Sapevamo bene che saremmo diventati strumenti della logica colonialista giapponese, nel momento in cui abbiamo preso il bambino (il buddismo zen/lo zazen) con l’acqua sporca (tutto l’ambaradan che ci ruota attorno). Per questo – ognuno a modo suo – abbiamo cercato di mantenere vivo lo spirito critico senza abboccare troppo a facili allettamenti e coinvolgimenti che facessero leva sulle nostre fragili emozioni umane, cioè sul nostro ego. Certamente nel cercare di separare il bambino dall’acqua, abbiamo (ho) fatto molti errori; molti li abbiamo (ho) pagati, altri li pagheremo… Ma sono altresì certo che ben più pesanti errori sono quelli che siamo riusciti ad evitare, per noi stessi e per tutti coloro che sinceramente e senza secondi fini – se non il proprio ed altrui risveglio – desiderano avvicinarsi alla pratica tramite nostro. Ciò non per merito, ma per pura fortuna: considero infatti un mero ‘colpo di culo’ l’essere capitato in quel filone ‘zen’ che fa riferimento ad Antaiji, ad Uchiyama. E l’esserci capitato in anni in cui la ricerca non era ancora condizionata da tanti ‘dottorini in carriera’ che, come avviene in sanità, più che dalla consapevolezza del dolore e dall’impulso di portare aiuto sono mossi dal desiderio di carriera personale: entrare nelle grazie del primario, guadagnare visibilità, esibirsi su palcoscenici prestigiosi (conferenze, simposi, magari la TV!) per arrivare infine a gestire un reale potere di comando o di controllo su altri; e giocare un po’ a risko, infine. E’ questo il meccanismo con cui i colonialismi attecchiscono nei territori di conquista.
Ecco, se dovevo buttare un sassolino nello stagno, l’ho fatto. Ciò non toglie però che esistano problemi reali anche sul versante opposto: è vero che c’è una certa improvvisazione (la parola anarchia viene sempre usata a sproposito, come sinonimo di disordine, ed anche questo uso è indicativo di un atteggiamento di potere da parte di quel sig. Crepon, anche se magari mi sbaglio non conoscendolo); è vero che nascono come funghi monaci ‘saputi’ senza una sufficiente esperienza e preparazione ecc. Basta pensare a quanti anni di preparazione sono richiesti per esercitare la psichiatria, la medicina o analoghe arti, mentre i ‘dottori dello spirito’ si sentono spesso ‘abilitati’ dopo training preparatori di pochi anni, di pochi mesi, a volte addirittura di poche settimane…Forse che lo spirito è meno delicato/importante della materia?
Già anni fa, ricordi?, proponevo di ragionare sul tema di una Verifica Qualità delle scuole e dei (se-dicenti o detti da altri) maestri. E’ un tema importante, che certo non può, a mio avviso, essere affrontato in modo gerarchico secondo parametri giapponesi, tibetani coreani o altri.
Per ora grazie a te, a Jiso e a Daido che avete entusiasmo e voglia per spendere le vostre energie anche partecipando a situazioni formali ed ambigue come quella oggetto dell’editoriale. Grazie per il vostro lavoro e per la netta presa di posizione che, ovvio, condivido pienamente.
Saluti
doc
Gennaio 14th, 2008 at 5:08 pm
Grazie.
Non ce l’ho con nessuno in particolare. Però se ci fosse qualcuno che non è interessato al rito giapponese e cercasse “solo” un po’ d’aria pura è bene che sappia che da qualche parte esiste un’alternativa.
Ciao
mym
Gennaio 14th, 2008 at 5:21 pm
Aggiungo una cosa che mi è rimasta nella penna, a proposito del discorso ‘verifica-qualità’: penso che per iniziare sarebbe oltremodo utile una profonda riflessione (anche collettiva) su ciò che distingue, in ambito ‘religioso’, il principio di “autorità” da quello di “autorevolezza”.
Gennaio 14th, 2008 at 5:32 pm
Questa verifica non s’ha da fare. O meglio c’è già: è demandata al tempo, prima o poi le fesserie si perdono nel vento. Sostituirsi al tempo non è cosa. Ognuno, dal basso deve armarsi di solide motivazioni (chi cerca le pinzillacchere se si perde… fa la sua strada) pazienza, studio, costanza, senso critico e un po’ di fortuna.
Poi poi poi…
ci chiamavano teddy boy… 🙂
Ciao,
mym
Gennaio 25th, 2008 at 6:55 pm
Sono un’insegnante della regione Veneto e a sentire le grida esultanti dei miei concittadini alla caduta di “Prodi”, mi sono cascate le braccia. Ritenevo che, al di là, delle appartenenze ideologiche e di partito,non si potesse non riconoscere a Prodi l’ onestà e la volontà di lavorare per il bene del nostro paese. Capisco che per molti, soprattutto nella mia regione,l’ interesse proprio non coincida con l’ interesse della popolazione italiana, ma sentire volgarità e accuse infondate contro una delle poche persone che non ha mai dato adito a scandali ( nonostante ci abbiano provato in vari modi ad accusarlo ) e che ha riportato almeno un po’ sopra la sufficienza la nostra immagine all’estero, mi fa perdere tutte le speranze.
Non riesco proprio a darmi pace per questa dilagante cecità che ha colto così tante persone. Mi sembra che ritengano che le persone pubbliche, per essere degne dii governarci, debbano manifestare non virtù come coerenza, rispetto, attenzione ai bisogni, moralità ma arroganza, volgarità disprezzo verso tutto e tutti. Viene apprezzata la potenza e la capacità del singolo di ottenere comunque ragione al di là d ogni evidenza.
Mi domando come non ci senta presi in giro da alcune persone che tranquillamente ti dicono oggi una cosa e domani il suo esatto contrario.
Io credo che l’ alternanza politica sia una cosa giusta. Non riesco a capire perché i miei compaesani non tollerassero che questo governo potesse rimanere in carica per il tempo di una normale legislatura. Forse semplcemente perché dovevano pagare un po’di tasse e si sentivano ill fiato sul collo? Sinceramente io non trovo altre spiegazioni, perché, anche pensando che il governo Prodi non avesse fatto nulla, almeno non faceva i propri loschi interessi. Ma che dire? Forse questo dava un po’ fastidio a chi invece i suoi vuole farli senza preoccuparsi del futuro del nosro paese. Con grande amarezza saluto coloro che, come me, speravano di essere un po’ usciti dal tunnel. Marta
Gennaio 25th, 2008 at 7:19 pm
Cara Marta, io la penso un po’ diversamente anche se rispetto il suo punto di vista. Anche Prodi ha i suoi fantasmi nell’armadio, per citare solo i piu’ noti la questione Cirio, lo scandalo SME, le consulenze Nomisma, ma non tralascerei i conflitti di interesse nel grande affare della TAV. Se ne parla anche nella sua pagina su Wikipedia, che certamente non si può sospettare essere di destra. Personalmente non e’ tanto il suo passato (preoccupante) a darmi fastidio quanto un modello di politica che lui stesso rappresenta egregiamente, e che con tutto ha a che fare eccetto che con il bene dei cittadini.
Destra o sinistra non c’e’ differenza, lo dimostrano mille episodi, non ultimo il fatto che il buon Mastella ballonzoli un po’ qui e un po’ la a seconda di dove tira il vento (di governo). E neppure Prodi fa eccezione. Lui non ballonzola ma semplicemente utilizza appieno i metodi della destra anche nella sua sinistra.
Grazie comunque per l’intervento. Buona serata,
Gennaio 25th, 2008 at 8:38 pm
Grazie Marta. Pur condividendo molte delle cose che scrive (per esempio non mi importa dei fantasmi di Prodi ma di che cosa ha fatto il suo governo) tuttavia torno a ribadire che per me che pratico la politica in privato e la religione (anche) in pubblico, è la posizione dei cattolici in quanto tali che mi interessa. Se religione cattolica oramai fa rima solo con potere forse più che espandere il dialogo sarebbe bene pensare ad una profonda rifondazione.
Un saluto
mym
Gennaio 25th, 2008 at 11:26 pm
Gentilmente mym ci ricorda che siamo andati OT (mi ci metto anch’io per quello che sto per dire) rispetto al contesto del suo post. Ma, rispetto alla maggiore sfrontatezza di certi personaggi, che riconosco con Marta, mi chiedo come mai nel primo governo Prodi e poi D’Alema non si volle affrontare la questione del conflitto d’interesse o quella delle TV e qui non s’è sistemata rapidamente, oltre a quelle, la “porcata” della legge elettorale di Calderoli? Per citarne solo alcune che oggettivamente hanno favorito il contestato, a parole, contendente. Chi ha il potere lo usi, come ha dimostrato efficacemente con tutta una serie di leggi a proprio uso e consumo il Cavaliere… e qui mi fermo, altrimenti mym, che voleva parlare d’altro, giustamente mi sgrida 🙂
Gennaio 30th, 2008 at 12:03 pm
la frase di Leibniz: “questo è il miglior mondo possibile.”
Gennaio 30th, 2008 at 12:30 pm
Ho censurato, eliminandolo, uno dei due commenti di Runix. Conteneva, mitigati dai puntini di sospensione, degli insulti personali a Mastella, Dini e alle loro famiglie.
Ribadisco che l’intento di questo post non è discutere dello stato etico dei governanti ma sollecitare una presa di posizione etica della chiesa cattolica sui politici che ad essa si richiamano di continuo. L’impressione è che, tacendo, si mischino al gregge i lupi, non pecorelle smarrite.
mym
Gennaio 30th, 2008 at 8:37 pm
Ciao,
sono un po rammaricato che in questo tecnotopo si parli di politica applicata.
Ci sono numerosi spazi in cui fare sfoggio delle proprie posizioni in merito.
Detto questo, visto che avete voluto tirare fuori questo, che dovrebbe essere nobile, argomento, devo dire la mia.
Temo che, mentre il fantasma che si aggirava a meta del XIX secolo
e che mi ha dato l’opportunità di studiare, di avere un asilo per mio figlio etc.
stia perdendo, eccessivamente, il suo giusto posto nelle nostre visioni e utopie intese come dichiarazioni d’intenti,
l’uomo qualunque sia diventato la nostra maggiore aspirazione.
La differenza tra destra e sinistra c’e’ ed è profonda, viscerale.
Entrambe sono in crisi, ma continuano a indicare delle idee di società e di realtà antitetiche.
Non sono tra quelli che credevano in una palingesi politica con le ultime elezioni, un analisi à la Marx rendeva una conclusione del genere impossibile, ma speravo che si interrompesse lo schifo legislativo del periodo dello psico nano e questo de facto c’e’ stato, per poco, ma c’e’ stato.
Se ci chiediamo perchè certe questioni di maggior interesse per la sinistra non sono state portate avanti e per una questione di numeri, resa ancora più problematica per una gestione alla Moggi della politica, in cui le regole del gioco, la legge elettorale, vengono cambiate a proprio piacimento con un giro di telefonate.
Per quanto riguarda la famiglia Mastella, c’e’ poco da dire, ma non dimentichiamoci della famiglia Dini, entrambe con le mogli nei guai giudiziari ( articolo ).
Oltre a quanto detto ci sarebbe, da affrontare anche le questioni Veltroni e magistratura, ma il discorso diventa troppo lungo e come detto non penso che questo sia il luogo adatto.
Sicuramente, se Leibniz fosse un italiano di oggi non avrebbe potuto mai immaginare e dire la famosa frase: “questo è il miglior mondo possibile.”
Ciao,
R
Gennaio 30th, 2008 at 9:55 pm
[…] 106. La Stella Del Mattino – Ambito Buddista: Il Senso della Vita (post e fascetta) […]
Gennaio 31st, 2008 at 1:40 pm
Questo ‘è’ il miglior mondo possibile, se non altro perchè è l’unico ‘reale’. Il fatto poi che possa non piacermi dipende da me, non da lui.
E se l’errore (mio, vostro, della Chiesa)dipendesse dal fatto che a causa della nostra insoddisfazione, delle nostre opinioni e dei nostri ‘credo’ ed interessi privati, tutti tiriamo a modificare la realtà in funzione di un nostro personale vantaggio, chiamando questa aspirazione ‘miglioramento’ o progresso? Per vedere con chiarezza questo meccanismo, basta osservare una micro-comunità, ad esempio una famiglia o una comunità di lavoro, ove tutti cercano di modellare le regole e i comportamenti secondo la propria idea di ‘buono’, che in realtà è l’espressione di un interesse soggettivo diretto o mediato. La risultante di tutte queste pulsioni, è appunto il miglior mondo possibile; espressione, summa dei componenti.
Anche la Chiesa tira l’acqua al suo mulino, come tutti i componenti di questa comunità di uomini-bambini molto capricciosi che siamo noi. E non va molto per il sottile …
Non sarò certo io a dire perchè e percome: sta di fatto che la Chiesa rappresenta inequivocabilmente un potere forte (politico, economico e indirettamente anche militare) col quale, chiunque intenda operare per dare una sua impronta al mutamento di questa realtà socio-politica(insoddisfacente), deve fare i conti. Sperare che sconfessi i propri politici? sperare che sconfessi la ‘guerra santa’? sperare che sconfessi le proprie banche e i propri scandali? le proprie alleanze inopportune? che si tenga in disparte?
perchè mai dovrebbe? Anche lei gioca per vincere; nel segno di Dio.
Però anche la Chiesa non pare poi così monolitica: al suo interno esistono orientamenti diversi, posizioni varie e variabili che lasciano un sottile spiraglio di evangelica speranza.
Gennaio 31st, 2008 at 6:34 pm
Il 27 febbraio il vescovo di Ivrea, monsignor Bettazzi, ha pubblicato una lettera aperta in cui non sconfessa i politici che si adunano sotto le sottane dei preti per lucrare consenso, ma assume posizioni interessanti, religiose, chiare. Penso che possa essere una risposta adeguata, anche se indiretta al quesito che, nel post, indirizzavo al cardinal Ruini.
mym
Febbraio 5th, 2008 at 10:47 am
I appreciate this article very much and I find it a very concerning matter.
I was not so interested in going to La Gendronniere ( I am ordained in the Deshimaru lineage) at some of this “historical” events because of thoughts like these, if I may dare to say so. However, my thoughts were more vague and
not as clear as your article. Indeed a good work. The mentioning of the Harappa civilisation
is indeed a deep trace in the sands of time.
but alas, the future…I think/feel that you may be very right on this issue. But do not know what would be the alternative. If we want to practice we need to have a sangha; as it is, in general in the group-situation we can push ourselves further beyond ourselves than we can go by ourselves. And in organizing the group…The japanese really know how to do that, no?
If I understand you correctly you are asking for another way of decision-making and as Europeans we have another way of doing that.
I have been at Antaiji and liked it very much.
It felt fresh. I was impressed by the way things were run. The “clique-atmoshere”, I have experienced in many other zen-temples/dojos did not exist and I felt that the practice probably terminates many , if not all attempts and ambitions to be “special”, (at least when you are there).
And if this “specialness” dont exist, there is more possibilities for communication between different kinds of people, and that may be the exact way to proceed.
Thank you very much
Febbraio 6th, 2008 at 11:31 am
Dear Fredriksson (is it right?),
Thank you for your kind comment.
The first blade of grass in a bare field grows alone. If it is healthy, sooner or later around him has brothers. If, as it is alone, we build around him a structure similar to grass tufts of its species, its true brothers may not be born, will be blocked. Perhaps for a while we must grow alone, doing mistakes, correcting them and doing again (new and same) mistakes. Just like a blade of grass someone will disappear, others will succeed and there will be a true reality. If we use an imitation of Japanese world to build an artificial reality, it will be dead from the beginning. So I think, but it’s not easy for anyone.
Take care of you
yushin
Febbraio 14th, 2008 at 8:06 pm
[…] Tempo addietro, subito dopo la caduta del governo Prodi, pubblicammo un post intitolato Mastelliade nel quale chiedevamo alla chiesa cattolica italiana di prender posizione nei confronti dei politici che, a nostro parere per mero calcolo, si proclamano cristiani, cattolici. Nei commenti di quel post segnalammo la lettera aperta di monsignor Bettazzi, un garbato riconoscimento allo stile etico di Prodi e del suo governo. […]
Febbraio 16th, 2008 at 11:01 pm
Ho avuto poco tempo fa il dubbio che mio figlio fosse omosessuale da una sua affermazione sul suo sito, rivelatasi poi una spacconata. Quello che ho provato in quel momento ve lo assicuro non è stato bello lo ammetto. Da parte mia ho provato cosa vuol dire amare fuori dai canoni…
Non posso e non voglio dire altro.
Febbraio 17th, 2008 at 10:48 am
“…ho provato cosa vuol dire amare fuori dai canoni…”
Roccia ha toccato il cuore del problema. Stavo per commentare, ma dopo aver letto questa frase qualsiasi cosa avessi detto mi sarebbe apparso superfluo.
Febbraio 17th, 2008 at 11:32 am
roccia sa essere “lapidario” 😉
Febbraio 17th, 2008 at 11:58 am
Ringrazio per i commenti, e aggiungo un piccolo chiarimento. L’idea di base che ho colto in quel video nasce forse dalle mie convinzioni, secondo le quali le chiese si dovrebbero rivolgere ai loro fedeli anche quando esprimono principi generali. Chiedere a tutti di obbedire a principi che discendono da un credo non condiviso è una forma di totalitarismo antireligioso. Sin qui le mie opinioni. Il video però è apparentemente di “grana” più grezza: pare intervenire sulla coerenza e la corretta applicazione giudicate dal di dentro della comunità religiosa (i due ragazzi partecipano alla funzione religiosa quindi sono legittimi destinatari del messaggio del pastore) evidenziando una sorta di malafede del predicatore. Ma, e questo è il punto che rischia di essere il più debole riguardo alle motivazioni che mi hanno spinto a pubblicarlo, il tutto si risolve con uno sberleffo, una scelta umoristica e per questo (a mio parere) liberatoria, a maggior ragione anche per chi non si sente parte di quella comunità. Un umorismo che richiama l’ironia legata alla supplica alla madonna di Lourdes del post precedente. Grazie
Febbraio 17th, 2008 at 12:44 pm
Il video pubblicato non è un documento-denuncia ma una ‘fiction’: ragioniamo su una illazione. Per dare corpo alla cosa bisognerebbe avere ‘pretesti’ di vita reale, (un discorso di un qualunque Baget Bozzo sull’argomento o una notizia di cronaca…): sono convinto che la realtà superi spesso la fiction, ma non ho sottomano prove da produrre.
Il nostro interesse – dato il pretesto fornito – mi pare possa essere soprattutto quello di interrogarci su come leggiamo o pensiamo vada letto il tema omosessualità (o analogo) da una angolatura ‘religiosa’ o di persona della Via. Così come ci ha proposto Roccia, con un brivido davvero eloquente.
Ma così il discorso si sposta; dai guasti che produce un certo dogmatismo protervo ed ignorante, tipico di molti uomini (anche) di Chiesa, ad una riflessione profonda sulla natura umana e sui suoi perchè e percome.
Effettivamente il video pare quasi ‘liberatorio’, appunto perchè è fiction. Nella vita reale è (quasi) sempre tragedia.
Febbraio 21st, 2008 at 9:37 pm
Mi ha fatto venire in mente un racconto, che segue, di Jodorowsky.
Dopo la guerra
L’ultimo essere umano vivo rovesciò l’ultima palata di terra sull’ultimo morto. In quel preciso istante seppe di essere immortale, perché la morte esiste solo nello sguardo dell’altro.
Chiedo venia,
R
Febbraio 21st, 2008 at 9:51 pm
A Verona c’è stata una manifestazione in piazza Bra’ con i monaci cingalesi sindaco e presidente della provincia in testa .
Compassione e consapevolezza .
C’ero con tutta la famiglia .
Fradamiano
Febbraio 21st, 2008 at 9:58 pm
ottima citazione 🙂
ciao, pierinux
Febbraio 22nd, 2008 at 4:08 pm
Grazie per la segnalazione Fradamiano
Un saluto
mym
Febbraio 22nd, 2008 at 4:24 pm
Grazie Runix, la citazione è molto intrigante. Se vuol dire che quando io non son che io senza neppure tu per cui non ci son più neppure io ma solo un me, allora è tremendamente attinente.
Ma a questo punto bisognerebbe che Roccia dicesse la sua. Se è ancor tra noi … 🙂
Ciao
mym
Febbraio 22nd, 2008 at 9:57 pm
Non mi sento in grado di argomentare, già quello che dice mym mi mette in difficoltà.
Quello che avevo da dire e che sono in grado di dire, l’ho detto. Comunque è una poesia d’amore questo solamente mi sento di sottolineare. Grazie per l’interesse.
Silvano
Febbraio 22nd, 2008 at 11:44 pm
Ho cominciato a praticare meditazione zen nell’1982 , a casa di un liutaio , discepolo di Guareschi.Ricordo parecchie persone sedute su coperte arrotolate sotto i violini appesi come panni ad asciugare . Poi è nato il dojo a Verona in via Filippini, a venti anni si hanno grandi entusiasmi e grandi delusioni .Seshin a Verona ,a Fidenza . Periodi di grande pratica si sono alternati a periodi di nulla . Poi c’è stato l’incontro con il Cristianesimo , la fede Cattolica . Ma sempre praticando zazzen . La nascita della comunità La croce ed il nulla dove ho soggiornato per un po’ di tempo. Il mio ritorno alla vita normale , fidanzamento , matrimonio ,lavoro , passaggio alla fede riformata . Ho comunque continuato a praticare meditazione . E dopo l’11 sttembre si è sviluppata in me la sfiducia nell’ idea di Dio . Dio non migliora il mondo. Forse lo peggiora : guerre di religione ,scontri culturali. Meglio il nulla,meglio il buddismo , niente Dio : Cercare solo di superare la sofferenza , propria e del Mondo . Sono giunto a considerarmi ateo , il cerchio si è chiuso,ma comunque sempre zazzen davanti al muro, bianco . La pratica più dura per me è stata da solo, in un eremo camaldolese , un giorno completamente solo. NOn c’era nulla a cui attaccarsi , la stanza spoglia , nessuno con cui condividere nemmeno lo sguardo.Il mal di gambe , il mal di schiena , in fondo la nostra esistenza è già così dura , la nostra solitudine così grande , perchè torturarsi ancora di più con i sensi di colpa .Negli anni il mio cammino religioso non è andato molto avanti . Non ho incontrato il maestro , non sono diventato monaco ,non ho raggiunto l’illuminazione ,non ho trovato la grande fede con la F . In fondo un vero fallimento , ma continuo comunque a praticare , Il mattino quando non sono troppo stanco , o la sera . Il mio zafu ha più di venti anni , ed è logoro e lucido , un po’ come me ,più vecchio ma forse un po’più consapevole . In fondo zazzen non è un gioco , esattamente come la vita ma come essa estremamente prezioso . Va curato e nutrito come la pupilla dei propri occhi.
Febbraio 23rd, 2008 at 1:40 am
Un vero ‘sangha virtuale’ pare prendere forma in questa pagina.
Parafrasando mym, non dico che abbia senso. Ma perchè no? nel nostro piccolo si fa girare un po’ anche noi la ruota del dharma. Sperimentale.
Ai tempi del Budda non c’era internet?
Un grazie ed un saluto a tutti
Febbraio 23rd, 2008 at 11:46 am
Caro Fradamiano, se dici “Non ho incontrato il maestro, non sono diventato monaco, non ho raggiunto l’illuminazione, non ho trovato la grande fede con la F” mi pare che il tuo cammino non sia andato indietro. Se parli di fallimento allora forse ne parli sul piano mondano. Dove ruggine e tignola fanno il loro lavoro.
Se il tuo zafu è così mal ridotto, poveretto: sarebbe ora di rinnovarlo…
Ciao
mym
Febbraio 23rd, 2008 at 4:34 pm
Ho imparato a cucirmeli da solo, adesso incomincio a farne uno per mio figlio, ma permettimi di essere anche un po’ affezionato al mio vecchio . un po di attaccamento ci vuole.
Febbraio 28th, 2008 at 1:04 pm
ed io infatti tra la croce ed il nulla ho scelto il nulla
Febbraio 28th, 2008 at 1:48 pm
Aaaaaah, il ganimede… Occhio: non è una barzelletta buddista. È della ditta che fabbrica le pentole senza coperchio…
Ciao
mym
Febbraio 28th, 2008 at 7:40 pm
ma il mio non è un nulla buddista.
Che sia della stessa ditta!?
Febbraio 28th, 2008 at 10:21 pm
Mi sembra che tutto il film graviti attorno alla scritta su una pietra : alla fine il protagonista la gira e legge la risposta .
Nella mia versione del film non c’erano sottotitoli a tradurre la scritta. Qualcuno ne conosce il significato.
( credo che sia una specie di indovinello su come fa una goccia d’acqua a non asciugarsi fonte socka gokaj o giù di li.)
Febbraio 28th, 2008 at 10:39 pm
Kim ki Duk è cattolico , ed anche a me il film non è sembrato molto “buddista”.
Tra l’altro il monaco non medita mai , cosa abbastanza strana. L’ambientazione denota un sottofondo culturalmente buddista ma a volte lascia profondamente perplessi.Soprattutto se lo si confronta con il film coreano “perchè Bodhidarma è partito per l’ oriente “di Yong Kyun Bae (sconosciuto ai più…) che vinse il festival di Locarno nel lontano 1989 , e oggi introvabile anche in rete .
Sicuramente per molti versi Kim Ki Duk si ispira al film di Yong Kyun Bae . Esempio il bambino orfano . La scoperta da parte del bambino della sofferenza . L’isolamento dei monci . Il mondo esterno che irrompe nella loro pratica . Ma in Estate… Kim Ki Duk dimostra la sua scarsa dimestichezza co il buddismo mantenendosi in superfice a una generica ricerca spirituale. La mia impressione è che il film Perchè Bodhidharma … in corea abbia quasi creato un genere , che viene molto apprezzato in occidente anche se la copia non raggiunge l’originale . Degenerazine del Dharma ?
Febbraio 28th, 2008 at 10:41 pm
Non sono riuscito a vederlo tutto, troppo crudo. Ma non capisco cosa centri il buddismo .
Febbraio 29th, 2008 at 11:41 am
Mah, direttamente c’entra poco, come in tutti i film di Duk, a parer mio. Possiamo dire che c’entra come condizionamento ambientale e per le pretese di Duk di richiamarsi -attraverso certi simboli, per esempio il nome Vasumitra- al buddismo, di cui, forse, in questo modo intende presentarsi come esperto, o quantomeno culturalmente partecipe.
Ciao
mym
Febbraio 29th, 2008 at 11:54 am
Sì, anche a me ha ricordato Perché Bodhidharma…, devo averlo scritto da qualche parte. Le differenze sono estetiche e di contenuto: il film di Duk è più “bello”, il film di Bae è un tentativo serio di esprimere religiosità, o almeno lo si può considerare tale; quello di Duk è un’operazione -non solo ma decisamente- commerciale. Bisogna ammettere, però, che il film di Bae è di una noia … buddista (?).
mym
Febbraio 29th, 2008 at 12:06 pm
Peccato non aver visto la versione con i sottotitoli: per lo meno elimina il senso di “indovinello”. La prima volta sotto la pietra c’è scritto (più o meno): “Come si può impedire ad una goccia d’acqua di asciugarsi?”. La seconda pietra reca la scritta: “Immergendola nel mare”. Il mezzo cinematografico è difficile da usare (più della parola scritta) per esprimere religiosità. Ho avuto un’esperienza diretta a riguardo. Penso che il tentativo rappresentato da questo film sia il migliore attualmente su piazza. A parte il film girato da noi, naturlicht… 🙂
mym
Febbraio 29th, 2008 at 4:41 pm
Allora: il nulla buddista, il nulla non buddista, quell’altro lì né buddista né non buddista, e … mannaggia, chi si è fregato il mio nulla?
mym
Marzo 2nd, 2008 at 6:50 pm
grandissima Marge/Teresa!
ciò che faccio più fatica a credere è che abbia osato spegnerti il PC…
quello nemmeno il terremoto… 😉
Marzo 4th, 2008 at 1:38 pm
[…] Presentiamo il nuovo capitolo delle Interviste Intraviste. Trovate qui la serie completa. […]
Marzo 22nd, 2008 at 8:21 pm
Se volete farvi un idea di cosa pensano i cinesi della situazione in Tibet , andate sul sito di Associna c’è un forum su questo argomento . Da far accapponare la pelle , e pensare che sono cinesi di seconda terza generazione ……
Marzo 22nd, 2008 at 8:25 pm
Il forum di Associna di cui parla Fradamiano lo trovate qui
mym
Marzo 24th, 2008 at 9:47 pm
E 30 anni fa l’economista Ernst F. Schumacher, autore tra gli altri di “Piccolo è bello” e “Guida per i perplessi”, diceva che l’aspetto quantitativo dell’economia, livellando i beni e attribuendo a ciascuno un prezzo per lo scambio, fa sì che denaro divenga il valore più elevato. La produzione/lavoro diviene solo il mezzo ed il consumo il fine. Il lavoro dovrebbe essere invece (lo diceva già nell’800 K. Marx in altri termini) creatività e socialità, innanzitutto, e solo secondariamente la produzione di beni e servizi. Bisognerebbe semplificare e ridurre i bisogni (la cosiddetta “decrescita felice”), non trasformare il superfluo in necessità.
Aprile 9th, 2008 at 10:51 am
Ciao a Tutti!
In questa fredda ma bella giornata di primavera
una piccola domanda
un “diritto”
qual’è la caratteristica che ne fa una cosa tanto.. forte
Mangiare e bere?
la libertà, l’affetto etc?
sono questi?
ma soprattutto, se si, perché
O se no….quali altri, se esistono
scusate se vi coinvolgo nel mio lucubrare!
ma grazie cmq
Si leggono spesso davvero
cose interessanti qui
(^_^)
S
Aprile 9th, 2008 at 6:55 pm
A SC: la tua premessa a ‘Senza titolo’ mi ha ricordato questa breve poesia dell’amico Leo (Leopoeto) che volentieri rubo (mi perdonerà certo) e qui ripropongo.
Grazie delle tue ‘visioni’ condivise con noi.
DICA
D’incanto mi par
d’ascoltare la luna…
inseguire la pioggia…
Nubili spose del mio soliloquio.
Il poeta di parole
non è raccoglitore,
è il raccolto.
Aprile 10th, 2008 at 1:17 pm
Grazie Doc e soprattutto a Saralultimastella, consapevole o no mi ha fatto capire di quanto a volte io possa essere un presuntuoso.
A volte si
mi par d’ascoltare la luna,
ma poi…
Un saluto.
Aprile 12th, 2008 at 7:46 pm
Cara Saralultimastella, anche questa volta fai una domanda da un milione di dollari. Cerco di essere serio, per una volta …
I diritti, in quanto tali non esistono. Nascono come risposta a sopraffazioni dolorose. La vita viene spesso negata, o uccidendo o imprigionando, in vario senso. Proclamare il diritto alla vita è iniziare a condizionare il mondo in una cultura che non la neghi, la difenda. Senza la vita è inutile parlare del resto. Così è pure per tutto ciò che sia indispensabile alla vita. Aria, acqua, cibo… amore, libertà ecc. ed ecco i diritti fondamentali, poi quelli civili ecc. ecc. Ma se la tua domanda presuppone l’esistenza di un valore oggettivo, detto “diritto”, allora devo deluderti e ripeto: i diritti non esistono. Per questo occorre farli esistere. In molti casi però noi rinunciamo ai nostri diritti volontariamente. In una situazione in cui spontaneamente mi sottopongo ad un regime (monacale, sportivo, educativo…) che preveda delle privazioni o delle severità, fisiche o morali, sino a che io sono d’accordo i diritti sono sospesi. Se però io non sono più d’accordo e con la scusa che prima lo ero mi si impongono delle privazioni (di diritti) il gioco cambia. È forse (il condizionale lo metto perché non c’ero e non so quindi se menta la superiora o la monaca) il caso di quella monaca filippina che ha denunciato per maltrattamenti e sfruttamento la superiora del convento in cui prima praticava la religione (perché accettava spontaneamente le privazioni) poi, pur facendo la stessa vita, era sfruttata.
Un saluto
mym
Aprile 15th, 2008 at 12:55 pm
Ho letto in queste ore, girovagando tra i blog, che molti paventano involuzioni autoritarie nel nostro paese. Furono già preannunciate con eclatante evidenza a Genova nel 2001. Avete sentito le dichiarazioni di Fini in merito? Fini: mai un inchiesta su Genova. Iersera nel salotto di Vespa siedeva tra i vincitori Scaiola che all’epoca era il ministro dell’interno.
Aprile 15th, 2008 at 1:58 pm
Sulla distanza culturale da Bertinotti, che ieri sera in TV discuteva in maniera più che civile con personaggi quanto mai distanti dalle sue idee (es. Fini), vorrei citare per contrappunto un altro dei vincitori: “…manderemo Veltroni in Africa, ma forse è meglio di no perchè anche gli africani meritano un futuro”…(Maurizio Gasparri, ieri 14 aprile in TV)
Aprile 15th, 2008 at 3:33 pm
Personalmente avevo scommesso — non dei soldi, per fortuna! — che TUTTI i partiti “piccoli” sarebbero emersi: quelli di tutte le connotazioni politiche, dalla Destra ai Socialisti.
Abbe’…
Se non altro mi ha fatto piacere sia per l’Udc che per Di Pietro.
La scomparsa di Bertinotti, come notazione sociologica, in effetti colpisce molto. E’ vero che quando era al governo ha dimostrato di non saper governare (non si fa opposizione contro se stessi) però è anche vero che aveva onestamente detto, in campagna elettorale, che desiderava tornare a fare opposizione come ai vecchi tempi. Ci si aspettava che raccogliesse parecchio malcontento.
Quanto a Berlusconi, guardiamo le cose in faccia: Veltroni è stato disgustoso quanto lui: il populismo e il gregarismo della peggior specie.
Bossi? Non l’ho (mai) votato, eppure dal punto di vista sociologico è forse il più autentico “politico” d’Italia (Indro Montanelli l’aveva notato fin dagli anni ’80). Incasellarlo sotto la voce “xenofobia” significa voler evitare la questione. Anche Giulio Cesare e Napoleone, dai loro contemporanei, erano considerati dei beceri agita-popolo, ma la politica “rampante” fin dall’antichità è proprio questo, è carne e sangue, è una forza che sale dall’interno. L’idea che il politico debba essere un intellettuale illuminista è, appunto, un’idea degli intellettuali illuministi (che finirono con il tagliarsi la testa a vicenda).
In definitiva, i due leader dei partiti maggiori rappresentano esattamente il tribalismo, il sentimentalismo e il mammismo dell’italiano medio, che vincesse uno o l’altro. Su quali basi antropologiche “sognare” una classe dirigente diversa?
d.r.
Aprile 15th, 2008 at 3:33 pm
come voleva titolare (e non ha fatto) stamattina un noto giornale…
“E’ una Walterloo!”
Aprile 15th, 2008 at 3:44 pm
ragazzi, i voti li hanno dati gli italiani. le scelte erano tristissime e tutte ampiamente impresentabili, ma in fin dei conti la scelta l’hanno fatta gli italiani che hanno deciso chi tra i vari candidati meglio li rappresentava. evidentemente il risultato e’ cio’ che loro stessi hanno chiesto (e quindi che si meritano).
non parlerei di distanza tra i candidati. quella era ovvia fin dall’inizio. la distanza l’hanno marcata gli italiani col voto.
amen
Aprile 15th, 2008 at 5:15 pm
A proposito di “tribalismo”, menzionato da dr, ecco come ci vedono da fuori: http://vistidalontano.blogosfere.it/2008/04/elezioni-le-reazioni-allestero-attenti-e-tornato-berlusconi-liberation.html
Aprile 16th, 2008 at 12:55 am
La questione, come la pone mym, suggerisce già una risposta. Temo che questo sia un modo cristallizzato di analizzare le cose, il terremoto che ha investito la politica italiana.
Forse sarebbe meglio sospendere le abitudinarie categorie di giudizio ed osservare umilmente la realtà dei fatti.
Aprile 16th, 2008 at 10:17 am
Concludo (per ora?) questo giro di commenti. Il mio post nacque non da una valutazione politica ma etico morale, ovvero un’area che -per poco o tanto- si sovrappone alla zona che chiamiamo religione. Da almeno 5 anni Bertinotti ha espresso principi la cui lettura, a mio avviso, li colloca nell’area di cui sopra: la difesa dei deboli, la giustizia sociale, la dignità del lavoro inteso come parte costituente della vita (e perciò non solo come parte dell’equazione lavoro=reddito), i diritti, la sicurezza sul posto di lavoro, la pace, il rifiuto della guerra come sistema ecc. ecc. La distanza tra lui e gli altri (è la mia proposta) va misurata proprio su questi temi: non è un sacerdote della religione della “Crescita” o del “Mercato”, i nuovi dei che tutto possono. Per chiarezza aggiungo che siccome la mia cerca di non essere una valutazione politica, non ho preso in considerazione il “come” Bertinotti proponga di avvicinarsi a quelli obiettivi.
Grazie, mym
Aprile 16th, 2008 at 11:32 am
Provo rabbia, disgusto e tristezza per gli esiti di queste elezioni. Mettevo in conto l’ennesima vittoria di berlusconi, ma ero ben lontano dall’immaginarmi un’ecatombe di queste proporzioni per la sinistra. Lo dico senza mezzi termini, non mi riconosco nelle scelte compiute dal popolo italiano o per meglio dirla, nel suo modo di essere e di agire!! Abito in terra di Toscana e non pochi amici e colleghi di sinistra non sono andati a votare, perchè delusi o traditi dai partiti che in questi anni li hanno rappresentati. Così mi hanno detto…
Aprile 16th, 2008 at 11:39 am
Caro Max, non ti angustiare. Se la giustizia è tra i vincitori: benvengano! Se non c’è … be’, è normale: la giustizia non è di questo mondo.
Shanti
mym
Aprile 16th, 2008 at 3:37 pm
Il commento di mym dice un’aspetto della questione, una faccia della medaglia. Può essere condivisibile, ma ritengo indispensabile girare la medaglia e guardare anche l’altra faccia che la compone, senza la quale non sta su neppure la prima. In quell’altra metà io leggo che stiamo parlando di politica, della situazione italiana da un punto di vista politico: e non della filosofia politica ma della politica “attiva”, la quale ha dei parametri che la connotano. In particolare in Italia la politica attiva in cui Bertinotti è impegnato con onore da una vita ha le fattezze della democrazia rappresentativa sostenuta dal suffragio popolare. Bertinotti non è solo un portatore di idee, è (per sua scelta) un rappresentante votato sia per le sue idee sia per rappresentare le idee di chi lo vota. La responsabilità di dar voce a chi rappresentiamo, se ci poniamo nella posizione di rappresentare qualcuno, non è un optional della politica: è una conditio sine qua non. Se io presento le idee che rappresento in modo tale che non mi votano neppure quelli che intendo rappresentare (e che non hanno certo tutti cambiato idea, ma non si fidano più di me come loro rappresentante) questo è un fallimento politico gravissimo perché significa che nonostante la bontà delle mie idee io non so più interpretare il sentimento neppure di chi le condivide. Il fallimento è rappresentato dal fatto che quelle idee non hanno rappresentanza politica proprio là dove mi sono impegnato a portarle (in questo caso il parlamento italiano). Imputare quel fallimento alla “situazione italiana” è un ragionamento impolitico, che un politico non si può permettere. Il dovere di un politico “attivo” è starci dentro, alla situazione, e se si presenta alle elezioni per (ri)diventare un rappresentante parlamentare del popolo deve trovare il modo di esserci in parlamento, anche se la puzza è insopportabile: questo è il suo lavoro, per cui ha chiesto fiducia. Bertinotti dice bene, e probabilmente pensa bene: ma non è un filosofo morale, è un politico italiano che rappresenta(va) milioni di persone: il risultato che ha ottenuto è stato che ha parlato tanto lui e ha tolto voce ai tanti per cui credeva di parlare. Penso che in politica si debba valutare un politico dal binomio “intenzioni-risultati” e non da uno solo dei due fattori. Ottime intenzioni – pessimi risultati è politicamente parlando non meno grave di pessime intenzioni – ottimi risultati: questa mi pare sia la situazione italiana. Lo stato etico che prescinde dallo stato della realtà (o meglio, che impone l’etica alla realtà) è appannaggio dei regimi etico-totalitari (al giorno d’oggi Iran, Talibani e compagnia): Bertinotti mi sembra passato da quella tentazione “bolscevica” (cui meritoriamente ha resistito, anche perché in Italia non funziona) a quella opposta, di far sermoni etici senza sapere interpretare e incanalare la volontà di coloro per conto dei quali li esprimeva. Molto male: ha sbagliato completamente i conti, facendo fallire la sua “impresa”: se imputasse questo alla situazione italiana, o al fatto di non essere stato capito, sarebbe un doppio tradimento. Gli va dato merito di avere il buon gusto di non farlo e di ritirarsi in silenzio.
j
Aprile 16th, 2008 at 3:47 pm
Un poco insolitamente, per lui, J si dilunga. Però nel suo rovescio della medaglia si vede solo il politico Bertinotti. Che ha sbagliato e perso, lo sanno tutti. La misura che proponevo aveva due estremità: con una sola ci si può “misurare” solo… l’infinito
mym
Aprile 16th, 2008 at 5:22 pm
E’ scritto in quale Sutra che il dibattito “buddista” sulla situazione politica italiana debba ruotare intorno a Bertinotti?
Va bene: personaggio importante nel panorama ecc., che ha detto anche tante belle PAROLE, e non ci si aspettava che ecc. ecc., però adesso basta, addio, ciao ciao, “la strada è aperta in avanti” (Teilhard de Chardin).
dr
Aprile 16th, 2008 at 7:53 pm
Da ex iscritto e simpatizzante ed anche fortunato nel conoscerlo personalmente Bertinotti non mi piace più. Snob frequentatore di salotti romani,da sfoggio di una cultura e di un intelligenza di cui nutro forti dubbi .Ci ha messo otto anni a finire l’istituto tecnico . Non mi sono piaciuti i suoi interventi sull’Alitalia ne sulla fiera del libro di Torino . Troppo ideologico e forse e opportunista nel prendere prima una carica istituzionale per poi rigettarsi in campagna elettorale contro tutti.
Credo proprio che se la siano voluta e non vedo tutta questa superiorità morale .
Continuiamo a lottare con quello che ci resta cioè il PD , nella speranza che questi cinque anni non siano un disastro
Aprile 16th, 2008 at 8:45 pm
A questo punto mi pare proprio che DR abbia colto il punto. E a capo.
mym
Aprile 17th, 2008 at 5:14 pm
Il risultato delle elezioni poteva andare persino peggio e se è vero che le difficoltà aguzzano l’ingegno, per la sinistra, ahimè, qualche anno fuori dal parlamento forse potrà essere utile per riconsiderare i problemi reali degli elettori e formulare proposte concrete per tentare di risolverli accantonando per ora i sogni e le nostalgie.
carlo
Aprile 17th, 2008 at 5:21 pm
meglio accantonando che accattonando, imho.
Aprile 20th, 2008 at 11:41 am
Mi stupisco del mio stupore, meglio dire “stizza” di fronte a questi risultati elettorali.In fin dei conti,mi sento di dire, non hanno vinto loro, persone quasi indefinite dal punto di vista politico, hanno vinto le loro maschere dietro alle quali ci stanno molti italiani ( anche noi forse? ) che hanno delegato ad altri il loro “non coragggio” di sbattere la porta allo straniero, di risolvere i problemi ambientalii ( senza toccare i propri privilegi ) e che non vogliono sentire prediche che possono compromettere il loro benessere personale ( che questo sia a scapito di altri, pazienza….basta non dirlo). Speranze zero, quindi? Ma, mi viene da dire che forse,proprio questi motivi, guardati da un’ altra parte,dal punto di vista dei rapporti personal, quotidiani, possono farci pensare che, dopo aver dato fondo alle cose ( e quante ce ne sappiamo creare ) si vedrà che non è per questo che ha senso vivere e quindi neanche morire. ( Quanta resposabilità e quanta strada per le chiese del nuovo millennio )Forse toccare con mano la “povertà” di quelli che sono i deboli, ma anche la possibiità con-vivere in modo diverso, può far cambiare idea riguardo a chi deve darci le leggi necessarie a farci superare le nostre angustie mentali.
Aprile 20th, 2008 at 12:29 pm
Grazie Marta. Se ho capito quello che vuoi dire, una volta provato che le cose non danno la felicità… “loro” rinsaviranno. Se è così temo sarai delusa. Se una cosa non mi dà la felicità è perché non è abbastanza grande, costosa, alla moda, griffata, coordinata… la strada è infinita. L’uomo più ricco d’Italia non ha mica smesso di cercare felicità nel soddisfare i suoi desideri. Temo occorra una “cura” molto più radicale e perciò da non doversi neppure sperare: non bisogna augurare disastri all’umanità. Sarà sempre che là dove ci si accontenta di nulla, o almeno ci si prova, non ci sarà la fila per entrare…
Un saluto, mym
Aprile 24th, 2008 at 1:56 am
Butchlazy, sei un grande artista. Splendida esecuzione. Sembra che la chitarra suoni da sola mentre tu la accarezzi.
Aprile 24th, 2008 at 9:57 am
Ogni volta che sento e “vedo” la sua musica mi pare che voli, si separi dal solo strumento in vista: una chitarra che pare un’orchestra
Maggio 19th, 2008 at 1:02 am
che meraviglia queste vignette!
chredo che solo la serenità nel proprio cammino e la compassione per i nostri giri di trottola possa costituire la base di un umorismo così radicale e autoironico… complimenti!!!
Maggio 19th, 2008 at 10:36 am
Grazie Alice. Troppo buona!
E’ un vero piacere rendersi conto di essere ‘in comunicazione’ con altri attraverso il sottile filo dell'(auto-)ironia. Quanto alla serenità, mi faccio il mio bel po’ di idee al proposito, non dubitare.
Giugno 10th, 2008 at 4:40 pm
ma è poetico, il poverino , non potendo volare,si costruisce uno sfondo verticale di alberi, sui quali sfrecciare in una caduta, la quale sebbene segni la sua fine, avvererà anche il suo sogno , poichè l’immagine dalla sua prospettiva è quella di un volo.
Triste, poetico e MOLTO Zen 🙂
Giugno 10th, 2008 at 5:44 pm
Nyaaaa… troppo facile. Che bisogno avrebbe di inchiodare le radici dell’albero? E poi, le nuvole seguono il suo “senso” di orizzontale… Nonnonò, non mi convince
Giugno 13th, 2008 at 5:28 pm
Eh no, caro ebbubba. Il ragazzo vola davvero, per volare serve l’ambiente del volo, e lui lo ricostruisce: l’arte imita la vita, la vita imita l’arte: sennò, che interdipendenza sarebbe? Quando il giovanotto si butta, trova subito l’ambiente del volo e quando giunge alla fine del volo/caduta può tranquillamente virare e volare orizzontale perché già lo stava facendo nel suo mondo. Guarda bene il video e capirai la sua lacrima d’aria e di pace. Zen, poetico e normale. ciao jisokiwi
Giugno 25th, 2008 at 2:51 pm
Sulla base delle acute osservazioni di mym, propongo una variante di interpretazione: è solo osando “ribaltare” il mondo, che si scopre un lato inedito – pragmaticamente reale – del mondo.
Giugno 25th, 2008 at 4:03 pm
Volate troppo alto per me. Non so, ma il finale che propongono gli autori (?!), nei 15 secondi del filmato subito successivo, ci riportano dove la forma è forma, ed i kiwi non volano. Vivono da kiwi.
Giugno 25th, 2008 at 4:52 pm
mi riferivo al filmato che compare in successione, al termine del video, e che corrisponde alla URL: http://www.youtube.com/watch?v=T2SnDB_orzQ
dove il nostro eroe apre un prudente paracadute alla fine della corsa.
Vedo però anche , smanettando goffamente in Yu Tube, che altri buontemponi hanno elaborato filmati a partire dal ‘nostro’, quindi quello potrebbe non essere il ‘finale autorizzato’ prodotto dagli stessi autori … anzi, è quasi certamente così.
Voliamo dunque liberamente, o Pindari!
Giugno 25th, 2008 at 4:59 pm
Molto bella la “soluzione” del paracadute. È proprio questo tipo di visuale che mi ha fatto rifiutare l’idea di un finale a senso unico.
Nota tecnica: il filmato è stato realizzato con software open source perciò tutti (se ne hanno le capacità) lo possono modificare. Ve ne sono decine di versioni. Quello linkato sul post è il “primo”.
Luglio 12th, 2008 at 7:08 am
Ci possiamo sbizzarrire sulle soluzioni, ma l’unica è quella che che sorge spontaneamente senza l’analisi dei particolari, magari è un’ emozione…
il filmato è bello così senza troppe parole.
Luglio 12th, 2008 at 11:38 am
Concordo
Luglio 16th, 2008 at 11:00 pm
Mi chiamo Gianluca,sono un praticante avvocato e detesto il diritto dei tribunali. Ho avuto modo di approfondire alcuni concetti giusfilosofici della tradizione orientale grazie alla mia tesi di laurea che si occupava precipuamente del Codice di Manu.Ora,ciò che mi interessa sapere,al di là di dotte disguisizioni,è se sia possibile diventare un monaco buddista. Se sia possibile seguire concretamente questa strada e vivere nella contemplazione rinunciando al mondo.
Grazie per l’interessamento, porgo i miei più cordiali saluti.
Luglio 17th, 2008 at 12:48 pm
Buongiorno Gianluca,
La risposta alle sue domande è: sì, è possibile diventare monaci buddisti e seguire concretamente questa strada rinunciando al mondo.
Le consiglio però di non utilizzare per le sue domande la pagina biografica dei collaboratori del sito. Se vuol scrivere a qualcuno in particolare è meglio usare l’indirizzo e.mail che compare in fondo a ciascuna pagina biografica. Per scrivere “al sito”, può scrivere al Webmaster o a me, che ne sono il curatore
Un saluto
mym
Luglio 17th, 2008 at 10:36 pm
Gentile Mauricio Yushin Marassi,
La ringrazio per la sua sollecita risposta.
Scendendo nel dettaglio vorrei sapere se e quali prove un novizio deve sostenere per entrare a far parte della comunità e dove sia possibile reperire del materiale utile in tal senso.
Cordialmente
Gianluca (Sakun)
Luglio 19th, 2008 at 10:48 am
Caro Gianluca,
Prima di pensare di “lasciare il mondo” per entrare “a far parte della comunità” le consiglio di pensarci molto bene e a lungo. In pratica il momento “buono” per un passo del genere è quando il lasciare e il voler entrare hanno solide basi. Leggendo libri, conoscendo vari tipi di comunità, esaminando possibili percorsi. È un passo ancor più complesso, coinvolgente e rischioso di un matrimonio. Per quanto riguarda le letture ne trova qui: http://www.lastelladelmattino.org//index.php/category/pubblicazioni
e ne trova parecchie altre, qui: http://www.lastelladelmattino.org//index.php/bibliografia-commentata
Riguardo alle possibili comunità, dalle sue parole ritengo le sarebbe utile cominciare a conoscere Santacittarama:
http://santacittarama.altervista.org/welcome.htm
e la Stella del Mattino:
http://www.lastelladelmattino.org//index.php/vita-della-comunita/la-casa-di-galgagnano
Buon proseguimento
mym.
Agosto 18th, 2008 at 8:50 pm
Manto stellato,
silenzio siderale
verso di un rapace notturno
dove sei?
E’ cosi lontano questo luogo…
Ottobre 12th, 2008 at 3:10 pm
Per un’amica lontana questa musica è un regalo molto prezioso…
Ottobre 15th, 2008 at 10:05 am
Le amiche lontane sono doppiamente preziose… 🙂
mym
Ottobre 22nd, 2008 at 9:40 pm
Le esperienze più importanti sono dei doni anche se complessi da portare…
Ciao MP
Roccia
Ottobre 29th, 2008 at 1:30 pm
“…è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci…” Per me era acuto e aveva la vista lunga. Infatti la teoria s’è pesantemente concretata. Platone sosteneva che le democrazie inevitabilmente si trasformano in dittature, poi queste vengono rovesciate e si ricomincia. C’aveva forse azzeccato anche lui?
Ottobre 29th, 2008 at 1:39 pm
Sì, secondo me ci aveva azzeccato: la democrazia è una conquista, un valore che brilla in relazione a ciò che era senza di lei. A mano a mano che il ricordo dei tempi dell’arbitrio e del despotismo si affievolisce anche la democrazia perde valore (percepito) e così… la si perde.
mym
Ottobre 29th, 2008 at 6:02 pm
Da giorni stavo pensando che il primo passo dei regimi aspiranti dittatoriali è quello di inibire il libero pensiero e perciò di colpire di striscio la scuola dove c’è il forte rischio che qualche insegnante “pagato troppo” pretenda di educare proprio al libero pensiero.
Guarda guarda, qualcuno l’ha pensato prima di me!
Cristina
Ottobre 29th, 2008 at 6:10 pm
“Di striscio”… vuol dire che questo è ancora nulla? 🙂
Ottobre 29th, 2008 at 6:45 pm
Proprio nulla no… ma forse si può fare anche peggio. Il nostro capo non manca di iniziative in questa direzione.
Ottobre 30th, 2008 at 10:32 am
Ma la vogliamo finire di definire “dittatura” la nostra situazione
politica?? può piacere o non piacere, e questo è un altro paio di
maniche… Ma gente che si affolla in piazza a gridare “questa è una
dittatura!” è talmente contraddittorio che fa ridere. Venite nella
rossa Umbria, dove da 60 anni è al potere lo stesso Partito, e provate
a fare affari senza avere la tessera del Partito, o senza essere amici
o parenti o amanti di uomini del Partito…
dr
Ottobre 30th, 2008 at 10:53 am
dr afferma che le “dittature” in Italia già esistono da tempo. Che siano attuate anche a livello locale e da chi non è adesso al governo non ci consola di certo, non fa che peggiorare ulteriormente il quadro di questo nostro povero paese.
Ottobre 30th, 2008 at 4:08 pm
Non chiamiamola dittatura allora – anche se sono contenta che qualcuno possa ridere di questa definizione – ma “regime patriarcale” come ci suggerisce Papà B. dicendo di aver agito nei confronti della scuola come avrebbe fatto un buon padre di famiglia…
Ottobre 30th, 2008 at 5:02 pm
Lui per “la famiglia” farebbe qualsiasi cosa, bravo papà com’è…
Ottobre 31st, 2008 at 12:42 am
Gentili Signori,
e’ da un po che cerco una traduzione della Mahavamsa in lingua Italiana. Sareste cosi’ gentili da suggerirmi delle possibili fonti per reperire questo documento che ho letto in Inglese e che tanto mi sta’ a cuore? Mille grazie.
migdebattista@yahoo.co.uk
Ottobre 31st, 2008 at 10:48 am
… tra l’altro, la riforma NON sta affatto favorendo la scuola privata contro quella pubblica. ANCHE le scuole parificate si trovano con i fondi azzerati! non idolatriamo “profezie” che c’entrano un ciufolo, anche se fanno un figurone in pagina. dr
Novembre 1st, 2008 at 10:52 am
Uno dei nemici che dobbiamo temere, secondo me, in questi momenti è l’ insorgere della paura e del senso di impotenza di fronte direi non solo ad un governo ma ad una società ha impoverito la nostra cultura attraverso una dittatura mediatica ( credo che anche dr possa essere d’accordo )che ci ha creato bisogni indotti che tra l’ altro non riesce più a soddisfare. Io personalmente come insegnante sono stata, al di là dei risulati che si otterranno, contenta che le persone che credono nel loro lavoro, si siano ” risentite” di essere state trattate come fannulloni o comunque persone in eccesso da tagliare.
Avevo infatti l’ impressione che ci fossimo già rasseganti a tutto. Chi vive nella scuola, credendoci, sa quanta strada c’è ancora da fare perché il “fare educazione” possa diventare un momento condiviso, comunitario tra persone che, assieme, potessero trasmettere alle nuove generazioni i valori, necessari, tra l’altro, alla sopravvivenza del pieneta.
Investire nella scuola, dovrebbe voler vuol dire non solo soldi e persone ma anche fare una politica di speranza, di fiducia in chi, come la scuola, ha mano la possibilità di influenzare la formazione delle persone.
Molte sono le situazioni in cui c’è veramente bisogno di cambiare per tantissimi e validi motivi. ma gli strumenti per i controlli ci sono già, a volerli applicare. Ma con questi decreti non si vogliono sanare queste reali situazioni di spreco e di mal conduzione della “cosa pubblica”, si sta facendo solamente un cambio di direzione, togliendo ossigeno proprio dove ce n’era più bisogno, cioè alla possibilità di continuare a lavorare assieme per un nuovo modello di società (quante cose potrebbe dire un Parlamento per aiutarci a migliorare in questo senso ).
QAuando mi troverò sempre per 24 ore da sola di fronte a 28 bambini ( già 25 sono un’assurdità) che metodo d’ insegnamento pensano che possa attuare?
Lasciatemi almeno pensare che il fine di tutto questo, non è certo il miglioramento della scuola e della società!
Ma per non entrare in contraddizione con l’ inizio di questo intervento ( scusate la lunghezza), sono convinta che dopo questi giustificati momenti di sconforto e di rabbia, ci rimboccheremo ancora le maniche e, nonostante il voto, i tentativi di farci ritornare alle bocciature per merito, il ritorno all’ individualismo, torneremo ( pochi o tanti )a considerare la scuola pubblica il possibile luogo in cui, grazie alla pluralità di idee, si possa educare per i futuro.
Novembre 1st, 2008 at 7:10 pm
Grazie Marta, la forza dell’ottimismo e l’esperienza personale sono il carburante necessario per chi vuole continuare ad avere uno spazio personale, attivo nella costruzione del futuro
Novembre 2nd, 2008 at 4:00 pm
Gentile lettore,
purtroppo non ci risulta che sia reperibile una traduzione in lingua italiana del Mahavamsa, tuttavia, oltre alla traduzione inglese
wikipedia segnala anche una traduzione in tedesco. Qualora ci fossero novità le segnaleremo.
Novembre 6th, 2008 at 4:44 pm
Vorrei condividere una mia sensazione anche se non è direttamente legata all’ argomento. Non trovate che sia stupefacente che una nazione come gli Stati Uniti in piena crisi finanziaria globale abbia scelto di votare Obama come proprio Presidente? A me sembra che sia un evento che possa quantomeno far sperare in un mutamento della visione che l’ umanotà ha di se stessa. Ma… forse sbaglio, perchè attorno a me sento totale indifferenza.
Novembre 6th, 2008 at 4:53 pm
Questo pensiero è venuto anche a me. Qualche volta, preso dall’ottimismo, mi dimentico del mondo nel quale viviamo e penso in termini di ciò che sarebbe possibile fare… Poi mi ricordo che “tutto ciò” si basa su delle pulsioni umane così forti (avidità e ignoranza soprattutto, combinate o singolarmente) che anche Obama è una piccola speranza. Si può tentare, in questi momenti di grazia, di allargare le maglie dell’ottusità che sta distruggendo l’umanità e il pianeta, rallentare un poco il processo. Non molto di più, temo.
Novembre 10th, 2008 at 6:17 pm
Gino Cassano si è seduto in Zazen con noi per tanti, tanti anni: è morto all’improvviso, nel Giugno dell’anno in corso, a Torino.
Lo ricordo così, come penso avrebbe gradito; con leggerezza.
doc
Novembre 18th, 2008 at 5:36 pm
Ma è lei l’autore della poesia Pour? E’ davvero molto bella.
Novembre 18th, 2008 at 5:38 pm
No, non sono io, l’autore è SC, in arte Roccia, il nostro poeta ufficiale…
Trova qui alcune delle sue opere.
Novembre 19th, 2008 at 11:42 am
La mia vita in Parigi è piena di Poesia. E la poesia è piena di sofferenza e di gioia insieme, piena di trascendenza.
Dicembre 2nd, 2008 at 10:15 am
Personalmente non sono mai andato in corteo a gridare a favore dei diritti degli omosessuali, ma la “giustificazione” del Vaticano è (a essere gentili) veramente grottesca. Dicano chiaro e tondo: “A noi quelli lì fanno schifo e orrore”. Sarà poco aulico e curiale, ma almeno si assumerebbero pubblicamente la responsabilità delle proprie idee. Invece hanno preferito un atteggiamento da politicanti buzzurri, da borgatari che si schermano dietro un “che? no, io? maddài, maddeché”. Visto che ritengono di avere la Verità in tasca, si dimostrino all’altezza di questa loro altissima presunzione (nel senso dell’inglese presumption).
Dicembre 4th, 2008 at 9:26 am
Sono assolutamente daccordo con l’operato del Vaticano. Mi meraviglia, anzi, questa impostazione “progressista” del sito.
Dicembre 4th, 2008 at 11:26 am
Caro Marcello, grazie per il suo mail. Sono lieto che lei sia assolutamente d’accordo con l’operato del Vaticano: finalmente ce lo potrà spiegare, visto che sino ad ora non mostra alcun senso religioso visibile. Grazie anche per l’aggettivo “progressista” che lei attribuisce all’impostazione del sito, non me ne ero accorto e perciò ne sono ancor più lieto. Pensavo che la difesa dei discriminati fosse un’impostazione religiosa tout court. Un saluto
Dicembre 4th, 2008 at 5:18 pm
Sono stufo delle censure e della ipocrisie vaticane. L’omosessualità non è una deviazione, un sintomo, una malattia; l’omosessualità è un effetto del discorso della Legge.Dopo una millenaria tolleranza, la Chiesa prese a reprimere l’omosessualità utilizzando l’argomento che vede nel rapporto omosessuale un rapporto contro natura.Dunque l’omosessualità è contro-legge perchè e contro-natura.La credibilità della legge è infatti proporzionata alla sua capacità di con-fondere i nomi con le cose;l’efficacia dei suoi nomi è nella loro capacità di assorbire completamente le cose in modo che l’ordine legale, l’ordine dei nomi, possa apparire come ordine naturale, come ordine delle cose.Sui manuali di giusnaturalismo del XVIII sec. si considera la schiavitù un diritto.Così come oggi nessun buon cristiano potrebbe accettare la schiavitù mi chiedo se in uno stato laico siano lecite le continue e moleste interferenze del Vaticano nel discorso giuridico.
Dicembre 4th, 2008 at 5:37 pm
Grazie Homosex per il suo commento. L’argomento, la sua logica non fanno una grinza. La domanda finale, forse, va posta in termini di rapporto col futuro: saremo mai un Paese (un mondo?) in cui la cosa pubblica è amministrata dai cittadini e quella privata… anche? Consigliati, istruiti anche educati dalle chiese ma amministrati da noi medesimi. Non butterei tutta la croce (si fa per dire, veh!) sul Vaticano. Il mondo laico ci commercia e ci guadagna mica poco. Ad ogni elezione promettere il finanziamento delle scuole private (ovvero: cattoliche) ecc. ecc. rende bei votarelli… Poi bisogna pagare il conto.
Dicembre 4th, 2008 at 6:05 pm
Il deja-vou è il conto salato che pago all’infame commercio del sacro con il profano.
Dicembre 4th, 2008 at 7:44 pm
Concilio Vaticano II addio, ormai non ne resta altro che qualche briciola; il cattolicesimo ormai da anni è in piena restaurazione e sempre più mostra il suo volto “autentico”: arrogante, ideologico, intollerante… Sentiti auguri a chi vi si riconosce!!!
Dicembre 4th, 2008 at 8:48 pm
Forse non ci sbarazzeremo (si fa per dire) del Dio cristiano perchè crediamo troppo alla
grammatica.La grammatica serve per determinare l’indeterminato, su cui è impossibile qualsiasi iscrizione, perchè non è soggetto nè oggetto, e quindi non è rappresentabile su nessuna scena. Una sessualità indeterminata è una sessualità inafferabile dove esplodono le per-versioni, perchè sfugge quel ‘verso’ che la legge ha fissato nella riproduzione della specie, dove si nasconde la riproduzione del medesimo, del figlio ‘fatto a immagine e somiglianza’. Di qui la necessità per la legge di dare ai corpi quell’identità che diviene poi la loro realtà. A questo punto all’omosessuale non resta che la trasgressione che però è un gesto che riguarda il limite, dove il tratto che esso incrocia e spezza si ricompone alle sue spalle come un’onda di poca memoria dietro lo scafo di uin’imbarcazione che l’ha solcata. La trasgressione è la glorificazione del limite e il cristianesimo inchioda l’omosessuale al suo limite. Eppure di trasgressioni si alimentava il sacro prima che, bandito l’o-sceno, nello spettacolo cristiano il corpo fosse usato come supporto di due scene: quella della passione e quella della resurrezione, promessa di un godimento differito, dove un amore spiritulale si alimenterà di quel che in parte avrà perduto
l’erotismo dei corpi.La sessualità non cesserà di essere congiunta alla passione, ma questa
sarà solo il patire di un corpo necessariamente sofferente che, incapace di trasgredire e quindi di accedere al sacro, sosterà il bisognoso di salvezza, alle soglie dei divieti, in attesa del godimento dell’Altro, a cui si sacrifica non più con la trasgressione, ma con la sofferenza attraverso cui soltanto, nella concezione cristiana, può filtrare il godimento. I beati, infatti, lo dice San Tommaso, godono della visione della sofferenza dell’altro, di quelle ‘pene dei dannati’ che costituiscono il godimento celeste.
Dicembre 4th, 2008 at 9:24 pm
Be’ una volta li arrostiva direttamente, adesso si limita a non sottoscrivere. E’ già un passo avanti, no? Magari fra qualche secolo…
Dicembre 5th, 2008 at 7:15 am
Come sisente il vento delle “sorti magnifiche e progressive” nelle vostre parole, e inoltre che attaccamento al sociale!!!
Povero Buddha…
Dicembre 5th, 2008 at 7:24 am
Ci sono dei buddisti che sono cristiani nell’animo …è inutile che si facciano buddisti…sono cristiani!! Dove si vede? In questo attaccamento al sociale…qui in occidente abbiamo sostituito a Dio, lo Stato e dunque tutta questa attenzione allo Stato, a quello che fa a quello che non fa…questo è un’altra forma di monoteismo, un problema con l’autorità…non si riesce a essere semplici, tranquilli….non ci si rende conto che il mondo debba essere vario, che qualche stato abbia la necessità di uccidere, perchè no? Può darsi che quella popolazione abbia delle esigenze diverse. Vogliamo tutto uguale, e poi con quest’aria falsa tipo “volemose bene” alla “we are the world” di Michael Jackson. Che tristezza….
Dicembre 5th, 2008 at 7:26 am
Se il Sudan, o l’Arabia hanno bisogno di leggi tremende IO RIESCO AD ACCETTARLO. Voi no?
Dicembre 5th, 2008 at 11:27 am
Caro Marcello, si commenticchia, si commenticchia, eh. Grazie. Peccato lei non ci spieghi il senso religioso della posizione sociale del Vaticano visto che la condivide. Grazie anche per le “magnifiche sorti e progressive” (l’ordine delle parole, qui, conta molto) che sente vibrare nel sito. Persona interessante, il Marinetti dico. Mi dispiace, però, abbiate sostituito Dio allo stato e che vi provochi tutti quei problemi, perdita della tranquillità e, Madonna mia!, perfino la necessità di uccidere. Siete messi maluccio lì da voi. Spero le vostre condizioni migliorino presto. Un saluto
PS dimenticavo: proprio perché, purtroppo, occorre accettare che ci siano Paesi con leggi tremende si può chiedere che vengano cambiate. Altrimenti: una bella guerra e via. Accettare però non significa necessariamente pensare che ne “abbiano bisogno” e bona lè. I bisogni si possono ridurre, cambiare, poi, il tempo a volte fa miracoli nelle culture.
Dicembre 5th, 2008 at 6:07 pm
Caro Mym, forse sono stato un pò “forte” con itoni. Me ne scuso. Ma mi perdoni, non ne posso più di questo “occidentale” che va in giro a dire agli altri quello che devono fare, quando, sappiamo benissimo che il più bisognoso di cure è proprio l’homo occidentalis. Dovremmo fare autocritica molto severa sul nostro stile di vita che ci appare molto “politically correct”, altro che andare a fare le ramanzine agli altri.
Non so quale sia il senso religioso dell’iniziativa vaticana. Ma personalmente ho indagato a lungo la uestione omo (proprio perchè è continuamente all’attenzione pubblica)e sono arrivato alla conclusione che sia meglio non promuoverla quantomeno.
Una discussione suul’argomento sarebbe lunga.
Per ora mi limito a ringraziarti della chiacchierata. Saluti.
Dicembre 5th, 2008 at 6:15 pm
“Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità” recitava J. Donne. Questo atteggiamento di sensibilità e partecipazione nei confronti del dolore altrui, verso l’umana sofferenza, trascende a mio avviso Buddismo e Cristianesimo e li accomuna nel contempo. La passione di Gesù non avrebbe senso, se non fosse motivata da questo senso di com-passione.
Altro è la politica. Quella Vaticana in questo caso. Il grande gioco di Risiko prevede anche delle mosse ‘opportuniste’, non c’è da stupirsi troppo. Il fine giustifica i mezzi.
Però io continuo a non capire la motivazione (“…senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni”) che mi pare suoni risibile in sè, e ancor più considerando tutta la retorica sulla difesa della vita che la stessa Santa sede ha elargito in questi anni. Senza contare millenni di evangelizzazione anche cruenta delle culture ‘pagane’.
Mi piacerebbe che Marcello – l’unico che ha capito, a quanto pare – mi charisse il significato reale di quelle dichiarazioni, di quelle contraddizioni, sia sul piano politico che teologico (trattandosi del Vaticano le due cose devono andare a braccetto). Da ‘spirito laico’ non omologato sono sempre curioso di capire cosa c’è dietro le cose, anche le più sorprendenti.
Certo che si può accettare che in certi paesi si uccida e si torturi! E’ un dato di fatto e come tale non si può che accettarlo. Come si può accettare che dei missionari vengano bolliti nel pentolone o delle suore stuprate e sgozzate. Chi se ne frega. Ma…non c’è un ‘ma’ che riguarda anche me?
Dicembre 5th, 2008 at 6:23 pm
Sono arrivato tardi:neanche Marcello capisce il senso dell’iniziativa del Vaticano. Restiamo con la nostra curiosità.
Dicembre 5th, 2008 at 7:51 pm
Grazie Marcello, chi anima il sito con i suoi commenti è ben accetto… anche quando non lo è 🙂
Un saluto. mym
Dicembre 5th, 2008 at 7:57 pm
Ciao Doc, grazie. Il problema, a mio avviso è proprio quello: se “da religioso” per un calcolo politico (quello del vaticano così mi appare) e per di più proiettato su un ipotetico futuro non vedo il dramma presente, be’, una volta un po’ prosaicamente si diceva. “ciau balle!”. Se poi non di calcolo politico si tratta ma, come suppone dr nel primo commento, è la solita caccia al diverso nei panni dell’omosessuale, è anche peggio.
Dicembre 5th, 2008 at 9:11 pm
non è difficile, comprendere il vaticano. Qualoraa passasse un documento del genere, ci sarebbero gli stati “canaglia”, e ci sarebbe una pressione internazionale affinchè gli stati si adeguino agli “standarda”, Sarebbe un veicolo un cavalllo di troia per l’introduzione di norme ultra favorevoli. Signori, siamo in una mente collettiva bruciante. Lo spirito libero non può comprendersi.
Dicembre 6th, 2008 at 1:24 am
Se ben capisco, quindi, si tratta del timore che, allentando le pene, l’omosessualità dilaghi e si auto promuova liberamente. Un ulteriore cambiamento in questa direzione è considerato in Vaticano un grave pericolo per la razza umana e merita il sacrificio di importanti principi e valori cristiani (in primis: non uccidere), nonchè di qualche vita.
Parrebbe effettivamente in sintonia con le prese di posizione della S. Sede su staminali, eutanasia,aborto, divorzio ecc.
L’uomo devia dalla retta via e per contro tenta di sostituirsi a Dio per quanto concerne la riproduzione.
E’ una chiave di lettura. Grazie.
Probabilmente non è solo questo: ci sono anche altre opportunità, ad es. mantenere relazioni non conflittuali con i paesi islamici (paura del terrorismo) e via di seguito.
E’ una scelta di conservazione, che si è radicalizzata assai, con quest’ultima puntata. Indipendentemente dalla mia opinione in merito, sarà dura farla digerire ai fedeli.
Dicembre 6th, 2008 at 3:13 am
La questione è più facile di quanto appaia; dipende tutto dalla prospettiva etica con cui si giudica il mondo. La mia prospettiva etica è quella dell’arroganza (presumption). Il Vaticano insegna la tolleranza, privilegia la virtù dell’azione spontanea e delle ardite decisioni, promuove l’amore verso il prossimo cioè L’Altro dovrebbe (si fa per dire) provocare un sentimento etico nella coscienza. E allora? Oggi assistiamo a continui scempi, specie nella sfera della Giustizia. Per mescolare un po’ di sacro al profano è di ieri (5.12.08) la notizia che il Quiranale ha secretato gli atti delle procure di Salerno e Cosenza per chiarire il caso De Magistris mentre l’Ue con il beneplacito del Vaticano si è reso connivente (co-responsabile) della violazione dei diritti umani e Bush si è pubblicamente scusato del fatto che un suo errore di valutazione ha causato la morte di 4000 soldati americani. Come obietta legittimamente Marcello:’E allora?’ se la filosofia non può giustificare il pensiero che il prossimo può ben essere impiccato, e che chi pensa così non è un comune delinquente ma un pensatore, allora la filosofia è soltanto un giuoco, e se ne conoscono di migliori. Il punto è capire la funzione politica del Vaticano. E’ presto detto: la Chiesa serve a trascinare il rovinoso passato in un penoso presente verso un perfetto futuro per poi distruggerlo; lo ha sempre fatto fino all’esilarante (si fa sempre per dire) risultato di aver ucciso Dio. Dio è morto e stolto chi ancora si attarda su tali elucubrazioni. Dopo la morte di Dio lo spazio pubblico occupato dalla Chiesa è diventato necessariamente un focolaio di malattie e diavolerie dello spirito perché oggi il Vangelo è un virus alieno e noi umani possiamo solo immaginare una zona informe, densa, cangiante, un enorme nebulosa di pensieri, idee, immagini, prodotte anche dall’inconscio collettivo, che è la Rete (il mondo senza Dio?). La morte di Dio è la condizione perché il Verbo possa rinnovarsi. Abbiamo smarrito l’urgenza di dire attraverso il Verbo, di comunicare un sogno, una prospettiva. La Chiesa, una istituzione che dovrebbe essere un vivaio di anime pure, votate al culto della verità e della bellezza, è diventato un lurido mercato, invaso da ogni sorta di affaristi e sporchi cammellieri. Dove una volta allignava la religiosità non alligna oggi neanche più la serietà.
Dicembre 6th, 2008 at 3:47 am
Oggigiorno i giusti confini del lasciar correre, del fingere di non udire, sono stati valicati, sconfinando nell’eccesso, e in economia a furia di chiudere un occhio, e un orecchio, si è arrivati a una decadenza morale che si usa a volte definire “la nebbia nera”. Questa non è tolleranza, ma puro e semplice lassismo. Solo quando si fondono su severe norme e principi morali possono, il lasciar correre e il far finta di non aver inteso, qualificarsi come virtù umane giustappunto come tolleranza; allorché la morale della compassione è crollata, lasciar correre e non udire possono, invece, diventare dei vizi disumani.
Dicembre 6th, 2008 at 10:06 am
Uno dei più bei regali del buddismo è la realizzazione che, in quanto mente, creiamo solo convenzioni. Creiamo un mondo umano e lo consideriamo reale e su quello basiamo tutte le nostre elucubrazioni. La realtà è ben diversa dal mondo umano. Quantomeno sconosciuta. Qundi la nostra condizione ideale è quella degli ignoranti. Noi siamo, prima di tutto, degli ignoranti.
Anzi, “il mondo umano”, è proprio il nostro continuo tentativo di mettere a tacere questa ignoranza. L’etica è la più alta invenzione del “mondo umano”. Ma anch’essa si liquefà di fronte all’ignoranza.
Quindi, avere l’etica come bussola della vita, come metro di giudizio, non basta.
Un uomo libero è libero anche dall’etica.
Però viviamo nel mondo umano dove l’etica è il massimo e viene usata per giustificare il nostro muoversi nel mondo e anche per tenere un certo ordine.
Quello che vorrei dire è che queste storie delle petizioni, dichiarazioni, compresa quella della pena di morte, sono cose “da ragazzini”, mi si perdoni il termine, che si auto-ingannano su fatto che abbiano una qualche importanza.
La portata della stupidità dell’uomo, va ben oltre la pena di morte concessa o negata.
Questo per parlare a un certo livello.
Venendo alle cose umane, abbiamo le religioni. Le quali neanche loro sanno bene cos stanno facendo. Semplicemente si limitano a ripetere un disco spesso rotto, di cui non ricordano più come era quando uscì dalla fabbrica. Però c’è in loro il ricordo di una condizione primigenia. C’è il senso del “naturale”. Magari a qualcuno non gliene frega nulla che ci siano due sessi, ma a me si. Vorrà pure dire qualcosa ‘sto fatto, no?
Alla luce di tuto questo discorsone, possiamo dire due cose sul’omosessualità.
Abbiamo tanti omosessuali e tanti lo diverranno (solo ieri che stavo facendo un viaggio, ne ho “intuiti” una ventina), quindi questo è un fatto. Come ci poniamo di fronte a questo fatto? Tollerare, reprimere, quali sono le cause, positivo, negativo, ecc. Tante domande, ognuno e ogni stato, da la sua risposta.
La mia è che, se esiste qualcosa come “il bene” comune, meglio non promuovere l’argomento.
Se fossimo una società più sveglia, come minimo ci domanderemmo perchè certe cose accadono, ma è dura, molto dura….
Dicembre 6th, 2008 at 11:12 am
Buongiorno a tutti, sarò via un paio di giorni. Se il dialogo continua, per favore, mantenete i toni all’interno del rispetto reciproco. Altrimenti Px, il Webmaster, vi farà tottò 🙂
Arrivederci
mym
Dicembre 6th, 2008 at 7:07 pm
Insegna il Vaticano: ‘Mirando alla purezza personale e superando il male i cristiani e simili cercano l’unione spirituale tra loro e con Dio. Ubbidendo alla legge del Vecchio e del Nuovo Testamento si percorre il sentiero dell’amore e si giunge a Dio che è Spirito’. Il buddista invece cerca in “Dio”, propriamente nello Spirito, non l’”amore” ma il Nirvana ovvero la pace che sopravviene con il cessare di tutti i desideri. Il sentiero del Buddha è quello della liberazione, una preparazione alla morte. Se è vero che dell’intero universo è fondamento il dharma, la legge dell’essere, intesa come norma non statuita né da Dio né dagli uomini compendio di lex eterna et naturalis, è anche vero che solo una mente prelogica e magica può comprenderlo. Misurare lo iato che separa preti,politici e simili, dai buddisti è dura in assenza di una concezione dello Stato nella dottrina buddista. Mi limito a rinviare agli artt. 1 e 2 della Dichiarazione dei diritti umani e in verità vi dico “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt, 22,15-22).
Dicembre 7th, 2008 at 10:44 am
Sicuramente il sentimento che suscitano queste posizioni della Chiesa ufficiale, non è certo di “benevolenza” ma di un profondo disagio anche perché c’è sempre la tendenza, da parte di chi si reputa collocato in una edterminata “religione”, a identificarsi almeno in parte in essa. Mi viene da fare però una riflessione: per fortuna i veri cambiamenti di civiltà nascono dall’ uomo, dall’ uomo direi comune. Le leggi, quando sono realmente efficaci hanno, secondo me, una base condivisa, si inseriscono “in un tempo giusto” riconosciuto, magari inconsciamente, dalla maggioranza delle persone a cui si rivolgono ( la presentazione di questo progetto fa quindi ben sperare). Senza questo le leggi corrono il rischio di rimanere lettera morta ( nel bene e nel male.)
Sono convinta perciò che coloro che credono nel messaggio del Vangelo non siano influenzabili da queste posizioni che palesemente sono contrarie ai principi professati dalla fede a cui appartengono e che ognuno per la propria parte farà il possibile perché si giunga ad una visione diversa anche da parte della ” gerarchia”.
Dicembre 7th, 2008 at 2:26 pm
Se il ruolo delle religioni dev’essere quello di supportare gli sforzi della società “civile”, per creare un’umanità migliore, sarebbe la fine delle religioni stesse. Questo le renderebbe inutili. Potremmo dunque farne a meno.
Il compito delle religioni è indicare che nel mondano c’è il sacro. Ma il sacro lo devi trovare tu.
Se la religione si limita a rendere sacro, il mondano così com’è, decreta la propria fine.
Dicembre 7th, 2008 at 2:57 pm
Proviamo a sostituire alla parola “Vaticano”, la parola “Bodidharma”. Come avrebbe risposto Bodidharma, se gli avessero chiesto di firmare quella petizione? “Mu”, io credo. Vogliamo sempre guadagnare, progredire, agguantare….. Per una religione pura il guadagno, vissuto proprio come guadagno, è intollerabile.
Dicembre 7th, 2008 at 3:40 pm
Comunque, al di là delle parole, religioni, Vaticani, stati e quant’altro, alla base del mio rifiuto degli omosessuali, e di una qualsiasi loro promozione c’è che questa “categoria” mi ciede di dire una BUGIA CHE NON HO VOGLIA DI DIRE. E’ proprio più forte di me. Io voglio essere libero di affermare la mia verità che è: ci sono due sessi. Ci sono due sessi. Ci sono due sessi.
Siamo arrivati al punto che un essere umano non può affermare questa cosa senza rischiare di essere tacciato di omofobo!!!
Voglio e devo ribellarmi a questa follia!!.
Questo creare questa specie protetta che sarebbero gli omosessuali mi ha rotto i c……… e qui mi fermo sennò il web master mi fa tottò.:)
Dicembre 7th, 2008 at 4:27 pm
Penso che per un buddista del XXI sec. il cinema abbia una sorta di incompiutezza ontologica. Rappresenta il massimo della definizione consegnato a un’infinita indefinita meccanica. Ogni film non finisce mai, ma ricomincia in continuazione: è un eterno ritorno. Come se l’immagine si sostituisse al testo.
Dicembre 7th, 2008 at 6:00 pm
Scusa, Marcello, ma, posto che è vero che ci sono ( almeno nell’ uomo ) due sessi, posto che è altrettanto vero che talvolta le inclinazioni sessuali non sono così determinate come si vorrebbe( pensiamo al periodo adolescenziale), sei veramente convinto che possa esserci “una categoria” che possa essere punita senza che le persone ad esse appartenenti compiano atti punibili perché arrrecanti danni a persone o a cose? Qui, mi sembra, non si stava parlando se l’ omosessualità può essere equiparata alla sessualità normalmente intesa! Non ti sembra un po’ azzardato parlare di “specie protetta”?
Dicembre 7th, 2008 at 6:42 pm
Cara Marta, anche a me dispiace che, nel mondo, delle persone vengano punite per le loro tendenze sessuali. Non sono mica un mostro.
Questo è il testo che verrà presentato.
Io credo che non è eccessivo parlare di specie protetta.
Dicembre 7th, 2008 at 7:17 pm
Ora, se uno crede alle favole, alle belle dichiarazioni, ai bei proponimenti e pensa di vivere in un mondo tipo “cuore” alla De Amicis, okkei.
Siccome io non sono il tipo e conosco “l’uomo bianco”, e sò che è la stessa persona che distrugge il pianeta, ammazza le foche, si uccide per strada(camorra, criminalità), vive nell’avidità, rapina gli altri per ottenere quello che vuole, ecc,ecc., allora non mi fido.
Qualsiasi cosa dica questo criminale (noi occidentali), devo porre molta attenzione, anche quando si traveste da agnello, egli è un lupo.
E allora gli chiedo: senti lupo, perchè non ti guardi la tua squallida società, che tu arrogantemente ritieni il meglio, invece di andare a fare la paternale agli altri?
C’è, per me, un’unica conclusione. Questa paternale è falsa, ipocrita e stumentale.
Nasconde dei secondi fini.
E questi, io credo che siano, lo sdoganamento forzato dell’omosessualità.
Dicembre 7th, 2008 at 7:25 pm
Ti ringrazio per il testo che ho letto con attenzione. Rimango comunque del parere che sia atto di civiltà difendere coloro che per qualsiasi motivo corrono il rischio ( e non puoi negare che questo succeda ) di essere privati della loro dignità di persona. Questa volta si è parlato di loro, in altre occasioni si sono difese altre minoranze. Capisco che questo argomento possa essere più scottante di altri e forse se ne parla in modi non sempre adeguati, ma personalmente credo che l’ Umanità sia talmente grande che c’è posto anche per loro e… spero anche per noi che sicuramente abbiamo altri difetti! Unn caro saluto e un grazie per la compagnia in questo uggioso pomeriggio di dicembre.
Dicembre 7th, 2008 at 7:52 pm
Un saluto e un grazie anche a te 😉
Dicembre 8th, 2008 at 12:53 am
Le voci fuori dal coro sono sempre interessanti. Ciò che mi ha fatto riflettere dei discorsi di Marcello – tante cose non le ho ben capite, su altre dissento, personalmente – è stato il suo porre l’accento su quanto continuiamo tutti a ragionare per categorie, categorie che diamo per scontate perché ci sono famigliari e fanno profondamente parte della nostra cultura anche cattolica (ad esempio la difesa di alcune minoranze o certe posizioni su diritti, uguaglianza ecc). Col rischio di appiccicarle al buddismo come ne fossero parte integrante. E così il buddismo si colora, il vuoto si riempie di contenuti e la ‘liberazione’ dai condizionamenti e dalle dipendenze culturali fugge lontano come l’uccello-realtà di Gaber. Effettivamente questo è un rischio enorme per chi è chiamato alla delicatissima operazione di travasare il messaggio di Buddha in occidente. Non ci piacerebbe, qualora avvenisse un analogo trapianto del buddismo o dello zen in Iran ad esempio, accorgerci che alcune categorie del pensiero islamico sono state assimilate al dharma di Buddha colorandolo in qualche modo e riempiendolo di contenuti che non condividiamo o che consideriamo estranei al vero buddadharma. E’ un invito a vigilare, quello di Marcello, che a mio avviso va accolto con attenzione. Le opinioni politiche, sociali, economiche e di costume sono legittime sul piano personale: ed altrettanto l’impegno personale su questi versanti. Ma attenzione a non contaminare con esse la ‘pratica’, onde evitare che le nostre visioni personali offuschino il buddadharma e falsino il messaggio vanificando il nostro lavoro ed il travaso della dottrina in occidente. In sostanza, possiamo essere omofobi od omofili. Ma qualunque cosa siamo, la siamo NON perché siamo buddisti o perché pratichiamo lo zen.
Dicembre 8th, 2008 at 8:48 am
“Good morning babylonia!”
L’obbiettivo prioritario del Vaticano è ottenere concreti benefici dalla parte politica al potere, siano essi l’arruolamento di sacerdoti, scelti dalle curie, come professori di ruolo nelle scuole pubbliche, oppure fondi per scuole e strutture sanitarie private, in larghissima parte facenti capo alla Chiesa.
La Chiesa vuole affermarsi a livello di strutture sociali privilegiando la politica italiana ritenendosi l’unica depositaria dell’etica. Un’etica prerogativa esclusiva della religione avvicina notevolmente il cristianesimo alla mentalità islamica. Per fortuna abbiamo avuto l’illuminismo e lo stato laico che ci hanno parzialmente immunizzati. Da parte della Chiesa, comunque, si tende a negare che l’etica sia una qualità dell’uomo, come diceva Kant, per affermarne invece la derivazione dalla dogmatica religiosa. Gli uomini sarebbero incapaci di produrre una morale, ma di questo passo si finisce nello Stato teocratico.Le morali altro non sono che regole di convivenza volte a ridurre i conflitti. Queste regole gli uomini se le possono dare da sé: l’etica è una categoria antropologica.Le diverse etiche non sono su un piano di parità: quelle basate sulle religioni sono molto retrograde. Il buddismo sarebbe una religione?Piuttosto una filosofia evolutiva.
P.S. A Bodidharma (cioè all’inumano ascetismo dei monaci) preferisco il “Body-dharma”: la legge che regola gli umori sprigionati dall’amplesso. L’eros è mondano oppure una categoria del sacro?E l’amore tra omosessuali pornografia?Ahi,ahi,ahi, povera pecorella smarrita…
Dicembre 8th, 2008 at 9:08 am
Bene, quindi abbiamo bisogno di un’etica. E io, buddista, per avere un’etica, devo venirla a prendere da te? Dove troverebbe la sua etica il buddista, nelle pieghe della modernità? Nel sollazzo? Pechè mai un buddista dovrebbe dare il suo imprimatur agli sforzi di una categoria di bugiardi?
Perchè dal mio punto di vista, gli omo sono dei bugiardi e dei casinisti.
Se permetti, avendo bisogno di un’etica, me la prendo a “imitatio naturae”.
Dicembre 8th, 2008 at 9:32 am
Bravo Doc. Hai colto il senso di quello che volevo dire. Sono questioni dalle quali faremmo meglio a stare lontani.
Quando sediamo in za zen nn ci sono etero o omo!.
Dicembre 8th, 2008 at 3:54 pm
Noi tendiamo a soffrire per l’illusione di essere capaci di morire per una fede o una teoria. Lei sostiene che persino una morte spietata, una futile morte che non dia né frutto né fiore, non abbia la sua dignità nonostante sia la morte di un essere umano. Se diamo tanto valore alla dignità della vita, come possiamo tollerare la morte di un essere umano? Nessuna morte può essere detta inutile.(Cfr.Dichiarazione dei diritti umani, artt.5,6).
Dicembre 8th, 2008 at 3:58 pm
Concludo il mio intervento precisando quanto segue:”Dichiaro solennemente il mio risoluto e consapevole rifiuto di leggere una sola e ulteriore riga in proposito al dibattito Stato-Chiesa. Per un annoso processo di saturazione neurologica il mio cervello non è più in grado di immagazzinare nuovi dati riferibili alle voci ‘reato’,’peccato carnale’, jus naturali et concupiscientiae e categorie apparentabili. Non solo: anche i dati equivalenti a 666 megabyte di parole e frasi quasi tutte ripetute centinaia di migliaia di volte negli ultimi mille anni, sono oramai andati perduti. Ne consegue che a ciascuna delle suddette voci, e apparentabili, nel mio cervello corrisponde un vuoto assoluto e definitivo, che me la fa considerare totalmente estranea alla mia percezione sensoriale, ai miei interessi personali e alla mia vita passata, presente e futura. In seguito a questa condizione, che presumo estesa a molti fedeli, diffido chiunque anche legalmente, dal considerarmi, a qualunque titolo, destinatario di notizie relative alle voci ‘Messia’, ‘Vangelo’ e consimili”.
Dicembre 8th, 2008 at 5:17 pm
Buongiorno. Eccomi di nuovo in “servizio”. Nel frattempo il discorso si è ampliato, e approfondito. Il dibattito riguardo a se un uomo di religione trovandosi davanti ad un problema sociale sia bene che lo affronti laicamente o santamente è antico. I buddisti, storicamente, hanno sempre tentato un distacco, o totale del tipo: “niente politica, siamo buddisti”, oppure individuale: “sono buddista ma/e faccio ciò che faccio perché lo ritengo giusto non perché sono buddista”. Apparentemente la seconda posizione pare più moderna e illuminata, la prima pare legata a una religione che non comprende il mondo. Tuttavia seppure sia parzialmente vero che davanti al muro non c’è distinzione di sesso, è altrettanto vero che non passiamo tutta la giornata lì seduti e perciò (a meno che lo zz sia episodio separato dalla vita) le occasioni di confrontarsi col sociale/politico sono estese a tutti, seppure in proporzioni diverse, e sono da declinare secondo il buddismo. Cioè: se sono buddista (o cristiano ecc.) non esiste un me a prescindere, con i suoi gusti e le sue idee. I monaci birmani ci hanno dato modo di discettare a lungo sulla loro… pelle, e le loro scelte. È pur vero che siamo “anche” cristiani -come possiamo negarlo?- ma anche per questo le iniziative di zio Ratzi e soci ci sono comprensibili. Insomma, non è questione in cui basti prender cappello come pare voglia fare Homosex…
Dicembre 8th, 2008 at 7:20 pm
Sì, guai a metterla sul personale. Bisogna evitare di sentirsi personalmente coinvolti per argomentare in modo costruttivo. Non ci si deve sentire parte in causa per poter davvero ascoltare e, grazie a questo ascolto, elevare il proprio punto di vista lasciando andar via le nostre convinzioni radicate. Il buddismo non è cosa che mi dice cosa fare o dove stanno il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. Al massimo mi dice: se ‘soffri’ è perchè ancora non hai capito come si deve capire; non hai ancora ben chiarito il vero significato di quella parola – ‘retto’ – che accompagna le otto braccia del Sentiero. Non ci si può conformare al buddismo come ci si conforma ad esempio al cattolicesimo, per il semplice fatto che non esistono dogmi o regole cui conformarsi. Diagnosi, patogenesi, guarigione e terapia: le quattro nobili verità. E la terapia, anziché una serie di regole, qui è solo l’indicazione di una ‘retta’ vita. Punto.
Quindi complimenti a Marcello, per quanto mi riguarda, poichè ha saputo sostenere la sua ‘provocazione’ non ostante la sua condizione di minoranza, e ci ha permesso appunto di ragionare e di sfidare i confini del nostro recinto mentale. E’ questo il lavoro che dobbiamo fare. E’ questo il vero buddismo. Poi naturalmente continuerò a pensarla come voglio sulle singole questioni, laicamente affrontando i temi della vita con la massima libertà e sincerità interiore concessami. Partecipando comunque – è inevitabile, anche sedersi contro al muro è partecipare! – e battendomi se lo riterrò necessario. A chi altri mai potrei chieder consiglio? Chi mi darà mai delle risposte ‘certe’?
Dicembre 8th, 2008 at 7:23 pm
Mi sono letto l’articolo sulla politica buddista e sui monaci birmani e concordo con te, mym.
Per quanto riguarda Ratzi, loro sono uno stato!! Hanno un seggio all’ONU!! Problemi come questo sono il loro modo di pagare il karma del continuo interventismo nel sociale. Ma devono farlo. Il cristianesimo, basando tutto sull’etica, se crolla l’etica è finita….
Ciao:)
Dicembre 8th, 2008 at 8:24 pm
Soltanto oggi sono venuta a conoscenza di questa diatriba che, vedo, è in corso da una settimana: chissà come mai nei giorni scorsi sul mio pc non ce n’era traccia. Mi auguro di non arrivare troppo tardi con le mie considerazioni, per quanto non di ordine religioso che non è il mio specifico interesse, bensì di ordine storico dal momento che grecista sono, grecista resto e come tale do’ molto peso al filo che lega la nostra cultura a quella che ne ha posto le basi in tempi remoti. Nel mondo antico l’omosessualità è comune, anzi è la norma, né c’è un termine apposito per designarla: l’eros è eros, a qualunque essere umano si indirizzi. Soltanto l’esigenza di assicurare la sopravvivenza della specie in tempi in cui la mortalità è elevatissima ha originato provvedimenti legislativi a tutela dei figli legittimi e del matrimonio: si tratta di un contratto sociale simile a tutti gli altri contratti sociali, che non ha niente a che vedere né coll’amore né col sesso. Presumibilmente anche la chiesa di Roma alle origini appoggia le unioni eterosessuali per la medesima ragione: non ricordo nel Vangelo nessuna condanna esplicita degli omo. Ma, col tempo, il bisogno di rafforzare e proteggere il potere temporale dell’organismo ecclesiastico ha indotto ad escludere dai privilegi quante più persone possibile, inventando una serie di colpe che potessero essere usate come arma discriminante, e la condanna dell’omosessualità è sopravissuta ai secoli, unica capace di resistere al tempo dal momento che oggi quasi nessuno crede più alle streghe o agli indemoniati, mentre essendo l’omosessualità, come dimostra la storia ma anche il comportamento attuale di molte specie animali non vincolate da leggi scritte, una forma di sensibilità del tutto naturale , non può essere eliminata dagli anatemi né dalla sua penalizzazione. Quando ero giovane, si volevano costringere i mancini a scrivere colla mano destra. Oggi si è riconosciuto l’errore, essere mancini è una caratteristica naturale: nessuno pensa più che ciò sia meritevole di condana. Ma i mancini non turbano le istituzioni.
Dicembre 8th, 2008 at 9:17 pm
In parte, io credo, queste storie dell’antichità sono un mito. Nel senso che vorrei veramente vedere uno squarcio della vita quotidiana di un greco di 3000 anni fa….mah, non so quanto spazio ci sia stato per l’omosessualità. Ci sarà stato sicuramente un meccanismo di sodomia, questo è molto maschile, ma c’è empre stato. Mi ricordo quando a 20 anni volevo andare in viaggio in turchia, mi dicevano: “attento che quelli tre lo mettono…”. E’una dinamica maschile di dominio e soggezione di cui non sento la mancanza.
Credo di aver colto un punto interessante.
Stiamo parlando di sociale, quindi di collettività. Qui abbiamo una “parte” di questo “corpo sociale” che chiede qualcosa alle istituzioni. Questo non va fatto. Perchè?
1) Da adito a una nuova categoria che vuole essere riconosciuta e gli da dei benefit (le cose migliori si fanno per tutta la collettività non per una parte altrimenti davvero si fanno discriminazioni)
2)Fa intendere che “le istituzioni” si debbano occupare del privato dei loro membri (questo è una concessione di una parte del mio privato alle istituzioni, una perdita di libertà)
3)Da notare che questo atteggiamento mentale deriva dal pensare le istituzioni come qualcuno a cui chiedere qualcosa!!!!!!!
Questo è terribile, perchè invece che creare un membro della collettività crea un’ameba.
Il punto 3 potrebbe rovinare la comunità.
Dicembre 8th, 2008 at 9:29 pm
Vi offro l’ultima.
Immedesimiamoci nello Stato, nelle Istituzioni. Ognuno di noi è “le istituzioni” (che poi, in un certo senso è così).
Essendo voi le istituzioni, avete piacere che qualcuno vi venga a chiedere qualcosa? Intendo qualsiasi cosa. Ora, noi tutti siamo “le istituzioni”. Se abbiamo a cuore noi stessi, cioè le istituzioni, ci fa piacere essere messi in allarme? Cosa ci guadagna veramente la collettività tutta da questo bailame?
Se abbimo davvero a cuore la collettività pensiamo che meno noie ha la collettività e meglio è, o no?
Dicembre 8th, 2008 at 10:16 pm
Caro Marcello, è sufficiente che tu legga uno qualunque dei classici greci, da Omero a Socrate attraverso Platone, nonchè a tutta la produzione poetica fino alla conquista di Roma, e anche a Roma stessa, pensa a Giulio Cesare!, per trovare tutte le testimonianze che vuoi a proposito dell’omosessualità che non è prerogativa maschile, anzi: nei tiasi femminili le ragazze imparavano l’arte dell’eros attraverso i rapporti con le compage (vedi Saffo). Il dominio e la soggezione non c’entrano proprio niente, è ovvio che, dedicandosi le persone di sesso diverso ad attività completamente diverse, i rapporti sociali si sviluppavano nell’ambito esclusivamente maschile o femminile e nello stesso ambito la sessualità aveva il suo luogo naturale.
Ti confesso che non mi sento affatto parte dell’istituzione statale berlusconiana, né dell’istituzione ecclesiastica… Vorrei anche io che non si occupassero del privato. Ma il “diverso”, il “non socialmente accettabile” può costituire un pericolo: ecco che il comportamento privato diventa un pericolo per la stabilità pubblica. Da qui la necessità di provvedere in proposito. Al rogo!
Dicembre 8th, 2008 at 10:50 pm
Quando si racconta l’antichità, io credo, si deve pensare al mondo di un’elite. Avrei voluto vedere una famiglia contadina greca di 3000 anni fa….si pensa alla vita dei ricchi, ma ci sono stati anche i poveri. Dobbiamo togliere dalla testa quest’idea malsana da noi e dagli altri, che lo stato, le istituzioni si occuperanno di noi. Nessuno ha il diritto di abbassarsi a chiedere l’elemosina allo stato. Con l’atto di chiedere riconoscimento ti qualifichi per quello che sei: un mendicante. Se si ha a cuore lo spirito della gente, si desidera che il tuo prossimo sia forte, non debole.
Perciò occorre stigmatizzare un comportamento errato: un comportamento da mendicante.
Dicembre 9th, 2008 at 12:59 am
Accusatio non petitat patrocinia manifest_i.
Dicembre 9th, 2008 at 2:20 am
Nella solitudine della mia città, non avendo nessuno a cui manchi la mia presenza e nessuno che rimpianga la mia assenza ho l’impressione di cominciare a vivere perché vivo con i privilegi di un morto che ha obbedito alla Legge per servire il futuro e onorare il passato, non dovendo più niente al presente.
Dicembre 9th, 2008 at 12:14 pm
Vorrei che non si dimenticasse il punto iniziale: un’istituzione chiede ad altre istituzioni di “depenalizzare” l’omosessualità. Un’altra istituzione -in questo caso: religiosa- interviene per dire che no, non bisogna depenalizzare. Non ostante la penalizzazione comporti gravi sofferenze e persino la morte. La mia perplessità è tutta in quel termine: “religiosa”. Se la stessa posizione l’avesse presa, chessò, la Lega Calcio, la banca europea, l’UMI (Unione mondiale degli idraulici) forse (forse!) avrei pensato: “Ma guarda ‘sti str…ani”. Ma qui ha parlato l’istituzione che si fa carico di essere l’ufficiale, autentica, unica, giusta rappresentanza dell’insegnamento di Gesù Cristo e, spesso, della religione tout court. Allora: “Da non crederci”.
Dicembre 9th, 2008 at 12:19 pm
Px, il Webmaster, mi fa notare che quota 50 commenti non l’abbiamo raggiunta neppure la volta in cui abbiamo chiesto pareri sulla foto della signora Sabrina Ferilli in topless. Bene.
Dicembre 9th, 2008 at 8:07 pm
Hai fatto bene, mym, a richiamarci all’ordine: mi ero accorta che si stava andando fuori tema. Permettimi un’ultima domanda piccola piccola: dovrei sentirmi una mendicante se chiedo, anzi pretendo che il potere istituzionalizzato, ecclesiastico o laico che sia, non solo non penalizzi ma rispetti le mie caratteristiche individuali e le mie scelte personali quando queste non danneggiano nessuno? Tutt’altro: credo di esercitare un mio diritto.
Dicembre 9th, 2008 at 9:57 pm
Bene, Cristina. Quindi la tua è una protesta. Secondo te, una giusta protesta. Il problema è che viviamo in un mondo di media, di parole, di simboli. Di emozioni. E quello che tu chiedi, insieme all’inno “laico” che hai scritto (che viene ripetuto come un mantra), l’avrò sentito 2000 volte.
Sembra quasi che “il progresso delle libertà”, la nuova frontiera, passi da lì.
E non ce n’è per nessuno. Se uno negasse questa tua logica è come minimo un dittatore.
Scusa, ma io mi sento in una specie di “trappola della logica dei diritti umani”, da cui se ne esce solo rompendola (me l’ha insegnato il buddismo).
E poi attenzione a dire che non danneggiano nessuno. I tuoi atti non sono neutrali.
Che bisogno hai di scomodare la società, di oinvolgere gli altri in quelli che sono i tuoi progetti? Perchè scomodare le istituzioni (cioè gli altri e quindi anche me) pe realizzare i tuoi fini?
Dicembre 10th, 2008 at 12:07 am
Secondo me il riconoscimento della dignità della persona umana, e quindi delle scelte individuali, non è una trappola della logica, ma è -dovrebbe essere -un basilare principio di ogni società e di ogni cultura: né mi pare che il buddismo neghi questo. Mi sembra anche che, se voglio seguire la mia strada e l’istituzione mi penalizza per questo, non sia io a scomodare l’istituzione ma piuttosto il contrario… Se la religione ufficiale è quella cattolica romana, questo non ti impedisce tuttavia di essere buddista. In modo analogo, se l’unione tra maschio e femmina è protetta dalla legge, questo non impedisce l’unione tra maschio e maschio, tra femmina e femmina. Non è questa un’azione “cattiva”, che generi un danno universale superiore a quello generato da rapporti eterosessuali. Il “buono” e il “cattivo” non sono idee platoniche universali…
Certo che la mia è una protesta, e certamente tu avrai sentito mille volte, no, duemila, l’inno alla libertà. Spero che tu, io, tutti quanti possiamo sentirlo ancora centomila altre volte!
Dicembre 10th, 2008 at 12:12 am
Buon giorno notte.Mi sembra che Marcello abbia le idee chiare. Il mio voleva essere un commento onesto senza bugie di nessun genere, mi pareva di avere qualcosa di così semplice da dire.Un messaggio che potesse essere utile un po’ a tutti, un messaggio che aiutasse a seppellire quello che di morto abbiamo dentro e invece Marcello è il primo a non avere il coraggio di seppellire proprio niente.Adesso ha la testa piena di confusione, questa torre tra i piedi…Chissà perché le cose vanno così, a che punto l’umanità ha sbagliato strada…Non ho più niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso: chi non abita nella civis Dei abita nella civis Diaboli.Ma i suoi spiriti perché non mi vengono in aiuto, ha sempre detto che erano carichi di messaggi per noi, avanti che si diano da fare.
Dicembre 10th, 2008 at 2:11 am
Marcello, saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo?Di scegliere una cosa, una cosa sola e di essere fedele a quella, riuscire a falla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto proprio tutto perché la tua fedeltà la fa diventare infinita, saresti capace? Se ti decessi che la felicità consiste nel poter dire la verità senza mai fare soffrire nessuno?Dire la verità, quello che so, quello che non ho ancora trovato. E’ una festa la vita viviamola insieme, non so dire altro a te a agli altri. Accettami per quello che sono se puoi, è l’unico modo per provare ad incontrarci.
Dicembre 10th, 2008 at 8:06 am
Cari Amici, come si vede l’argomento mi ha dato modo di riflettere a lungo. Fondamentalmente il fastidio che provo, non è per i singoli o per i loro comportamenti, ognuno fa quel che vuole, ecc,ecc. Il fastidio è nato quando a questa cosa si è cercato di dare una dimensione sociale. Questo ha fatto partire una grancassa mediatica. Ora, mi pare che pur di ottenere i loro fini, certe persone, dicono di tutto e di più. In più, tutta la parte “progressista”, si è schierata a fianco dei “deboli” e si sa, aiutare i deboli è un’attività molto caritatevole e fa guadagnare punti presso “l’opinione pubblica” (e forse fa andare anche in paradiso!). Io spero di aver fatto qualche buona riflessione.
Di sicuro, il dibattito pubblico sull’argomento è sclerotizzato ed è viziato da tante falsità.
Se proprio la volete sapere tutta, per me questo di cui parliamo, non è che un sintomo di un generale stordimento. L’Occidente, fondamentalmente, è un brutto posto. Tenuto a galla dai soldi in abbondanza, tende a dimenticare il reale e a non riflettere profondamente. In sostanza, ci permettiamo di parlare di questi argomenti, non perchè ce ne sia reale necessità, ma solo perchè siamo un branco di borghesi annoiati, che non trovano nient’altro di meglio che parlare dei diritti degi omo. Il futuro crollo economico, forse ci renderà più realistici.
Saluti
Dicembre 10th, 2008 at 10:03 am
Ancora un tentativo di focalizzazione. Il tema proposto non è se la santa sede, l’associazione amici del lombrico, la lega per la difesa dell’uccello o la corte costituzionale possano o meno esprimere pareri, indicazioni o anatemi. Il tema riguarda(va?) la congruità delle posizioni assunte su un dato problema -in questo caso: la depenalizzazione dell’omosessualità- in relazione alla natura dell’istituzione che esprime il parere. Per quanto il Vaticano sia anche uno stato sovrano, le opinioni espresse dai suoi rappresentanti all’ONU non possono prescindere, secondo me, dalla funzione/origine/realtà/legittimazione all’esistenza di quel particolarissimo stato. Affermarne la laicità (e perciò il diritto a qualsiasi posizione) è non vederne la realtà costitutiva. Se fosse uno stato come tutti gli altri non avrebbe alcuna ragione di esistere.
Dicembre 10th, 2008 at 12:17 pm
Seguendo il dibattito mi sono formato questa opinione: il Vaticano intende difendere la sovranità degli Stati. Ovvero, tra il diritto ad essere ‘diversi’ dei singoli e quello degli Stati, ha scelto di tutelare quest’ultimo. Messa così pare una presa diposizione rispettabile, direi condivisibile: a prescindere dagli ‘interessi politici’. Che diritto abbiamo in fondo di giudicare e condannare altre culture come se la nostra fosse ‘superiore’? Forse che la sedia elettrica è tanto più umana della impiccagione o della lapidazione? In questo mi pare che Marcello abbia buoni argomenti.
Se il tema fosse un altro (ad esempio il velo islamico o l’esproprio dei proprietari terrieri o il diritto a coltivare la coca ecc) molti di quelli che oggi qui sono inorriditi, applaudirebbero. In sostanza la S. Sede inviterebbe – secondo questa lettura – a rispettare e non interferire con le altre culture e sovranità. Quello che non mi quadra però è che il Vaticano da sempre, su altri temi, interferisce eccome con le culture e con le sovranità degli Stati, a cominciare dal nostro. E allora il sospetto di ‘omofobia’ effettivamente rimane. E rimane un po’ da capire il perchè. Se non erro c’è anche stata di recente una svolta interna del Vaticano sul tema omosex: mi pare che ci sia una pre-selezione delle ordinazioni ecclesiastiche per cui, se si è omosessuali, non si dovrebbe più poter essere ordinati sacerdoti. Vi risulta? Si può così pensare che, oltre a difendere la sovranità degli Stati, il Vaticano si sia accorto e sia molto preoccupato di cosa succede in casa propria, ove l’omosessualità da sempre è di casa, e voglia assumere quindi una posizione più netta che nel passato sul tema.
Dicembre 10th, 2008 at 1:45 pm
La vita di ogniuno è così vasta, ogni situazione che ci si presenta unica. che dire?
basta un diverso stato mentale e si è su un altro pianeta.
Ciao
Dicembre 10th, 2008 at 4:22 pm
Ahi ahi ahiiii, “il Vaticano … ove l’omosessualità da sempre è di casa” dice il Doc. Le fonti, vogliamo le fonti o dobbiamo censurare. Che diamine, possiamo mica titolare il prossimo post “Le notti gay del Vaticano ” o “Balletti verdi: l’altra sponda del Tevere”… Minimo minimo occorre spiegare l’affermazione, por favor.
Dicembre 10th, 2008 at 4:36 pm
Bravo mym. 8 e 1/2…
Dicembre 10th, 2008 at 4:46 pm
8 e 1/2? Fellini spero. Se è un punteggio ti sego una gamba.
Dicembre 10th, 2008 at 4:51 pm
Quando ero giovane (when I was young) lessi che l’arte è un aspetto della conoscenza che non bisogna trascurare, e ciò mi basta. Non chiedo nessuna prova: mi fido.Può una forma di ‘militanza’ artistica trasformarci in una Umanità ardente e forte che come sole spunti dietro scure montagne illuminando la Via?
Dicembre 10th, 2008 at 4:52 pm
Giusto! Il film…
Dicembre 10th, 2008 at 5:05 pm
Vox populi… un bel po’ di scandali e la stessa preoccupazione che ha indotto Ratzi a prendere quella posizione (verifica della non-omosessualità prima di intraprendere la carriera ecclesiastica) mi paiono elementi sufficienti a sostenere l’affermazione. Non credo meriti perdere troppo tempo per cercare studi statistici che ci dicano quanti ce ne è in percentuale. Non mi pare tanto importante. Nessuno ha detto che in Vaticano si fanno le orge. Per favore, non tiriamo a confondere l’omosessualità (cioè l’orientamento sessuale ed affettivo omofilo, che è trasversale ed è presente in circa il 10% di individui se ben ricordo, ed esiste sia nella società civile che nelle istituzioni religiose e no)con il comportamento omosessuale, con gli atti sessuali veri e propri o con la violenza sessuale! Questa confusione c’è nel blog fin dall’inizio. Forse qualcuno crede davvero che nei paesi ‘omofobi’ non ci siano omosessuali? avete mai girato in medio oriente? sono tranquillamente tollerati finchè non incorrono in comportamenti che – in quella cultura – sono considerati scandalosi e lesivi della morale.
Comunque, forse Messori potrebbe fornirci i dati…
Dicembre 10th, 2008 at 5:15 pm
Ah be’, son più tranquillo. Soprattutto che, pur essendo (forse?) tanti non facciano le orge mi solleva un po’. Certo che però, se le cose fossero davvero così, facendo anche lo screening per dividere l’oro dalla paglia, con la crisi di vocazioni che c’è rischiano di trovarsi in pochini…
Dicembre 10th, 2008 at 5:26 pm
Già, è un problema serio per le gerarchie.
In 2 minuti, su google ne ho trovate parecchie di conferme. Ad es queste, quasi a caso:
http://vaticano.noblogs.org/post/2007/09/30/preti-gay-i-segreti-svelati-in-tv
http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/monsignore-gay/monsignore-gay/monsignore-gay.html
http://www.cardinalrating.com/cardinal175_article_2635.htm
(La presenza degli omosessuali nella Chiesa “è una grande, enorme, immensa sciagura e una delle cause è la mancata attenzione nei seminari, dove i superiori devono essere educatori”. Card E. Tonini)
basta navigare 10 minuti per leggerne delle belle.
Dicembre 10th, 2008 at 5:32 pm
Insomma, se accettiamo la tua teoria l’uscita del Vaticano contro la depenalizzazione è una sorta di tafazzismo*: tende a far mantenere stretta la guardia sugli homo di casa propria… se cominciassimo a depenalizzarli altrove… qui chi li ferma più?
*Da un personaggio televisivo, chiamato Tafazzi, noto per colpirsi di continuo -e apparentemente senza motivo- i genitali.
Dicembre 10th, 2008 at 5:40 pm
Penso che sia davvero un nervo scoperto per la S Sede: questo taglio di visuale mi spiega molto della attuale rigidità. Non c’è peggior rigido salutista di chi vuole smettere di fumare…o ha smesso da poco.
Dicembre 10th, 2008 at 5:43 pm
Intendiamoci; non è tutto qui, naturalmente.
Dicembre 10th, 2008 at 7:35 pm
Ooooooh mai gaad! Non è tutto qui?!? Non mi dire…. Checc’è checc’è ancora? 🙂
Dicembre 10th, 2008 at 7:59 pm
Ritengo che doc (intervento n. 68) abbia colto esattamente nel segno. Lo confermo un po’ per letture freudiane, un po’ per aver frequentato in passato certi ambienti…
Dicembre 10th, 2008 at 8:43 pm
Dubito che l’arte possa avere effetti così dirompenti — anche se in fondo sarei il primo a desiderarlo. Meglio, e più carino, permettere che l’arte faccia incursioni semi-clandestine, possibilmente dadaiste. dr
Dicembre 10th, 2008 at 9:30 pm
Mym, non so mettere le faccine qui, sennò ti spernacchiavo.
Dicembre 14th, 2008 at 11:59 am
Buongiorno a tutti, dopo un po’ di pausa mi sorge questa riflessione. La tendenza ad accettare come vero o semplicemente come valido quello che già si conosce e che fa parte di noi è una cosa molto umana da cui nessuno è immune.( Talvolta è anche una necessità cognitiva: trovare cose che confermono le nostre idee per poi solo sucessivamente modificarle.)
Ma se si vuole veramente entrare in dialogo con una persona o una realtà diversa ( e non credo di dire niente di nuovo soprattutto per chi è all’interno della Stella del mattino)si dovrebbe essere veramente disposti a considerare le proprie ideee e il proprio credo come una delle possibili visioni della realtà. A scanso di equivoci non voglio con questo dire che una cosa vale quanto un’ altra o che sono intercambiabili ( ma questo credo sia già assodato da tempo ), semplicemente mi sembra che ci voglia uno sforzo costante e consapevole per tenere aperta, o aprire, la porta del dialogo, a qualsiasi livello: personale, lavorativo, religioso.. ( soprattutto, direi, in quei campi in cui ci si sente “esperti” e ci si trova di fronte a chi, si presume, ne sa meno di noi…) A volte, mi sento di poter dire, si confina il “dialogo” all’ interno di alcuni aspetti della nostra vita, quasi fosse una cosa da farsi in certe particolari occasioni ( magari con chi è già aperto al dialogo .)
Mi vien da rammentare che lo scoglio più grande non è quello di far la pratica ( che naturalmente pur veicola in sè apertura e condivisione..), ma il non lasciare chiuso nella pratica quello che dovrebbe essere l’ atteggiamento nella vita quotidiana.
Rimanendo fermo il fatto che è una gran fatica. Ciao
Dicembre 14th, 2008 at 12:25 pm
Grazie Marta per il tuo commento. Hai un’opinione lusinghiera di chi è “all’interno della Stella del mattino”, grazie. Penso varrebbe la pena riflettere un poco su che cosa significhi “non lasciare chiuso nella pratica quello che dovrebbe essere l’atteggiamento nella vita quotidiana” e che relazione ciò abbia con quello che chiami dialogo.
Dicembre 14th, 2008 at 7:40 pm
Dato che questo “argomento ” mi sta particolarmente coinvolgendo in questi ultimi periodi, colgo l’ occasione per esprimere ad alta voce ( si fa per dire ) alcune riflessioni. Mi scuso se parlo della mia personale esperienza e se non uso termini “tecnici” ma mi sentirei a disagio ad usarli date le mille angolature e interpretazioni che possono avere.
Nell’ atteggiamento della pratica ( meditazione. lettura del vangelo e studio di testi….) si è portati , direi quasi istintivamente, a lasciarsi compenetrare, a lasciarsi quasi plasmare da quanto avviene in noi in quei momenti. Forse anche perché accettiamo a priori ( anche se dopo un lungo percorso ) che quello che stiamo “facendo” è una parte essenziale della nostra vita. ( A volte ci si lascia trasportare troppo e si pensa che solo quella sia la vita vera).
Poi nella normale vita quotidiana non si è più disponibili ad accettare ” a priori “quello che viene ( sia esso persona, fatto ….) ma si pone immediatamente un filtro valutativo che fa emergere le categorie di giusto, sbagliato, piacevole non piacevole… ( non serve che dica che spesso le cose sono sbagliate ..)che incasellano la realtà. Al massimo si arriva a tollerare, a compatire ( nel senso coumne del termine). Quella parte di verità che mi viene incontro non la riconosco come mia. Ecco quindi il non- dialogo, la non- pace, l’ arrabbiarsi quando le cose non vanno come “dovrebbero” ( dal mio punto di vista naturalmente!).
E magari mi lamento perchè non c’è dialogo! Si vive una frattura tra ciò che si vive durante la pratica e ciò che si vive nella quotidianità, nonostante tutti gli sforzi mentali per far quadrare il cerchio.
Ma se il dialogo è, prima di tutto, ascolto di ciò che è diverso da me e partecipazione reale e non fittizia, allora, è proprio nella vita di ogni giorno, penso, che “la pratica religiosa ” porterà “frutto” ( lo so che qui potrei essere fraintesa ) o meglio diventerà pratica di vita: cercando continuamnete di togliere la polvere che si accumula per le troppe parole, per il rumore….e ricominciando sempre da zero. Ma non perché questo mi debba rendere migliore ( come neanche il fatto in sè della pratica rende migliori ) ma perchè forse è una delle poche cose che risponde alla mia ricerca di senso. E’ un atteggiamneto che mi permette di azzerare continuamente gli errori compiuti da me e dagli altri e di poter intravedere sempre nuove strade. Mi permette di cancellare la ricerca della “meta” e di essere presente in ciò che mi accade cercando il mio posto, o meglio cercando di sentirmi al mio posto.
Chissà se mi sono spiegata: quello che volevo forse semplicemente dire è che, solo se nelle mie “mani vuote” della pratica posso vedere anche “le mani vuote” nella normale vita, recupero il senso della vita globalmente intesa. Grazie dell’ attenzione
Dicembre 15th, 2008 at 12:02 pm
Il senso di “dialogo” inteso come rapporto continuo, giornaliero -apparentemente banale- con ciò che ci circonda mi piace assai. E il resto anche. Apprezzo molto. Grazie.
Dicembre 17th, 2008 at 12:51 pm
Suggestioni sul tema del tempo e della fugacità della vita: tra Leopardi e Ungaretti … preferisco Pascoli!
Tu dici, É l’ora; tu dici, É tardi,
voce che cadi blanda dal cielo.
Ma un poco ancora lascia che guardi
l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo,
cose ch’han molti secoli o un anno
o un’ ora, e quelle nubi che vanno.
(L’ora di Barga)
Dicembre 17th, 2008 at 7:37 pm
Un altro modo di intendere il tempo, dovuto a una sensibilità né migliore né peggiore: diversa… come ogni persona è diversa da ogni altra.
Dicembre 22nd, 2008 at 8:38 pm
Sono pienamente d’accordo riguardo la “giapponesizzazione” dello zen in Europa vista come un colonialismo etno-religioso. Sono rimasto stupefatto riguardo il discorso degli appartenenti del clero giapponese scelti dalla famiglia come eredi della – non di rado redditizia – attività del tempio. Tutto ciò è incredibile!
Come dice Merton (sono pienamente d’accordo con lui!): lo zen NON E’ una religione! Tutte le persone, sia laiche, cristiane o mussulmane possono liberamente praticare lo zen, che è esclusivamente come dice la parola stessa “dhyana”: pura meditazione, vivere il presente!!! Il Buddha c’insegna ad essere uomini LIBERI da ogni tipo di condizionamento mentale, identificazione, convinzione e attaccamento! Sono sicuro che Buddha vivesse ancora ai tempi nostri e vedesse tutte queste cose si farebbe una grassa risata! E ciò non vuole essere assolutamente una provocazione ma solo un mio punto di vista.
Dicembre 22nd, 2008 at 8:51 pm
Concordo pienamente quando dice che il buddismo non esiste: è solo un’altro gioco della mente; personalmente non penso di essere un buddista, perchè ciò equivarrebbe a creare una falsa identificazione di me stesso, sono Filippo e mi sento parte dell’intero universo, perciò ad esso mi sento connesso. Poniamoci questa domanda: Ma Buddha era Buddha o era un buddista? Che cosa significa essere buddista? Cerco solo di vivere il momento presente, il qui e ora, nella meditazione e fuori dalla meditazione, anche se la stessa meditazione può indurre a creare falsi obiettivi.
In un suo testo (Il fascino del buddismo) Pannikar dice che tempo fa domandò ad un suo amico monaco hindu, buddista therevada come mai in India, la patria del Buddha, non ci fossero buddisti e il monaco lo guardò dicendogli: “Ah sì? Non ci sono buddisti?”. Non ci sono buddisti perchè non c’è gente che non si dichiara buddista, perchè il buddismo come religione in India non esiste. Siamo noi che vogliamo classificare tutto. Loro badano allo spirito più profondo del buddismo e non al fatto di metterci un’etichetta che sia un’ideologia, un partito o una religione.
Dicembre 23rd, 2008 at 8:45 am
Il frutto della mia givinezza non è altro che la rimembranza di feste e banchetti al modello del Simposio.Un ricordo avvizzito dalle odierne e borghesi cene di lavoro o di famiglia, in cui si esclude il cazzeggio o il delirio(controllato) e si riempono le pance. Sebbene ci si alzi da tavola dopo aver assoporato le pietanze più prelibate e i vini migliori, ci si sente denutriti di valore e di senso.La nostalgia del mondo greco è nostalgia del politeismo; di una cultura che ha avuto il merito di concedere al divino la facoltà di esprimersi con tutte le forme umane (ciò rappresentano gli dèi) esemplificando al sommo grado la tolleranza.Il principio della tolleranza si basa proprio sulla molteplicità, di cui non è capace il monoteismo, detentore di una verità assoluta.Le domande assillanti allora sono queste: Ridendo della morte del dio crisiano siamo condannati ad un paganesimo senza Olimpo?E come si fa a riprendersi la vita?E il tempo?
Dicembre 23rd, 2008 at 10:16 am
Eccezionale quando parla dell’etica e soprattutto dello spirito profondo dello zazen presente sia dentro che fuori dallo zazen stesso, NON sono due cose separate. Se viviamo una vita senza etica morale è assolutamente inutile fare meditazione, diventa appunto un esercizio ginnico!
Molto chiaro anche nello spiegare il male, vorrei aggiungere che secondo me l’egoismo e l’avidità sono forme di attaccamento e come ben sappiamo ogni forma di attaccamento genera sofferenza!
Nella normale gestione che percorre la vita religiosa (che non significa assolutamente far parte di una religione) vorrei aggiungere come elemento di rilevante importanza l’onestà sia verso se stessi che verso gli altri.
Dicembre 23rd, 2008 at 10:21 am
Fondamentale il concetto di impermanenza da dove nasce automaticamente, dopo aver interiorizzato quest’ultimo, il concetto di non attaccamento. Se sappiamo che tutto il mondo che ci circonda è precario è da stupidi attaccarsi alle cose o no?
Ed è solo quando non vi è più attaccamento che si genera il vuoto in se stessi, da dove non può che nascere Amore verso tutto e tutti.
Condivido pienamente infine l’ultima frase relativa allo zazen che rischia di essere uno strumento col fine di far diventare qualcuno o sembrare qualcosa: la stessa meditazione può indurre a creare falsi obiettivi e quindi false identità.
Complimenti per l’autenticità.
Dicembre 23rd, 2008 at 11:05 am
Grazie. In Giappone il “prete buddista” è un lavoro come un altro, la differenza più evidente (con gli altri lavori) è che si tramanda all’interno di una casta di tipo famigliare. Non identificherei in modo così netto zen e zazen: tutte le persone (delle più varie tendenze o appartenenze religiose) possono praticare lo zazen. Poi si alzano dal cuscino e continuano a “servire” la loro appartenenza. Direi, per chiarezza, che praticare lo zen ha un senso più globale. Infatti: il Buddha c’insegna ad essere uomini liberi ecc. ecc. mym
Dicembre 23rd, 2008 at 11:10 am
Mmm, se lei dice di “essere” Filippo… sostanzialmente non è molto diverso dal dirsi buddisti. Con quell’articolo di Panijkkar ho ampiamente polemizzato qui. mym
Dicembre 23rd, 2008 at 11:16 am
Mah, insomma… Segue il solito ordine delle cosiddette “grandi religioni”: man mano che compaiono induismo, buddismo ecc., tutto il resto della Terra resta grigio come se non ci fosse nulla da segnalare. Il cristianesimo risulta nato “da un miracolo, la morte e la risurrezione di Gesù”: oltre al fatto che non è preciso definire “miracolo” la risurrezione, la morte “miracola” un po’ tutti…
Dicembre 23rd, 2008 at 11:17 am
Il rapporto sīla-samādhi è parte integrante della cultura esperienziale buddista e religiosa in senso generale. Per questo ne richiamavo il senso nel post di qualche giorno fa. mym
Dicembre 23rd, 2008 at 11:24 am
A mio avviso (anche se so che specie nel b. vajrayana le posizioni divergono su questo punto) dal vuoto di sé non è detto che automaticamente nasca amore universale. La via mentale all’amore è piena di ostacoli. Anche in questo occorre coltivare il terreno e il buon concime è ancora sīla.
Dicembre 23rd, 2008 at 11:31 am
Là, là, là. Facile criticare. Provare per credere. Però questa cosaqquà che il cristianesimo risulta nato da un miracolo mi convince anzichennò. Allora: senza morte non ha senso parlare di resurrezione quindi la dicitura “morte e resurrezione” è un compound solido. Poi: se togli la resurrezione che cosa resta del cristianesimo: le cose che diceva GC senza la Salvezza (che solo la resurrezione fa porre in maiuscolo) le dice qualsiasi saggio padre di famiglia: fate i bravi, vogliatevi bene, non fatevi abbindolare dalle sette religiose…
Dicembre 23rd, 2008 at 12:22 pm
non stavo affatto negando che quella fosse l’origine e la peculiarità del Xmo. dico solo che la risurrezione non è un “rollback” biologico, e che il fenomeno religioso è ben più vasto e interessante della solita tiritera da manualetto. infine, GC ha detto cose più interessanti che “vai a scuola, e attento al gatto e alla volpe” 🙂
Dicembre 23rd, 2008 at 12:43 pm
Vabbuò.
Mo’ viénnatale. Facimmola passà ‘sta grande festa…
Buon compleanno GC!
Ciao
y
Dicembre 23rd, 2008 at 1:20 pm
Si, forse avrei semplicemente dovuto dire “sono” :-). Grazie
Dicembre 23rd, 2008 at 11:15 pm
Bella domanda: come riprendersi la vita e il tempo? Non credo proprio che esistano formule capaci di rispondere ugualmente a tutti, formule universalmente valide che restituiscano individualmente ad ognuno il “proprio” tempo: pensa che Proust ci ha impiegato sei ( o sette) volumi? e ha ritrovato solo il suo… Personalmente non mi è servito nessun dio, né unico né appartenente a un pantheon variegato, né alcuna fede o ricetta trascendente o al di là dell’umano: l’ho trovato dentro di me, ma devo stare attenta a non perderlo di nuovo, anzi a ritrovarlo ad ogni passo… Non credo che i Greci di allora si ponessero il problema in questi termini: la ricerca della Verità ha cominciato a turbare le menti solo in tempi molto più tardi di quelli che videro il fiorire dei poeti interessati essenzialmente a cogliere i fiori della vita – che allora era ben più difficile di quanto la possiamo conoscere noi oggi!
Dicembre 24th, 2008 at 1:34 am
Io ho ritrovato me stesso e pure il tempo.Detto in termini metafisici il trascendente (Dio) è divenuto immanente, cioè contenuto della ragione.Avendo ritrovato me stesso (e godendo di buona salute) non voglio ri-scrivere la Recherche, però se non scrivo mi perdo…La Verità?La bellezza? Sono passati i tempi, ora ci vuole di più molto di più.Il problema del tempo si pone in termini di pazienza. Per esempio quanto tempo ci vuole per ‘vedere’ 5000 anni di storia delle religioni?Cominciando dagli indiani, escluso i greci, in due minuti è
tutto finito.Ma se invece di tempo parliamo di pazienza e chiediamo:”Quanta pazienza ci vuole per arrivare dai Greci a noi?”. Se si parla di tempo in un’ora si è già arrivato a Parmenide. Se si parla di pazienza io non ci ho ancora messo piede.Ecco perchè si parla continuamente di tempo:perchè in men che non si dica tutto è fatto. Per questo il mio turbamento è la pazienza.
Felice Natale.
P.S. Penso che anche per gli indigenti poeti contemporanei (poveretti) sia difficile,al pari
dei greci, cogliere i frutti della vita.
Dicembre 24th, 2008 at 8:54 pm
Credo che per cogliere quei frutti ci volesse molto più impegno allora che oggi: pensa solo all’eventualità che quei poverini avessero mal di denti!
Sono contenta, per te, che il tuo dio sia divenuto, da trascendente, immanente, anche se non mi è chiaro come ciò possa succedere: mi è invece chiaro come una soluzione che soddisfa uno non soddisfi necessariamente un altro. Ne abbiamo già parlato pur se in altri termini: così se ci sono cose belle non conosciamo tuttavia la Bellezza, e a questo punto si deve scegliere se credere che da qualche parte ci sia e continuare a cercarla, oppure accontentarsi di godere delle cose belle: perciò, buon Natale a te! Cristina
Dicembre 30th, 2008 at 11:18 am
Buongiorno, vorrei fare una domnanda che può forse risultare polemica ma che nasce solo da una mia probabile ignoranza. Premetto che il mio piccolo percorso in questo ambito è nato da un incontro personale e dallo studio di autori ai quali mi rapporto, ma che, per scelta e per necessità, non partecipo a nessun momento comunitario ( in senso stretto )per cui molte cose non le conosco proprio. Tempo fa ho letto che l’ ambito buddista e l’ ambito cristiano hanno preso, in qualche modo, delle strade differenti pur rimanendo fratelli. Ora, vorrei chiedere, pur nella diversità degli approcci, in che modo ” la verità contenuta nel vangelo” assume trasparenza e manifestazione nello zen del buddismo? Mi sembra che alcuni aspetti delle due religioni siano portatori congiunti di alcune peculiarità religiose. Orbene ( non voglio essere polemica, vorrei solo capire ) nell’ ambito cristiano del sito, trovo spesso ( anzi sempre ) riscontro dell’ incontro di due realtà ( cristiana e buddista ) mentre nell’ambito buddista questo appare molto sfumato. Al di là dell’ impostazione del vostro sito ( a dir la verità molto più dinamico e interattivo )la posizione di coloro che ” vi abitano” ha assunto caratteristiche tali da considerare il proprio cammino religioso difforme da quello cristiano? Se sì, come si colloca in questo contesto nato dal dialogo tra le due religioni? Grazie per l’ attenzione. Ciao
Dicembre 31st, 2008 at 12:35 pm
Interessante osservazione, Marta. Io la vedo così, e scusa se ti sembrerò banale.
La Via che indicano Buddha e Cristo è via che porta allo stesso luogo, ovvero ‘nessun luogo’. Allo stesso risveglio. E, aggiungerei, ciò vale per moltissime altre tradizioni, anche se forse non per tutte (ma non è questo il tema).
Sia Gesù che Shakyamuni furono ‘riformatori’ di precedenti involucri religiosi dei quali evidenziarono le contraddizioni e rifiutarono le sovrastrutture dogmatiche, superstiziose ed ideologiche: per riportare alla luce l’essenziale. Quello che tu chiami ‘verità’, presumo; ma che non è ‘contenuta’ nel vangelo né nei sutra, bensì pre-esiste ad essi. Vangeli e Sutra, come mappe di un tesoro perduto che non sappiamo più ritrovare, ce la indicano ma non ‘contengono’ proprio nulla.
Nel momento in cui i due messaggi originali divennero ‘religioni’ (Cristianesimo e Buddismo) si rivestirono di un nuovo involucro dottrinale, culturale e dogmatico; ovviamente differente poiché sviluppatosi in ambiti geografico-storico-culturali differenti. Per vari motivi, nel Buddismo l’attenzione al nucleo essenziale della faccenda fu considerata questione prioritaria, ed il messaggio rimase esplicito; in particolar modo direi che ciò vale per il Buddismo Zen.
Il Cristianesimo involse velocemente in struttura gerarchica, con forti connotazioni socio-politiche, ed il messaggio originale venne ‘criptato’, reso difficilmente accessibile. Ovviamente sono necessari dei distinguo: per esempio tra l’esichia di Monte Athos e la dottrina di Comunione e liberazione mi pare ci sia una bella differenza.
Questo forse rende ragione del fatto che, qui, in ambito cristiano sia più sentita la necessità di usare pietre di paragone per ‘sfrondare’ sovrastrutture mentali-culturali particolarmente ridondanti ed ostative. Senza negare naturalmente la reciprocità di questa esigenza, laddove il Buddista troverà nell’altra parte elementi utili per correggere ‘distorsioni’ quali certa tendenza al solipsismo, al nichilismo ecc.
Quanto all’’incontro’, per i buddisti di casa nostra l’incontro con il cristianesimo preesiste a quello col buddismo. E’ già avvenuto: noi siamo cristiani ab inizio. Anche se ci volessimo dichiarare atei od agnostici, non potremmo farlo a prescindere da quelle categorie che abbiamo cominciato ad assumere col latte della mamma e poi in ogni ambito socio culturale.
Perciò a mio avviso, neppure di ‘incontro’ si tratta; ma di uso oculato e proficuo di ‘strumenti’ atti a ripulire noi stessi – la nostra piccola mente – da sovrastrutture limitanti la chiara visione delle cose. La quale ‘chiara visione’ non è, a mio avviso, né cristiana né buddista. Né altra.
Quanto al ‘dialogo’, infine, ti confesserò che è una parola che mi piace davvero poco: sembra sempre che si debba trovare un compromesso, un punto d’accordo o di sintesi tra mondi culturali (sovrastrutturali). Per quanto mi riguarda, è un altro ambito.
Gennaio 1st, 2009 at 10:28 am
Buongorno, anzi buon anno, visto che ci stiamo inoltrando nel 2009. Chissà perché poi, diamo così importanza alla scansione temporale,.. quasi fosse un’entità al di fuori di noi.
Bè, tornando all’ argomento affrontato,Doc, non mi sembra affatto banale il tuo commento. Non so se ho compreso bene tutti i passaggi.., ma vorrei continuare nella riflessione ( se c’è voglia e tempo naturalmente). Se si presume che le religioni in quanto tali con, le loro istituzioni e sovrastruttute, ( più o meno gerarchizzate ) nascondino più che rivelare la realtà che pre-esiste ad esse, sarebbe possibile il mantenimento del messsaggio originale che ci permette la chiara visione delle cose? Non fosse altro per andare oltre anche a questo?
Non è quasi una necessità “imposta” dai nostri limiti, quella di usare comunque un linguaggio ( inteso in senso lato )che si manifesta come religioso-culturale, senza il quale l’ uomo avrebbe fatto (e farebbe) fatica ad assumere coscienza della sua esistenza?
Non è, per me, questo un tema puramente
teorico e intellettuale perché non ho ancora risolto la questione personale dell’appartenenza religiosa, nella considerazione, come tu dici , che non si può prescindere da quelle categorie in cui siamo stati immersi dalla nascita.
E’ possibile e come,( non so però se intendevi questo,) usare le pratiche solo come strumenti “purificatori” ?( il termine non è forse idoneo) Ma se così fosse sarebbero quindi intercambiabili con altre pratiche? Più precisamente lo stare “semplicemente seduti” dello zazen che non ha altro scopo che stare semplicemente seduti, può diventare una semplice pratica per….? Faccio fatica a pensarlo, anche se non mi sentirei di dire ( per il fatto stesso che la realtà si manifesta anche in modo diverso )che è l’unica pratica che avvicini l’ uomo all’ essenziale. Lo stesso discorso mi sentirei di fare per l’ eucarestia ( correttamente intesa ).
Un’ultimissima cosa, anzi due,se la “chiara visione” prescinde ( o può prescindere )dagli ambiti religiosi come posso , in quakche modo, definirla? E se questo non è possible, non mi troverò comunque a dover parlare ( e pensare ) attorno alle cose penultime che mi vengono offerte dalle religioni e/o culture? E se questo è in qualche modo vero, come faccio a non pormi il problema del dialogo interreligioso ( nonché intrareligioso)? Naturalmente concordo pienamente sul dialogo come compromesso, non è quello che intendo. Intanto buona giornata!!
Gennaio 1st, 2009 at 2:32 pm
Cara Marta; innanzi tutto, buon anno anche a te. Un tale argomento, man mano che si tenta di approfondirlo, diviene sabbia mobile. Temo fraintendimenti, temo di dire sciocchezze. Un po’per i limiti del linguaggio – l’ambiguità delle parole! – e molto di più per i limiti alla ‘chiara visione’ determinati dalla mia persona. E tuttavia, proprio questo nostro sforzo di parlarci, di intendere cosa vogliamo dirci al di là delle mere espressioni verbali, è in qualche modo – a mio parere – cammino religioso; è dialogo. Altri più qualificati di noi potranno intervenire per puntualizzare, correggere ed indicare punti di vista più elevati.
Penso si debba dire che il senso delle religioni non sia quello di nascondere (perché mai?) ma di ‘proteggere’ il messaggio, affinché sia correttamente fruibile: se finiscono per nasconderlo, c’è qualcosa che non va in quella costruzione che chiamiamo ‘religione’. Proteggere e ‘non contaminare’. In una storiella zen i protagonisti del dialogo concludevano (cito a memoria): ‘non è che non esistano, pratica e risveglio, ma non dovremmo contaminarli’; ‘proprio così, proprio così. Non contaminare. Tu ed io siamo questo…’
I nostri limiti – dici – ci impediscono di andare oltre il linguaggio, oltre il messaggio: e restiamo ancorati alle cose ‘penultime’ offerte dalle dottrine. Vero: cosa ci impedisce di andare oltre? La paura forse, l’altra faccia di ‘attaccamento/desiderio’!? Ci siamo arrampicati in cima al palo di 100 piedi, ma non osiamo fare un ultimo passo. Fossati la dice così: ‘Difficile non è nuotare contro la corrente/ma salire nel cielo e non trovarci niente’ . Solo quando si fa quel passo, credo di poter dire, lo stare seduti dello zazen può essere semplicemente ‘stare seduti’. Ed allora lo zazen non è più uno ‘strumento purificatorio’, una pratica ‘finalizzata’ a star solo seduti: ma è proprio star solo seduti. ‘Solo inchinarsi’ dice Uchiyama. A che serve ‘definirlo’? Solo inchinarsi.
Non direi che le dottrine e le pratiche siano intercambiabili. Piuttosto, c’è una via per tutti: ci sono articoli adatti a tutti i portafogli ed a tutte le capacità. Provo a dirla in altro modo, più nostrano: Dio ha sparso sulla terra i semi di verità in innumerevoli forme, affinché ognuno possa seguire la strada che più gli si confà. Vedere la verità in ognuna delle varie forme, delle varie ‘religioni’, è chiara visione. Rimarcare le differenze per affermare o demolire – come avviene quando si nutre ed esalta il senso di ‘appartenenza’ religiosa – è Babele. Ed allora il ‘dialogo’ (correttamente inteso, l’ascolto) è medicina necessaria, è correttivo.
Gennaio 2nd, 2009 at 8:05 pm
Ciao Silvano, la mia pagina internet è disastrata e non riesco a trovare le “tue” poesie. Aiuto!!! C.
Gennaio 2nd, 2009 at 8:48 pm
Naturalmente, madame, come si legge nella colonna a destra, nel gruppo dei “contributi”, le poesie sono nella pagina delle poesie; poffare.
Gennaio 3rd, 2009 at 2:46 pm
Buongiorno! Sì forse hai ragione quando dici che manca il coraggio di fare l’ ultimo passo, almeno a me! Forse per arrivarci ho ancora bisogno di rimanere attorno alle cose penultime, nela speranza, forse di riuscire a vedere, almeno da un punto di vista, quella parte di verità che, come dici, sta in ognuna delle forme religiose. Rimanendo nell’ ambito di questo discorso, non trovi che la lettera di Padre Luciano, nell’ ambito cristiano, sia quasi uno specchio di quanto stavi dicendo? Da un altro versante, ma, il tema della ” gloria mundi ” con la sua necessità di transitorietà non assomiglia un po’ al’ ultimo passo?
Non è che voglia trovare per forza delle convergenze tra sistemi di credenze diverse, ma mi ha colpito questa “vicinanza”. Ciao
Gennaio 3rd, 2009 at 3:12 pm
Sempre io, mi è venuta in mente una cosa: non è sempre ( anzi quasi mai ) semplice “vedere” la propria strada. A volte dopo averne intrapesa una che sembrava “l’ideale” ti riscopri a dover comunque ricominciare da capo. Può essere la propria strada quella di dover “comunque ricominciare da capo”? ( e non parlo delle grandi scelte, da dello stare al mondo ogni giorno). L’ autentica adesione alla propria via è in qualche modo “verificabile”?
Mi rendo conto che la domanda è quasi assurda. Ma ogni tanto il dubbio affiora spprattutto quando ci si scopre diversi da quello che si vorrebbe essere.
Ultima riflessione: è bello però avere le parole anche se possono essere ambigue. Di nuovo arrivederci.
Gennaio 3rd, 2009 at 6:08 pm
Buongiorno a te, Marta.
Sì, certo: mi ritrovo piuttosto a mio agio nella visuale che propone P. Luciano. Molto bello; soprattutto l’immagine di non-dualismo tra Creatore e Creato.
Personalmente prediligo una visione ‘mistica’ del gioco della vita – e perciò mi accordo meglio con la prima parte della sua lettera – ad una visione storica, escatologica delle cose, così cara a grande parte del mondo Cristiano. Ritengo che quel famoso ’ultimo passo’ da compiere, preveda anche un salto ’oltre’ il tempo. Anche il tempo, anche quello inteso come ‘storia umana’, come successione di ere, deve essere infatti trasceso: perché il tempo siamo noi, è ‘io, e quindi non si può lasciare l’io portandosi il tempo – cioè una parte essenziale dell’io – nello zaino. L’io è, infatti, una funzione dello spazio-tempo. La nostra idea del tempo mi pare, appunto, una ‘cosa penultima’. Fa parte in qualche modo della ‘gloria mundi’.
Ma forse sto parlando di cose troppo più grandi di me. O forse è solo quel…’dover comunque ricominciare da capo’. Ogni anno, ogni giorno, ogni minuto, ogni istante. Il risveglio non è qualcosa che possiamo acquisire, metterci in tasca e non pensarci più perché tanto ormai ce lo abbiamo. Appena ci pare di averlo intravisto … ecco, non c’è più e siamo di nuovo nella c…. (Pardon!) …per chissà quanto ‘tempo’.
Ed anche la strada non è sempre la stessa, ma cambia in continuazione.
Forse l’unica cosa che permane è proprio – come tu dici – quel ‘dover ricominciare da capo’. E per questo dover sempre ricominciare – mi pare dica Uchiyama – abbiamo, in modo del tutto naturale, il ‘voto’ ed il ‘pentimento’. Ed infine, l’aprire le mani del pensiero.
Un ultima cosa. Non so se sia ‘verificabile’: e soprattutto non so cosa sia una ‘autentica adesione alla propria via’. Se è la mia propria via, me la sono fatta io, sono io! Più aderente di così! La questione non mi pare posta in modo da poter avere risposte. Penso vada riformulata. O sono ’io’ che non capisco cosa intendi dire.
Ciao
Gennaio 4th, 2009 at 12:23 pm
Buongiorno. Rileggendo quanto è stato detto finora e lasciando un po’ scorrere il pensiero mi accorgo che ci sono tantissime cose su cui vorrei ritornare per poi ripartire. A proposito di parlare delle cose troppo grandi, credo che l’ atteggiamento faccia proprio la differenza. ( Neanche Panikkar, in una sua intervista diceva di essere originale ma solo di interpretare quanto sapeva alla luce della sua propria esperienza ).
Sono andata a rileggere l’ intervista di Uchiyama in Addio ad Antaiji, dove forte è il richiamo ad andare oltre e altrettanto al non sprecare la propria vita. Per fortuna ha ribadito che pochi capiscono il vero signifiato di dharma e ciò che ne consegue, così mi sento meno sola. Paradossalmente sembra molto semplice nella teoria ma appare decisamente complesso nella realtà.
E’ proprio questo che spesso mi mette in crisi e a cui forse facevo riferimento con la necessità che appare ralvolta di ” verificare”. Lo lego al ” pentimanto” a cui hai accennato assieme al “voto”.
Vorrei togliere di mezzo alcuni possibili fraintendimenti: non mi riferisco alle azioni che palesemente sono errate o a peccati che hanno bisogno di chiara (?) conversione. Penso all’ atteggiamento ( che comunque provoca azione ) che talvolta ( o quasi semore ) esula dalla volontà personale. Come posso esimermi dall’ analisi di ciò che sono, attraverso l’analisi di ciò che faccio? Se fossi saggia forse questa domanda non avrebbe senso, ma siccome non lo sono dovrei sapere o capire o intuire da dove e come sorge il pentimento che pure avverto come necessario? Può essere un pentimento tout cout? Non mi viene da dare questa riposta, anche se mi posso rendere conto che in realtà molte delle cose che faccio possono avere conseguenze che io non avverto e non conosco ( anzi probabilmente è proprio così ma non mi sembra possa essere “esaustivo”.)
Potrebbe essere non importante o comunque non necessario per seguire la propria via, ma mi sembrebbe disarticolare una parte dell’io dal tutto.
Tra un po’ le vacanze natalizie saranno finite, se per caso ci sarà meno tempo per dialogare dimmelo così ti saluto. Ciao
Gennaio 4th, 2009 at 6:30 pm
mym, leggi bene: ho per prima cosa precisato che la mia pagina internet è disastrata: non c’è alcuna colonna a destra. Chissà dov’è finita…
Gennaio 4th, 2009 at 7:35 pm
Con pardon, madame, non pensavo fosse così disastrata. Provi a cliccare qui.
Gennaio 4th, 2009 at 7:56 pm
Ciao Marta,
credo che tu possa sentirti davvero in buona compagnia.
Abbiamo messo molta carne al fuoco, forse troppa, in questo dialogo pubblico. Sperare di arrivare a qualche conclusione convincente sarebbe quantomeno presuntuoso.
Mi permetto tuttavia di comunicarti le riflessioni che hai stimolato in me rispetto alla parola pentimento, così come la usa Uchiyama. Dovremmo tutti riflettere attentamente sul significato di certi termini. Non credo personalmente che l’accezione corrente del termine ‘pentimento’ sia la migliore, per interpretare quel messaggio. In genere pensiamo di doverci pentire di azioni cattive, di pensieri malvagi e via dicendo. Il pentimento – per noi di matrice cattolica – presume senso di colpa, macerazione ed autopunizione redentrice. Mi ha sempre colpito vedere un certo atteggiamento di preghiera o compunzione dei fedeli nelle chiese, inginocchiati con il viso tra le mani, con aria sofferente ed implorante, dopo la Confessione o la Comunione. Ricordo mio padre. Ricordo il fastidio, il disappunto nel vedere lui e tantissimi altri in quell’atteggiamento che non mi pareva sincero né opportuno, che profumava di ipocrisia e di ostentazione, perché sapevo che cinque minuti dopo tutto sarebbe stato come prima. Perché potevo capire: ma anche capivo che, anziché rappacificarsi direttamente con coloro che avevano offeso o ferito – cosa che avrebbe comportato un atto di sottomissione e di umiltà – chiedevano ad un ‘Altro’ di intercedere, di perdonare. Ed in pegno, in pagamento di questo perdono, offrivano una scena di macerazione, di autopunizione, di sacrificio, una esibizione.
Mi ricordo la statua del pensatore di Rodin, ripiegato su se stesso, così lontana dalla postura del loto. Certo che posso capire: ci sono situazioni in cui non c’è più modo di chiedere perdono, di riappacificarsi, ed allora non resta che affidarsi alla misericordia divina. Ma sono casi eccezionali, non ordinari..
E questo è un aspetto della faccenda.
Ma poi, ‘in realtà molte delle cose che faccio possono avere conseguenze che io non avverto e non conosco’. E’ una tua espressione. La condivido, certamente. Ma, giustamente osservi, non è tutto qui. C’è anche tutto ciò che penso e che faccio con ‘intenzione’, più o meno lucida, più o meno consapevole. Quello e questo significano comunque che interferisco col corso delle cose, per lo più per ottenere vantaggio personale: guadagnare; sapere. Questo mi allontana dal ‘voto’, dal modo ‘impersonale’ di essere. Qui, a mio avviso, si genera dukkha; il disagio, la sofferenza (anche stavolta si impone una riflessione profonda sul termine). C’è un io che spadroneggia, e dukkha compare.
Il mio stesso vivere come individuo ‘separato’, mi allontana dal voto: di questo mi ‘pento’, pur sapendo che è inevitabile. Questa sorta di ‘pentimento’ è a sua volta un ritornare al voto, alla non intenzione di nuocere, di arraffare. E’ una sorta di denuncia del mio limite, come individuo. E’ un affidarsi, in qualche modo, ad una forza che mi trascende. E’ quello che facciamo in zazen, quando lasciamo andare i pensieri e cerchiamo di affidarci a… mente-corpo; qui ed ora; né mente né corpo. Non-guadagnare non-sapere. Il buddhadharma, come lo definisce Uchiyama col koan di Sekito.
Quante espressioni! Usando le parole si può costruire un discorso; tutto può sembrare facile e chiaro. Ma poi, nel vivere quotidiano, i nodi della nostra superficialità e distrazione, vengono inesorabilmente al pettine. La ‘verifica’ è spietata.
Per fortuna è caduta dal cielo la gemma del Sangha, per cui siamo in buona compagnia. Nel tuo disagio, non sei sola. Non sono solo.
Gennaio 5th, 2009 at 5:12 pm
Caro Doc, è vero che abbbiamo messo tanta carne al fuoco, ma, a volte credo sia importante ( almeno per me )rivisitare il “contenitore”, magari con chi ha la pazienza (e ti ringrazio per questo)di condividere l’avvvicendarsi dei pensieri e delle riflessioni. Non sono sicuramente un’esperta nel campo del buddismo e ho bisogno veramente di ” ricostruire “continuamente il signoficato di concetti, termini affinché non rimangano o scivolino verso l’essere concetti. Però c’è una cosa che sta a monte di tutto questo e che mi è “balzata” alla mente leggendo i tuoi ricordi relativamente al ” pentimento cattolico”.
Parto da lontano: quando ho visto l’immagine del propagarsi della religione cristiana nel video iniziale mi ha fatto sorgere immediatamente due pensieri: quanto “rompiscatole” ( per usare un eufemismo ) siamo stati per arrivare dappertutto e cosa c’è del messaggio originario in questo cristianesimo dilagante? La mia esperienza deli’istituzione chiesa cattolica è stata abbastanza devastante, tanto da generare un rifiuto molto forte verso questa religione.
Però, per farla breve, un giorno per caso, ho incontrato il buddismo e mi sono avvicinata ( con molta diffidenza devo dire ) all’ esperienza di persone come Forzani, Mazzocchi, e poi Doghen e poi
Panikkar… e paradossalmente attraverso di loro ( le loro opere intendo e scritti )ho cominciato a vedere prima e ad “aderire” ( non è la parola adatta forse ) poi ad una religiosità cristiana completamente diversa da quella in cui sono stata sempre immersa. Sono rimasta “ostile” ( almeno è così per il momento ) ad una partecipazioe comunitaria, semplicemente perché in momenti assembleari di questo tipo ( anche fosse nel silenzio dello zazen )mi creano notevole disagio e incapacità di condivisione. Perché ti racconto questo? Perché una domanda di senso mi sorge spontanea ( forse anche più d’una ): cosa può voler significare ” l’adesione ad un esperienza religiosa?” Qualcuno dice che in realtà non possiamo capire e condividere realmente l’esperienza del buddismo se non si “partecipa con immersione quasi ” alla cultura che l’ha generata. Una cosa similare potrei dire dell’ esperienza cristiana: cioé pur immersa nella cultura che l’ha generata ( volendo sottilizzare forse sarebbe da rivedere anche questo )si può dire che si aderisce a questa esperienza non partecipando a ciò che caratterizza la pratica comune? E’ realmente possibile prescindere dall’ appartenza religiosa per “fare” esperienza religiosa?
E poi, è pur vero che il linguaggio dell’ “occidente” mi risulta più semplice da capire, ma per coglierlo “veramente” devo continuamente faticare per togliere tutta la polvere dei condizionamenti che mi è depositata sopra ( e non sempre ci riesco ). Nell’esperienza zen “sembra” più semplice coglierne l’essenza ma forse questo è dovuto alla “scrematura” e all’ interpretazione già effettuate da chi l’ha portata in occidente.
Mi rendo conto che la non appartenza mi genera continuamente dubbi, ma l’accettazione di un’appartenenza con la “presunta certezza” che da questa può derivare mi spaventa ( troppo spesso vedo l’arroganza di chi pensa di essere nella verità).
Ehm, mi sorge un dubbio: può essere questo uno dei tanti modi dello spadroneggiare dell’io?
Ti saluto. Quando hai voglia, mi racconti della gemma del Sangha?
Gennaio 6th, 2009 at 1:20 pm
Ciao Marta,
quando parlavo di ‘tanta carne al fuoco’ intendevo sia l’accavallarsi di temi piuttosto impegnativi che la lunghezza dei nostri interventi, cose che mi pare rendano faticoso seguire il filo del discorso. Non credo che qualcun altro ci sia venuto dietro con attenzione fin qui, infatti nessuno è intervenuto: trattandosi di un blog ‘pubblico’, non dovremmo dimenticarci della sua ‘funzione’.
Questo è il motivo per cui divido la mia risposta in tre parti.
Gennaio 6th, 2009 at 1:23 pm
Quello che più mi ha colpito, nelle tue parole, è la costante preoccupazione della adesione/appartenenza. Mi pare un problema tipicamente occidentale: non credo che in oriente il cambiare religione – è questo il tema, no? – sia vissuto come un tradimento della casa dei padri e sia accompagnato da sensi di colpa così come capita sovente agli occidentali; a noi italiani in particolare.
Forse non guasterebbe mettere noi stessi al primo posto, al centro del quadrato, nell’osservare questo aspetto. Noi sentiamo il disagio di una separazione: tra noi e il modo; tra il nostro fuori e il nostro dentro; tra verità ed illusione. A partire da questo disagio, iniziamo a sentire la necessità di un percorso di riunificazione, di ri-legamento della nostra schizofrenia esistenziale. Cerchiamo di costruirci una ‘Via’, e di solito partiamo attingendo dalla Via tradizionale che la nostra cultura offre. Per noi, il Cattolicesimo; ma solo perché siamo nati qui, in questo tempo. Nulla vieta, tuttavia, di esplorare altri campi, altri percorsi, altre culture od esperienze. Cosa ritenuta normale e positiva in tutti i campi del sapere e della ricerca…tranne che in quello religioso. Personalmente ho smesso di sentirmi un ‘traditorte di Gesù’ tanto tempo fa, ma capisco. (In fondo in fondo, forse, mi gioca ancora un sottile disagio…). Per di più l’aver studiato altre proposte culturali – segnatamente lo zen – mi ha permesso di rileggere a suo tempo i Vangeli con occhi del tutto nuovi, evidenziandone aspetti e significati che prima mi sfuggivano completamente.
Ma non per questo mi sento di ‘appartenere’ al Buddha, al Tao o a Shiva. Casomai sono loro, le dottrine, le scritture, che appartengono a me. Che mi si offrono amorevolmente affinché ne faccia buon uso. Affinché io contribuisca a renderle nuovamente ‘vive’ ed utili anche per altri.
La famosa zattera, che serve ad attraversare il fiume della sofferenza ed approdare all’altra sponda: non è che io appartenga al veicolo che mi traghetta. Uso quel veicolo, poi posso – in teoria – anche lasciarlo. Oppure posso caricarmelo in spalla e tenerlo ben pulito ed in ordine casomai qualcun altro volesse servirsene.
Proteggere e non contaminare. E’ ben diverso dall’appartenere, no?
Io appartengo al Milan; io alla Juve. Io appartingo al partito…Cosa c’è dietro questo continuo bisogno di ‘appartenenza’?
Gennaio 6th, 2009 at 1:26 pm
Quanto al Sangha, che dire? Conosci il termine: in origine la comunità dei monaci. Sempre di più, per estensione in un mondo ‘laico’, la comunità virtuale di tutti coloro che sono sinceramente impegnati in un cammino.
Tu: io sono. Io: io sono.
A partire da questa identità, possiamo farci coraggio e compagnia, aumentare la nostra determinazione ed energia praticando, studiando e discutendo insieme. Come ora. Tu ed io siamo sangha, in questo momento-blog. Esponiamo i nostri dubbi e cerchiamo un punto di vista più elevato attraverso la sinergia degli intenti. Lo saremmo altrettanto se ci sedessimo insieme in silenzio. Nello stesso tempo, col confronto e l’emulazione, ridimensioniamo il nostro io e ci scrolliamo di dosso un po’ delle nostre idee fisse. Ci accorgiamo poco a poco di essere ‘interdipendenti’. Tra esseri umani; con gli animali e le piante; con tutte le cose; aria, acqua, terra fuoco e vento. Non è una gemma di grande valore, il Sangha?!
Gennaio 6th, 2009 at 4:58 pm
Ciao, hai ragione, mi ero parzialmente dimenticata di essere in un blog pubblico che ha una sua funzione. ( Mi scuso, forse non ne sono molto avezza.) E’ che, a volte, ci sono momenti in cui il dialogare è particolarmente pregnante e significato per un cammino e poter trovare un “tu”, in questo senso, non è così facile ( almeno per me ). Un tempo non vale un altro. E questo tempo in cui ho potuto confrontarmi con te è stato un bel tempo. E tutto sommato personalmente non ritengo importante che non sia intervenuto nessun’altro. Lo spazio c’è in ogni momento, grazie a questo sito molto aperto e stimolante: sia per ascoltare che per comunicare. Un grazie di cuore a tutti. Marta
Gennaio 6th, 2009 at 5:05 pm
No, non è intervenuto nessun altro, ma siete molto seguiti (ieri vi hanno “ascoltati” in più di 800), con una media di 500 al dì. Effettivamente se riuscite a ridurre un poco la lunghezza è più agevole seguirvi, però siete interessanti comunque. Vi ho mandato una mail, potete controllare la posta? Grazie. Un saluto
Gennaio 6th, 2009 at 6:01 pm
Grazie a te, Marta. E’ stato un bel tempo.
Possiamo ponderare con calma l’idea di mym.
Essere stati così ‘seguiti’ è sorprendente. Ciao.
Gennaio 9th, 2009 at 1:57 am
Sottoscrivo gli interventi n. 16 e 17 di doc, tuttavia il vulnus del discorso è proprio il senso di appartenenza.Vivo nel profondo sud italia e l’unico linguaggio religioso in acto è quello cristiano per cui, contro voglia, penso e agisco da cristiano. Dunque sono cristiano?Sì, nella misura in cui appartengo a qui vili e miserabili ‘confratelli’ corresppnsabili di molte delle sciagure umane.Persino l’amore, per i cristiani, è una tortura che deve far soffrire, deve far sentire in colpa. Per fortuna i cristiani non sono l’Umanità.Un caro saluto.
Gennaio 13th, 2009 at 5:20 pm
A proposito di piazzate: il Papa concede l’indulgenza plenaria a chi seguirà PER TELEVISIONE l’Incontro mondiale delle famiglie, che sta per iniziare a Città del Messico (sito http://www.emf2009.com, già, proprio così: “punto com” non “punto org”). Sigh, io che non guardo mai la tv dovrò rassegnarmi a finire all’inferno. Poi si stupiscono che nel mondo ci sia gente “di altre religioni”…
Gennaio 13th, 2009 at 5:34 pm
Wow! Lo registro, e poi lo affitto a voi peccatori 😎 .
Ciao, mym
Gennaio 20th, 2009 at 7:13 pm
Beh a me piace il suono delle campane. A determinate condizioni, però. Cioè
– quando le campane sono VERE;
– quando il paesaggio è rurale;
– quando la stagione è estiva;
– quando l’ora invita alla contemplazione;
– quando l’umore è giusto;
– quando il suono non è eccessivamente prolungato;
– quando non si sta facendo conversazione nelle vicinanze;
– quando ripenso che Antonio Ligabue di notte si immergeva in verticale nel fieno e cantilenava “dinnn donnn”;
– e tutta un’altra serie di fattori.
ciao ciao, dinnn donnn…
Gennaio 20th, 2009 at 7:48 pm
Passo subito la lista al don (senza din), che prenda nota….
Ciao, mym
Gennaio 21st, 2009 at 12:56 am
Ti immagini che ulteriore strazio una chiesa con le cacofoniche campane virtuali e di fronte un minareto con un muezzin stonato come una campana? Ha ragione Poletto, meglio stare in campana.
Gennaio 21st, 2009 at 11:16 am
È esattamente quello che volevo dire con il post: non è questione di maggioranza e minoranza, occorre senso della misura e non rompere le scatole. In Marocco, a Meknes, anni fa fui in un albergo adiacente a un minareto: era una follia ancor peggiore di quella del don (senza din) qui a fianco.
Gennaio 23rd, 2009 at 5:29 pm
Buongiorno Marta. Eccoci qui, dunque; a partire – giustamente – dal risveglio.
Ahi ahi! Un tema ostico ai bradipi serotini tra i quali ho l’onore di annoverare la mia modesta persona. Anche noi bradipi, nel nostro piccolo, ci troviamo, al mattino, con gli occhi cisposi di sonno, già a fantasticare sul tempo che viene e ad organizzarci in qualche modo la giornata. Non mi è difficile esserti controparte su questo tema; mi sembri una personcina ‘serenamente organizzata’, che non si lascia prendere facilmente in contropiede nella quotidianità.
Il ‘tema del risveglio’ incarna a mio parere una delle maggiori difficoltà della vita ‘laica’: non essendoci una regola di comunità che ci permetta di agire momento per momento perché qualcun altro (la comunità, la regola, l’abate) scandisce il tempo per noi, ognuno si organizza a modo suo ma nessuno sfugge alla tirannica ‘legge della programmazione’. C’è chi stende elenchi infiniti di cose da fare, scadenzati magari con orari e tempi (i tempi/metodi delle programmazione industriale trasferiti concettualmente alla vita famigliare); c’è chi lo fa la sera prima, per poi addormentarsi con la coscienza a posto. C’è chi cerca di ridurre al minimo questa fonte di stress, chi invece ci sguazza e ne fa una ragion di vita.
Per me rimane a tutt’oggi un nervo scoperto; una delle difficoltà maggiori che mi sono trovato ad affrontare negli ultimi 26-27 anni, da quando, cioè, ho cercato di far quadrare il connubio tra una vita ‘contemplativa’ ed una vita sociale-produttiva.
Non esistono regole, neppure in questo campo.
Tuttavia una considerazione che mi pare interessante è questa: nella nostra esigenza di costruirci ‘sicurezza’ – è vero, una buona programmazione dà senso di sicurezza e di potenza – stiamo attenti a non metterci da soli in trappola. Voglio dire: troppo spesso ci costruiamo bisogni impegni e scadenze che hanno giustificazione ed origine solo nella nostra mente e poi…ci sentiamo obbligati a rispettare quel programma ad ogni costo. E poiché di solito il programma è ridondante – quante cose dovremmo/vorremmo fare! – non solo non abbiamo più tempo per noi stessi e di conseguenza per gli ‘altri’, ma qualunque intoppo od imprevisto (ad esempio l’interferenza con i programmi altrui, la ‘crisi del bagno occupato’…) rischia di divenire per la nostra mente via via più eccitata una sorta di congiura, nei nostri confronti e nei confronti del nostro ‘santo sforzo’ di vivere ordinatamente. E così si porta via quell’ultima, residua speranza di tranquillità dello spirito.
Se ho ben capito, tu sei molto abile a costruirti la giornata; semmai il tuo stress si chiama ripetitività. Ma, ne converrai, molti tendono a capitalizzare, monetizzare il tempo; e questo sovente – molto sovente – collide con gli interessi (‘programmi’) altrui generando contrasti e tensioni. E inibendo anche la capacità di apprezzare buona parte delle ‘cose che si presentano a me’, impreviste ed inaspettate. Uniche, come tu osservi.
Quanti fiori calpestati, quanti paesaggi ignorati, nella nostra folle corsa verso…il nulla. Quanti clacson suonati senza nessunissima allegria!
Gennaio 23rd, 2009 at 8:12 pm
Caro doc, bentrovato! Il tuo commento mi ha fatto ritornare alla mente una domanda che mi ha assillato per parecchio tempo e per la quale non credo, tutto sommato, di avere ancora una risposta “certa”.
Quanto è necessario per una persona “laica” ricavarsi uno spazio-tempo per “coltivare” la vita contemplativa? Cosa fa nascere in una persona “normale”, l’esigenza di porsi di fronte al problema del perchè della sua esistenza? E di tentare di cercare una risposta appunto attraverso un percorso di studio, di meditazione, di pratica, che vada al di là della normale partecipazione ai riti ( senza nulla togliere al significato che questi hanno)? Se la scelta di vita è stata quella dell’ inserimento nella società, diciamo produttiva e familiare, quanto è giusto ricavarsi il tempo per sè e magari sentirsi insofferenti quando gli impegni ti impediscono di “rientrare” nel tuo spazio-tempo?
Decisamente non è un problema di poco conto tentare di conciliare questi due aspetti della vita, senza che uno prevalga sull’ altro o che entrambi “sovrastino” sulla vita che dovrebbe (?) essere vissuta nel modo più autentico possibile. A dire il vero, a volte sono stata tentata di ridurre al minimo ( se non di eliminare ) i momenti “meditativi” e per qualche periodo l’ho anche fatto per vari motivi. Ma dopo un po’, anche l’altro versante ( quello familiare e sociale ) ne ha risentito perché quello che mi mancava non era “altro” rispetto alla normale vita ma ne faceva così parte che nell'”eliminazione” ( perdonami il termine) avevo tolto, come dire, una parte di linfa che alimentava tutto il resto. Chissà se mi sono spiegata! Intanto… buona serata!
Gennaio 24th, 2009 at 2:33 am
Ciao Marta,
hai centrato il nocciolo della questione, secondo me. Anzi, di due questioni.
Ti propongo di analizzare la prima col metro del dolore’, del ‘disagio’. ‘Dukkha’ nelle sue molteplici forme; la prima nobile verità. E’ quella che ci introduce al problema fondamentale, alle domande fondamentali: fatte salve possibili eccezioni, tutti si parte da lì no?
Doghen rimase orfano di entrambi i genitori in tenera età, per fare un esempio a noi ‘vicino’. Lui, che era Doghen, ha reagito allo shock con una domanda ‘autentica’ (cioè al di là dei riti) di ‘verità’. Altri avrebbero reagito forse con spirito di rivalsa sulla vita, di vendetta rabbia odio frustrazione ecc. Molti avrebbero vagato ancora a lungo prima di raggiungere un carico di sofferenza tale da costringerli di nuovo a fermarsi e ‘convertire’ la loro visione delle cose.
Non credo che con questa chiave di lettura ci siano ancora tante persone ‘normali’: la sofferenza è nella vita, è in noi come è fuori di noi. Nessuno ne è esente, anche se qualcuno ne è solo sfiorato ed altri ne sono sovrastati. Però, mi pare tu dica anche, cosa è quella ‘sensibilità’ che fa si che allo stesso stimolo doloroso, due persone reagiscano in modo difforme? Immagino che un buddista dovrebbe qui tirare in ballo la questione della ‘maturazione karmica’ o qualcosa del genere. Un cristiano potrebbe forse parlare di ‘èntità’ del peccato originale?
Però mi sembra uno di quegli interrogativi che ci portano a spasso inutilmente, un po’ come la storiella buddista del soldato colpito da una freccia, che non si fece troppe domande ma se la fece estrarre.
Gennaio 24th, 2009 at 2:34 am
E questo mi conduce alla seconda questione. Mi pare che, per chi entra nella via, man mano che la funzione del dolore come carburante del processo di autosviluppo diminuisce, subentrino altri elementi: la volontà, la comprensione, anche l’attesa di risultati, una sorta di entusiasmo, per arrivare alla fede ed a quello che la fede di ogni tempo e latitudine esprime a parole come l’inarrestabile desiderio di stare sempre più vicini a…. E nello stesso tempo una sorta di ‘disinteresse’, distacco dalle cose del mondo. E infine la testimonianza. Più che elementi irrinunciabili credo siano tutti aspetti del proprio modo di (tendere a) vivere in modo autentico. Dovremmo forse recitare una parte? E che parte? In un cero senso, recitiamo sempre delle parti, ed ogni tanto abbiamo bisogno di ritrovarci, perché umanamente, tra uno spettacolo e l’altro, ci siamo persi.
La pratica “meditativa” e la vita famigliare –sociale-produttiva si influenzano pesantemente l’un l’altro. Interdipendono strettamente, come il cerchio e la botte. Si va avanti così: un colpo al cerchio…uno alla botte… Così ci si affina, alla scuola dei mastri bottai: sbagliando, sbagliando e sbagliando ancora. Almeno, questo è quanto mi capita, e certo ogni buon consiglio è il benvenuto
Gennaio 24th, 2009 at 11:16 am
Buongiorno a voi, Marta e Doc. Ieri ero in viaggio e non ho potuto contribuire con il mio augurio: buon futuro al vostro blog nel blog della Stella!
Gennaio 25th, 2009 at 9:50 am
Grazie mym. Ciao doc. Adesso andrò sicuramente fuori tema ( ahi ) ma vorrei comunque comunicarti i pensieri che mi sono apparsi durante una passeggiata pomeridiana “pensando” a quello che avevo letto sul blog. Premessa: io sono, a detta di chi mi frequenta, una persona notoriamente (sig!) seria, del tipo ” il giorno vissuto è sempre imperfetto quindi…” ecc
Sentire la tua conclusione sulla “ineluttabilità” dello sbagliare ha risvegliato in me il pensiero: ma sbagliamo proprio sempre? …….facendomi riflettere su alcune mie posizioni. Ma non voglio entrare in merito alla cosa che mi porterebbe in un’altra direzione. Mi ha colpito il fatto che ad un ceto punto alcune parti di me venivano portate, per così dire, alla mia “coscienza” attraverso l’ascolto delel tue parole ( cosa che probabilmente avviene nella normale comunicazione ma senza rendercene conto ).
Hai presente quando hai la percezione di toccare con mano un’idea che avevi letto da qualche parte ( che magari ti sembtava di avere capito ma che era rimasta a livello intellettuale? )
Ecco, l’idea era proprio questa: che si comincia a conoscere veramente sè stessi quando ci si trova di fronte ad un altro, che cessa di esssere “altro ” da te ma diventa un “tu”. Conosco “me” quando trovo qualcuno ( a volte qualcosa ) che com-partecipa della mia stessa situazione ( in senso lato ): con questo non voglio chiaramente dire che si debba essere d’accordo sulle cose, si può averle anche opposte ma è la dimensione e l’atteggiamento che fa la differenza.
Ecco, questo ri-annodare una parte interiore di me con un’altra, in una conoscenza reciproca, mi fa intuire uno dei possibili motivi di senso di essere in questo blog. Tu cosa ne dici? Un saluto
Gennaio 25th, 2009 at 4:43 pm
Penso anch’io che questo dia significato al blog. E’ vero, è una specie di ‘dimensione’ quella che fa la differenza. Le persone (noi tutti) si incontrano di solito per competere, affermare, affermarsi e via dicendo: su quest’altro versante accade invece che ci accorgiamo che c’è un ‘filo’ che ci unisce tutti per cui non ci sentiamo più cose diverse, separate, antagoniste. Siamo ‘lo stesso funzionamento’. Come le zucche della parabola di Uchiyama, che dopo aver litigato a lungo si accorsero di essere tutte collegate allo stesso ramo.
Ma questo non risolve naturalmente i problemi e le difficoltà della vita di ogni giorno dove, come singole monadi separate e sovente impazzite, sbagliamo in continuazione. Ma cosa vuol dire che sbagliamo? è chiaro che quella mia è una affermazione relativa e discutibile. Perciò, essendo per me troppo difficile definire lo ‘sbagliare’ al di là della accezione corrente della parola, preferisco cercare di caratterizzarlo in negativo. Quando è che NON si sbaglia? Casualmente sto leggendo un libro degli anni ’70 che non avevo mai letto, di tal Daniel Goleman; qui ho trovato questa frase: “il frutto del Nirvana per il meditante è la purezza morale senza sforzo; infatti la purezza diviene l’unico comportamento possibile”. Ecco, lì non si sbaglia. Ma basta lo spazio di un capello per essere in errore, in un certo senso. E’ un po’ come dire, con Paolo: “ogni uomo è mentitore, solo Dio è verità”.
Scusa se le ho sparate un po’ grosse: quando si affrontano certi temi sarebbe più prudente forse tacere, per non ‘mentire’ troppo. Ma se tacciamo tutti …
un amico mi ha detto, non molti giorni fa, per incoraggiamento: ‘senza castronerie, non c’è Zen’.
Gennaio 25th, 2009 at 7:35 pm
Che bello! Un mondo che canta è sicuramente un mondo migliore.
Gennaio 25th, 2009 at 7:50 pm
Sì, grande musica, grandissima dimensione. Sapere che vi sono persone che impiegano così una grossa parte del loro tempo, energie e risorse apre il cuore.
Gennaio 25th, 2009 at 8:17 pm
Carissimi, essendo un grafomane rompitasche parteciperei ben volentieri alla seduta, ma non si potrebbe “concentrare” un pochino? in fondo è molto zen: mettere bene a fuoco, per poter lasciar-andare meglio… E qui m’interrompo, altrimenti (come scriveva Confucio) rompo gli zebedei. ciaooo
Gennaio 25th, 2009 at 10:48 pm
Lo sto leggendo, mi sta prendendo, lo recensirò, lo pubblicizzerò, forse un giorno lo metterò addirittura in pratica (ehhhhh ‘sagerato!)
Gennaio 26th, 2009 at 12:28 am
Grazie dr, hai ragione. Stiamo provando a trovare una cadenza equilibrata. Troppo diluito o troppo concentrato, non va bene. Benvengano dunque i suggerimenti e gli inserimenti di questo tenore; ed anche nel merito. Buona settimana a tutti.
Gennaio 26th, 2009 at 5:33 pm
Sì in effetti l’argomento scelto è molto stuzzicante: svelare finalmente come si ottenga l’illuminazione buddista una volta per tutte. E poi i segreti dei koan, le misteriose pratiche daoiste dell’eterna giovinezza, gli affascinanti legami tra lo zen e le arti marziali, la Via Della Seta, le spedizioni nel deserto detto Della Morte Certa (Taklimakan), le grotte in cui fu trovato quel testo antichissimo da secoli considerato scomparso… Insomma … Un sullucchero 🙂 🙂 🙂
Gennaio 27th, 2009 at 10:26 am
… oops, mica stavate aspettando me? non ho argomenti “in proprio” da lanciare. ma se buttate un sasso in piccionaia, farò volentieri da piccione. buona settimana anche a voi.
Gennaio 27th, 2009 at 3:55 pm
No dr,rilassati pure. Non “aspettiamo” nessuno: il tuo intervento è stato già interessante e utile così. Certo, se la prossima volta sarai della partita, sarai il benvenuto! ciao
Gennaio 30th, 2009 at 8:35 pm
Caro doc e caro Homosex, rispondo con una certa pena nel cuore, perchè questo senso di isolamento di cui avete parlato è stato un mio compagno di vita per parecchio tempo. Tanto forte da pensare che nessuna appartenenza religiosa mi era possibile a causa del sentimento di diversità, di frattura direi, che avvertivo tra me e l’ ambiente religioso circostante. Poi alcune cose sono cambiate e il senso di solitudine si è allentato, tanto da poter ritrovarmi nelle parole di padre Luciano quando, nella sua ultima lettera, diceva che non noi apparteniamo alla religione ma è il vangelo ( nel caso del credente cristiano ) che ci appartiene. Questo, credo, ci permette di poter essere “religiosi” nel senso reale del termine e di non essere seguaci di una dottrina che, molto spesso o qualche volta, non ci sentiamo di condividere.
Credo sia importante provare “disagio” di fronte ad alcune realtà religiose ( o che si mascherano tali )perchè significa che siamo sempre in cammino, alla ricerca del significato “ultimo” della nostra propria esistenza e che non ci si “accontenta” di risposte standard uguali per tutti.
In questo caso, mi sento di dire, pur nella diversità, siamo “nella stessa barca” e chissà che, remando tutti assieme, non ci si trovi allo stesso approdo.
Un saluto Marta
Gennaio 30th, 2009 at 9:18 pm
Riguardo alle pressioni sociali, nel buddismo “però” c’è un bell’insegnamento a proposito di un famoso rinoceronte che proseguiva diritto per la sua famosa strada. Nel caso di homosex c’è in più tutto il peso dei pregiudizi da portarsi addosso, quindi la questione è ben più delicata. Ma, in linea generale, mi sembra “italiano, troppo italiano” preoccuparsi di che cosa penserà il dirimpettaio.
Gennaio 31st, 2009 at 1:09 am
D’accordo Marta. Però qui, a prescindere da una confessione piuttosto che un’altra, mi pare si denunci la solitudine, l’isolamento di chi si trova a percorrere la Via in un ambito laico, cioè nel tessuto sociale e produttivo usuale. Due mi paiono gli ostacoli: il conformismo religioso, che nulla ha a che fare col cammino (autenticamente) religioso, e lo scetticismo/nichilismo. Sono atteggiamenti trasversali, in qualche modo ideologici, ampiamente prevalenti nella società. Chi desidera percorrere un cammino spirituale si trova costretto a procedere in solitudine o, quando è fortunato, a frequentare ‘ a tempo’ una nicchia di persone, animate dallo stesso suo intento. Cosa che i buddisti chiamano shanga, i cattolici credo comunità ecc. A meno di essere un ‘eroe-rinoceronte’, peraltro simbolo Hinayana se non sbaglio, come suggerisce dr. Esserlo nell’India antica però, da dove ci arriva la similitudine: laddove la ricerca spirituale non era sintomo di qualche pericolosa malattia mentale, ma era piuttosto una scelta virtuosa da tutti riconosciuta.
Gennaio 31st, 2009 at 4:31 pm
Buongiorno a tutti. Forse, nel precedente intervento, mi sono spiegata male. Non era mia intenzione misconoscerre il peso dei condizionamenti nel contesto in cui siamo cresciuti e viviamo. Contesto religioso, ma non solo, perchè a volte è addirittura più difficile porsi a confronto con un “credo” non religioso, elevato a sistema, in cui la verità sembra più oggettiva e quindi, forse, meno soggetta a critiche sul “fondamento”. Si può arrivare a considerare quasi superfluo disquisire sul grado di autenticità delle “religioni tradizionali”, in quanto ci si sente in un “ambiente” che sembra avere eliminato la dimensione religiosa.
Ma (non voglio essere positiva ad ogni costo) non mi sembra che possiamo fare altrimenti che renderci comunque consapevoli della nostra inevitabile condizione di essere condizionati e condizionanti nella nostra piccola o grande “comunità” e da lì partire per…
In un’altra occasione, doc, ( vado a memoria sperando di non sbagliare ) mi avevi ricordato che ciò che costituisce il fondamento più importante non è, nè buddista, nè cristiano ( nè ha, aggiungerei, nessuna altra etichetta)ed è proprio a questo, forse, che dovremmo fare riferimento quando ci sembra di essere “oppressi” da realtà che, in qualche modo, ci rendono difficoltoso quella che pensiamo essere la nostra via.
Speriamo che lo spazio della nostra libertà sia sempre più ampio di quello che pensiamo talvolta….
Gennaio 31st, 2009 at 5:02 pm
Avvisato da un amico mi sono imbattuto in questo saccente scambio (un po’ stucchevole, invero) e ho alcune domande: hinayana è termine in disuso perché insultante e, per di più, perché non indica nulla: chi sono gli hinayana visto che nessuno mai si è riconosciuto né si riconosce nel veicolo inferiore? E poi: come si fa a distinguere con tanta sicurezza un testo hinayana da uno che non lo è? Kosho Uchiyama, abate negli anni settanta di un monastero Zen giapponese apprezzava il testo del rinoceronte, significa che era hinayana?
Gennaio 31st, 2009 at 6:42 pm
La cosa sta scivolando (o lo è già) verso una specie di pietismo.
Cosa si potrebbe dire? Beh, anche il Buddismo mahayana, oltre al rinoceronte theravada, mostra fulgidi esempi di forza. Uno per tutti: Bodhidharma.
Quando ti sembra che il mondo ti sovrasti, vuol dire che sei debole, con poca energia, rinchiuso nelle tue cose, introvertito.
Quando senti che “mangeresti il mondo”, sei forte, attivo, estroverso, positivo, solare.
Sulla base di questa semplice autodiagnosi, puoi costruire il cambiamento.
Potresti dover diventare più forte, e potresti dover calmarti. Come si fa? Beh, ci sono tante scuole…..
Gennaio 31st, 2009 at 6:45 pm
Sì, pietismo è più appropriato di stucchevole, grazie: un capolavoro di equilibrio il tuo intervento, Marcello.
Gennaio 31st, 2009 at 7:19 pm
Ti ringrazio chop.
Le religioni “primitive”, come ad esempio l’animismo africano, ci mostrano quale era anticamente il ruolo della “religione” nella comunità.
In caso di problemi, lo stregone africano, dopo aver fatto dei riti, ti dà da mangiare un erba, ti dice cosa devi fare per un certo periodo di tempo, insomma ti dà anche dei consigli pratici. Questo nell’accezione moderna della religione, è dimenticato. Ma ogni religione, in realtà, ha delle pratiche volte a liberare il praticante dalle sue nubi: (i buddisti tibetani conservano un pò di questo stile) preghiera, digiuno, ecc. Ecco, il digiuno. Sembra una sciocchezza, ma il digiuno di solidi e liquidi è una pratica potentissima. Non è un caso che si parli del digiuno di 40 giorni di Gesù…..
Anticamente la religione era anche medicina, del corpo e (di conseguenza) dell’anima. Mi sembra quasi di dire delle ovvietà se noto l’assonanza di parole come Medicina e Meditazione. Ciao a tutti.
Gennaio 31st, 2009 at 8:18 pm
Beh, innanzitutto grazie davvero: per tutti gli interventi che aiutano a trovare una dimensione di linguaggio equilibrata. E’ ciò che stiamo cercando.
E poi complimenti! Fa piacere sentire voci così autocentrate ed autosufficienti nel Cammino. Sia detto senza polemica, persone così presumo vivano sulla cima del simbolico monte Sumeru: infatti non le incontro mai (mettiamoci un ‘quasi’, per prudenza) , in carne ed ossa. E quando le incontro, persone con così tanta certezza e nessun dubbio, diffido. O si sgonfiano da sè.
Ho usato il termine Hinayana appositamente, nell’accezione terminologica più comunemente diffusa: è Hinayana un processo di autosviluppo che ha come meta la liberazione personale. E’ Mahayana la rinuncia a questo obiettivo a favore della altrui liberazione. Così dicono per lo più i testi che ho studiato negli anni. Certo che è una divisione scolastica, forse in disuso; e molto si potrebbe dire al proposito, finanche ribaltarne i termini. Ma ‘parliamo’: e se parliamo di operare in ambito ‘laico’, direi che la prima ipotesi si autoesclude e quindi rimane la seconda. Se l’obiettivo è far mettere radici solide alla pianta del buddhismo (o se volete del cammino religioso autentico, senza etichette), i rinoceronti non bastano. Anzi, rischiano molte volte di strappar via i germogli.
Mi pare che il discorso sia insabbiato sul piano della mera ‘conoscenza’: ma superata la conoscenza, si apre la dimensione della sapienza. Ed oltre alla sapienza c’è la compassione. Poi, ognuno si ferma un pò dove gli pare. O questa mia è solo fuffa?!
Gennaio 31st, 2009 at 8:45 pm
Vero, le religioni di successo sono primitive. Quelle che invitano all’autogestione sono poco seguite. Più o meno inconsciamente nel prete si cerca il suo antenato sciamano, gli si portano i problemi affinché li risolva. Perciò poi il prete sciamano non vede di buon occhio la concorrenza, laica o religiosa che sia. Il business del potere sulle anime/animi non ha età né prezzo. Additare il diverso per radunarsi nel distinguersi è un giochetto antico che compatta. Interessante questa cosa med-icina med-itazione.
Gennaio 31st, 2009 at 9:30 pm
I rinoceronti ci sono indispensabili. Senza rinoceronti non si va da nessuna parte. E i rinoceronti sono il nostro stimolo per fare meglio, meglio di loro. Un vero rinoceronte desidera essere superato.
Non c’è separazione tra me e gli altri, quindi non si può dire “riuncio alla mia liberazione per quella degi altri”. Le due cose sono una.
Quello che cerchiamo non sono parole: compassione, sapienza, conoscenza. Cerchiamo l’intuito, che abbiamo già, ma abbiamo dimenticato a favore del mentale. Ma non cerchiamo il nostro individuale intuito. Cerchiamo l’intuito di tutti gli esseri senzienti, detto anche “istinto perfetto” o “forza cosmica” o “forza vitale” o “vitalità”. Insomma l’origine della vita, che ci permea sempre e comunque.
In questo senso è “vietato” lamentarsi. T’immagini una comunità di gente che si lamenta? Quanta strada può fare?
Gennaio 31st, 2009 at 10:25 pm
Caro Marcello, tu e chop avete vivacizzato la discussione. Bene. Ma dimmi: sai di cosa parli o ci meni in tondo solo con ‘parole’? quanto dici, mi sa un po’ di ‘scolastico’.
Come si può cercare con successo – cioè, secondo il mio lessico, ‘appropriarsi di’ – la ‘forza cosmica’? c’è un modo, senza abbandonare se stessi!? io sarei interessato… 🙂
Temo si rischi il delirio di onnipotenza.
E diversamente, come dimenticare se stessi senza abbandonarsi a ciò che è altro da noi? e cosa è ‘altro’ da noi? forse un triangolo luminoso, su una nuvola, con una lunga barba bianca; o una spirale multicolore di energia magnetica che ci penetra e ci trasforma in veri duri che non piangono mai, in superman?
Gennaio 31st, 2009 at 11:22 pm
Caro doc, io scrivo quello che mi rimbomba dentro, le letture, le esperienze…mica sono arrivato da nessuna parte…mi sono fermato a fare due chiacchiere. Mi ha colpito il tono del lamento di omosex e alcune frasi di marta…che dovrei dirgli? Suvvia, tiratevi un pò sù…l’ho detto in termini “spirituali”, ho detto che ci sono anche dele vie pratiche, che non è giusto crogiolarsi nelle proprie paturnie. “L’uomo nasce felice, se non è felice la colpa è sua” diceva Epitteto. A me questa frase piace molto, ma non è questione di essere superman o di raggiungere Dio. E’ proprio il minimo che ci viene richiesto dalla vita. “io sono responsabile”, “non incolpo gli altri delle mie menate”. Il minimo che dovrebbe esere riciesto a un rappresentante della razza umana. E ora vado a letto. Ciao!
Febbraio 1st, 2009 at 1:43 am
Perdona quel pò di ironia che mi sono fatto scivolare dalla penna, Marcello. Un chiarimento sembrava necessario, e questa tua ultima nota mi pare un ottimo terreno sul quale, volendo, si potrà lavorare ancora. Le tue parole toccano temi di grande profondità e complessità. Buona notte: e grazie.
Febbraio 1st, 2009 at 11:06 am
Buongiorno! Sì, stamattina ho letto il vostro vivace dialogo e devo riconoscere che al rischio del “pietismo” ( ci sarebbero tante cose su cui soffermarsi, ne prendo solo alcune, altre emergeranno sicuramente più avanti )si può aggiungere il rischio del “quietismo”( tanto per rimanere in tema di -ismo) se si procede e si rimane sulla scia della lamentazione. A volte però, io penso, è anche necessario un’analisi della realtà che ci circonda e che abbiamo dentro ( e se a volte non è positiva ma “depressiva” pazienza!si parte ognuno da punto diversi! Ma torniamo alla necessità di essere “vitali”, sono pienamente d’accordo sulla necessità di andare oltre all’espressioni verbali per recuperarle nella vita ( è una cosa alla quale tengo moltissimo!!) e a tal proposito le ultime poesie di SC mi avevano fatto sorgere proprio la riflessione di quanta parte di noi stessi( uomini della modernità) siamo capaci di investire nelle “emozioni” della vita! Quanto siamo portati a “vivere con superficialità” le “cose” che ci accadono per evitare l’ altra faccia della gioia di vivere, cioè quella della sofferenza che inevitabilmente arriva ( in forma di delusione, mancanza, distacco….)? ( e dagliela, dirà qualcuno a parlare di sofferenza!)Ma, non mi fermo qui. Credo che la “paura” del salto nel vuoto ( necessario a mio parere nella vita in svariate occasioni)esiste ma, mi sento concorde con il nostro poeta, e forse anche Marcello sarà d’accordo, nel dire che non c’è scampo se si vuole vivere veramente.
Un’ultima cosa sulla felicità: leggevo un giorno una cosa che mi è rimasta impressa e che mi torna alla mente spesso: c’era un “santo” che viveva eremita su una montagna e ogni giorno si prostrava a terra e “pregava” con queste parole ” Gli uomini non sanno essere felici”. Penso sia assolutamente vero, e forse è compito dell’ uomo del terzo millennio “recuperare” la possibilità di “essere” dal vuoto che ci ritroviamo sotto i piedi. Non è un’espressione zen ” far luce su quello che sta sotto i piedi? ”
Se sbaglio perdonatemi!
E come comunque, ci sarebbe da riflettere sul fatto “se ” il compito delle religioni è quello di costituire uno strumento utile per rendere più felice la vita degli uomini. ( direi- lo dico perchè condivido questa visione detta da altri ben più autorevoli di me- che anche se in passato è stato spesso così, non è necessario che così dovrebbe essere)
A questo punto dr potrebbe dire: ma non è proprio possibile essere più stringati? Ma cosa vuoi a volte è bello seguire anche i propri pensieri e condividerli.
Buona giornata a tutti!
Febbraio 1st, 2009 at 1:04 pm
E se dicessi che non so cosa significhi, la parola felicità?! Ciò verrebbe preso per un ulteriore piagnisteo? Con buona pace del sig Epitteto (scusate l’ignoranza, non ho avuto il piacere…), la felicità mi sembra una di quelle tante bubbole che si raccontano ai bambini: “…e vissero/ nacquero per sempre felici e contenti”.
Se un bambino nasce focomelico, o è mutilato da una bomba ad 1 anno di vita, è dunque colpa sua? Molto scolasticamente si potrebbe dire di sì, il Karma! E dunque, ben gli sta: ca…voli suoi. Ma altrettanto scolasticamente si può rispondere: no; sì; ni; non ni. Questa risposta, che azzera tutte le elucubrazioni, mi riporta alla concreta realtà ed al pragmatismo con cui affrontarla. I soldi, il successo con le donne, il SUV , la cocaina, gli addominali scolpiti. Oppure gli sciamani, gli analisti, l’alchimia, l’acquisizione dei dieci poteri sovrumani dei buddha.
Se penso che il sig Seneca mi disse un giorno:<Uomo, non puoi vivere del tutto senza pietà!..
Masochista!
Febbraio 1st, 2009 at 4:05 pm
E se dicessi, e con questo lascio (per il momento) il computer, che, noi uomini e donne normo- dotati e viventi nell’area del mondo che vive spesso solo i problemi degli altri, ci preoccupiamo di trovare i modi per essere “felici” o comunque di sentirci all’ altezza, perchè abbiamo perso il senso della “realtà”? Perchè non la sappiamo riconoscere o meglio vivere ( e magari ci riescono quelli che noi pensiamo emarginati), nella sua, posso dire, vera essenza? E non chiedetemi qual è : ci sono gli esperti per questo!
Elucubrazioni a parte, spero che l’ umanità non si risolva nel “voglio essere felice!” Arrivederci.
Febbraio 2nd, 2009 at 3:31 am
Good morning people! Sono commosso da questo spazio celebrativo della mia solitudine…Provo a riprendere il filo. Il fondamento della mia pietà è l’odio per gli esseri umani. Quella generalità dei consociati che sono costretto a incontrare in ossequio alla evangelica pratica religiosa.In questo senso il Vangelo è la massima accortezza politica.Che cos’è la compassione? Parlare agli uomini, parlare con gli uomini è ‘amarli’. Non so cosa sia la libertà. Solo chi non deve fare i conti con il problema di un’esistenza borghese può essere libero…di non essere. Di non essere soprattutto una persona morale, cioè di superare l’ipocrisia sulla morale.Non esiste nessuna morale ma solo un dibattito fra specialisti. Alla impotenza dell’azione, della morale, non restano che solo le parole…
La neikosofia (Neikos-Odio)risponde,invece,ad un’esigenza diversa. E’ una tensione negativa verso l’umanità, odiarla, e tuttavia non poterne fare a meno in virtù di suddetta tensione.Conseguentemente il neikosofo è atterrito dall’umanità e la odia per il sapere o per quel che il sapere gli fa sapere.Non è pessimismo…La neikosofia(l’odium dei, il taedium dei,etc.) sostiene: philosophus philosofo lupus. Senza l’odio per l’umanità di cui testimonio chi supererebbe le tre prove: il drago fiammeggiante, il gigante cattivo, il pettine avvelenato? E se non saranno superate, chi potrà mai amare il sapere, chi mai potrà parlare agli uomini?
Febbraio 2nd, 2009 at 6:59 am
Un pensiero che dichiara il mondo cattivo è per lo meno cattivo quanto il mondo.Questa è la mia generosa tesi(ma ho sempre in mente lo scopo).Ogni religione identifica la propria fede con la verità unica e assoluta. Questa identificazione è ovviamente impropria, perché la fede “crede” proprio perché non “sa”.Di questo pensiero irrazionale non vi è sistema ma solo narrazione. Io non credo che due più due faccia quattro perché lo so, mentre “credo” nell’immortalità dell’anima proprio perché non lo “so”. Identificare la “fede” con il “sapere”, fare questa confusione, come tutte le religioni fanno, è il primo atto che rende impossibile il dialogo. Come si fa infatti a dialogare con chi è pregiudizialmente convinto che la propria fede sia l’unica e assoluta verità?
Febbraio 2nd, 2009 at 7:40 am
Nel mondo senza regole e confini dove tutto è possibile, nel mondo della fantasia e della intuizione, in cui ci ritroviamo ogni volta che riflettiamo, la nostra lucidità ne guadagna e si estende. Ma l’abisso in cui ci mette ci costringe a tornare al grigiore abituale, almeno nelle cose della vita.E’ così che questa resta sempre indietro, e non segue l’intelligenza che vorrebbe trasportarla chissà dove. Ecco perché il primato della vita, occulto o manifesto, si afferma sempre.Per questo si pone il problema se le teologie non debbano essere sottratte alle chiese e restituite ai ‘brahamani’, agli ‘immoralisti’, ai ‘rinoceronti’ affinché si metta la parola fine alla pax religiosa e si combatta una guerra fatta di evidenze ed idee e non di armi. Le parole greche che incominciano con il prefisso “dia” segnalano infatti una massima opposizione, come la parola “dia-metro” che indica i punti massimamente distanti della circonferenza, o la parola “dia-volo” che nomina il massimamente distante, anzi l’avversario di Dio.Gli incontri concilianti non servono a niente e non mi fido delle religioni che non entrano in conflitto.La neikosofia si annida laddove l’individuo è compiuto e non può essere più oggetto di ‘fede’ ma di concetto. E se i concetti sono la mia anima e attraverso di essi filtro i miei umori gli individui altro non sono che concetti incarnati.Che mi importa delle religioni?L’immagine di un Dio di cui niente si può sapere se non incarnandosi (schema presente anche nel buddismo) mi sembra invecchiata e legata ad un’immagine diveniente dell’uomo. Nell’uomo compiuto non si ha divenire ma solo distruzione.Migliorare l’istinto è una patetica contraddizione ed esaurite le risorse dell’agire non rimangono che le virtù taumaturgiche della parola.
Buona settimana a tutti:e grazie.
Febbraio 2nd, 2009 at 2:06 pm
“Gli incontri concilianti non servono a niente e non mi fido delle religioni che non entrano in conflitto”(n.20): ben detto, perbacco! Invece non mi quadra “Non esiste nessuna morale ma solo un dibattito fra specialisti”(n.18). Fatto salvo che nel 99,99% dei casi è così, quando la morale è funzione di un fine: esiste, relativamente (come ogni cosa nel mondo) ma esiste.
“Tensione negativa verso l’umanità, odiarla, e tuttavia non poterne fare a meno”(n.18), qui il volo si fa teso, rischioso e interessante. Se tu non dessi l’impressione di passar la vita a “guardarti l’ombelico” ci divertiremmo un sacco.
Febbraio 2nd, 2009 at 3:47 pm
Ho ricevuto molte emozioni dalle vostre mail lasciate che vi doni tutto quel che ho e non nasconda nessun recondito pensiero.Se devo parlare con il ‘cuore’ preferisco quello generoso di Re Lear, che lo portò alla rovina, a quello prudente e lungimirante di chi raddoppia i suoi beni, affinché mi ri-trovi solo nella landa in tempesta come quel vecchio pazzo.Lasciate dunque che io sbraiti e dica sciocchezze:forse vi si nasconde una perla.
Febbraio 2nd, 2009 at 4:35 pm
Senza “discriminare” nessuno, ma l’intervento n. 22 è il più bello in assoluto. Così sia.
Febbraio 2nd, 2009 at 4:36 pm
Caro M. io ho ragioni da vendere per questo mi lamento.A dispetto di quanto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, art. 4, parte 2°, non mi interessa contribuire allo sviluppo materiale e spirituale di questa società. Il mio impegno civile si esaurisce nell’indifferenza e nell’apatia.Se il mondo è andato in malora io non ne ho nessuna colpa; di più è la mia irresponsabilità che mi rende beato e felice. E il karma? E’ causato dalle generazioni precedenti, che c’entro ‘io’? L’incoscienza promessa dal neikosofo può solo dirci di non abitare la verità, ma semplicemente una cultura con le sue limitate caratteristiche. E’ all’interno della conflittualità,invece, che va ricercata l’autenticità di una religione. E’ possibile dialogare e reperire un punto di convergenza solo se i dialoganti sono disposti ad ammettere che la posizione dell’altro disponga di un gradiente di verità almeno pari alla propria. Questa infatti è la vera essenza della “tolleranza”, che non significa tollerare la posizione dell’altro (questa se mai è solo buona educazione), ma ipotizzare, almeno in linea di principio, che le tesi dell’altro possano essere vere o addirittura più vere delle proprie. Sono disposte le religioni, quando si confrontano, a disporsi in questo atteggiamento mentale? La mia risposta è no, per la ragione che segue.Quando con la sua nascita, la filosofia volle emanciparsi dal mito, e in seguito da tutte le religioni, Platone prese a parlare di un “grande capovolgimento (meghíste matabolé)” dovuto al fatto che Dio abbandonò il timone del mondo e gli uomini, lasciati soli, non ebbero altra possibilità di governare se stessi se non inventando la politica, ossia la libera discussione tra loro che consentisse a maggioranza di prendere decisioni (Politico, 272 e – 273 b). Il dialogo, dunque, come oltrepassamento della religione, la libera discussione politica come oltrepassamento delle credenze fideistiche, le quali, radicandosi e definendo le basi antropologiche delle diverse culture, sono nell’impossibilità di dialogare tra loro e quindi di pervenire a una comune conciliazione. Se le religioni non sono in grado di aprire un dialogo fra loro, non resta che prender dimora in quella che Kant definiva “l’isola della ragione nell’oceano dell’irrazionale” che, pur con tutti i suoi limiti, trova la sua applicazione pratica in quella che Platone ha chiamato “politica”. Il mio sogno ridicolo è creare una neikosofia ‘giusta’, che non millanti credito, con uno scopo sopra gli altri:l’allargamento della coscienza già raggiunto privatamente, fino ad una illuminazione collettiva che portasse luce su tutto, e quindi fino all’acquietamento della conoscenza. Inventare un mondo, cioè, dove il saputo metterebbe alla gogna il sapere.Non a torto, le filosofie ‘serie’ si affrettano a deridere la mia Utopia bollandola come una nuova neverland o un empio sangh
Febbraio 2nd, 2009 at 5:07 pm
Una nuova neverland non mi dispiacerebbe. Le “religioni” non esistono, ci sono gli autonominati rappresentanti professionisti del classico chiacchiere e distintivo. Suppongo che, se interpellati, i rappresentati per lo più si dissocerebbero. Ma, mi sovvien, perché poi le religioni dovrebbero dialogare? Sì è vero: le guerre ecc. ecc. A ben guardare benché si parli di crociati o mezzelune dietro c’è il petrolio, i diamanti, le colonie… Che sia la politica che ha fatto, e fa, i più danni? Dogen, san Francesco non mi pare.
Febbraio 2nd, 2009 at 5:35 pm
Più che lamentarmi, bestemmio molto…Mi ripeto:può l’idea di Dio essere a me ipso facta?Può essere inventata un’idea semplice?Forse Dio si dà tutto in esteriorità e non ha ‘interno’. Ciò che si prende per tale è la proiezione dell’esteriorità in esso e il fatto che la rifletta.E’ l’esteriorità ad un altro livello…
Febbraio 2nd, 2009 at 6:03 pm
Dai cheppalle, anche tu con ‘sto “dio”, neanche fosse tuo cugino. Comodo averci quella paroletta a cui appiccicare qualsiasi cosa senza mai assumersi responsabilità. Proposta: invece di usare il nome del Trino, uscir di metafora, parlar chiaro. Oppure, necessitando: in questo commento col termine “dio” intendesi: e via elencando. Altrimenti fai la parte del prete, che tanto lui lo sa e tu no.
Febbraio 2nd, 2009 at 8:03 pm
Sono appena rientrato da una passeggiata.:)Nel momento in cui trovo che l’idea di Dio non si può inventare l’apprentissage è compiuto.Anche oggi ho adempiuto al mio proposito:togliere qualche attributo divino a Dio.Ci sono riuscito?Mah?!Ho preferito valorizzare il quotidiano e la sua banalità, ho fatto della banalità la mia grandezza.”Essere un ‘uomo’ in mezzo agli uomini.Affrontare la vita quotidiana e le sua banalità:ecco la nostra vera grandeur”(Descartes).Ho approfittato della vita così com’è;e certi giorni così com’è non significa nulla.E’ vero, non si può vivere filosoficamente, ma ben si può pensare filosoficamente, o ce lo vieteranno?
Adieu mon auditerues.
P.S. Con riserva di dedurre e articolare ulteriormente(magari in un’altra occasione,non ho tempo per i dizionari…Pazienza!).
Febbraio 2nd, 2009 at 8:23 pm
Insomma si pensi a me non come ad un dotto dottore di teologia, o ad un prete travestito ma piuttosto come ad un disadattato.Che so io, ci si immagini un tipo alla woody allen che invece di avere la ventura di nascere a NY sia nato nel sud italia.Porco dinci.
Febbraio 3rd, 2009 at 12:48 pm
Grazie, alla prossima volta.
Febbraio 3rd, 2009 at 9:48 pm
In alternativa, la puntata n. 9 della rubrica “Intruso”, dedicata a Morticia Addams, sarebbe stata la seguente. SPEZZONE da una puntata della classica serie tv “La famiglia Addams”: Morticia decapita accuratamente un mazzo di rose, poi butta i fiori e mette in vaso le spine. — > Compitino per gli smanettoni di YouTube
Febbraio 4th, 2009 at 5:11 pm
Di Morticia mi piaceva soprattutto la Huston, da giovane…
Secondo te, come fa a metter le spine in vaso? Una per vaso? A manciate?… 😛
Febbraio 4th, 2009 at 5:25 pm
Nel senso di “i gambi con le spine”. Sei maestro in Israele e non sai queste cose?
Febbraio 7th, 2009 at 7:43 pm
Bello.
Tradurrei:
Desiderio avvicina
qui nuota così profonda mente
che si scorda il ricordo
ciao
j
Febbraio 7th, 2009 at 7:44 pm
pardon, va diviso come segue:
desiderio avvicina
qui nuota così profonda mente
che si scorda il ricordo
Febbraio 7th, 2009 at 10:34 pm
bellissimo. potremo anche fare che ogni mese mando in anticipo a Jiso l’inglese e lui lo traduce. una lavoro a quattro mani (senza pretendere di essere scimmie). facciamoci un pensierino e… non scordiamolo. ciao! grazie.
Febbraio 9th, 2009 at 11:10 am
Quando Luciano, una decina di giorni or sono, mi inviò quella lettera gli scrissi: “Mi è piaciuta la tua lettera a proposito di guardare alla vita ed alla morte con medesima dignità, vi è un ché di blasfemo in tutto questo rifiuto della morte”.
Febbraio 9th, 2009 at 12:20 pm
Qualcuno ha detto, riferendosi a questa dolorosa vicenda, “invidio chi ha certezze”. Personalmente ho il dubbio che quella di Eluana sia vita ma penso che tutti, anche chi non ha alcun dubbio, dovremmo osservare, di fronte alla scelta sofferta di un padre, un rispettoso e dignitoso silenzio.
Febbraio 9th, 2009 at 12:30 pm
Sì, il silenzio “era”, anche secondo me, la risposta più partecipe sino a un paio di giorni or sono. Mi ha scandalizzato non l’assenza di senso etico del Presidente del Consiglio (non è una novità) ma l’appunto fatto a Napolitano, da parte della Chiesa, per aver fatto il suo dovere. Per la velocità con cui è stato compiuto un simile passo è difficile non vedere una saldatura tra gli interessi più bassi di chi intende le Istituzioni come il proprio strapuntino e la Chiesa cattolica. Mi ha ricordato il rapporto tra il franchismo ed i vescovi spagnoli.
Febbraio 9th, 2009 at 12:39 pm
L’intervento di p. Luciano è quanto di meglio si sia sentito su questo delicato (e italiotamente sbraitato) argomento. Da parte mia, riporto l’opinione di un cattolicissimo biologo, docente all’università, che su questi temi ripete sempre “Non vorrei essere io a dover decidere” proprio perché di scontato e di divisibile con l’accetta non c’è niente. Sul caso Eluana in particolare, aveva lui stesso delle perplessità a ritenerla “viva”. Ma anche nell’ipotesi sia giusto salvare Eluana, aggiungo: si era fatto un roboare infinito sul caso Welby, il presidente Napolitano e tutti gli altri che esortavano: “Ora occorre una legge”… e dov’è?
Febbraio 9th, 2009 at 12:52 pm
Nel “dovremmo” includevo anche gli “sciacalli” delle varie istituzioni. Ma visto che essi non hanno avuto quel sano pudore di tacere, sono d’accordo con mym a sottolinearne lo strumentale operato.
P.S. Persino il vecchio Andreotti (cattolico) si è dissociato…
Febbraio 9th, 2009 at 12:59 pm
Sì, ho notato Andreotti, e mi è tornato a mente un altro “ricordo” antico: “Arridatece er puzzone!”
Febbraio 9th, 2009 at 11:46 pm
Di Eluana in questi ultimi giorni ne ho parlato in casa con le mie figlie, fuori con gli amici ed i colleghi di lavoro, così sarà stato per molti di noi. Ogni volta ho percepito la limitatezza delle mie parole e tutta la loro inadeguatezza, per questo motivo esse finivano ogni volta per ricondurmi ad una necessità di silenzio. Troppe facile e babbeo parlarne senza quelle conoscenze tecniche che credo necessarie per non scadere in discorsi da bar e più ancora, senza essere psicologicamente ed affettivamente toccati dalla tragicità di una situazione simile. Allora solo una considerazione si faceva largo in me: la vita e la morte sono strettamente connesse tra di loro e senza l’una non esiste neppure l’altra. E soprattuto che di essa ne abbiamo una terribile ed angosciante paura! Per questo tutto il pensare su Eluana si è fatto ideologico, per ambedue gli schieramenti formatisi. Sono decisamente mancati in tutta questa vicenda delicatezza e rispetto, in questa società che ormai tutto trasforma in spettacolo, inclusi i momenti più delicati della nostra vicenda umana.
Poi ho provato sdegno e forte preoccupazione per l’atteggiamento del presidente del Consiglio, per il suo attacco alla Costituzione ed alla Democrazia nel nostro Paese. Lo sappiamo bene, troppi politici italiani sono soltanto a caccia di voti e consensi per rafforzare il loro potere, altro non gli interessa. Ma anche disgusto nei confronti della gerarchia della chiesa Cattolica e le sue continue e pressanti ingerenze nella vita dello Stato. Ma in tutto questo Eluana e Beppino Englaro non c’entrano un bel niente.
Febbraio 12th, 2009 at 5:30 pm
Grazie Marta e Doc, spero proprio ci sia un prossima volta…
Febbraio 15th, 2009 at 6:57 pm
“E’ proprio dell’anima il logos che accresce se stesso”. Lo si potrebbe interpretare così: l’uomo ha un’anima nella misura in cui il suo logos si sviluppa? Ossia, anima non come punto di partenza ma di arrivo? estendendosi fino al Logos universale “cibernetico” teorizzato da Spinoza (ma anche da Dante: le anime del Paradiso non attingono più dal proprio bagaglio di memoria, bensì da quello globale condiviso, alias Dio. Per questo i beati danteschi non hanno “personalità” come i dannati dell’Inferno)
Febbraio 15th, 2009 at 10:01 pm
Il logos è uno e comune, scrive Eraclito. C’è di sicuro la percezione di qualcosa di universale, però è difficile poter precisare di che cosa intenda parlare il filosofo data la frammentarietà del suo testo. Certamente non era interessato, né poteva esserlo nel momento storico in cui viveva, alla personalità individuale: piuttosto il problema è quello della conoscenza.
Febbraio 16th, 2009 at 12:06 pm
ottimo, grazie. Appuntamento al prossimo “caffè filosofico” (qui a Perugia esiste davvero… ma non lo frequento)
Febbraio 17th, 2009 at 10:10 am
Molto male…. Nel caffé sta meglio la filosofia che lo zucchero!
Febbraio 17th, 2009 at 10:43 am
Cara Cristina, la mia impressione era che al Caffè in questione, più che filosofia, si facesse “cazzeggio”… e non credo che sarebbe una legittima traduzione di “logos” 🙂 Vero è che esisteva il termine equivalente “spermòlogos”, che non è una roba erotica come penserà il lettore non grecista.
Febbraio 17th, 2009 at 5:41 pm
Ei ei ei! Niente turpiloquio bel quì. Pazienza cazzeggio che oramai anche all’asilo, ma quell’altra no. Che poi zio ratzi ci fa tottò!
Comunque, già leggendo il Grande Semerano, che accostava la Sfera de L’Essere-tutto-pensante di Parmenide al logos di Eraclito, mi era balenato. Ora mi sembra più evidente: se è uno e comune, addirittura universale, alligna nell’anima ma non è l’anima, anzi le anime non attingono più dal proprio bagaglio di memoria, bensì da quello globale condiviso… non c’è dubbio: l’è lu, è il berlusca!
Febbraio 17th, 2009 at 7:18 pm
Eraclito mi ha comunicato attraverso il logos universale cui mi pregio di attingere: Finalmente uno ha capito! Bravo!
Ma questo cazzeggio è adatto a queste pagine?
Febbraio 17th, 2009 at 7:20 pm
🙁 🙁 🙁
Va bene, vado dietro alla lavagna e mi taccio
Febbraio 18th, 2009 at 10:31 am
Accipicchia. Ho toccato i fili dell’alta tensione. Almeno così sembra dalle mail che continuo a ricevere (otto ad oggi) in cui mi si accusa di: A) trattare con leggerezza e superficialità temi seri e pregnanti. B) Mancanza di correttezza (sic) e sensibilità per chi redige certi articoli che implicano anche un coinvolgimento personale. Mi scuso. Volevo “solo” scherzare sull’argomento “Dio”. Scherza coi fanti…
Febbraio 18th, 2009 at 10:47 am
“E chi ti avrebbe autorizzato?”
(firmato) Dio
p.s. se io, Dio, sono la memoria universale, sono ANCHE dentro di te. Tratta bene il tuo corpo, come dicono le pubblicità dei centri fitness. Does it fit?
Febbraio 18th, 2009 at 6:22 pm
Occhio mym, il 17 febbraio è un giorno pericoloso per chi ha il vizio di scherzare su Dio.
(Firmato): Giordano Bruno
Febbraio 18th, 2009 at 10:32 pm
Caro mym, secondo me Dio ti ha perdonato: sei andato dietro la lavagna, hai abbassato gli angoli della bocca… Quali segni di pentimento possono essere più convincenti?Sempre secondo me, per questa volta hai evitato il rogo… anche se il perdono degli uomini è più lento.
Febbraio 18th, 2009 at 11:12 pm
M’ym-lumino d’immenso. (firmato: Lucifero, etimologicamente preso)
Febbraio 19th, 2009 at 1:52 pm
Per questa volta? Bene. Siccome è sempre questa volta … Però, così, tanto per dire, com’è che tanta gente prende le difese o interpreta il pensiero di dio? Non è per dire: se si tratta di atei vuol dire che smargiffano. Se si tratta di credenti: al rogo al rogo!
Febbraio 19th, 2009 at 2:18 pm
Bella domanda. Speriamo che qualcuno di questi difensori e/o interpreti voglia risponderti su queste pagine, e aspettiamo…
Febbraio 19th, 2009 at 4:34 pm
Se Dio è il famoso Logos universale (ecco, tutta colpa di Cristina!), per definizione “parla” attraverso tutti.
Se Dio viceversa non esiste, se qualcuno parla a Suo nome, Lui non può offendersi. Q.E.D.
(p.s. dimostrazione di Spinoza per l’esistenza di Dio, Etica, I, 11: Dio esiste perché nessuno glielo può impedire)
Febbraio 19th, 2009 at 6:42 pm
Elamadò…. Se esiste tutto ciò che non si può impedire come mai non ti si gonfia il naso per il pugno che non puoi impedire che esista? Eppoi, ammesso e non concesso che parli, ma proprio con me se la doveva prendere?
Febbraio 19th, 2009 at 7:04 pm
infatti, se mi arrivasse “effettivamente” un pugno, il naso subirebbe quel genere di processo somatico. in questo momento però lo IMPEDISCE la distanza (thank God for creating distance).
Poi, mica ce l’ha con te: se è il Logos universale, ha preso in giro Se stesso per bocca di una parte di Se stesso chiamata mym.
Febbraio 19th, 2009 at 7:24 pm
Di qualcosa sono sicuramente colpevole, ma non di aver stabilito che logos=dio… Anche se devo ammettere che, ammesso che egli ci sia, non poteva scegliere voce migliore della mia per esprimersi alla comprensione dei vostri nasi!
Febbraio 19th, 2009 at 9:44 pm
Infatti. Noi PENSIAMO (logos) molto più con il naso che con il cervello. Parola di Friedrich Nietzsche.
Febbraio 20th, 2009 at 1:01 am
Per sostenere quella affermazione bisogna partire dal presupposto che l’olfatto è considerato normalmente il più ‘antico’ dei sensi, sennò non è che stia tanto in piedi. Quindi Nietzche aveva memoria lunga e fa risalire i primi mattoni del pensiero alla sensazione olfattiva, direi. Ma mi vien da pensare che il tatto dovrebbe essere, a rigor di logica, più antico dell’olfatto; quantomeno nell’aspetto di sensazione propriocettiva, in quanto non presuppone neppure un’esterno. Vista così, è l’essere-ciò-che-siamo – cioè la sensazione propriocettiva ‘base’ – che ci fa pensare prima, e quindi più, del naso o del cervello.
Scusate il cambio di prospettiva.
Febbraio 20th, 2009 at 7:31 pm
Bravo doc! Così, cantagliele chiare a quel todèsch, che poi anche Canetti diceva che il tatto. E Canetti è Canetti, eh!
PS: me la posso prendere con le puzze di Nietzsche o succede un patatrac come quando me la son “presa” con Lui…?
Febbraio 21st, 2009 at 12:38 pm
Ah, beh! meno male che mi legittima il sig. Canetti…Sennò…
Senza un accredito eccellente, chi si osa più banfare!?
Febbraio 21st, 2009 at 3:30 pm
non fatemi dire bestialità, oggi che compio 40 anni
Febbraio 21st, 2009 at 4:43 pm
Be’, già questa non è male… 🙂
All’epoca che fu si diceva di non fidarsi di nessuno che avesse più di trent’anni. E dico poco se dico poco.
Comunque poi non accusate me di eccesso di cazzeggio
Febbraio 21st, 2009 at 5:08 pm
Chissà perchè la vocazione segue tutto questo iter lungo, formativo e complesso quando si tratta del genere maschile. Le vocazioni femminili sono ancora nell’ombra: siamo inadeguate noi all’ Istituzioni o sono loro che sono inadeguate a noi?
Devo dire che almeno nel campo della mistica cristina possiamo trovare qualche “importante” figura femminile .. ma per quanto mi sforzi, non riesco a trovarne nè nel buddismo, nè nell’ ebraismo ecc. Ciò mi fa sorgere un “serio” dubbio: non è che la religione sia ancora “un affare” da maschi? E, di conseguenza, la femminilità, dal punto di vista religioso, è un’utopia verso cui tendere o …qualcosa da evitare?
Ciao a tutti
Febbraio 21st, 2009 at 5:19 pm
Tra i sutta del Tipitaka (e sono migliaia) ve n’è solo uno la cui redazione è attribuita ad una donna, l’Itivuttaka. Tra i sutra mahayana neppure uno. L’unica analisi fatta veramente bene da me trovata sino ad ora sull’argomento “la religione è una “cosa” da maschi?” l’ho ascoltata (per bocca di una donna) nella scena finale de Samsara, quello che a mio vedere è il miglior film buddista prodotto ad oggi. Forse è possibile meno perigliosamente rispondere al quesito finale, ovvero se “la femminilità, dal punto di vista religioso, è un’utopia verso cui tendere o …qualcosa da evitare”. Io direi da evitare, come ogni genere, maschile, bi, tri ecc. Quel poco che ho capito di religione mi porta a dire che è uno dei pochi luoghi sufficientemente profondi da potersi dire androgini o asessuati o dove non ci sono (più) differenze neppure di genere. Interessante, comunque, che sia una donna a scrivere sul “mestiere di prete” e ancora una donna ad aver scritto un commento a questo post
Febbraio 24th, 2009 at 9:48 pm
Ciò che io sono e posso non è affatto determinato dalla mia individualità.Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne.E quindi io non sono brutto,perchè l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva è annullata dal denaro.Io sono un uomo malvagio,disonesto,senza scrupoli,stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo
possessore.Il denaro è il benbe supremo, e quindi il suo possessore è buono.Io sono uno
stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le coe, e allora come potrebbe essere
stupido chi lo possiede?Inoltre costui potrà sempre comprearsi le persone intelligenti, e
chi ha potere sulle persone intelligenti non è più intelligente delle persone intelligenti?Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui aspira il cuore umano non possiedo forse tutte le facoltà umane?E se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che unisce a me la società, che mi collega con la natura e gli uomini, non è il denaro forse il vincolo di tutti i vincoli? Non può esso sciogliere e stringere ogni vincolo?E quindi non è forse anche il dissolvitore universale?Esso è tanto la vera moneta spicciola quanto il vero cemento, la forza galvano-chimica della società. In quanto moneta corrente il denaro è ricchezza.In quanto gforza galvano-chimica che struttura tutte le relazioni sociali il denaro è sistema. Che me ne faccio dell’illuminazione se non ho denaro?Per questo la nolontà o l’etica della rinuncia non è più percorribile.E sul cristianesimo che dire?Il suo colpo di genio fu la carica di ottimismo impresso all’occidente grazie alla vittoria sulla morte con la promessa di una vita ultraterrena.Ma io non sono cristiano, o per intenderci sono pessimista e il pessimismo lo apprendo da mestesso, non me lo insegna nessuno.Jai guru deva (om).
Febbraio 26th, 2009 at 12:10 pm
Jai guru deva om. Mi riporta ai Beatles, tanto tempo fa. Invece la galvano-chimica ai “Gatti di Vico Miracoli”: Travaiava alla foto galvanica, el crediva n’tel bum economico, el disian ch’era filobolscevico, perché andava a dormire alle tre…
Uno dei meriti del pezzo di Uchiyama presentato nel post è il tentativo (alchemico? Galvanico?) contrario alla norma comune: trasformare il denaro-potere in mezzo di sussistenza mondato, puro. Per fare ciò, propone l’atteggiamento della questua: basare (anche) la sopravvivenza economica, materiale, su un atteggiamento privo della coltivazione del desiderio, indirizzato alla gratuità. Secondo il principio del Vinaya: non impossessatevi di ciò che non vi è stato liberamente e consapevolmente dato. Non cercate di ottenere null’altro che il necessario ad una vita volta alla pratica religiosa.
Febbraio 26th, 2009 at 2:07 pm
Se ho ben inteso, concordo.
Ne consegue che: A) la questua come mezzo per la sussistenza, è una attività economica come qualunque altra (per evitare equivoci verbali consideriamo solo quelle che i testi legittimano a cortollario del ‘retto sostentamento’). B) che quello che fa la differenza nelle attività ‘economiche’, cioè finalizzate alla sussistenza, non è il ‘cosa’ ma il ‘come’, cioè l’atteggiamento indirizzato alla gratuità o al non-tornaconto personale. C) che la questua è una ‘pratica’, un esercizio suggerito per comprendere ed imparare a praticare quell’atteggiamento. D) che, dato C, considerare la questua ‘il’ modo per sbarcare il lunario presuppone la scelta di non entrare a far parte attiva della società comune, con forte sospetto di ‘spocchiosità religiosa’.
Febbraio 26th, 2009 at 2:18 pm
Un aspetto che mi ha colpito maggiormente della questione denaro nel racconto di Uchiyama è la dimensione del tempo: tutti quegli anni vissuto e sofferti senza in realtà vedere ( neanche pensare )ad una fine nè a breve nè a lungo termine…. è tanto lontano da noi ( soprattutto occidentali )come attteggiamento, quanto l’uso del denaro…
E poi un cambiamento della sua “tecnica di questua” da chi è stato provocato? Non dalla pratica di zazen, non dallo studio.. ma da un colombo! Incredbibile!
A proposito, non mi ero accorta della possibilità dei libroline, è un bel servizio, grazie.
Febbraio 26th, 2009 at 4:13 pm
Ehilà, ciao doc. Dato che quando ho scritto il mio intervento non c’eri, ti rispondo …
Io personalmente sottolinerei la B), soprattutto considerando le necessità di allargare la “base” di coloro che intendono seguire le via. La “questua” come esercizio religioso lo vedo collocato in un determinato tempo e spazio in cui farlo era quasi una cosa consueta ( mi vengono in mente tutta la serie di questuanti di cui parlava ) forse adesso, in questo tempo e spazio, altri modi possono essere trovati per rispettare il principio di Vinaya.
Forse meno appariscenti ma ugualmente validi….forse..
Febbraio 26th, 2009 at 4:53 pm
Ciao Marta,
è vero che lo spazio-tempo cambia molte cose. Non a caso ci fu la svolta di quel patriarca cinese (il 7°,l’8°?…)che stravolse l’ormai anacronistico (ab)uso della questua coniando il motto: ‘un giorno senza lavoro, un giorno senza cibo’. Questa opzione, se la memoria non mi tradisce , salvò il buddhismo da una deriva gravissima e addirittura forse dal rischio estinzione in quelle lande. (Mym, fresco di ripassi, mi cazzierà e avrà la compiacenza di correggermi se i miei ricordi sono troppo appannati e distorcono la verità storica). Aggiungerei, a titolo personale, che paesi a regime tuttora ierocratico farebbero bene a riconsiderare certi eventi storici.
Febbraio 26th, 2009 at 5:07 pm
Spezzo il mio intervento in due parti per comodità di lettura.Non ti si può nascondere nulla caro mym,eh?L’attualità del marxismo è impressionante tuttavia dopo una giornata spesa a guadagnarsi il pane chi ha tempo e pazienza di studiare(e capire) le 1529 p. de Il Capitale?Meglio stordirsi con le boiate del GF9 e i proclami alla nazione del nostro ‘intelligente’ premier…Tuttavia l’ordinamento capitalistico è un’enorme cosmo, in cui il singolo viene immerso nascendo, e che gli è dato, per lo meno in quanto singolo, come ambiente praticamente immutabile in cui è costretto a vivere.Allora, per me, comunismo è il legame solidissimo che si crea in occasioni di catastrofi quando gli uomini si tengono stretti sull’orlo dell’abisso per affrontare il pericolo di essere. E qui si pone il problema del desiderio.Io desidero essere me stesso, voglio cioè unire carne e idee in quanto il problema dell’incarnazione mi ricorda come ciò che si fece carne fu Logos. E allora se la giustizia è l’effetto del compimento della vocazione naturale di ognuno, cioè la misura di sé(Platone, Repubblica,cap.I), non desiderare di essere se stessi significa rinunciare ad essere un filosofo in senso ontologico per fingere di essere quello che non si è: un ens immaginarium.A me scorrono le lacrime dagli occhi (come Amleto) e domando: cosa fare se lavorando rinuncio al mio talento?(Oppure, cosa ho da guadagnare se conquisto il mondo e perdo me stesso?).
Febbraio 26th, 2009 at 5:08 pm
Across the universe…Se la cifra di questo secolo è la brevità solo la canzone riesce a inseguirla e a raggiungerla, essa di brevità se ne intende.La canzone è un occhio puntato contro questo tempo: come uno gnostico il batterista punta l’arma e spara direttamente contro il cielo…Dio mi pesta a dovere e io gli canto in faccia.La musica, quell’occulto esercizio matematico dell’anima che non sa numerarsi, ha lo scopo di divertire.Nell’età del pessimismo, cioè la nostra, il divertimento è la risposta di chi sa.In questo stupido mondo ridere e divertirsi è la massima che dovrebbe figurare sul frontespizio di un’etica buontempona.Una buona etica (magari un’etica alla buona) si riconosce dal riso che concede.La musica è la risposta della nostra epoca al pessimismo più cupo.L’addio al mondo sarà cantato:”This is the end,beautiful friend..”. L’inno alla musica è un ringraziamento reso al godimento che essa genererebbe.Il suono ci lega alla vita.L’animo riluttante che vuole sfuggire ogni legame si sente catturato e in trappola.”Un’altra catena mi è stata legata,un altro chiodo mi è stato ribadito”lamenta il Buddha.Tuttavia una conoscenza approfondita del mondo può portare contemporaneamente al pessimismo e all’ottimismo(come comunemente si chiamano), al dolore universale e alla placida serenità.
Febbraio 26th, 2009 at 5:41 pm
Il lavoro è fatica e messa alla prova dei propri “talenti” (a parte quel minimo 99% dei casi in Italia in cui è semplice parassitismo).
Ora, sul secondo aspetto (la realizzazione di sé ecc.), per quanto suoni accattivante a noi padani, è tuttavia lecito sollevare qualche dubbio, perché può essere tutta un’auto-illusione.
Però quanto alla fatica, è lì che ci si deve confrontare con il samsara. E senza samsara, ciao ciao nirvana.
Febbraio 26th, 2009 at 5:43 pm
Direi che doc mette più di un dito nella piaga. Il fatto è che l’unico modo che il Buddha mostra per procurarsi da vivere è la questua. Il corollario è che allora l’unico modo per percorrere la via era quello monacale (in comunità o da eremita). Per di più la storia del patriarca cinese che disse “ogni giorno ecc.” è una doppia bufala: l’episodio è stato costruito (per motivi di necessità di copione) trecento anni dopo che Dai Daoxin (così si chiamava) era morto (probabilmente mai sognandosi di riformare la questua) e, clamoroso, in nessun monastero chan o zen (a parte Antaiji) nessuno ha mai lavorato se non in termini simbolici, rituali. Interessante (ciao dr) questa cosa di confrontarsi col samsara per “salvare” il nirvana.
Febbraio 26th, 2009 at 5:54 pm
Bè, homosex, meno male che alla fine la conoscenza può portare contemporaneamente sia il dolore che la placida serenità. Trovo sinceramente che fra il Capitale di Marx e i proclami del nostro premier ci sia spazio per qualcos’ altro ( almeno lo spero ). Tu per primo ci hai messo Platone, Amleto, la musica e pure il Logos… Scherzi a parte,credo che ognuno si sia trovato almeno qualche volta, a volte molto spesso, in un posto che non riconosce come suo e pertanto si sente “fuori” da se stesso ( neanche Uchiyama si sentiva tanto al suo posto ad essere un questuante, per un certo tempo almeno…)ma questo non ritengo voglia dire non poter avvicinarsi al proprio sè…
Sarei d’accordo con te sull’ importanza della musica, ma più che come risposta al pessimismo come segnale di continua speranza. Cosa vuoi sono un’inguaribile ottimista.
Febbraio 26th, 2009 at 10:44 pm
Perdonate la lunga assenza ma quando il capo chiama…e poi tornato dal lavoro ho avuto problemi di connessione (solo per questo sito,mah!).Non è la fatica che mi spaventa quanto appunto il talento, la vocazione, il demone (daimon) da cui sono posseduto e che non può esprimersi.Detta meglio: sono un pessimo avvocato ma (potenzialmente) un pensatore capace di usare la filosofia in modo geniale.Rivendico il diritto al lavoro, ma ad un lavoro che non sia parassitario(per fare l’avvocato la competenza giuridica è irrilevante,basta sapersi vendere, una bella cravatta,un abito di buona fattura e una dialettica mendace sono più che sufficienti e di simili avvocati i tribunali ne sono pieni!). Allora amici tutto ciò che posso concedermi è stare insieme e filosofare insieme per un breve momento!Oltre non credo possano andare le ambizioni di un fugace ragionamento.Sempre più gli effetti del filosofare si vanificano e ogni dialogo è un dialogo infelice.Tuttavia parliamo?Allora scrivo di filosofia, perdonatemelo,è un lusso che con il lavoro che svolgo non mi concedo (quasi) mai.Sulla questua credo che si addica ad asceti che mortificano carne e spirito, mentre io,che non voglio mica farmi il suv, desidero vivere, ebbene?Nei prossimi brevi interventi spero di spiegarmi meglio.
Febbraio 26th, 2009 at 10:44 pm
Apprendo dai Lineamenti di filosofia del diritto (Hegel):il meglio non è altro che la realtà così com’è.Ciò che mi meraviglia è l’impossibilità di sottrarmi alla costrizione logica.I fatti logici sono fatti bruti e nulla c’è di vitale in una logica che costringe.Al mio sguardo ogni relazione causale è data come un nesso tra incubi.Se la ragione non è che un sistema nervoso, le sue Idee sono solo ambivalenti barriere che con la loro efficiente pazzia difendono l’individuo da qualcosa di peggiore e l’idea di Mondo è l’idea di qualcosa che ha vinto e che, per conservarsi, deve continuare a vincere.(L’idea di qualcosa che fa continuamente vittime).Ora, il dolore non deve mai presentarsi da solo se non vuole restare inefficace, ma deve armarsi di tutte quelle regole della retorica che non lasciano la sofferenza trascinarsi come un miserabile patire, ma la ingabbiano in un sistema di nessi non meno rigoroso di quello formato dai concetti di una scienza logica.La vulgata pessimista(che include Schopenhauer,il Buddha d’Occidente) non rende onore al PESSIMISMO perché indulge ai lamenti del soggetto sofferente e tosto seguono pianti e lamenti e un dolore da gabinetto dentistico.(Tuttavia è vero, autentico soggetto chi soffre.Oppure sofferenza e lotta:pessimismo greco, corpi atletici e mano alle spade…pessimismo del futuro).
Febbraio 26th, 2009 at 10:45 pm
Il pessimismo, o meglio, il Peggio, appartiene all’immaginazione filosofica.Nessun ente corrisponde a questa parola.Ma il Peggio accade.Una volta accaduto, accade ciò che dice.Qualunque che sia il suo statuto ontologico, è quando lo si pronuncia che prende esistenza, come se la aspettasse da millenni.Le parole del genio della lampada gli si addicono: ho aspettato migliaia di anni etc.etc.Esso entra nel pensiero e il pensiero diviene fido depositario.La vita meschina dei più o il dolore di una decina di Werther non sono ancora pessimismo, così come la felicità di chi ‘sta meglio’ o quella degli stupidi non sono ottimismo. Allora come può esserci un pessimismo felice?
Febbraio 26th, 2009 at 10:45 pm
In quegli atteggiamenti che comunemente si chiamano pessimismo e ottimismo il dolore è necessario e insufficiente insieme.La fessura del dolore tuttavia sembra faccia entrare l’uno e l’altro.Permane l’avvertimento di Platone:”…all’uomo non conviene considerare, riguardo a se stesso e riguardo alle altre cose, se non ciò che è l’ottimo e l’eccellente, e inevitabilmente dovrebbe conoscere anche il peggio, giacchè la conoscenza del meglio e del peggio è la medesima”(Fedone,97 d).Allora il filosofo pessimista vulgaris è semplicemente un illuminista fallito, o uno che, pur avendo lo sguardo al pessimum, cammina tuttavia di buon umore recando doni e promesse, fossero pure il ‘nulla’.Il pessimismo invece lotta per il suo futuro.Nel Fedone Platone induce a pensare che il meglio e il peggio in qualche modo si appartengano. Come se avesse voluto dire che il meglio che può toccare al mondo è il peggio per cui esso è.O più sommessamente:il pessimismo è la ‘migliore’ filosofia per coloro che abitano il ‘peggiore’ dei mondi.(Del resto che non ci sia niente di peggio del mondo non si deve dimostrare).
Febbraio 26th, 2009 at 10:46 pm
Una nota pseudobuddista.(Oppure sul ‘buddismo del futuro’ o che so io….).La tecnica mi sembra una specie di rinuncia, una specie di nirvana di tipo occidentale.L’uomo inventa la macchina per sfuggire alla vita. La pace della ‘macchina’, la pax tecnica, è questa immensa quiete davanti allo schermo.L’era della vita, che si pensò interminabile, e su cui vivono tuttora strani pregiudizi, finisce.La tecnica è la rinuncia dell’uomo maturo alla vita selvaggia per farsi impassibile macchina.La tecnica è la via occidentale del nirvana.Lo spirito della tecnica non è lo spirito diabolico né la cieca fede attivistica.L’uomo-cosa è esaltante come il vuoto mistico, e il suo sangue è freddo come sangue di serpente.Ci laveremo con esso e ne avremo refrigerio.Ecco il nuovo modo di essere e di avere a che fare con se stessi.Il processo di ‘macchinizzazione’ del sociale è impegnato a far sparire il vitale.Il collegamento della tecnica col pessimismo mondiale non viene individuato.Questo pessimismo non frigna.Ha altro da fare.Non mira all’annullamento come soluzione individuale, come autorinnegamento della volontà, tipico della fase neobuddhista.Questo pessimismo è trapassato nella realtà, si è oggettivato.Il pessimismo decifrato deve decifrare i suoi duri passaggi, non la rassegnazione dell’uomo desolato.Esso ormai rifugge dalla volontà, che ha fallito la propria negazione.Ma spia l’annullamento realizzarsi nelle cose.La tecnica mi appare come il compiuto processo dell’annullamento della volontà sfuggito alla volontà individuale.L’assimilarsi alle cose realizza la nolontà, fallita sul piano individuale.Le cose sono nolontà coagulata.Il vecchio racconto di Schelling – “…nelle cose dorme uno spirito gigante…”- esalta il momento in cui lo spirito si sveglia e riconosce nelle cose se stesso.Ma è tempo, pare, che lo spirito torni ad addormentarsi in esse, e s’acquieti in un sonno senza sogni.Appena scosso da impercettibili movimenti che indicano il palpitare tranquillo del suo cuore.Un caro saluto a tutti.
Febbraio 27th, 2009 at 5:07 pm
Per questa volta è andata. Ero pure assente… Dalla prossima ti censuro. Non per quello che scrivi -a parte le bizzarrie erpetologiche- ma perché 1) vai costantemente e consapevolmente fuori tema, 2) occupi tutto lo spazio. Se ti accontenti di essere fuori tema ma lasci che altri si esprimano prima di continuare ben, altrimenti: taglio. E se altri non si esprimono? Allora vorrà dire che la “discussione”, per quella volta, è finita.
Febbraio 27th, 2009 at 9:49 pm
Prendo atto di questo irrigidimento e me ne dispiaccio.A mia discolpa preciso che il mio era un tentativo, assolutamente ingenuo, di ravvivare un post interessante(per me) ma che non decollava.Ho cercato di seguire un filo logico economia-guadagno,politica-religioni non pensando che eventuali uscite dal tema potessero scatenare addirittura la censura.Rilevo,senza voler polemizzare e proprio perchè nella vita assomiglio molto più a un Candido che a un Faust,che nel post su Eraclito si passa disinvoltamente dal logos alle puzze di Nietzsche…Dunque anch’io finisco dietro la lavagna sperando nel perdono e magari, col tempo, di imparare un pò di etichetta ‘cibernetica’.
Ciao
Febbraio 28th, 2009 at 11:34 am
Chi è senza peccato… Insomma: dietro alla lavagna c’è (ci dovrebbe essere) più gente che davanti. In altre parole: a chi la tocca la tocca. Ciao
Marzo 5th, 2009 at 2:40 pm
C’è anche chi si adopera alacremente per non modificare la fantasia con la realtà. Sua Emittenza docet.
Marzo 5th, 2009 at 5:01 pm
Sì, in effetti questo è il “lato laico” della cosa, o il suo uso politico. È anche vero che la notizia di una cosa è, in qualche misura sempre una finzione: o distorce o comunque non esaurisce la cosa. Ma quando ciò che deve essere rappresentato, per esempio il potere politico ed economico, e il mezzo di rappresentazione -per esempio Mediaset e parte della Rai- sono praticamente la stessa cosa, ecco realizzato, al rovescio, uno degli slogan del ’68: “La fantasia al potere!”, ossia: la finzione è al potere.
Marzo 5th, 2009 at 6:02 pm
Sì, però ciò che non è “strutturato da noi” manco è percepito. O mica esisterà una “realtà vera” da scoprire “dietro” le nostre percezioni? Il teista dirà: “certo, la realtà come la percepisce Dio!”. Ennò, cocco, senti cosa risponde Leibniz: Dio non ha il “vero” punto di vista, ma “tiene presenti simultaneamente infiniti punti di vista”. tutti validi.
Marzo 5th, 2009 at 6:16 pm
Mmmm. Il “non ricoprire” (che cosa? Ogni cosa ricopribile) con le nostre fabbricazioni ha due campi di fruizione: quello relativo e quello non relativo. Nel primo si tratta semplicemente di non depistar(ci) dalla perfetta ignoranza: non so che cos’è, in realtà, né questa cosaqqua su cui batto cosìcché sul video appaiano queste parole, né che cos’è (chi è?) che sta battendo… Men che meno so come fa questo qui, detto me, a battere sui tasti. L’aspetto non relativo è che il perdere (o non aggiungere) è per non ritrovare.
Marzo 5th, 2009 at 6:21 pm
Hmmmmm, convince e non convince. “Non so cos’è questa roba qui” però a pranzo ho usato la forchetta per prendere i fusilli, e non viceversa. Idem mia moglie. La “distinzione cosale” ha funzionato ben due volte, anzi (ovviamente) milioni di volte.
Marzo 5th, 2009 at 6:24 pm
Fuochino… Non ho detto che non so come si chiama la tastiera del PC o che non la so usare…
Marzo 5th, 2009 at 8:02 pm
Ma certo che la femminilità è un qualcosa da evitare!! Quantomeno da un’ottica maschilista… Si può affermare anche l’esatto contrario, se come punto di osservazione e valutazione scegliamo invece quello femminista. Ma entrambi non sono altro che i due “inutili” opposti! Sottoscrivo quanto affermato da mym, ossia che la religione sia un ambito sufficientemente profondo da poter dire che non vi siano più differenze neppure di genere. Affermazione interessante…
Marzo 5th, 2009 at 9:43 pm
beh ma allora il caso è chiuso, ispettore. Ogni cosa “è” nella misura in cui avviene un’interazione transeunte. Non esitono oggetti “fissi”.
Marzo 6th, 2009 at 5:31 pm
Né aperto né chiuso, direi, in assenza di caso. Torniamo all’inizio: chi vede un’ascella all’apertura del video è sano? Chi vede una donna nuda no? Questo è proprio il caso che non c’è. Il video è una metafora, non un test. In “ambiente buddista” si tratta di lasciare l’illusione. In altre parole l’invito è ad accorgersi del sogno. Imho, solo chi è morto non sogna.
Marzo 6th, 2009 at 8:24 pm
Quella gran f… dell’ascella 😛
Marzo 16th, 2009 at 10:17 pm
Certo, bisognerebbe capirci sul significato della parola “religione”, ma penso che la discussione sarebbe piuttosto lunga. Vorrei essere però un po’ polemica: non è che a forza di stare sul “fondo”, si corra il rischio di dimenticarsi di quello che succede in “superficie” dove le differenze di genere e d’altro hanno un’ influenza decisamente marcata?
Negare le differenze ( sia pure sul piano religioso ) non favorisce, in qualche modo, il mantenimento di uno status quo, dove la dimensione religiosa della vita ( che prevede rispetto, condivisione ecc. ) sembra talvolta essere un lusso per pochi?
Marzo 17th, 2009 at 8:50 pm
A me sembra che nella religione, come in qualsiasi altro ambito cui ogni persona si impegna con tutto il suo essere, proprio per questo siano di gran peso, anzi determinanti, le caratteristiche dell’essere stesso. In questo caso, essere donna o essere uomo: non è un particolare insignificante, “io” sono donna o uomo al 100 per 100, quindi sono “donna di religione” o “uomo di religione” al 100 per 100. E quanto più profondamente sono una cosa, tanto più profondamente sono l’altra…
Marzo 18th, 2009 at 9:20 pm
Se non ho capito male, ogni persona porta con sè, inevitabilmente, nei vari ambiti, tutto ciò che fa di lei quel che è, e quindi anche il suo genere. E sono d’accordo, ma questa potrebbe essere solo una differenza individuale tra le altre… oppure il fatto di essere donna o uomo porta con sè delle caratteristiche, a prescindere quasi dalla singola individualità? …
Personalmente non mi piace parlar per categorie, però talvolta è difficile non farlo, non fosse altro per cercare di evitarle almeno nelle dimensioni più “vitali”…
Marzo 18th, 2009 at 10:14 pm
Si, hai capito bene. Naturalmente non sono in grado di generalizzare, e nemmeno mi piacerebbe farlo: mi sento di parlare solo per me. In questo caso, di sicuro sono “donna”, qualunque cosa io faccia o dica o pensi: non so se ci sia differenza tra quello che, in un determinato ambito, faccio, dico, penso io “donna” e quello che nello stesso ambito farebbe, direbbe, penserebbe un uomo… non ho mai provato a essere uomo! Però ci sono delle divergenze comportamentali, cioè derivanti da una diversa lettura della realtà, facilmente riscontrabili, che credo si possano attribuire genericamente alla differenziazione sessuale. E’ chiaro che questo non intacca minimamente l’individualità, ogni essere umano è comunque “altro” da ogni altro essere umano. Unico, inimitabile, irripetibile.
Marzo 19th, 2009 at 4:47 pm
Sono fondamentalmente d’accordo con te. Ma se noi proviamo a tornare nel fondo dell’ambito religioso da cui siamo partiti, non è che alla fine queste (indiscutibili) divergenze comportamentali “diventino” solo parziali punti di vista? E quindi come tali da superare?
Tu dici, giustamente, che si rimane donna o uomo qualunque cosa si faccia…
Però quando mi siedo in zz non mi “sento” donna, quindi, in qualche modo, in questo caso almeno,le differenze non influenzano un modo di essere…
Mi verrebbe da concludere che ci sono livelli diversi anche in ambito religioso. Credo che un prete- donna ( o un suo equivalente in altre realtà religiose )sarebbe sicuramente diverso da un prete-uomo e ciò sarebbe, a mio parere, una ricchezza, per svariati motivi, che vanno al di là di un approccio maschilista o femminista..
Andando più a fondo, dato che l’essere religiosi non si esaurisce certamente nell'”abito”..forse non ha più senso parlare di differenze…
Marzo 20th, 2009 at 12:48 pm
Mah, io non sono così addentro nella pratica religiosa da poterne parlare con piena cognizione di causa. Tuttavia, c’è in me la convinzione che, anche quando sono seduta in zz e nella mia mente c’è il vuoto, questo vuoto sia diverso da quello di chiunque altro… anche o proprio perché è diverso il “pieno” che sta dall’altra parte e delimita, definisce il vuoto. O forse perché, se il non essere è, allora anche il non essere è condizionato dalla stessa soggettività che condiziona l’essere, cioè l’ umana conoscenza dell’essere. Ma con questo mi accorgo di sconfinare clamorosamente dall’argomento iniziale rischiando inoltre di dire troppe stupidaggini: meglio che smetta salvando la dignità… e prima che qualcuno commenti: discorsi da donne!
Marzo 20th, 2009 at 5:27 pm
Haa haaa! Ma allora C’È un poco di resipiscenza nell’animo femminile, almeno quando le sparano grosse… Le diversità del vuoto. Effettivamente quando non c’è nulla questa assenza È un po’ colorata da ciò che la circonda. Mi ricorda quella del Negroni: “Mi prepara un Negroni senza fettina d’arancia, per favore?” “Mi spiace signore, le fettine d’arancia sono terminate”, “Pazienza, me lo prepari senza fettina di limone allora.” 🙂
Marzo 20th, 2009 at 10:24 pm
Ci avrei giurato su quanto “tu” hai di più caro che quello che sarebbe intervenuto in proposito saresti stato tu, però la storiella del Negroni io la sapevo al contrario!
Marzo 21st, 2009 at 11:38 am
[36]Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. [37]Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno. Mt, 5.
La storiella del Negroni al contrario? Wow! Dev’essere bellissima. Comunque, quello che intendevo dire, in sintonia con Matteo, è che certi argomenti non vanno presi alla leggera. Le ipotesi buttate lì su ciò che è al cuore della vita spirituale delle persone quando vengono prese in modo… umoristico occorrerebbe ringraziare: potevano arrivare scrosci ben più sonori.
PS: il Negroni prevede una fettina d’arancia nella sua ricetta base. Chiedere un Negroni senza fettina di limone, anche in assenza di limoni, di regola, non sortirebbe lo stesso risultato.
Marzo 21st, 2009 at 9:08 pm
A questo punto, se ribatto mi comporto da petulante; se non rispondo, da indifferente e maleducata. Qual è il male minore? Forse un brindisi a suon di Negroni senza la scorzetta di cedro?
Marzo 22nd, 2009 at 11:58 am
Noooo! La scorza di cedro non ci sarebbe comunque. Sarebbe come chiedere un Negroni senza un topo dentro…
Però, in quello che diceva Cristina c’è una parte di “vero”, inteso come reale. Per questo, o partendo da questo, le sue conclusioni eccentriche hanno una base che condivido. A volte succede.
Il fatto a cui mi riferisco è che durante zazen il ritorno a me in quanto non-me (e perciò privo di qualità o attributi) è appunto un ritorno. “Ciò” da cui torniamo è maschio, femmina, ambedue ecc. come pure è questa persona e non un’altra. E questo è parte integrante della pratica, non è una deviazione. Per cui si può dire che durante la pratica religiosa profonda uomo donna, ricco povero, giovane anziano hanno ancora senso, anche se è un senso negato, di cui ci si libera appena possibile.
Marzo 24th, 2009 at 9:34 pm
Il mio dubbio è che quello del Papa non sia un ragionamento logico puro, bensì riproponga quell’infausta condanna della sessualità naturale che è stata tetro strumento ideologico di potere e causa di tanta perversione, morbosità e veri e propri orrori sia nell’Istituzione medesima che nella società da essa controllata o influenzata.
Marzo 25th, 2009 at 12:28 am
Sì, certo: quel dubbio rimane anche a me. Tanto quanto mi rimane il dubbio sui veri obiettivi delle strategie dei nostri governi occidentali che, quanto ad infausto passato nonchè presente, anche in Africa, non sono secondi a nessuno.
Marzo 25th, 2009 at 12:34 am
Il dubbio ci rende liberi! (bella questa, no?)
Marzo 25th, 2009 at 1:34 am
Sei troppo buono, Aloisius, a chiamarlo “dubbio”. Fosse stato un funzionario del WHO a spiegare che i condom non sono la soluzione definitiva al problema dell’AIDS sarebbe stato un conto, ma un papa in viaggio ufficiale parla da papa, non da funzionario del WHO.
Certamente Benedetto XVI pur non avendo esperienza diretta sa tutto di questo argomento dal punto di vista scientifico, ma altrettanto certamente non sono le sue vesti pontificie ad essere le più adatte ad intavolare un discorso di strategie epidemiologiche.
@Doc: A me pare che il tema fosse questo, non tanto che Benedetto avesse ragione o no. Che il condom non sia la soluzione all’AIDS è assolutamente evidente. Ci vuole una sessualità matura e responsabile. Chiaro. Temo però che nella maggior parte delle lingue sub-sahariane il concetto “sessualità matura e responsabile” trovi difficoltà di traduzione. Nella lingua Alùr che conosco abbastanza bene escludo che ci sia modo di tradurre il concetto in modo intelligibile.
Peccato invece che il cieco e ottuso putiferio mediatico abbia fatto passare in secondo piano il vero argomento degno di nota, che finalmente anche il papa ha detto qualcosa contro le multinazionali e il profitto che non guarda in faccia a nessuno. Questa sì che era una notizia. Finalmente. Ma quasi nessuno se n’è accorto. E questa è vera ottusità. Da una parte e dall’altra.
Marzo 25th, 2009 at 10:17 am
Ciao Px, speravo proprio che dicessi la tua, da persona concretamente impegnata sul campo.
Prendendo anche spunto da quanto dici, aggiungerei una considerazione: per l’efficacia delle strategie di prevenzione è indispensabile che il messaggio, cioè l’informazione-educazione, sia reso comprensibile alle popolazioni locali. Concetti come retrovirus, pandemia, rischio, protezione, corretto uso ecc. devono essere quindi tradotti in lingua Alùr, o altra che sia, e riproposti secondo le modalità culturali del luogo in modo da renderli assimilabili a livello di massa. Per questo è prioritario formare gli operatori locali nel rispetto della loro cultura, affinchè siano in grado di svolgere efficacemente quel ruolo. Questo lavoro di informazione efficace non lo svolgeranno nè le multinazionali nè i governi dei paesi colonialisti che, come dici, sono motivati solo dal trarre profitto: solamente gli autoctoni potranno. E questo penso – o meglio mi piacerebbe pensare – sia il senso dell’espressione ‘se gli africani non si aiutano’ usata da papaRatzinger.
Qualche dubbio mi rimane sul fatto che il parlare da papa debba essere limitato ad alcuni ambiti, cosicchè, ad es., il parlare di prevenzione o di economia esuli dalle sue competenze e venga letto come indebita interferenza.
Marzo 25th, 2009 at 11:45 am
Caro Doc, come non darti ragione. Il punto vero di tutta la diatriba secondo me è che nessuno di loro si sporcherà le mani accompagnando per mano questa gente come avrebbe bisogno, e che in realtà tutta la faccenda è una sterile polemica pretestuosa.
Forse il tedesco Pastore (solo adesso noto la sottile e geniale ironia) poteva spiegare meglio, circostanziare, sapendo che le sue parole vengono soppesate con il bilancino. Magari si evitavano le polemiche, o magari no.
Certo, siamo tutti d’accordo che non si risolve il dramma dell’AIDS sommergendo l’Africa di preservativi, ma i preservativi aiutano senz’altro. In molte zone l’AIDS è talmente diffuso che è proprio un terno al lotto. Ci sono persone di ogni rango, estrazione sociale e moralità che se lo prendono. I comportamenti a rischio aggravano, evitarli aiuta ma non basta. Anche un preservativo può aiutare, e allora mandiamo anche i preservativi (con tutto il resto). Non si può pretendere che un continente diventi improvvisamente casto. Non è applicabile.
E poi è talmente drammaticamente singolare questa mescolanza di ambiti… morale, sanitario… una polveriera! Scegliere di avere un atteggiamento equilibrato e responsabile di fronte al sesso dovrebbe essere un passo che uno fa dopo averci sufficientemente ragionato, per sua intima convinzione, non perché altrimenti rischia la vita per motivi sanitari. E cavalcare la questione della moralità sessuale come soluzione di un problema vero, concreto, drammatico come l’AIDS è un atteggiamento intellettualmente scorretto, imho.
Ciao!
Marzo 25th, 2009 at 3:34 pm
imho?!? è una parola in Alùr?
Sembrerebbe tutto così ovvio…
Namu Kanzeon Bosatsu per l’Africa!
Buone cose.
Marzo 26th, 2009 at 12:38 am
no no, IMHO = in my humble opinion
afoyo (=grazie) per quella roba la’, capisco via google che e’ un mantra, ma non so cosa significhi.
venendo da te non puo’ essere che una cosa buona 😉
Marzo 26th, 2009 at 11:18 am
Una invocazione (onore a…) al bodhisattva Kanzeon (Kanzeon, Kannon in giapp.; Guanyin in cin.; Avalokitesvara in sans.)
< <… il grande bodhisattva che incarna la compassione…chiamato anche Lokanatha, “Protettore del mondo”…>> (Cornu, pag 38)
Il suo culto ‘compare fin dall’inizio del Mahayana in India come un bodhisattva che salva gli esseri che soffrono nel samsara…’
Emanazione del Buddha Amitabha, ‘si esprime in tutte le forme possibili per soccorrrere gli esseri senzienti’.
Invocarlo non può far male a nessuno.
Aprile 2nd, 2009 at 9:02 pm
feroce e stupenda
Aprile 2nd, 2009 at 11:26 pm
assolutamente, condivido. gianfalco – che ho conosciuto di persona – possiede una matita assai acuminata. quasi quasi potrebbe essere perfino buddista…
Aprile 3rd, 2009 at 8:38 am
che meraviglia il buddismo “cattivo”, ebbasta con ‘sto Dalai Lama che la mena sulla pace e la felicità
😀
Aprile 3rd, 2009 at 4:22 pm
Potrebbe essere “perfino buddista”? E perché non “donna” allora?
È abbastanza cattiva da essere buddista, questa? 🙂
Aprile 3rd, 2009 at 9:37 pm
Dal dizionario dei sinonimi: Donna = persona cattiva = buddista…
Aprile 4th, 2009 at 5:53 pm
Ho trovato il DVD sul sito videoteca videflash a questo indirizzo a 39 euro. http://www.videotecavideoflash.it/messaggidaforzesconosciute.htm.
Ma su e-bay.co.Uk si trova a circa 10 sterline. Non sono sicuro che sia in lingua italiana (comunque l’ho acquistato). Comunque ho impostato la ricerca con “silent flute DVD”.
Ciao
Aprile 4th, 2009 at 6:25 pm
Ho trovato il film a questo indirizzo e a al prezzo di 39 euro
http://www.videotecavideoflash.it/messaggi_da_forze_sconosciute_.htm.
Su e-bay co. Uk si trova a 10 sterline circa. L’ho appena acquistato. Non sono sicuro che sia anche in lingua italiana.
Ciao.
Roberto
Aprile 4th, 2009 at 10:53 pm
Da un palo alto cento piedi si esita.
Più facile fare un passo in più su un marciapiedi.
Un clochard o un ladro?
Si è fermato un autobus e ha aperto le porte,
sali?
Salta!!!!!!!
rocher
Aprile 6th, 2009 at 11:07 am
Ottima scheda.M sa vedere al di là, nella parte invisibile, ulteriormente; ma l’invisibile non è ciò che non appare, è il suo apparire che incarnato, non coincide né si esaurisce nella sua apparenza. La lettura è tanto più “esatta” in quanto estatica, eccessiva, ulteriore, alla ricerca del senso: non adeguazione all’oggetto ma rivelazione della “cosa” spirituale. In questo, in fondo, sta la sua originalità e la sua forza, di pensiero come di stile.
Aprile 7th, 2009 at 7:34 pm
Grazie. Sì, la scheda è fatta bene, merito di JJ. Bella l’idea che l’invisibile non sia ciò che non appare. Sei un entusiasta, si direbbe.
Aprile 7th, 2009 at 11:53 pm
WRONG.Il mio spirito sciamanico si desta in occasioni di catastrofi(Cfr.6.04.09 e 26,12.08). I was born with the wrong sign,in the wrong house With the wrong ascendancy.
Aprile 8th, 2009 at 11:26 am
Grazie della segnalazione. Però, che prezzo ha la curiosità…
Aprile 8th, 2009 at 6:46 pm
Visti i risultati, forse, allora, sarebbe bene che il tuo spirito sciamanico tornasse a quietare, magari a lungo…
Aprile 8th, 2009 at 10:53 pm
Oppure, data la sincronicità dei miei stati di trance in prossimità di una crisi, sarebbe bene prendere sul serio i profeti di sventura…
Aprile 8th, 2009 at 11:05 pm
E se un Dio non ci venisse a salvare?
Aprile 9th, 2009 at 1:46 pm
Be’, se citi i “testi canonici” non posso che essere d’accordo… 🙂
Aprile 11th, 2009 at 8:22 am
Mi è piaciuto molto questo commento. Mi ha dato l’impressione di un racconto elicoidale, dove dimensione profonda e quotidianità si intrecciano in piena armonia.
Aprile 12th, 2009 at 4:21 pm
Le aquile non volano a stormi.Mi hanno cacciato dalla scuola delle buone maniere…Delirio faticoso e avvilente quello del compilatore di grossi libri, del dispiegatore in 400 pag. d’un concetto la cui perfetta esposizione orale capirebbe in pochi minuti! Meglio fingere che questi libri esistano già, e presentare un ‘riassunto’ ,’un commento. Happy Easter.
Aprile 12th, 2009 at 4:35 pm
Caro Homosex, ti preferisco mellifluo e sognatore, sciamanico e visionario. Quando fai il cattivo non mi pari all’altezza: è in grazia di lenti e arruffoni lettori come (…omissis) che si fa l’improba fatica. Poi, quell’unico concetto non c’è e ciò che resta è il meno possibile. Allora si può parlare di buon libro.
Aprile 12th, 2009 at 4:56 pm
Ci sono due modi, almeno secondo me, di leggere un libro ( che non sia ricreativo ), o andando alla ricerca di quello che si sa già, o cercando di capire “ciò” che ci vuole dire l’autore, per integrarlo con le nostre conoscenze in modo da “ricombinare” il quadro con qualche pezzo mancante in meno.
A parte questo, quello che mi ha colpito maggiormente nei “testi canonici” dell’ autore è la modalità di interagire con “il lettore”, più esplicita forse nei primi testi ma sempre presente ed “energica” ( non mi viene un termine che mi renda meglio l’idea )anche negli ultimi due.
Questo, unito al linguaggio e allo stile usati, induce ( sempre dal mio punto di vista ), almeno durante una prima lettura, ad “arrivare in fondo”. Cosa abbastanza strana, trattandosi di argomenti non immediatamenti accessibili.
Aprile 12th, 2009 at 6:17 pm
Grazie Marta. È un gran complimento. Tu sei insegnante quindi…. ti è più facile capire questa cosa: quando fai lezione scrivi un libro ogni volta nella testa dei ragazzi. Farlo con la scrittura è più difficile perché non hai il contatto diretto. Si sopperisce anche con la fatica che ci deve mettere il lettore. Ma tecnicamente ho sviluppato quel modo nel rapporto con i ragazzi. È a quel rapporto, quindi, che ne va il merito.
Aprile 19th, 2009 at 12:24 am
Auguroni GS! e non dimenticare mai i maestri Zen della felicità coniugale: Raimondo Vianello e Sandra Mondaini.
Aprile 19th, 2009 at 5:28 pm
A nome della categoria: questa “immagine” dei maestri Zen, minimo minimo, è una sciapata. ! mym
Aprile 19th, 2009 at 10:13 pm
che roba è una “sciapata”? che barba che noia che noia che barba…
Aprile 19th, 2009 at 10:18 pm
Come dici quando alla pasta manca il sale? È sciapa! Il participio passato qual è? Scommetto che non sai nemmeno che verbo è… 🙂
Aprile 20th, 2009 at 1:26 am
e perché a Casa Vianello mancherebbe il sale, di grazia? lasciamo che a deciderlo siano gli interessati (e poi, semmai, razza di maschilista che non sei altro, hai detto che “si sposa l’amico GS” come se fosse da solo…)
Aprile 20th, 2009 at 1:37 am
Nooo, non si sposa da solo, o meglio la moglie sposa solo lui -questo sì- però per innata delicatezza e riservatezza non la nomino; sai, appena sposati, si glissa sempre un po’…
Aprile 27th, 2009 at 4:03 pm
Brindo con gioia a questa fine. Del resto chi desidera an EASY RIDE? E poi si sa,Buddha, il Divino,dimora nel circuito di un calcolatore con lo stesso agio che in cima ad una montagna o nei petali di un fiore.Agli ‘nostalgici’ propongo un tema: il bios dell’homo tecnologicus conserva la stessa verità d’espressione dell’homo naturalis?
Aprile 27th, 2009 at 5:25 pm
Grazie.
Tu sulle cose che scompaiono, muoiono, si estinguono ci sguazzi, eh!. Anch’io, in effetti.
Il bios non conserva nemmeno se stesso, a maggior ragione…
Però, per non lasciare a mezzo storie vaghe, la risposta è chiara: trovato il bios risolto l’arcano.
Aprile 27th, 2009 at 11:43 pm
Bè, a me dispiace, pur non essendoci mai stata presente fisicamente.
Forse sbaglierò, ma, a mio parere, si festeggia un inizio, non una fine, che comunque si voglia o si possa viverla, è sempre la fine di qualcosa… che come tale non è più…
Aprile 27th, 2009 at 11:49 pm
Ciao Marta. Capisco. Festeggiare la fine è un modo di esprimere il proprio apprezzamento per ciò che è stato, invece di rimpiangerlo. Permette di vedere il nuovo con occhi accoglienti. E il nuovo non temerà di essere visto.
Maggio 1st, 2009 at 10:15 am
La “dimensione eroica” di Edipo, qui proposta, ricorda la frase “Dobbiamo immaginare Sisifo felice” di Albert Camus.
Maggio 2nd, 2009 at 2:27 am
Rat-Man contro l’Uomo Lumaca.
Maggio 2nd, 2009 at 9:46 am
Pispole ragazzi, sarà che non ho fatto le scuole “alte” ma dei due commenti precedenti non ho capito nulla. Grazie comunque, sono sempre lieto se un articolo, un post, suscita commenti garbati. Sono garbati, vero?
Maggio 2nd, 2009 at 10:44 am
quello su Camus sì, assolutamente.
Maggio 2nd, 2009 at 11:40 am
Sono in sintonia con mym: nemmeno io ho capito niente. E sì che ci ho pensato tutta la notte… Ragazzi, mi volete spiegare? Grazie.
Maggio 2nd, 2009 at 2:30 pm
Appunto: come Edipo è vittorioso pur nella sconfitta, così Sisifo – secondo Camus (Il mito di Sisisfo) – è felice nonostante la sua condizione di condannato a trascinare in eterno un masso. Felice perché è cosciente di sé.
Maggio 2nd, 2009 at 7:02 pm
Sarà: se lo dice Camus… Per quanto risulta a me, Sisifo era un imbroglione che si divertiva a prendere per il… naso uomini e dei: quando questi ultimi ne hanno avuto le tasche piene, lo hanno mandato all’inferno. Che lì sia diventato cosciente di sé?
Maggio 2nd, 2009 at 7:15 pm
P.S. E poi, cosa ha che fare costui col povero Edipo il quale ha cercato senza riuscirci di contrastare un destino che lo voleva incestuoso e parricida?
Maggio 2nd, 2009 at 7:26 pm
… tocca leggere Camus, che gnucco non era. In ogni caso, sulla condizione “in vita” di Sisifo esistono tante versioni, più o meno irrilevanti: il punto cruciale è il suo “mito” eterno. Non riassumo Camus ma cito uno dei suoi filosofi preferiti, Nietzsche: “Perché nel divenire, negli errori ecc., facciamo consistere il dolore… e non la gioia?” (qualunque accenno polemico al buddismo era volutamente voluto)
Maggio 2nd, 2009 at 11:01 pm
Questo, cioè il quesito del filosofo, lo capisco, che io condivida o meno la risposta implicita nella domanda. Ma Sisifo… E’ vero che l’essere riuscito a ingannare gli dei è un merito non da poco – mi sembra che tutte le versioni del mito concordino su questo fatto anche se non sui particolari dell’inganno -, mentre continua a sfuggirmi il nesso colla vicenda di Edipo. Sono un po’ testona… chiedo una paziente sopportazione!
Maggio 3rd, 2009 at 8:02 am
Il nesso sarebbe in questo riscoperto valore positivo della tragedia. Il cristianesimo (spesso) fa consistere il proprio punto di forza nella “vittoria”: sul peccato, sulla morte… La ripresa dei greci invece dà valore alla “gloria del tramontare”.
Maggio 3rd, 2009 at 8:07 am
Un altro esempio: Marsia. Dante nella Commedia (Paradiso 1) lo considera simbolo di chi osa sfidare gli dèi e viene giustamente punito. Ma per i greci Marsia, nonostante la sua sorte – o proprio per quello – era un eroe.
Maggio 3rd, 2009 at 11:36 am
Cfr. Ivan Morris, La nobiltà della sconfitta, Guanda.
Maggio 3rd, 2009 at 11:56 am
Bang,bang!I miei interventi non sono mai garbati…Per capire il commento di dr ho fantasticato di un incontro pugilistico fra i due miti che mi hanno ricordato la titanica lotta tra rat-man e l’uomo lumaca(cfr.EdipoRe 1186-92) Ma “non” ho capito.GET STUPID.
Maggio 3rd, 2009 at 12:18 pm
Forse il busillo dipende anche dal fatto che non tutti i frequentatori del sito conoscono rat man e l’uomo lumaca. Chi erano (sono?) costoro?
Maggio 3rd, 2009 at 5:59 pm
Li ho scoperti per caso venerdì notte (video su Utube) e ho indirizzato l’oudience su questo caso fortunato. Ho riso molto nel vederlo.Get ready è una famosa canzone di Madonna il cui video è davvero esilarante(fonte sempre Utube). Ciao.
Maggio 3rd, 2009 at 7:26 pm
Grazie a dr, grazie a tutti. Anche a me Marsia è simpatico, mentre in quella storia apollo ci fa proprio la figura del… Ora io che sono documentata su questi tali mi sento avvilita per non conoscere rat man né l’uomo lumaca, e per non capire quelll’inquietante GET STUPID… vado subito a rimediare!
Maggio 3rd, 2009 at 10:06 pm
Non ti stancare troppo Cristina,sinceramente non c’è niente da capire…I miei cattivi capricci mi inducono a prender dimora in India, un mondo senza realtà che acquista senso solo nella dimensione sonora.TRY AGAIN(?)
…
Maggio 4th, 2009 at 11:39 am
Bada a te! Se continui a scrivere in inglese ti spernacchio! (faccina: non sono capace di inserirla)
Maggio 4th, 2009 at 2:14 pm
ok.Passo e chiudo.
Maggio 4th, 2009 at 9:40 pm
Dimmi almeno cosa significa TRY AGAIN… se no, non posso dormire!
Maggio 4th, 2009 at 9:54 pm
Concordo. Consiglio agli amanti del genere canon rock final dell’adolescente Mattrach(solita fonte).
Maggio 5th, 2009 at 10:18 am
Vero, Mattrach è forse più bravo di Sungha Jung. Ma anche meno simpatico.
Maggio 5th, 2009 at 10:20 am
Ragazzi, questa non è una chatroom…
Maggio 5th, 2009 at 4:59 pm
The screens turn pale
the sexual freak passes throught
THE DOOR OF SUPREME FRIGHT locked
Maggio 5th, 2009 at 5:04 pm
E.R. –
the screens turn pale
the sexual freak passes trought
the door of supreme fright –
Maggio 5th, 2009 at 7:58 pm
la risposta esatta era “Huisc… Huiusc… / Huisciu… sciu sciu, / Sciukoku… Koku koku, / Sciu / ko / ku.”
Maggio 5th, 2009 at 8:36 pm
chiedo sorry ai professionisti dell’haiku, è stato un refuso di collera.C’è qualcuno che ritiene il mio inglese non all’altezza della situazione…
Maggio 6th, 2009 at 10:16 am
1) Non vi “appiccicate”
2) Fatevi capire
Grazie
Maggio 6th, 2009 at 12:29 pm
oh basta là, ma il mio inserto conteneva DAVVERO la risposta esatta. basta risalire alla fonte (abbastanza nota, peraltro).
Maggio 6th, 2009 at 7:48 pm
Lasciate-ci divertire.
dr. ama Palazzeschi.
homosex ama Battiato(cfr. la porta dello spavento supremo,CD X stratagemmi 2004)
Maggio 6th, 2009 at 8:11 pm
Ottimo. Per la verità anche dr amava Battiato (andando un suggestivissimo concerto alle Terme di Caracalla) prima che il cantante cominciasse a prendersi troppo sul serio. Quindi ho dirottato su autori come mym e Alan Lasting.
Maggio 6th, 2009 at 9:43 pm
Beh, volendo continuare la ‘sfida’ a chi ride di più, spengo il Cd di Battiato, chiudo la connessione e me ne vado in giro a fischiettare la camnzone della galassia.A bien tot.
Maggio 7th, 2009 at 12:15 pm
Emmenomale che hanno chiuso i manicomi… 😉
Maggio 7th, 2009 at 3:35 pm
“L’unica differenza tra me è un pazzo, è che io non sono pazzo ” (Salvador Dalì)
Maggio 8th, 2009 at 7:49 pm
Che stia attento. Edipo finì male…
Maggio 9th, 2009 at 10:55 am
ma non si era detto che Edipo era un eroe??
Maggio 9th, 2009 at 11:51 am
Si, Edipo si autopunì trafiggendosi gli occhi non appena giunse alla consapevolezza delle proprie azioni e se ne assunse la responsabilità. Parole come “consapevolezza” e “responsabilità” entreranno un giorno nel lessico agito dal personaggio de quo ?
Maggio 9th, 2009 at 12:00 pm
Be’, poniamo, se qualcuno dice/pensa/è consapevole di essere il più abile, il più “in gamba”, il più ricercato (onny soi…) e si assume tale responsabilità elargendo sé stesso al popolo in modo anche divertente, benché un poco pecoreccio (la battuta “posso palpare un po’ la signora?” in mezzo a una tempesta come quella attuale sfiora il sublime) non è già un ingresso in gioco di queste categorie nel lessico agito?
Maggio 9th, 2009 at 1:22 pm
Oh, si! ma è solo il primo passo: sicuramente Lui può fare anche di meglio!
Maggio 9th, 2009 at 6:30 pm
Speriamo di no… 🙂
Maggio 14th, 2009 at 11:10 am
Comincio a capire perché il buddismo non abbia un Sant’Uffizio: sarebbe autolesionistico 😀
Maggio 14th, 2009 at 12:17 pm
Sì, in effetti, “dal punto di vista buddista” (e già questa non è male… 8) ) prendersela con chi critica stereotipi, dogmi, autorità autoreferente, autoritarismi e gerarchie buddiste è una cavolata tale che anche il rogo farebbe ridere…
Maggio 14th, 2009 at 12:22 pm
Comincio a capire perché il buddismo non abbia un Sant’Uffizio: sarebbe autolesionistico 😀
Maggio 14th, 2009 at 12:23 pm
Sì, in effetti, “dal punto di vista buddista” (e già questa non è male… 8) ) prendersela con chi critica stereotipi, dogmi, autorità autoreferente, autoritarismi e gerarchie buddiste è una cavolata tale che anche il rogo farebbe ridere…
Maggio 14th, 2009 at 1:05 pm
meno male… mi sovviene che una delle accuse che portarono Giordano Bruno al rogo fu di aver spiegato la SS. Trinità con la metafora dei genitali del mulo: il Padre e il Figlio e poi… lo Spirito Santo che si erge.
Confidando nella benevolenza del ‘punto di vista buddhista’….
Maggio 14th, 2009 at 3:57 pm
Anche. Ma intendevo anche nel senso che, in caso di un’Inquisizione sistematica all’interno del buddismo, alla fine non resterebbe in piedi nessuno… neppure gli inquisitori. Meglio un miliardo di eretici che nessuno! (Un modello difficilmente esportabile)
Maggio 14th, 2009 at 5:27 pm
Uhh così, dici. Questa è la teoria, in realtà alla minima occasione se le danno, ce le diamo, di santa (si fa per dire…) ragione. Ci sono pure le scomuniche. A volte non durano molto. Altre volte sì. Poi, anche tra di noi, non proprio noi noi, comunque anche tra i buddisti girano parecchi quattrini e, si sa, lo sterco del diavolo ha un odore stupendo…
Maggio 14th, 2009 at 8:38 pm
allora diamocele, ma alla Buddazot! (non alla “porcogiuda”)
Maggio 15th, 2009 at 12:45 am
Honi soit qui mal y pense.Fatico a pensare ad una ‘inquisizione buddista’ che per davvero bruci dei giordano bruno; in effetti la religione più fanatica è guerrafondaia è proprio il cristianesimo eppure manca una iconografia guerresca del Cristo (mi sovvien il post da non credere con annessa arma da fuoco…)
Maggio 15th, 2009 at 11:51 am
Dicevi questa immagine, suppongo. Vero, manca l’iconografia guerresca del Cristo, come quella di Buddha d’altronde. Sono (siamo) gli uomini che li tirano per la giacchetta per giustificare le loro azioni. Molti buddisti (per esempio Kodo Sawaki) hanno partecipato, proprio in quanto buddisti, alle guerre di invasione del Giappone imperiale, partecipando a massacri giustificati col fatto che andavano a portare il Verbo, buddista in questo caso.
Maggio 15th, 2009 at 3:14 pm
Tuttavia è significativo il dato che le iconografie guerresche più pregnanti del panorama orientale(indiana-giapponese)abbiano generato le uniche autentiche democrazie asiatiche(che a ragione imitano il modello occidentale).Se una civiltà si misura dalla creazione dello stato di diritto in che termini si può parlare di civiltà buddista?
Maggio 15th, 2009 at 3:27 pm
Qui casca più dell’asino: “stato di diritto” è la Birmania? La Thailandia? Il Nepal? Il Bhutan? Il Vietnam? Lo era il Tibet? Lo è la Cina? Direi di no e forti perplessità mi suscita il Giappone, per quanto sia certamente da considerarsi tale. A parte l’India, che tra l’altro non ha mai dato vita ad una guerra in più di 2000 anni, diritto e buddismo pare non siano associabili. Sono anni che “cerco” qualcuno disposto ad ingaggiarsi su questo tema.
Maggio 15th, 2009 at 5:16 pm
In effetti una teocrazia illuminata potrebbe sembrare nel lunghissimo periodo il solo stato possibile.Quando cioè, al modo del codice di Manu, si alleveranno gli uomini separati in caste.Non per promuovere un tipo superiore d’uomo, ma per controllare il numero della popolazione mondiale.Se non si capisce che la soprapopolazione è il problema (e non un problema) non ci si riesce a districare tra i cavilli giuridici.
Maggio 15th, 2009 at 6:01 pm
Parla il critico:Cfr. Marassi, Piccola guida al buddismo zen nelle terre del tramonto,Marietti,2000.Con quale ambagia la penna si posa, e pecca di concepire l’immenso concetto di questo grande uomo?
Mi va di cantare, perdonatemelo:ITALIAN VIOLENCE di morgan.Adieu mon amì.
Maggio 15th, 2009 at 6:51 pm
Ecche, ‘ssi sciuto pazz?
Ambagia non l’avevo mai sentito.
La sovrappopolazione forse sarà il problema: se prima qualcuno non preme il bottone rosso.
Italian mothers
Maggio 16th, 2009 at 12:34 am
Anch’io non l’avevo mai sentito.L’ho pescato nella solita fonte:sono i versi di una adolescente fan di morgan(indirizzo vattela a pesca)che continua…mi ha condotto a te, le belle maniere, creanza, compostezza alternate al tuo dire sregolatezza, sfacciatagine sfrontatezza, è irriverente la tua spontaneità, tradotta in genio.Pensavo:a(l)bagia=all-wahr: sincero, schietto, ma anche alterigia, boria oppure amgag(e)=tortuoso.
Maggio 16th, 2009 at 8:58 am
Chiudo:non sono uno scrittore sciatto, semplicemente mi proibisco gli occhiali da vista quando non sono al lavoro muovendomi in una condizione di ‘pericolosa’ ipovedenza.[Errata Corrige: Ambàg(e)].Ciao.
Maggio 17th, 2009 at 9:33 am
Non volermene, e mi scuso per l’inopportuna intromissione, ma..
per il solo fatto che questo luogo, per me, riveste di un particolare significato, mi permetto di dire che mi sembra che tu abbia raggiunto il tetto delle possibili scemenze dicibili. Forse è meglio che ti metta gli occhiali anche fuori dal lavoro, magari per vedere gli appigli con cui ridiscendere…
Probabilmente anche questa mia è una scemenza, ma tamt’è…..
Maggio 17th, 2009 at 12:14 pm
marta, la mia posizione “istituzionale” mi impedisce di firmarmi e il fatto che non sono del “ramo” mi impedisce di documentare la mia opinione con le dovute citazioni, ma permettimi solo di dirti che hai espresso in modo pressoché perfetto il mio punto di vista su questa faccenda. grazie
Maggio 17th, 2009 at 12:42 pm
Ragazzi, ragazze, non perché siamo in un blog buddista, ma per semplice ospitalità, accogliamo l’espressività altrui in modo gentile e curioso: non è bello (solo) ciò che piace a me. E così pure non è cretino, necessariamente, ciò che reputo tale. A volte così mi pare quello che non capisco e, se lo capissi, forse lo riterrei geniale. Homosex non è il massimo della netiquette, a volte lo fa anche apposta, e non è sempre un simpaticone. È un interlocutore e sino a che è tale (ovvero non è un guastatore, o un troll come si dice in gergo) ha diritto anche lui ad essere qui con noi.
Maggio 17th, 2009 at 1:51 pm
Ma ci mancherebbe altro. Se così è stato inteso il mio intervento me ne scuso.
Maggio 17th, 2009 at 3:59 pm
Bene. Detto questo, se vai a vedere interventi e post del passato vedrai ho rimproverato varie volte la sua ermeticità e (quasi) completa assenza di cortesia per i lettori. Cortesia che si misura, a mio parere, anche nel cercare di farsi capire. Senza escludere l’apparire intelligenti.
Maggio 17th, 2009 at 8:32 pm
Il testo di questo commento è, a mio insindacabile parere, ozioso e lezioso in modo esagerato. Non lo cancello ma lo considero SPAM.
mym
RIGHT NOW ON MY COMPUTER:Mr. Bad Guy by F.Mercury!Se si tralasciano i colore freddi e neutri della mia cameretta qui si esprimono le tinte calde dei corpi nella volontà precisa di creare un forte contrasto cromatico in grado di liberare un effetto bidimensionale dagli esiti stilistici assai interessanti.Dev’essere così: sono FIGLIO DI UN RE(!)
Maggio 18th, 2009 at 2:22 am
Il testo di questo commento è, a mio insindacabile parere, ozioso e lezioso in modo esagerato. Non lo cancello ma lo considero SPAM (secondo avviso). mym
Per la precisione.Pesco a caso tra gli ispirati versi della ‘nostra’ poetessa classe ’87. Dalla sua Ode a Morgan:..ambagia(sic)…Esuberatnte e superba la tua esteriorità, in pochi sanno guardare scuoti la titubanza che c’è non può sotterrarci, gli occhi miei immancabilmente si immergono
P.S. – Dalle mie parti è tempo di feste patronali e concerti in piazza.Sarò assente da ‘scuola’ per un pò…
Maggio 18th, 2009 at 2:46 pm
Proprrei di regalare a Narciso uno specchio personale, ove possa rimirarsi a suo piacimento.
Ma anche ad ‘anonimo’ forse gioverebbe…
Ragazzi, sembra di essere in gondola: e dire che non ho ancora bevuto un goccio, di oggi!
Maggio 18th, 2009 at 4:45 pm
… e nel frattempo nessuno ha più minimamente pensato a Buddazot, che era il vero, serio (per quanto umoristico) argomento. Direi di chiedere scusa al bravo Paolo Sacchi.
Maggio 18th, 2009 at 5:28 pm
@doc: temo che il mio definire la mia posizione “istituzionale” sia stato infelice. intendevo dire che essendo semplice webmaster non dovrei intervenire sul merito di queste discussioni perché non è la mia materia e quindi non ho nemmeno l’autorità per poter dire che cosa sia una stupidaggine e che cosa “semplicemente” ermetico. parlavo da semplice lettore e condividevo l’opinione di marta sul fatto che questo thread fosse andato ben oltre il seminato e con espressioni (secondo me) completamente off-topic. mi sono espresso sicuramente male…
comunque… lunga vita a Buddazot! 😉
Maggio 18th, 2009 at 6:03 pm
Lunga vita a Buddazot!
Maggio 22nd, 2009 at 9:52 pm
Mi metto gli occhiali..Dunque il furore di leggere libri tradisce una specie di fuga vacui;non avendo pensieri propri li si attira a forza nel vuoto di pensiero del proprio cervello per pensare con la testa altrui anzicchè con la propria,l’arte di NON leggere è quindi molto importante.Porsi una domanda e leggere un libro, non è sciocco?
Maggio 23rd, 2009 at 7:49 pm
Il furore è un cattivo maestro, in questo caso la pre messa rischia di inficiare le con seguenze. Leggere con la testa vuota è impossibile, l’azione di leggere comporta la fabbricazione del concetto o, a seconda dei casi) dell’immagine. Ed è un’operazione personale, unica. Quello che leggiamo funziona da miccia ad un processo di dimensioni molto, molto, più ampie. Le implicazioni, le associazioni, le antitesi, le digressioni. Una grande lettrice era Virginia Woolf, descrive il “meccanismo” del leggere in modo -ancora- insuperato. Accontentarsi di quegli straccetti che consideriamo, erroneamente, “pensieri nostri” e praticare il non leggere… sì, perché no, anche il contrario di intelligenza può essere libera scelta. Non ne farei una bandiera, comunque.
Porsi una domanda forse è sciocco, certo, non possiamo comporre quesiti (se non pleonastici) senza sapere di che cosa parliamo, ergo… Tuttavia sapersi porre di fronte ad una certa domanda senza ostruirla con una risposta: quella è la via dei saggi.
Maggio 24th, 2009 at 7:50 am
L’uomo di fede mette alla propva il proprio credo quando si confronta con persone che non la pensano come lui, specie oggi con internet in cui si scopre che la nostra verità di fede è declassata da milioni di uomini e donne a una semplice e confutabile opinione.Questa la domanda: è inevitabile rassegnarci a un mondo in cui la fede è opinione?
Maggio 24th, 2009 at 10:37 am
No, infatti, laddove la fede è un’opinione… non è fede, è pensiero o altro, comunque costruito da noi per cui: idolo. L’uomo di fede che mette alla prova il proprio credo quando si confronta con persone che non la pensano come lui è, tecnicamente parlando, un idolatra.
Maggio 24th, 2009 at 2:35 pm
Vorrei però segnalare una piccola sfasatura che si è venuta a creare nel discorso. La pratica del discernimento non riguarda “l’oggetto” (Dio, p.es.) ma la valutazione della propria condizione psicologica per verificare se si stia compiendo una scelta di vita con l’atteggiamento giusto, o meno; con tutte le conseguenze a catena. (Sarebbe però impervio, oltre che fuorviante, riassumere tale pratica in un blog.)
Maggio 24th, 2009 at 3:55 pm
Semiologia? Capisco. Il discernimento (l’applicazione del) è (anche) nel leggere un libro? E nel non leggerlo apposta? Non poniamo limiti al discernimento riguardo al … discernimento 🙂
Maggio 24th, 2009 at 4:53 pm
Il discernimento dei Padri della Chiesa e di Ignazio di Loyola NON consiste affatto nella lettura di libri. I testi scritti servono solo per fissare le esperienze comprovate, in modo che possano tornare utili alle generazioni successive. Vedi anche “La scala del paradiso” di Giovanni Climaco, monaco del monte Sinai del VII secolo d.C.; o gli scritti dello starec russo Ignatij Briancaninov.
Maggio 24th, 2009 at 5:52 pm
Peccato non poter mettere un po’ a fuoco i possibili criteri di discernimento. Vista la mia naturale propensione a perdermi nei vari bicchieri d’acqua quotidiani, ascoltare dei punti di vista su tale argomento non mi sarebbe dispiaciuto, pur fermo restando il fatto che ogni situazione richiede una risposta che non può essere standard…
Mi verrebbe da chiedere come prima cosa ( forse banale): è possibile acquisire una capacità di discernimento?
Maggio 24th, 2009 at 5:58 pm
Aver chiaro un obiettivo e scegliere un metodo potrebbe essere un buon inizio
Maggio 24th, 2009 at 6:40 pm
Sì, ma forse, quando riesco ad avere chiaro l’ obiettivo e ho scelto il metodo, ho già messo in opera il mio saper discernere o meno.
Quello che volevo dire ( e sicuramente non mi sono spiegata ) è che il discernimento, inteso nel senso espresso da dr, mi risulta ostico da “realizzare” soprattutto nelle scelte quotidiane dove intervengono le variabili più svariate.
Maggio 24th, 2009 at 7:13 pm
In effetti Ignazio è lontano (15..).Ritengo che quando si compra un libro bisognerebbe anche “comprare” il tempo di leggerlo..Allora la filosofia risulta più pratica dell’economia producendo beni come “Dio”, “anima”,”libertà”,etc.
Maggio 24th, 2009 at 7:27 pm
Ignazio è lontano ma “l’argomento” suo è molto vicino. E il tempo è gratis: fornito in quantità uguali a tutti, ogni giorno, si tratta “solo” di scegliere come usarlo. Volendo trovare un aiuto nei libri, un buon manuale del discernimento sono gli otto punti dell’Ottuplice Sentiero: tre minuti per leggerli, una vita per provarci. Quello che manca, nell’Ottuplice, si impara seduti in silenzio, lasciando il pensiero ogni volta che ci porta a spasso.
Maggio 25th, 2009 at 9:36 am
La conversazione mi sta acchiappando un sacco, e sono felice che l’argomento susciti interesse. Mi spiace solo per Marta, ma se provassi a riassumere la “via” del discernimento, sarebbe come proporsi da “testimone affidabile”… sai le risate… Mi permetto di rimandare, ancora, a uno dei volumi indicati; ok, sono “solo” dei libri, ma scritti da persone che la strada l’avevano percorsa. E dal ‘500, anzi dal VII secolo a oggi, non è cambiato davvero niente.
Maggio 25th, 2009 at 9:37 am
NOTA: quei libri contengono all’inizio espressioni atte a “spaventare” chi è poco motivato a proseguire.
Maggio 25th, 2009 at 3:45 pm
Cercherò di non lasciarmi spaventare. Grazie Ciao
Giugno 1st, 2009 at 9:02 pm
Cattivaccio, li hai spaventati con lo shampoo della velina mistica, e così adesso nessuno nota gli alti concetti (??) contenuti nell’haiku, che era il vero argomento. Preciso quindi che il titolo quasi sicuramente è stato scelto da Lasting perché “suonava bene”, non perché i versi volessero commentare quel quadro specifico.
Giugno 2nd, 2009 at 10:22 am
Forse servirebbe un po’ d’ermetismo in meno, altrimenti, non trovando altre uscite, anche grazie agli innocenti (?) richiami di certe immagini si rischia di scadere nel pecoreccio
Giugno 2nd, 2009 at 10:29 am
L’ermetico (sperando non “emetico”) è Lasting. Io mi limito a pigliare e tradurre; i commenti finali servono giusto a non lasciare il testo appeso al nulla, ma per enucleare l’eventuale validità del messaggio sarebbero necessari gli interventi degli “esperti” (cioè chiunque “fa esperienza”).
Giugno 2nd, 2009 at 8:28 pm
Penso che davanti alla verità (quella di Lasting in questo caso) non ci sia proprio più niente da dire.
Giugno 3rd, 2009 at 9:43 am
ullapeppa! bene, il mio filo-anglismo ne esce rafforzato.
Giugno 9th, 2009 at 11:35 am
Farei firma per avere un intervento dell’autore ogni volta che
recensisco un libro. dhr
Giugno 9th, 2009 at 10:50 pm
Non ho capito se la ragione di queste precisazioni dipendano più dalla ‘cattiveria’ di dhr ovvero dalla vanità del gentile Autore tamt’è:io lodo il critico per questo piccolo ‘terremoto’.A questo punto proporrei di recensire un libro sulla historia diabolica della Chiesa di un altro Autore (magari vivente).
Giugno 9th, 2009 at 10:59 pm
Sono così colpito da queste parole che quasi mi faccio battezzare…Non ho fede che il disprezzo del ‘tranquillo’ papa ci liberi dal morbo berlusconiano ma ho fede (si fa per dire) che gli oppressi e i poveri di spirito (autentici depositari delle fede cristiana) si ravvedano.
Giugno 10th, 2009 at 10:13 am
Auspicare (seppur per burla di fede) il ravvedimento degli oppressi e dei poveri di spirito è quantomeno insolito. Vien da chiedersi che cosa dovrebbero fare gli altri, ovvero gli oppressori e i superbi…
Lunga vita a don Farinella!
Giugno 10th, 2009 at 10:20 am
L’autore di un testo, di un libro un articolo, spesso compie l’errore di supporre (o addirittura di volere) che le sue parole vengano lette secondo l’angolatura dalla quale lui le ha viste nello scriverle, un’angolatura spesso condivisa (e questo da forza all’idea di oggettività…) da chi con quell’autore condivide esperienze, ruoli, formazione. Ma ogni testo una volta licenziato ha vita propria, diversa per ogni lettore. A questo punto, a volte, gli autori chiedono che la vita di quel testo continui ad essere secondo il loro respiro. Vi è un esempio qui di questa evenienza.
Quel tal libro, perché non lo recensisci tu?
Giugno 10th, 2009 at 10:25 am
Non volevo dirlo… ma se mi rubate le parole di bocca!
😉
Giugno 10th, 2009 at 7:30 pm
Mi spiace amici ma ho perso l’appunto dove avevo segnato quel tal libro e poi gli esperti di cose religiose siete voi…
Giugno 12th, 2009 at 3:53 pm
Perdonate se non rispetto il protocollo: Opus Diaboli di Deschner Karlheinz, ed. Liberilibri, 2003.
Giugno 14th, 2009 at 5:57 pm
GRAZIE Don Farinella della sua testimonianza e delle sue parole inequivocabili, ma una rondine non fà primavera.. Chiunque deve dire qualcosa dovrebbe parlare ora, anzi ieri.. Comunque anche i nostrani buddhisti (chi si ritiene o crede di essere tale)dovrebbero “agitare il ventaglio”(v. ghenjokoan), per quanto gli sia possibile, per evitare la deriva di un paese che ormai si muove spinto solo dalla pancia.
Giugno 17th, 2009 at 10:14 am
Parole sante. Senza tanti ghirigori, arriva dritto al punto. (Ma non potrebbe scegliersi dei titoli più umani per le sue opere??)
Giugno 17th, 2009 at 10:22 am
Il riciclo è agli atti della natura in ogni cosa: le cellule, gli atomi, del nostro corpo sono già stati parte di altri corpi (nella mia orecchia sinistra ci sono due parti che furono di Cleopatra…), altri oggetti. Ma non siamo quei corpi, quegli oggetti.
Il titolo: Le stanze del cuore della relazione interdipendente. Ora lo aggiungo al testo, grazie.
Giugno 17th, 2009 at 10:32 am
Comunque in Occidente “dovremmo” già saperlo per via autoctona: le monadi di Leibniz, quello erano. (Nel giovanilismo attuale è diventato di moda sparlare delle monadi come fossero una forma di egocentrismo… sigh…)
Giugno 17th, 2009 at 10:42 am
Le monadi… Mi distrassi quando se ne parlò, giù al liceo… Forse la differenza è che, nel Nagarjuna-pensiero, anche le “monadi” sono dei composti di parti riciclate…
Giugno 17th, 2009 at 10:54 am
Ogni cosa è composta di altre, e queste altre di altre ancora, e così – letteralmente – all’infinito. Altro spunto leibniziano: le monadi sono inestese, e tutte le cose sono aggregati di monadi. Ma zero + zero + zero… darà sempre zero. La prossima volta che ti reincarni e torni al liceo, studia!
:-)>
Giugno 17th, 2009 at 11:03 am
Là là là, zero+zero+zero darebbe zero se la matematica fosse la legge del cosmo. Grazie al Cielo ‘o miracolo fa premio sulla matematica…
Giugno 17th, 2009 at 11:22 am
sei sempre il solito cattolicone
Giugno 17th, 2009 at 3:33 pm
Segnalo il mio cambiamento di indirizzo di posta elettronica: criscarb@vodafone.it.
Giugno 17th, 2009 at 7:49 pm
Cado dal pero. Mi arrendo. Mi cospargo il capo di cenere. Carino però il sasso: posso tenercelo per dipingerci sopra una classica civetta?
Giugno 17th, 2009 at 7:55 pm
Sì, ma solo se la civetta è molto classica, veh.
Giugno 17th, 2009 at 8:07 pm
Più classica di così: il simbolo di Athena, dea della sapienza… e della guerra, se è per questo. Maremma mahayana (forma di buddismo diffusa in Toscana). Quanto al risveglio, comunque, meglio di gran lunga la versione di Nagarjuna.
Giugno 18th, 2009 at 10:25 am
Bella questa cosa delle varie versioni del risveglio: il pluralismo dell’esoterismo
Giugno 18th, 2009 at 5:27 pm
Hello
I had a little contact with you before.
i am sorry to see this place closed down since I wanted to come there this summer if you had a sesshin Antaiji style.
Now it seems there is not so I ask you–do you know somewhere in Europe I can do a lot of zazen in a real sesshin and not waste time. Soto, of course.
Please answer me as quickly as possible
Giugno 18th, 2009 at 5:44 pm
To do zazen without to waste time it looks like a good koan… Aniway, since you are looking for Antaiji styled sesshin, why don’t you ask directly to Muho, up there?
Giugno 18th, 2009 at 10:27 pm
“…così ci segue il bene quando parliamo o agiamo con mente tranquilla.” Fosse davvero così! Ma forse il problema sta nell’impossibilità di determinare il bene con una definizione univoca. Cos’è il Bene?
Giugno 18th, 2009 at 10:30 pm
Ciascun lo sa per sé. Sino a che non è un fatto teorico, poi scompare.
Giugno 19th, 2009 at 8:45 am
Buon sangue, non mente.
Giugno 19th, 2009 at 9:39 am
Sì, in un modo o nell’altro il seme contiene il frutto. Per cui tanto vale mettersi a vento, imho
Giugno 19th, 2009 at 7:02 pm
Ho un attacco di trance..Il concetto principale è che tutto nel mondo scaturisce dalla derivazione dipendente.Il mondo compare dipendente da cause collegate a circostanze.All’interno di ogni essere umano tutto proviene dalla prima causa che è la nascita.L’ignoranza è la mancanza di conoscenza della incondizionata natura della mente che, poi, è il vero insegnante.Allora Dio è un termine tecnico o un pezzo di carne?
Giugno 19th, 2009 at 7:23 pm
Dio è il nome di tutto quel che non
Giugno 20th, 2009 at 4:59 pm
Non ho capito come, in tutto ciò, si inserisca il “vedi anche.. Cristina Carbone”. Forse non ho proprio capito come funziona il “vedi anche”…
Giugno 20th, 2009 at 6:53 pm
Be’, capisco, voi perfetti non avete bisogno di esami di coscienza. A noi, esseri comuni, capita invece di trovarci a vivere una situazione o l’altra per cui un memento esplicito aiuta ad avere meno dimenticanze.
Giugno 21st, 2009 at 11:49 am
Beato te che capisci. Io capisco sempre meno… ci penserò domani!
Giugno 21st, 2009 at 11:52 am
Non c’è molto da capire: o si prova a “fare i bravi” oppure no.
Giugno 21st, 2009 at 1:08 pm
Dio è niente non davanti alla logica
delle definizioni ma perchè annienta continuamente ogni determinazione, perchè è
l’annientante.La natura di dio, non creata
in alcun modo è presente in noi fin
dall’inizio come stato naturale.Non è una
invenzione,un idea,una teoria filosofica è
una realtà incondizionata (vuoto che ha
cognizione); la sua identità è nessuna
cosa.Non è un’oggetto che si possa
vedere,udire,odorare,gustare,afferrare ma
allo stesso tempo è in grado di conoscere.Queste due cose sono
inscindibili.
Giugno 21st, 2009 at 1:09 pm
La violenza fatta alla trascendenza si paga sempre. Vedi anche “L’Edipo Re”.
Giugno 21st, 2009 at 4:08 pm
L’altra violenza, if any, è gratis?
Giugno 21st, 2009 at 6:41 pm
Beh allora, se si dice: “19. Chi diffama l’Illuminato (il Buddha), o un suo discepolo… costui è un fuoricasta”… perché, a diffamare qualcun altro si fa bene?
Giugno 21st, 2009 at 6:49 pm
La difesa della casta dando del fuori casta a che vi attenta dici… Però, nel punto 19, si parla anche dei laici. D’accordo, c’è un ordine di comparsa, una gerarchia, ma … insomma. A Homosex ho risposto in modo un po’ troppo secco, è vero, ma mi pareva (per effetto della lettura del commento 5) che fosse più papista del papa 🙂
Giugno 21st, 2009 at 9:27 pm
La natura della mente è amorfa come lo spazio -tempo..Non capisco,invece, perchè mai chi mira ad onori e ricchezze seguendo la Via venga scambiato, nelle stanze di potere, per un dissoluto..Cmq non faccio mai l’elemosina e, allora, come si fa ad intentare un processo buddista come è solita tra (con) “papi”?
Giugno 22nd, 2009 at 7:54 am
Si noti che la precisione è distinta dalla chiarezza, che implica la possibilità di accedere facilmente alla comprensione di un insieme di conoscenze, conservando una visione delle reciproche relazioni che caratterizzano i singoli elementi illustrati, nonchè dall’esattezza, che è il compimento di una procedura di calcolo e che non riguarda la proprietà linguistica nell’esposizione di un concetto.Insomma sogno un viaggio morbido nel mio spirito e vado via che vado via, mi vida così sia!
Giugno 22nd, 2009 at 12:00 pm
Leggo alla strofe 321: “Gli individui che hanno addestrato se stessi
a tollerare la violenza
sono ovunque preziosi”. Ciò significa che la violenza va tollerata? oppure… che cosa?
Giugno 22nd, 2009 at 12:44 pm
Significa che occorre imparare a non soccombere interiormente, a non lasciarsi addolorare dalla sofferenza. Il Dhammapada è un testo di spiritualità, non è un manuale di politica.
Giugno 22nd, 2009 at 4:22 pm
Naturalmente ti credo, non è un campo in cui possa permettermi di discutere; solo che “non lasciarsi addolorare dalla sofferenza” e “tollerare la violenza” non mi sembra la stesssa cosa.
Giugno 22nd, 2009 at 4:59 pm
Non ti sembra la stessa cosa perché non dai fortemente per scontato, da subito, a quale aspetto della vita si rivolga il sutra, ti fermi alla lettera. L’ingiunzione: “affogatelo” ha significati profondamente diversi secondo i contesti. Se la frase continua con: nel cognac prima di servire, è un conto, se continua con: e poi gettate il cadavere ai coccodrilli… forse cambia qualche cosa. Quando si parla dello spirito, “tollerare” è un’attività interiore.
Giugno 22nd, 2009 at 9:13 pm
Dando per scontato che, purtroppo, mi muovo in una logica diversa dalla tua, posso accetto l’attività interiore della tolleranza, va bene: ma questa tolleranza interiore rimane tale o nella prassi può invece diventare fattiva e anche combattiva? Se anche “cristianamente” perdono il violento ecc., ciò mi esime dall’agire con decisione nei suoi confronti? Grazie.
Giugno 23rd, 2009 at 9:19 pm
Se hai “tollerato” non ti sei alterata, sei serena, potrai prendere decisioni (meglio per il bene) a partire dalla serenità. Con l’augurio di non perdere quel bene prezioso.
Giugno 24th, 2009 at 12:07 pm
Credo di aver capito. Le decisioni è sempre opportuno prenderle a partire da uno stato d’animo che tu definisci sereno, io lucido… E grazie per l’augurio.
Giugno 24th, 2009 at 12:40 pm
Io non penso che sereno e lucido siano sinonimi in questo caso. Esiste la lucida collera e anche la lucida follia, per non parlare della lucida depressione. Difficilmente possiamo comprendere serena collera, serena follia o serena depressione. Il senso di sereno, in questo caso indica uno stato d’animo piacevole in senso leggero. Non la capacità di ragionare ugualmente.
Giugno 25th, 2009 at 11:56 am
Mi ha colpito l’ ultima frase per il contesto in cui è stato inserito “l’avere cura”.
Espressione che esprime dolcezza, forse perchè è solitamente legata alla cura dei figli, assume in questo caso,per me naturalmente, un significato molto particolare. E’ quasi come vedere l'”attenzione” da un’angolatura diversa, più dolce appunto..
Tanto importante da diventare quasi una discriminante per alcune ( o tutte ?) decisioni…
Magari chi ha scritto voleva intendere tutt’altra cosa, ma tant’è…
Giugno 25th, 2009 at 2:40 pm
Credo che lucida collera, lucida follia ecc. siano figure retoriche che si riferiscono al manifestarsi di queste passioni senza l’accompagnamento di vistose manifestazioni esteriori: tuttavia passioni restano e perciò comunque irrazionali.Sostituendo con “serenità”, d’altra parte, eliminiamo la possibile ambiguità….
Giugno 25th, 2009 at 5:44 pm
Dire “no” è una delle cose più difficili e importanti. Con i figli, il coniuge, a scuola. Molti dicono sempre sì (finendo per deludere) proprio per non affrontare la difficoltà del no. D’altro canto vi sono momenti in cui sta a noi dire no. Se lo facciamo quando abbiamo cura (di un figlio, di uno studente) sarà un atto buono anche per chi quel no deve accettare. Imparare ad accettare il no è una crescita indispensabile sulla via dell’adulto.
Giugno 26th, 2009 at 8:07 pm
Caro “pellegrino cherubico”, facile fare questi giochetti a partire dal Dio trascendente. Però ha tutto un altro spessore farne con un Dio di carne, un orrore crocifisso. Ad esempio: “Il Padre appare colui contro il quale Gesù bestemmia, tanto che non si dà via di scampo: bisogna scegliere tra il credere a Gesù o il ritenerlo il vertice dell’empietà (…). Se Gesù ha bestemmiato, il Padre deve manifestarsi come giudice, e poiché tutto prosegue in modo coerente fino alla fine – la crocifissione, gli insulti, le bestemmie contro il Cristo – dobbiamo ritenere che Gesù è il bestemmiatore e il Padre è il giustiziere…” (Don Giuseppe Dossetti, Pasqua 1977)
Giugno 26th, 2009 at 8:30 pm
Non sottovaluterei, anche nel senso della resa pratica, il: “Chi luce non diventa…”
Giugno 26th, 2009 at 8:48 pm
La differenza tra un credente e uno come me è che io non mi pongo più certi problemi,
eppure c’è luce nei miei pensieri,e,malgrado nell “ambient intimancy” si inventino parole rimpiango la luce, la luce del sole.(2 bad).
Giugno 27th, 2009 at 1:39 am
Il buddismo è oltre la storia perché sofferenza e dolore sono di origine metafisica cioè trovano la loro origine ultima in un impulso cieco, senza alcun fine. L’errore non è che una sorta di egoismo ontologico, un solipsismo etico scaturente da un naturale quanto illusorio solipsismo conoscitivo, quell’antagonismo che la nostra coscienza empirica (prestrutturata alla frammentazione) scava tra me e l’altro.
Giugno 27th, 2009 at 5:38 pm
(a mym) beh noi siamo GIA’ luce, a tutti i livelli: fisico, psichico… effetti percepiti di una vibrazione.
Giugno 27th, 2009 at 5:41 pm
Già, ma lì si parla di diventare.
Giugno 27th, 2009 at 5:43 pm
appunto: diventare sempre di più luce… fino a svanire. come fece il Risorto, un flash di luce (cfr. Sindone)
Giugno 27th, 2009 at 5:46 pm
Dove ci si segna? Io comincerei subito
Giugno 27th, 2009 at 6:57 pm
Il Benedetto (da non confondere con il Beato) direbbe che “ci si segna” con il battesimo. E conseguente vita di chiesa. Però non chiedere a me, ché son fuori dal giro.
Giugno 27th, 2009 at 7:01 pm
Se sei fuori dal giro un motivo ce l’avrai: quella roba lì del Risorto, i flash di luce ecc. non mi sembra altrettanto serio del proporre di “diventare” luce da parte di Silesius. Che, si presume, parlava per esperienza, non per dottrina.
Giugno 27th, 2009 at 7:50 pm
In verità credo che niente diventi e tutto sia una distruzione continuata.Cioè per assimilare le fondamentali intuizioni della religiosità orientale bisogna approcciarsi con una mentalità filosofica transculturale.Insomma dico basta alla bimillenaria missione della Chiesa di evangelizzare l’India e la Cina.Semmai è la saggezza indiana che rifluisce verso l’Europa,per produrre una trasformazione radicale della nostro sistema-pensiero.
Giugno 27th, 2009 at 8:00 pm
Penso che sarà maggiormente la Cina ad avere questo ruolo. In Occidente ciò che conta sono “il conto in banca” e i cinesi ce l’hanno più grosso, e poi il numero di baionette: per cui toccherà a loro dominare il mondo, diverremo una provincia, come l’ex Tibet…
Giugno 27th, 2009 at 8:06 pm
(un po’ a tutti e nessuno) Alla fine aveva ragione il Qohèlet: “Il saggio ha gli occhi in fronte, mentre lo stolto cammina nel buio [non-luce]. Eppure io so che a tutti e due è riservata la stessa sorte”.
Giugno 28th, 2009 at 6:57 pm
Sì,ma c’è chi non si vuole reincarnare..Il Tibet è un unicum:50 anni di storia non violenta(scusate se è poco).Credo che i lama tibetani abbiano tutti i numeri per diventare la massima autorità spirituale del mondo.In fin dei conti abitano sulle montagne più alte..Come si spiega la mentalità colonialista della Cina tipicamente occidentale?E’ sbagliato ritenere che il concetto di dirito umano sia estraneo alla cultura asiatica;essa tende alla liberazione individuale.
Giugno 28th, 2009 at 7:47 pm
È vero, il contrasto tra “non diritti” e “liberazione individuale” sembra assurdo ma è reale. In tutti i Paesi in cui la liberazione individuale ha grande importanza i diritti (quelli che noi chiamiamo così) sono scarsi. Anche in Tibet la situazione, da questo punto di vista non era migliore. La Cina è un animale a sé, l’obiettivo è il gruppo, il più ampio possibile. Tutto è subordinato al successo del collettivo, anche i diritti, anche la liberazione individuale. Se non in campo daoista. Ma qui la faccenda si complica.
Giugno 28th, 2009 at 8:30 pm
Vedi anche ciò che succede in questi giorni in Iran.
Luglio 3rd, 2009 at 9:14 am
“Dio salvi la regina” ma… che colpa ne ho se Lasting sceglie gli argomenti X piuttosto che Y? Il “traduttore” può anche essere “traditore” però traduce quello che passa il convento. 🙁
Luglio 3rd, 2009 at 9:34 pm
In effetti una cosa è tradurre dall’inglese all’italiano, un’altra dall’italiano all’inglese.Per es.:Quando l’aurora mi inonda di purpuree malie/mi sento/aria trasparente/Non so dirlo/eccedo/palefaces kill sound – taste of Arcadia/and air is not enough.”God save the Queen”.P.S.A me il convento non passa niente.
Luglio 4th, 2009 at 9:28 am
Splendido.
PS: mi auguro tu apprezzi questo “niente”.
Luglio 6th, 2009 at 11:05 am
La quinta Nobile Verità: W la diffusione della cultura!
Luglio 6th, 2009 at 11:31 am
Domanda da un milione di svanziche: che fine ha fatto la tua tesi?
Luglio 6th, 2009 at 11:38 am
Il problema (?) dei buddisti in rapporto alla politica è ancora tutto da scoperchiare. C’è chi automaticamente si sente in dovere di lottare per l’indipendenza del Tibet chi altrettanto automaticamente pensa si debba astenere…
Luglio 6th, 2009 at 12:33 pm
Mi sembra un’ottima idea: molte volte mi sono chiesta perché mai il risultato di anni(?)di studio e di impegno debba finire in un archivio inutilizzato. Certo è difficile che qualcuno abbia lo sfizio di leggere tomi ponderosi di compilazioni e altro, però ci può sempre essere qualcuno interessato almeno a qualche parte delle tesi di laurea. Molto bene.
Luglio 6th, 2009 at 12:36 pm
Grazie, prof 😀
Luglio 6th, 2009 at 2:57 pm
Ho appena finito di correggere le bozze di una una ‘tesi finale’.Titolo:Ozio e letteratura digitale.Ma a che pro pubblicarla?Ormai c’è l’audiovisivo.Non è meglio, forse, una conoscenza esoterica ad uso della ‘scuola’ o del ‘maestro’?
Luglio 11th, 2009 at 11:48 am
mmmmhhh…si parte dalla metafisica e si arriva alla politica….potenza dei pensieri?
Luglio 11th, 2009 at 12:23 pm
Non capisco la negazione iniziale. Quando, chi, perché mai si dovrebbe ritenere saggio uno che parla molto?
Luglio 11th, 2009 at 12:50 pm
Sì, in effetti -anche se non è sua abitudine- Homosex la butta in politica ed io lo seguo. Poi esce l’Iran, ma forse troppo random (ex abruptu? Alla c.d.c.?) per essere seguito.
Luglio 11th, 2009 at 12:53 pm
Già, perché? Nessuno, infatti, ha mai sentito una predica a braccio di un prete, un religioso, un chierico che parla parla si ascolta e non la finisce più, e neppure ha letto quelle lunghe pagine dei bollettini parrocchiali (o assimilabili) in cui si spiega tutto a tutti, per non parlare di quelli che scrivono i commenti sul web in risposta ad altri commenti e scrivono scrivono
Luglio 12th, 2009 at 11:24 am
In effetti è difficile saper tacere.Ad es. davanti ad un prete divento muto e scrivo pochissimo (tra l’altro quello che scrivo è talmente artefatto che non meriterebbe nemmeno di essere letto).
P.S. Molto bella la tesi finale sul perdono.
Luglio 12th, 2009 at 4:44 pm
Grazie per aver letto il mio lavoro. Lo scopo di questa iniziativa è proprio quello di condividere la propria ricerca con gli altri ed in tal modo crescere. G.I
Skype: jjiorio
msn: jjiorio81@hotmail.it
Luglio 18th, 2009 at 8:28 pm
Che animali strani che siamo: più un messaggio è profondo e ben detto, più è difficile trovare un commento…
Luglio 19th, 2009 at 10:13 am
“Un bel tacer non fu mai scritto”. Anonimo.
Luglio 19th, 2009 at 10:16 am
… il quale Anomimo però HA scritto questo insegnamento.
Luglio 20th, 2009 at 10:18 am
Snidato: l’Anonimo non è più tale: Claudio Monteverdi, nato a Cremona il 15 maggio 1567 e morto a Venezia il 29 novembre 1643. Ne Il ritorno di Ulisse in patria del 1640, all’inizio della scena ottava del quinto atto, Ericlea conclude il proprio monologo con queste parole: “Ericlea, che farai? Tacerai tu?
Insomma un bel tacer mai scritto fu.”. La stessa frase è ripresa da Carlo Gozzi ne La Marfisa bizzarra, poema faceto del 1911.
Luglio 20th, 2009 at 12:06 pm
Nulla è più serio del faceto.
Luglio 22nd, 2009 at 9:44 am
I agree. While living in Japan and participating in a Rinzaizen temple, it seemed the final message of zen was somehow lost in the “doing”. Zen is timeless. But it has to reflect the moment.
Luglio 22nd, 2009 at 9:41 pm
Qui c’è di mezzo un discorso particolarmente fine. Perché di per sé ANCHE i fondamentalisti considerano i pro e i contro, e giudicano caso per caso… ma ritengono che i casi siano i soliti 3 o 4, e che i pro e i contro siano facili da determinare in base alle proprie “convinzioni” (cioè, di fatto, le loro pulsioni inconsce).
Luglio 24th, 2009 at 11:53 am
Io non credo che sia proprio così, cioè che i fondamentalisti giudichino in base a pulsioni inconsce. Credo invece che abbiano consapevolmente ridotto a tre, quattro assiomi l’infinito e riescano a far rientrare in essi tutto quanto, cioè quel poco che conoscono e vogliono conoscere…
Luglio 24th, 2009 at 1:02 pm
… e appunto questa è una pulsione radicata, inconscia, “animalesca”, di sopravvivenza. Si adotta il criterio più semplice, diretto, immediato. Anche se alla lunga è controproducente… (Il pulcino considera suoi “fratellini” le sagome che vede quando esce dal guscio. Se però sono oggetti buttati lì, si condanna da solo a soccombere).
Luglio 24th, 2009 at 10:07 pm
A me, questa storia delle pulsioni inconscie non mi ha mai convinto. preferisco quell’altra, altrettanto nota, interpretazione o definizione: “Il sonno della ragione genera mostri”…
Luglio 24th, 2009 at 10:30 pm
Concordo con Cristina.Il fondamentalismo semplifica le cose.Per es.:il Vaticano è la nostra Cina; l’Italia il suo Tibet,ma senza baluardo spirituale di Dalai Lama è invertebrata, arresa per obbligo e vocazione all’iniquità.
Luglio 25th, 2009 at 10:56 am
Mi fa piacere che tu sia d’accordo sulla “funzione” riduttiva del fondamentalismo, anche se nella mia citazione sono andata un po’ oltre l’intenzione: intendevo limitarmi a stabilire l’identità: pulsione inconscia = sonno della ragione.
Luglio 25th, 2009 at 11:06 am
@Cristina: però mi pare che le due prospettive non coincidano. Il “sonno della ragione” suppone che venga PRIMA la ragione, che poi per qualche motivo si addormenta. Parlare di pulsioni implica invece che anzitutto c’è il caos irrazionale, e solo a fatica può venirne fuori una propsettiva più “ragionevole”.
Luglio 25th, 2009 at 5:05 pm
Il raffronto dei binomi Cina/Tibet, Vaticano/Italia è splendido. Grazie.
PS: intendiamoci, non è da prendere alla lettera, non ostante Papa e “Papi”.
Agosto 9th, 2009 at 7:53 pm
Thank you, sir
Agosto 14th, 2009 at 9:24 pm
Veramente carina! Arcangeli e oroborus: chi mangia chi?
Agosto 15th, 2009 at 10:00 am
Oroborus… perbacco, chi era costui? Speriamo che Cibì sia più preparato di me.
Agosto 16th, 2009 at 12:49 pm
Che io sappia, l’Uroboro è il serpente cosmico che “si morde la coda”, simbolo del perenne rinnovarsi dell’universo. La soluzione ipotizzata da doc è intrigante: gli angeli si nutrono di buchi neri… ma i buchi neri a loro volta li ingoieranno??
Agosto 19th, 2009 at 5:12 pm
Magnifico. Ora attendiamo un’immagine della Via Lattea fotografata dal lato “esterno”!
Agosto 19th, 2009 at 6:16 pm
Sì, dopo però. Ora stiamo tentando di fotografare una mela da dentro…
Agosto 20th, 2009 at 7:04 pm
Quel fotografo è un verme!
Agosto 20th, 2009 at 7:53 pm
🙂
Agosto 24th, 2009 at 8:47 am
Non sarà reato, in Italia, invitare a “lasciarsi alle spalle la sicurezza meschina”???
Agosto 24th, 2009 at 10:37 am
La vera sicurezza, caro fratello, quella che libera, quella non meschina, è solo leghista!
A noi!!!
Agosto 24th, 2009 at 10:45 am
Allora per procedere spedito verso la libertà prenoto un set di stivali delle sette Leghe.
Agosto 30th, 2009 at 5:03 pm
Ma bravi porcelloni, scaricate l’immagine senza commentare la poesia!…
Agosto 30th, 2009 at 8:00 pm
Vabbè: bella ‘sta poesia.
Agosto 30th, 2009 at 8:44 pm
aggrazzie, aggaaanzo ‘sto comento…
😀
Agosto 31st, 2009 at 8:54 am
Se ti piace questa roba, sei veramente degenerato….
Agosto 31st, 2009 at 10:04 am
Allora ne ho conferma.
Agosto 31st, 2009 at 10:21 am
Ciao Marcello, mi piace anche questa roba, ma in quanto ad esser degenerato non capisco che cosa significhi. Sarà perché son degenerato?
Agosto 31st, 2009 at 7:10 pm
Tra le mille cose: Hegel nella storia della mistica! Sono… al settimo cielo, appunto. Ho appena terminato di ri-ri-ri-(ecc.)-leggere l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio”, che sembrerebbe centrare un piffero, e invece Hegel si rivela come l’ultimo esponente della teologia cosmica & mistica medievale. Di fatto, un remake dell’ “Itinerarium mentis in Deum” di san Bonaventura da Bagnoregio. Bene bravo bis all’autore, e al recensore che ha segnalato un’opera come questa.
Settembre 1st, 2009 at 8:19 am
Ciao mym. Complimenti per il sito e per lo sforzo che fai per mantenerlo vivo e sano. Volevo solo giocare un pò….siamo tutti un pò degenerati! Buon lavoro/gioco 🙂
Settembre 3rd, 2009 at 12:14 pm
Ho trovato molto interessante questo testo, grazie per averlo tradotto! Attualmente è uscito un libro che si chiama proprio “Il cammino del cercatore” dello stesso discorso con un commento di Dai Do Strumia, molto interessante anch’esso.
Volevo sapere se qualcuno ha provato a tradurre il libro “The Dharma of Homeless Kodo”.
Grazie di tutto!
Settembre 3rd, 2009 at 12:39 pm
Di Sawaki in italiano ha tradotto varie cose Sono Fazion (le trovi qui), non so se però ha tradotto quel testo. Fazion non traduce dal giapponese. Con ogni probabilità il testo lo trovi tradotto in inglese nel sito di Antaiji (trovi il link in home, a destra in basso). Ciao, mym
Settembre 5th, 2009 at 8:23 am
Chissà come verrà recepito – o se verrà recepito – il messaggio di Jiso, in un ambiente in cui la filosofia di vità è “massì, con un po’ di buona volontà si risolve tutto, o magari versando la quota di euro … sul conto corrente numero …”
Settembre 5th, 2009 at 5:36 pm
Chissà. Ma, come diceva mr. Butler, “Frankly, I don’t give a damn” ovvero, francamente me ne infischio. In consessi del genere o non si va, o, dovendo andare, con 15 minuti di tempo a disposizione per parlare, l’unica è dire senza parafrasi quel che uno pensa vada detto. E se anche solo un orecchio si drizza… altrimenti pazienza, sarà un altro sasso in fondo al mare, dopo aver fatto i suoi quattro salti in superficie, in barba alla gravità.
Settembre 5th, 2009 at 8:07 pm
Ottimo: a Cracovia di’ anche questo!
😉
Settembre 6th, 2009 at 5:20 pm
Aggiungo un’altra provocazione: ritengo Hegel – che affermava l’assoluta transitorietà di tutto – più facile da far dialogare con il buddismo che non san Francesco, il quale aveva tutta una serie di certezze: il “signor papa”, la “realtà” del mondo ecc.
Settembre 6th, 2009 at 5:30 pm
Sì, concordo per ciò che concerne la fenomenologìa o, se preferisci, la filosofia. Ma questa conta poco in ambiente serio (con pardòn) perciò il Poverello la sapeva abbastanza lunga da farci un tresette, con Hegel … solo chiacchiere.
Settembre 6th, 2009 at 7:13 pm
Uno a zero. Però, se il criterio è saperla lunga e “non costruire”, penso che siano esistiti personaggi ancora più dialogabili, p.es. quel mistico inqualificabile di Jeroen van Aken, alias Hieronymus Bosch.
Settembre 8th, 2009 at 3:24 pm
Uno specchio?!
Settembre 8th, 2009 at 3:47 pm
La foto di mammà?
Settembre 8th, 2009 at 4:58 pm
… No, è Superman!
(a doc: quella dello specchio l’aveva già sfruttata H.P. Lovecraft)
Settembre 9th, 2009 at 4:16 pm
Dante sosteneva che il Veltro cristiano caccerà la Lupa (il demonio) “per ogni Villa”.
Quindi occhio, non siete ancora al sicuro!!!
Settembre 9th, 2009 at 4:37 pm
Al sicuro? Una noia mortale. La lupa poi, poverina, per noi buddisti DOC è un povero essere senziente da salvare. Lasciate che le lupe vengano a me…
Lupacchiotte? 🙂
Settembre 9th, 2009 at 6:01 pm
Per uscire dall’ ottica della pace come un processo di crescita in cui si mettono “ con buona volontà” tanti mattoncini uno sopra l’ altro sperando di costruire un mondo migliore, credo ci voglia un cambio di visuale, a dir poco, impegnativo da tanti punti di vista.
All’ interno di questo possibile nuovo atteggiamento verso la costruzione di una pace non solo individuale ma anche collettiva, che emerge dall’ intervento di JF, le riflessioni sul proprio modo di stare al mondo, sono sicuramente molteplici. Tra le altre, la difficoltà di abbinare la parola “violenza”, per esempio, al dolore per la morte di una persona cara o al dolore insito nella nascita….
Oppure sul possibile “come” l’ opera della pace che sottrae è infinita mentre la violenza ( comunque? ) è relativa …
Grazie
Settembre 9th, 2009 at 9:07 pm
Già però san Francesco, il lupo lo ha ammansito. Che lo si cacci o lo si rimbecillisca, il lupo cattivo è sempre da rendere innocuo…
Settembre 10th, 2009 at 4:32 pm
La pace di cui parla Gesù, in cui Buddha è seduto, e a cui noi volgiamo lo sguardo, non può nascere che dalla pace: la pace dello spirito, del cuore, dei sensi è il “luogo” unico in cui si verifica e da cui si diffonde. E’ possibile, nel nostro cuore agitato dal contrasto di sentimenti, pensieri, passioni, nel nostro mondo intrecciato dal concorso incessante di pace e di guerra, “quella” pace? Bisogna crederci per provare e provarci per credere. Ogni volta che faccio silenzio, il silenzio si fa. All’apparenza il rumore del mondo procede incurante, ma il mio mondo è silenzio. I latini dicevano “omnia munda mundi”, tutto è puro per il puro – perché allora non “tutto è pace per chi è in pace”? Questa è la logica dell’assoluto, se così posso esprimermi.
La fede poi consiste (anche) in questo: che individuale e collettivo non sono separati. Perché questo non sia un delirio dell’io, bisogna sfilare il sostegno dell’io. Qui cadono i dubbi insieme a tutto il resto. “Come”, lo suggerisce (dovrebbe) l’insegnamento religioso cui ciascuno si affida, che a ciascuno è affidato. Nel mio intervento faccio il nome del come indicato dal buddhismo zen.
Comprendo la difficoltà di abbinare la parola “violenza” alla morte, alla nascita. L’ho usata in un’accezione differente da quella usuale, di violenza dell’uomo sull’uomo. Intendevo richiamare l’attenzione sulla naturalità del fenomeno: non è violenza un terremoto, un’inondazione, un’eruzione che sconvolge la terra e le vite? Non è la violenza di una sopraffazione bensì quella di una rottura. Ogni rottura la chiamo violenza, perché è principio di dolore. Così è la morte, che lascia un vuoto incolmabile, così è la nascita, che è la rottura di un equilibrio per la fuoriuscita di un mondo. Forse c’è una piccola forzatura (violenza?) nell’uso della parola, che giustifico come tentativo di mostrare che la realtà non è naturalmente pacifica, e che la pace non è la condizione naturale: anzi, in un certo senso è la non condizione, l’incondizionato. Operare la pace in se stessi e nel mondo è aprire la porta all’incondizionatoà: opera infinita che si realizza ogni volta e ogni volta inizia da zero.
Settembre 10th, 2009 at 4:50 pm
Quest’ultima frase (L’opera invisibile della pace che sottrae è infinita, mentre la violenza che aggiunge per grande che sia è relativa.) pare anche a me piuttosto criptica. Chissà se c’è qualcuno così caritatevole da farla capire anche a questa testa di legno?!
Settembre 10th, 2009 at 7:39 pm
Chissà. Nella mia intenzione, la metafora del muro (una somma impilata di mattoni) descrive una realtà relativa: l’enormità del muro è data all’assommarsi, è cioè relativa a ogni aggiunta. È una quantità, per immensa che sia. La sottrazione non è l’operazione relativa del togliere un mattone per volta: è azzeramento, immediato, non quantitativo, non graduale. Toglie tutto, in questo senso è infinita, senza aggiungere nulla, ogni volta.
Settembre 10th, 2009 at 8:58 pm
Piiiiiccola tirata d’orecchie a JF, su una questione secondaria: “omnia munda mundis” (tutto è puro per i puri) non è un detto latino ma una frase di san Paolo; che nell’immaginario collettivo si è cristallizzata in latino a causa della Vulgata, la Bibbia in latino che era di prassi fino alla metà del Novecento.
Non sempre però san Paolo ha contribuito ad alimentare una mentalità “pacifica”.
Settembre 11th, 2009 at 12:48 am
Una spiegazione ed una indicazione insieme. Se non è esser caritatevoli questo…!
Settembre 11th, 2009 at 10:51 am
Ringrazio Dr, davvero, per la tirata d’orecchi che ha da essere duplice – ho due orecchie anch’io. La citazione infatti, era errata non solo nell’attribuzione ma anche nella forma latina: (pur declinata al singolare la frase sarebbe “omnia munda mundo” e non “omnia munda mundi” come ha scritto questo pretenzioso ignorante – cosi’ imparo a fare il furbo.
Dr, signorilmente, non ha infierito, ma a ciascuno il suo. Dunque, Paolo di Tarso, Lettera a Tito, 15,1 – sono andato a controllare. Sul fatto poi che San Paolo non sempre abbia contribuito ad alimentare una mentalita’ di pace, sono d’accordo (proprio la lettera in questione e’ non poco virulenta, tra l’altro) ma senza attriburgliene necessariamente la responsabilita’. Era un gran combattente, certo, il che di per se’ non vuol dire non essere persone di pace – vedi Gandhi. Gli epigoni, poi, capiscono e fanno quel che possono e vogliono: siamo riusciti a rendere occasione di guerre persino l’amore di Cristo e il silenzio di Buddha.
Settembre 11th, 2009 at 11:24 am
Ribadisco, era davvero un’osservazione piccola così, in confronto ai temi che avevi sollevato. (Ah già, dimenticavo che la Stella del amttino è l’unico sito italiano in cui le osservazioni critiche sono le benvenute. Sareste benemeriti anche solo per questo).
Settembre 11th, 2009 at 11:30 am
Seee, ciccicoccò. E bravo il sollevatore di temi… 😛
Settembre 13th, 2009 at 7:54 pm
Buddazot è straordinario: in “altre” religioni i fumetti hanno scopi melensamente propagandistici; qui invece la strategia è quella dello spiazzamento costante.
Poi, come fan della fantascienza, aggiungo un plauso supplementare alle scenette in cui l’interdipendenza si allarga – in simultanea – non solo allo spazio ma perfino al tempo (dal presente al Medioevo, al futuro).
Insomma, sempre bravo PS.
Settembre 14th, 2009 at 1:51 pm
Ciao dr,
grazie per l’apprezzamento, che incoraggia. Comunque non ignoro che – forse per le stesse considerazioni, ‘capovolte’ – Buddazot risulti indigesto a molti.
Settembre 14th, 2009 at 4:02 pm
Ah ma “doc” coincide con Paolo Sacchi?? in questo sito l’identità è più inafferrabile di qualunque altra realtà buddista 🙂
Mi spiace per le indigestioni. Forse gli italiani, perfino tra quelli convertiti allo zen, hanno troppo bisogno della Mamma Rassicurante, che sia quella biologica, o la chiesa, o la politica, o il “rifugio nel Buddha”…
Strano però che le massicce e drastiche cure MYM non facciano effetto.
Settembre 14th, 2009 at 11:39 pm
Ops! c’era una identità segreta…?!
In ogni modo, dire ‘molti’ è gonfiare le cose: non sono molti neanche i lettori di BZ, figuriamoci i detrattori. A qualcuno piace ed a qualcuno no. I più se ne infischiano.
Settembre 15th, 2009 at 8:06 am
… Peggio!!!
Gli ignavi non sono degni neppure dell’inferno (Dante)
😉
Settembre 15th, 2009 at 9:16 am
L’uso delle immagini è relativamente recente nel buddismo (IV-III sec. a.C.), attualmente se ne hanno esempi in America e Giappone con fini didascalici simili -mutatis mutandis- al catechismo cattolico. Buddazot è più di un fumetto buddista, in realtà la definizione di fumetto vi si attaglia solo per la presenza dei balloons, fumetti in italiano, quelle aree variamente contornate che contengono il dialogo. L’arte buddista è uno degli esercizi più difficili, non per nulla da secoli abbiamo pressoché solo riproduzioni.
Settembre 17th, 2009 at 3:30 pm
Strano ma vero, questo resoconto “pepatino” – grazie a una talpa – verrà pubblicato, con qualche edulcorazione ma minima, anche sul settimanale cattolico umbro La Voce del 18 settembre. Fatto tanto più notevole, se si considera che il mensile progressista Jesus se l’è cavata con uno spottone pubblicitario della Comunità di Sant’Egidio, lungo una spataffiata di pagine. Mala tempora currunt (in una parola: samsara).
Settembre 17th, 2009 at 3:42 pm
Penso che la pubblicazione su La Voce abbia una valenza di dialogo poco appariscente ma fattuale come raramente.
Settembre 17th, 2009 at 7:08 pm
Ciò che non appare [humei] è il più importante 😉
Grazie soprattutto a Jiso, ancora. Perché, se oggi da un lato trionfa il becerume, dall’altro gli risponde il piattume piagnone, indi altrettanto dannoso. La terza via è quella delle… stilettate inferte con buona grazia.
Settembre 18th, 2009 at 11:23 pm
Ma dove sta il “pepatino”? Mi sembra un ottimo spot per sant’egidio
Settembre 19th, 2009 at 3:26 pm
La versione “vociana” dell’articolo di Jiso è on line all’indirizzo
http://www.lavoce.it/articoli/20090918162.asp
Settembre 19th, 2009 at 3:58 pm
Grazie, si dialoga si dialoga, perbacco!
Settembre 20th, 2009 at 1:29 pm
Non vedo il dialogo. Il mio commento vedo che non è stato pubblicato.
Settembre 20th, 2009 at 3:00 pm
gentile Antonella, può anche capitare che uno al venerdì pomeriggio abbia – per esempio – un impegno di lavoro tale da non permettergli di approvare al volo i commenti in attesa di moderazione. il dialogo ha i suoi tempi, e nel mio personalissimo caso deve anche fare i conti con le contingenze di lavoro e familiari. in ogni caso benvenuta e buona domenica. pierfrancesco
Settembre 20th, 2009 at 5:55 pm
@lilly
Il pepatino è tra le righe, direi. Notare i dettagli del racconto.
Settembre 23rd, 2009 at 4:03 pm
Approvo.
Cristo ha dato un esempio “trasformandosi” in un velo, silenzioso, muto, con gli occhi chiusi, praticamente invisibile se non a determinate condizioni.
Settembre 24th, 2009 at 7:36 pm
Ma… il contrasto tra le due donne è così forte, che alla fine mi fa quasi tenerezza la donna che, nascosta dietro la maschera, in qualche modo “imposta” dalla società in cui vive, cerca comunque, magari in modo altisonante e sbagliato, di esprimere un suo disagio …
Settembre 24th, 2009 at 10:08 pm
“Mea culpa” per noi maschietti. Marta ha colpito nel segno.
Settembre 25th, 2009 at 1:53 pm
Meno male. Di tutto abbiamo bisogno, in questo nostro povero mondo, tranne che di un nuovo integralismo (buddista, questa volta).
Il giorno che questo, grazie anche alle signore con i raiban a specchio e il SUV, divenisse inevitabile – come accade per le dittature – sarà un giorno molto triste.
Settembre 25th, 2009 at 1:57 pm
però…che occhi ammalianti!
Settembre 25th, 2009 at 3:12 pm
Il contrasto fra due modelli, proposto con intenzionale malizia” (son pur sempre un maschietto italiano di fronte al femminile), non era certo inteso come invito a scegliere uno dei due come preferibile. Nessun modello è portatore di libertà, neppure (specialmente?) quando grida di esserlo; nessun modello annichilisce la libertà (voglio credere, altrimenti non ce ne sarebbe più traccia a questo mondo da tempo immemorabile) anche se può mortificarla, ferirla, ostacolarla. Là dove un modello, quale che sia, produce disagio e avvilimento (e la malizia maschile nei confronti della donna lo fa nei secoli dei secoli, ovunque) la libertà è offesa. Riusciamo ad essere impudichi anche quando difendiamo il pudore.
Settembre 25th, 2009 at 3:43 pm
Ben detto, perbacco! Sottoscrivo.
Settembre 25th, 2009 at 8:12 pm
Anch’io! Ciao doc!
Ottobre 1st, 2009 at 2:51 pm
a proposito di Commenti… ma qualcuno sa che fine ha fatto homosex??
Ottobre 1st, 2009 at 3:40 pm
Mi dicono che, scherzando scherzando, sia diventato un avvocato di grido (Aaaaaaaah!) e che abbia assunto la difesa di Roger Rabbit. Ma la suocera, mangiata la foglia, lo ha messo di profilo. Roger nel frattempo… Ma il resto (?) lo racconterà lui.
Ottobre 1st, 2009 at 4:02 pm
Alan, perdonali, perchè SANNO quello che dicono!
Ottobre 2nd, 2009 at 3:47 pm
Questo haiku mi ha fatto tornare alla mente una poesia di Daiugu Ryokan che, presentata durante un corso,aveva fatto sorgere parecchie perplessità negli astanti. Diceva così ( purtroppo ho perso il testo originale ):
Non so davvero
cosa sarà di me
in avvenire;
per oggi basta
bere allegramente.
Ottobre 2nd, 2009 at 5:09 pm
Perplessità comprensibili & condivisibili, almeno a interpretare il testo nel senso più immediato. Come è scritto nel (??? … mym, soccorrimi!), si possono trasgredire le regole, purché lo si faccia in vista di un bene che la regola non potrebbe ottenere, e se ne paghino le conseguenze: vedi la storia del monaco che salvò una donna che stava per annegare.
Ottobre 2nd, 2009 at 6:32 pm
Regole?!
Ottobre 2nd, 2009 at 8:10 pm
Intanto mi scuso per un errore, il nome è Daigu e non Daiugu. Vorrei inoltre aggiungere che, se non ricordo male, l’ intento del relatore era quello di far cogliere la leggerezza e la libertà di vivere l’oggi, considerata la mancanza di aspettative ( e di desideri ) riguardo al futuro.
Ottobre 2nd, 2009 at 8:49 pm
Anche il libro del saggio Qohèlet dice: “Tutto è vanità e un rincorrere il vento… l’uomo non ha altra felicità sulla terra che mangiare, bere e stare allegro” MA dice anche che, SICCOME tutto è vanità, allora “c’è un tempo per costruire e un tempo per demolire, un tempo per piangere e un tempo per ridere”.
Ottobre 3rd, 2009 at 8:28 pm
Sì e, mi vien da dire, c’è anche, forse, il tempo per essere un po’ poeti e un po’ folli ( come era definito, mi sembra, Ryokan . Mi viene un dubbio, però, chissà come si fa a riconoscere il “tempo giusto” per le cose….
Ottobre 3rd, 2009 at 9:52 pm
E’ lì il bello!
Sennò a che servirebbe essere buddisti?
Ottobre 5th, 2009 at 7:38 pm
Non è per mettere sugli altari i morti, con la scusa che “se ne vanno sempre i migliori” oppure sfruttando la tendenza a santificare e mitizzare chi non c’è più per poter brillare della sua, attribuita, luce. Gianni aveva un mare di difetti, chi lo ha conosciuto lo sa. In un’epoca in cui fare zazen, per lui, significava anche pagare di tasca propria l’affitto della soffitta dove ci riunivamo, un operaio, sposato, con due figli, ha continuato per 15 anni a sedersi e ad offrire la possibilità di sedersi a chiunque, senza mai eccepire sulla provenienza di nessuno. Non penso si possa fare molto di più.
È stato molto divertente, interessante non solo partecipare alla realizzazione del filmato ma anche vedere, udire le reazioni -anche scomposte- che hanno accompagnato questo progetto. Forse qualcuno pensava che potessimo appropriarci della sua memoria. Mah…
Ottobre 6th, 2009 at 10:01 pm
Sarà strano innamorarsi a Milano, ma è carino che lo zen nasca a Torino.
😉
Ottobre 7th, 2009 at 10:59 am
Torino, caro ‘lme amìs, è (era?) un posto molto particolare. A parte le storie da Codicedavinci tipo che la città è uno dei vertici del triangolo magico ecc. però sino a trent’anni fa a Torino si trovavano più gruppi esoterici che piòle. Ci saranno anche motivi storici ma penso dipenda anche dal fatto che i turinèis sono così introvertiti che il mondo dell’interiorità in qualche modo suona loro famigliare. A volte in modo un po’ grottesco, magico o misterioso ma anche in modo serio.
Ottobre 7th, 2009 at 11:23 am
“Lei sa come adulare”
Ottobre 9th, 2009 at 3:29 am
Sperimentando la forza divina dello zazen cybernetico esco da me stesso e divento spettatore..Il ricordo di Gianni mi sconvolge e mi getta nel Panico:Torino mi fa pensare a Milan che mi fa pensare ai cavalli..
P.S. Dio ha tentato di uccidermi.(Proprio così.DT,32,31,”Io ucciderò e farò uccidere”.Insomma un pirata mi ha investito mentre ero sulle strisce pedonali – niente di rotto.Amici:non ci sono amici).
Ottobre 9th, 2009 at 3:55 am
Siccome non difendo conigli redigo la requisitoria che condannerà secondo giustizia il mondo e Dio davanti al Tribunale supremo.Per la serie fututologia dello ius publicum europeaum.
L’immagine filmica è parte di quest’epoca sconvolta e miserabile a cui si crede come ai fantasmi;direi che il film è lo spiritismo del nostro tempo.
Ottobre 9th, 2009 at 8:36 am
Ciao Homosex, bentornato allo scoperto. Lieto che tu non difenda il presidente del coniglio… Riguardo a film e spiritismo mi sovvien di popoli tuttora presenti dove la ripresa fotografica è proibita per rischio di perdere pezzi di tempo di anima. Non so se è così ma ho sempre evitato di farmi fotografare e, ancor di più, filmare. Gianni è sempre più un fantasma (una varietà di fantasmi) nelle memorie. Normale che lo si trovi in un filmato, voodoo moderno.
Ottobre 9th, 2009 at 10:12 am
Bentornato anche da parte mia.
Ci erano cari i tuoi commenti… e anche le tue ossa, se è per quello.
Ottobre 9th, 2009 at 10:35 am
Ma se non si è rotto niente, nemmeno un ossicino. Pensa a quel poveretto che lo ha investito, che spavento, sulle strisce per di più, sai i guai che gli farà passare…
Ottobre 9th, 2009 at 11:51 am
dallo Zen allo zan-zaaannn (della serie: becca là!)
Ottobre 9th, 2009 at 11:57 am
Apparire è come vestirsi da pernice in un bosco, durante la stagione della caccia
Ottobre 9th, 2009 at 3:08 pm
Sparire è invece come vedere un film.Forse la paura della riproduzione tecnica delle immagini deriva dal fatto che un tempo da queste si trassero miti e religioni ora restano i film dopo che tutto questo se ne è andato.La citazione è tratta dalla versione greca della bibbia(se la vedano i bibbiomani).Comincio a pensare che il diritto subentri alla speranza(che suppone spiriti smarriti) e che il Panico aguzzi l’ingegno.Mi sovvien chi, mentre se la spassa, viene afferrato dal Panico e perciò deve pensare..
Ottobre 9th, 2009 at 3:48 pm
Sì, concordo, per “godersi” un film, ma anche un libro, una poesia, un quadro, occorre sparire per il noto processo di identificazione (momentanea, plurima o antagonista) ma senza il ricomparire non vi è l’appropriazione intellettuale, il giudizio, il mi piace non mi piace, il raffronto, la critica, la valutazione estetica erotica ecc.
Idem nel far l’amore.
Ottobre 9th, 2009 at 4:58 pm
Ma come la fate complicata, voi intellettuali! E’ poi solo un filmetto amatoriale. Un omaggio alla memoria (ed in questo senz’altro discutibile, perché no?).
Viviamo tempi in cui l’idolatria della personalità orienta le menti. Le ‘scienze tradizionali’ non fanno eccezione, con l’invenzione della figura del ‘Maestro spirituale’ e con tutta l’enfasi che circonda questi personaggi, che spesso sfiora appunto l’idolatria. E crea una sorta di mercato.
Il film propone, tra l’altro, una specie di figura di non-maestro, e certamente questo può disturbare. Chi si sente ‘disturbato’ e si ferma lì, perde una buona occasione per riflessioni salutari.
Mi pare che nella tradizione islamica le immagini antropomorfe siano bandite: questo però non scongiura forme di idolatria, talora anche fanatica.
Non è tanto l’immagine quanto l’occhio che la guarda, il vero punto.
Ottobre 9th, 2009 at 9:43 pm
Certo che qui tra DOC, MYM, DHR sembra un salotto elettronico tra cyborg. Quando arriva C-3PO?
😛
Ottobre 10th, 2009 at 3:07 am
– hic sunt leones.Siccome ho il blocco del commentatore la sparo grossa(e chi capisce è bravo).L’immagine è trasparente per cui non contano gli occhi,buoni a misurare la grandezza estensiva,ma gli echi e le sonorità del corpo.Insomma l’immagine filmica,sublime fantasma dell’artificiosità,non si vede ma si sente.Per es. se (ri)vedo Eyes wide shut sento IL CIELO SU TORINO cristallizzarsi nel ricordo di un uomo che abbracciava un cavallo..(Per la serie tecnica e subliminazione della paranoia).Onore a Gianni onesto testimone della malattia storica.Di più ad un maestro non si può chiedere.
Ottobre 10th, 2009 at 3:10 am
P.S.Comm. 9.Un pirata è colui che dopo averti investito fugge lasciandoti a terra dolorante.Che guaio che sto passando..Se lo becco mica lo denuncio,gli marchio a fuoco la fronte con il logo di canale 5.
Ottobre 10th, 2009 at 8:47 am
Al n. 16: notevole la “riflessione” (cfr specchio, appunto) sull’immagine che si sente.
Al n. 17: rinnovo la solidarietà. Suggerisco di marchiargli sulla fronte il ritratto del “Giudice” del film “Pink Floyd – The Wall”.
Ottobre 10th, 2009 at 11:28 am
Eyes wide shut non l’ho visto, per i noti motivi. Però gli abbracci ai cavalli torinesi, magari in lacrime, mi ricordano il crucco veggente. Nonché matto come un… cavallo. Gianni era più terra-terra, per lui un cavallo era un cavallo. Anche se ammetteva volentieri di non sapere che cosa sia un cavallo.
Ottobre 10th, 2009 at 2:53 pm
… ovviamente dimenticandosi che l’unica differenza tra Nietzsche e un pazzo era che Nietzsche non era pazzo.
Ottobre 10th, 2009 at 5:00 pm
Leggo i commenti e, con pardon, mi viene voglia di aprire la finestra, di far circolare un po’ d’aria nella soffitta di questo cybercenacolo così “torinese”. Lo so, non sono il più adatto, son della banda dei c’ero anch’io e dunque da che pulpito…
Però il film è in rete oggi, sono molto contento che ci sia, senza memoria il presente è solo funzionamento fisiologico e la memoria è tanto ricordo quanto oblio. Il ricordo di Gianni interessa il presente – il Gianni che ricordo al presente si interessava. Per questo mi piacerebbe sapere cosa ci vede chi vede il film adesso, senza avere l’immagine del Gianni che fu. Qualcuno per cui ci sono solo queste immagini, immediate e innocenti. Io posso fare lo sforzo (artificioso, ma di arte stiamo parlando) di usare la memoria per non ricordare ciò che fu e non scordare ciò che è. Vedo un uomo normale, in luoghi, situazioni normali, che cerca di spiegare con parole normali quel che non può spiegare pur essendo l’unica cosa che vorrebbe e varrebbe la pena spiegare. Lo vedo dirigersi verso un muro e un cuscino, per sedersi e invitare a sedersi. Si può fare di più facendo di meno?
Passato, presente, manca una ruota al triciclo del tempo – anch’io vorrei lasciare il vuoto sul cuscino per potersi continuare a sedere.
Non posso scordare di più e non voglio ricordare di meno.
Ottobre 10th, 2009 at 7:09 pm
E così ecco JF (senza K), l’ultimo dei cyborg 😀
Ti dirò la verità (“No! Perché?” – Massimo Troisi). Ho guardato diciamo i due terzi del cortometraggio, ma poi ho spento. Il tema era interessantissimo (nel senso di “inter-esse”) e il personaggio meritevole ma… orrore!… questa produzione alternativa aveva la stessa cadenza, gli stessi ritmi, in sostanza i difetti, del cosiddetto “cinema impegnato” italiano e francese: gente che chiacchiera in casa e per strada. Parole difficili appiccicate su immagini banali.
Non si poteva, che so, ricostruire visivamente il mondo di Gianni? Non inquadrare “lui” (un attore) ma immagini, scene, sequenze, colori, oggetti, con relativi suoni, che facessero percepire qualcosa del suo vissuto, del suo cammino, della sua “mahatma”?
Scusate i giudizi tagliati con l’accetta. Lo scopo è solo contribuire al dibattito.
Ottobre 10th, 2009 at 7:21 pm
Lo sapevo, ecco i “mai cuntènt”. Quelle SONO le immagini le scene del suo vissuto. Sono riproduzioni quasi registrate, intercettazioni filmate del suo vissuto. Anche lo sfondo: il luogo da cui esce l’attore è davvero l’azienda in cui lavorava Gianni, la “casa di ringhiera” è proprio quella dove c’era la soffitta… e poi il film è bellissimo.
Ottobre 10th, 2009 at 8:48 pm
Per rappresentare BENE una realtà, ciò che un’immagine NON deve assolutamente fare è copiare para-para quella realtà. Regole basilari della comunicazione, monsù.
Oppure si decide che lo zen è apofatico, e si rinuncia in partenza a filmeggiarlo.
sgrunt
Ottobre 10th, 2009 at 8:53 pm
p.s. anche i filmini delle vacanze sono bellissimi, per chi ci è stato. Ma per comunicare a terzi quelle sensazioni serve altro…
Ottobre 11th, 2009 at 1:05 am
Ignoro i motivi per cui mym non ha visto E.W.S.(non avrai mica paura del fantasma di Kubrick?).Ai ‘disturbati’ dal fantasma di Hitler suggerisco Inglourious Bastards(a cui devo l’ispirazione della truculenta immagine del comm.17).
A proposito di fantasmi..A Torino nel 1889 il ‘veggente’ era attenzionato dai servizi segreti americani,inglesi,francesi pontifici.Dopo 2 anni di vuoto esistenziale il nostro,ritrovando una seconda giovinezza, editava libri di caratura internazionale e portata storica.La forza emotiva era al suo apice perchè egli intendeva modificare alcuni “fatti” politici c.d. Realpolitik di Bismark, agendo in modo risoluto sul piano europeo per cambiare il corso della storia.E, dato l’uomo, direi che se non fosse “capitata” la follia sarebbe stato
sicuramente un fatto plausibile.Mi fa specie che alcuni storici non specifichino che i fatti che indicano la “follia” non sono così folli, considerato l’uomo, la sua storia e la sua forza.Assecondato nelle conversazioni personali da abili spie, l’autostima del filosofo strabordò sviluppando comportamenti poco comprensibili a occhi quotidiani,eccezionali in linea con la sua visione del mondo e con la sua sensibilità. Presto i suoi comportamenti sarebbero risultati talmente “anomali” da ricevere una repentina certificazione clinica(paralysis progressiva)con tanto di firma del dottore.N passerà dall’apice della sua potenza a una situazione in cui verrà guardato da tutti con pietà..e se per caso regge per qualche tempo alla follia poi diviene davvero folle per la depressione..Capirete come i servizi inglesi e americani si impanicarono quando tutto il loro lavoro di mungitura-spremitura passò ai nazisti..Dunque una filosofia che ha i suoi postulati all’interno della realtà e che attraversa il reale con una forza sferzante e risoluta,capace di far sorgere un sistema alternativo all’attuale( i suoi postulati impongono al mercato di essere solo un mezzo e non il fine)viene bandita per la folle testimonianza che ne da la Storia. Ovvero perchè appena dichiarato folle venne prelevato dall’odiatissima sorella E.(coniugata ad un ufficiale nazista)e rinchiuso nella clinica di Jena.Non c’è che dire una bella fortuna ereditare il suo ‘pensiero’.Un tesoro così composto: manoscritti tipo l’Anticristo (25),quaderni di varie dimensioni(176) da cui trarre aforismi a iosa,appunti filosofici(64) etc. Insomma abbastanza per fare la gran dama alla corte di Hitler.Da allora niente.In realtà il filosofo è “morto” nel 1889 perchè in nessun modo egli ha potuto esporre nuovamente il suo pensiero.La vulgata della follia di N è stata creata ad arte per mantenerlo lontano dai vari sessantottini e forze di alternativa proprio da coloro che hanno speculato su ricerche inglobate al sistema che si stava progettando.
In ‘Gianni’ (ri)vedo,meraviglie delle meraviglie,me stesso.
P.S.Devo partecipare ad una seduta spiritica silicet vado al cinema.Good night.
Ottobre 11th, 2009 at 1:08 am
P.S.Non t’arrabbiare per le lungaggini ma non sono portata per la storia(e manco per la sintesi).
Ottobre 11th, 2009 at 9:45 am
Grazie di cuore a homosex che ci ha restituito il vero Nietzsche. Consigliabile anche il bellissimo saggio “Nietzsche e il circolo vizioso” di Pierre Klossowski (fratello del pittore Balthus, tra parentesi).
Sembreremmo scantonare da Gianni. Eppure, se tutto è interdipendente, co-generato, simultaneo…
E se tutto si svolge tra le nebbie (mitologiche) di Torino…
Ottobre 11th, 2009 at 2:32 pm
Vorrei fare una riflessione da “esterna” ( ohibò, sono l’unica che non è o non è stata dentro al “giro”? Mi sento un po’ sola!) riguardo al filmato. Ciò che mi comunica non può essere chiaramente il ricordo di qualcuno, ma è qualcosa che, per me, a che fare con il modo di essere di chi percorre la via.
Sotto sotto, qualche volta o spesso, magari si coltiva l’idea che praticare lo zen possa portare a dei cambiamenti ( in meglio naturalmente ) di vita, per sè o per chi ci vive accanto. Il filmato ( e leggendo di chi si stava parlando )mi sembra sottolinei che la vita ( almeno apparentemente ) scorre proprio come se non ci fosse nessuna pratica: rimangono le difficoltà di farsi comprendere, rimane la routine del lavoro quotidiano, rimangono i tramonti…
Non so se è poco, ma io la sento come una cosa importante, perchè talvolta, quando le cose proprio non vanno, si può essere portati ( almeno a me è successo )ad allontanarsi dalla pratica, quasi “addebitando” ad essa la mancata capacità di essere …di fare… ecc.
Forse è una stupidaggine…. ma tant’è, mica sono del giro!! Ciao…
Ottobre 11th, 2009 at 10:42 pm
Vi assicuro che non ho dubbi sulla natura dell’agire.Ho raggiunto la pace.La coscienza ‘buona’ fissa ciò che accade dandolo in pasto alla responsabilità e distinguendo colpevoli da innocenti(Certo dalla riflessione sull’agire si pretenderebbe altro).Dunque N muore nel 1889,nasce il cinema e Torino è il set.E Gianni?.”Entro in scena senza una prova”mi dice un attore.”Come nella vita”aggiunge.Ciao.
Ottobre 12th, 2009 at 9:23 am
Cara Marta, grazie. Basta il tuo commento per compensare tutta la fatica e le difficoltà e le piacevolezze che è “costato” realizzare il film. Lo zazen non è un toccasana che ti fa diventare più… intelligente, buono, saggio, accorto ecc. ecc. Caso mai, nel caso migliore, è una modalità di vivere serenamente non ostante i proprio limiti.
Gianni in gioventù, dopo essere stato nella Legione Straniera ed esserne fuggito fu attore, a teatro.
Ottobre 12th, 2009 at 10:21 am
Marta coglie nel segno due volte con un colpo solo, non male. Del primo centro ha già detto mym – aggiungerei solo che di quando in quando tutti coltiviamo la speranza che zazen ci renda un pochino migliori, di noi stessi e degli altri. Smascherare quest’alibi senza banalizzare lo zazen a passatempo, mantenendone la meravigliosa unicità, è essenziale per fare zazen per bene: e in questo Gianni era veramente maestro.
Il secondo centro di Marta è antropologico. Hai ragione, c’è un sentore di conventicola, una specia di invisibile cerchio che delimita chi è dentro e chi è fuori. Penso sia un difetto dello zen nostrano (e forse non solo) che ci portiamo dietro nonostante le dichiarazioni di incondizionata apertura e di indiscriminata accoglienza. Il “nostro zen” è molto poco cattolico, nel bene e nel male, e forse questo sito è l’occasione di rompere il cerchio magico e di far ciò che caratterialmente abbiamo tanta difficoltà a fare, vale a dire accogliere altri senza pretendere che diventino come noi. Penso che la nascita torinese dello zen nostrano, che qualcuno ha rivendicato, abbia a che fare con questo marchio di fabbrica. Gran Torino! Anch’io mi son sempre sentito un po’ forestiero, ai tempi, pur facendo “parte del giro”. Mi piace allora qui ricordare un altro polo degli albori dello zen italiota (sceneggiatura di un prossimo film?) in una città non meno caratterialmente chiusa ma geograficamente spalancata sul mare e sconosciuta alle nebbie. Del resto lì il tedesco profeta incazzoso non veniva perseguitato dal ludibrio e dal sospetto, fin a doversi consolare abbracciando i cavalli (a questo proposito consiglio una deliziosa pagina di Kundera nell’Insostenibile leggerezza dell’essere, dove si afferma che N. abbraccia piangendo il cavallo per chiedergli scusa del modo in cui Cartesio parlava degli animali, macchine viventi senza coscienza di essere). Lì scrisse la Gaia Scienza, concepì Zaratustra ed era talmente gentile ed amato da essere chaimato, nei vicoli, “il Santo”. Cosicché ebbe a scrivere, prima di salire a nord e nelle nebbie: “Quando uno va a Genova è ogni volta come se fosse riuscito ad evadere da sé: la volontà si dilata, non si ha più coraggio di essere vili. Mai ho sentito l’animo traboccante di gratitudine, come durante questo mio pellegrinaggio attraverso Genova.”
Ottobre 12th, 2009 at 11:27 am
Insomma, se ho capito bene, la qualità filmica dell’opera (al di là dei contenuti, su cui nessuno ha niente da ridire) è intoccabile?
Ottobre 12th, 2009 at 11:49 am
Giusto, mon chère, soprattutto non mi toccate la qualità filmica, veh…
Ottobre 12th, 2009 at 1:46 pm
A me, proprio volendo, chiedendo permesso e ottenutolo, la qualità filmica si può anche toccare – a difesa della quale c’è da dire che più che un film l’opera è una pièce teatrale (del resto quanti film eccellenti sono stati tratti da opere teatrali, uno per tutti Chi ha paura di Virginia Wolf?). Se cerchi l’azione in un film sul non fare sei nel posto sbagliato. E’ una pièce teatrale con personaggi e atmosfere degli anni settanta – riguardalo un pò così se hai voglia e tempo, e poi sappici dire.
Ottobre 12th, 2009 at 3:23 pm
Chi ha parlato di azione? Racconta più cose un quadro di Giorgio Morandi che cento puntate di Walker Texas Ranger.
Ottobre 12th, 2009 at 9:30 pm
,,,non so da che punto di quel che voglio dire posso iniziare, perchè è lunga, per me è un film visto e rivisto! ho avuto il mio passato mistico, ho creduto ai sogni, ho combattuto i cinici a spada tratta, e sono certo del valore di alcune frasi contenute nel filmato. Ma oltre che pensare che sia un pò come dare perle ai porci, ho la consapevolezza che il tutto (cioe quel che di buono è stato messo in bocca agli attori) per quanto possa essere una possibilità di stile di vita, non potrà mai essere messa in pratica da occidentali, per lo più viventi in un tempo inesistente dal punto di vista” uomo collegato all’universo” che in linea di massima non riesce a collegarsi neanche con il pianeta in cui vive. Dalle mie esperienze ho capito che l’uomo non può sfuggire a se stesso,( cioè dalla sua parte negativa che c’è sempre) anche se riesce a volte a convincere gli altri a farlo. ma gli altri si sà….sono manipolabili basta schiacciare il tasto giusto, ed è facile…troppo facile tenere una carota in mano, dolce, amara,arancione scuro o chiaro, ben matura, piccola o grande …sempre di carota si tratta, il film l’ ho già visto nella mia vita e più volte. C’è sempre qualcuno che ha qualcosa in più di te…,che la sa molto lunga…, che fugge dalle sue responsabilità,creando vittime sul suo cammino, che ti fotte la donna come è successo a me,certamente fà e dice anche di buono ma fondamentalmente un opportunista.E che ad una certa età perdendo il suo fascino e la sua tonicità, psicofisica si trova perso, e tutti i suoi insegnamenti? Benchè una buona parte abbiano motivo valido d’essere,umanamente e spiritualmente, si perdono in una nuvola. Troppo facile dire agli altri di vivere aspettando la casualità delle cose, magari potessi farlo, è tutta la vita che ci provo, infatti sono nella M….(cacca).Atteggiarsi a santoni è un lusso!! almeno qui in occidente, pena rischio esagerato dell’esserlo veramente, magari bruciati vivi in qualche panchina di un parco qualunque.NON SCHERZIAMO CON LA REALTA’ dei nostri tempi.Ormai i tempi sono cambiati, ne ho conosciuti troppi di Gianni, e guardacaso tutti poi hanno cambiato idea e modo di vivere.Allora!! Dov’è la verità? E di quale verità si parla? si ho capito e anche troppo che c’è e ci deve essere un motivo per tutto, ma non capisco per quale motivo mi devo affannare a cercarlo per forza, sono stanco…esageratamente stanco.Anche il nulla mi stanca ormai e anche il riposo.
Ottobre 13th, 2009 at 7:21 am
Mi vorrei scusare se con le mie parole ho offeso qualcuno,o se qualcuno pensa che abbia in qualche modo criticato Gianni, io come lui vivo da sempre in una zona degradata, conosco bene certe realtà e la voglia di evasione che ne deriva a viverci in mezzo, la tristezza e l’amarezza di un mondo cieco, che forse ha accecato anche me.In alcuni punti mi sono un lasciato andare alla rabbia, ma è una rabbia onesta, e se qualcuno pensa che il mio scritto abbia infangato il nome di Gianni gli faccio le mie scuse.Io non so che cosa gli sia successo, nè come in realtà ha vissuto, il film mi ha dato degli imput e mosso ricordi della mia vita passata, che mi hanno portato a reagire così,anch’io sono operaio da sempre, ho 50 anni, ho provato e riprovato a praticare buddismo, ad essere in simbiosi con la natura,e l’universo, ed ho sempre cercato di capire gli altri anche coloro che hamnno commesso grossi errori: C’è sempre un perchè delle cose, ma ho visto almeno per me, che alla fine, solo il distacco da tutto e da tutti è la salvezza dalla sofferenza.Ma ho visto che l’uomo non è fatto per la solitudine, o per auto annullarsi, deve interagire con gli altri esseri,da lì gli inevitabili compromessi ai quali dobbiamo assoggettarci ma non riesco a darmene una ragione:… sempre col dubbio che mi ha portato a riscrivere queste righe, vi pongo e mi pongo un’ultima domanda: Secondo voi l’abolizione dell'”IO” è possibile per un uomo? Non potrebbe essere il contrario? E se lo fosse, sarebbe meglio credere il più possibile in se stessi, fino anche a decidere di trascinare gli altri, ma non c’è il rischio che troppi si credano pastori? Visto che non c’è un giudice che può dare certe facoltà, o che le pecore finiscano in un burrone che non hanno fatto in tempo a scorgere. Non per incolpare il pastore, ma a volte la situazione può sfuggire di mano e potrebbe non avere il tempo di avvisarle tutte, specie se credentogli ciecamente si sono moltiplicate. E se ci riesce per forza di cose ha creato un’organizzazione, che a sua volta deve essere gestita da altre pecore (ma sempre esseri umani)che se fossero perfetti non sarebbero pecore! ecc. ecc…..mi scuso ma stanotte ho dormito poco!! Sarebbe bello se qualcuno mi togliesse qualche dubbio, sulla domanda: …alla fine c’è sempre qualcuno che ci rimette di suo per salvare gli altri?
Ottobre 13th, 2009 at 3:39 pm
Vabbène, o presépio nun te piace.
Ottobre 13th, 2009 at 7:09 pm
Certo che si! te ce metto a fa er lupacchiotto, cò a gallinella en bocca, e speramo che nun te vada de traverso, ce arresterebbe maluccio, e io direbbe che avrebbe stato molto più assai migliore che nun ce fummo mai conobbi. a Mymmo!!… te saluto. ce vedemmo a Natale.
Ottobre 14th, 2009 at 10:57 pm
Salve a tutti.
mi intrometto ormai a partita conclusa direi.
vorrei però dare la mia impressione, prescindendo dalla qualita filmica e dalla scelta delle immagini.
personalmente è interessante, io classe 1978, in cui le proposte dell’esperienza zen sono in un certo senso “incanalate”, vedere come poteva essere inizialmente.
In maniera spontanea in una soffitta in città, un posto per fare zazen, prendere un the e parlare.
direi “bella storia”…
tanto di capello a chi si è prodigato …..
Ottobre 15th, 2009 at 10:07 am
Quello di cui parla Alessandro è un altro aspetto -o motivazione- del film e dell’averlo pubblicato qui. Il mondo, noi, il modo di “fruire” quello che c’è è molto cambiato. Per dire: all’epoca di cui si parla nel film non solo in Italia c’erano sì e no tre posti in cui si poteva fare zazen, ma non esisteva neppure una pubblicistica, una letteratura (a parte il professor Suzuki), anche la parola “buddismo” era pura immaginazione. Non c’era neppure il modello (errato) costruito in seguito dagli imitatori dei giapponesi. La spontaneità era una necessità e per questo molto autentica. Non vuol dire non vi fossero difetti: la tentazione di fare il santone o cedere alla deriva di trasformare lo zen in una propaggine del beat o del freak era talmente facile che per molto tempo Castaneda e Zen sono andati a braccetto, trasgressione e buddismo si sono spesso incontrati.
Ottobre 15th, 2009 at 10:27 am
Caro Efheso (un operaio con nick così mi fa pizzicare lì, nella scatola della curiosità), sì sì ci si può sempre lamentare e le cose non andranno mai bene, nessuno è perfetto e non ci sono più nemmeno le mezze stagioni. Sei sicuro di aver praticato davvero una forma di buddismo? Da come fai le domande direi che più che altro ti parli un po’ addosso. Poi, capisco che sei un operaio (una volta gli si perdonava tutto in nome della cultura proletaria…) ma l’espressione “C’è sempre qualcuno …che ti fotte la donna come è successo a me” è più da utilizzatore finale che da buddista. Dove la tenevi ‘sta donna, nell’armadio pronta all’uso? Poi hai dimenticato la porta aperta e ‘sto santone l’ha fottuta… mah, po’ pure esse, a Centocelle, fuori da un ambito buddista, tra i burinacci… 🙂
Ottobre 15th, 2009 at 12:52 pm
Vorreri fare una piccola osservazione a margine di questo dibattito che – prescindendo dal filmato – ha toccato temi di grande interesse. L’osservazione è relativa al ruolo del cercatore, del ‘discepolo’ (uso questi termini fuorvianti per semplicità), : chi, alla ricerca della via, si imbatte in un presunto ‘maestro’, non è scevro di responsabilità. Non c’è nessun maestro. C’è un detto che dice che è il discepolo che fa il maestro. Ora, è compito del discepolo mettere alla prova il (presunto) maestro, fino all’esasperazione, onde verificarne la affidabilità ed eventualmente fino a smascherarne il ruolo, qualora questo abbia divorato l’Uomo. Certo, oggi il Buddhismo è essenzialmente ‘square’, la ‘forma’ ha ripreso il suo dominio; ciò da un certo punto di vista è/vorrebbe essere una sorta di garanzia contro ciarlatani, esaltati ed impostori. D’altra parte impone però le regole dell”organizzazione’, il che significa scollamento, gerarchia, ritualità d’importazione, distanza tra il cercatore e l’oggetto della sua ricerca (tant’è vero che siamo qui a parlarci per internet…!). Per cui diventa sempre più difficile entrare in contatto così intimamente da mettersi reciprocamante alla prova e da porre le condizioni necessarie ad un reale travaso di esperienza da un contenitore all’altro. La ‘spontaneità’ cui accena mym diviene affettata, falsa. Nell’era del beat-zen le cose erano profondamente diverse, forse più vicine a quel che poteva essere il buddhismo delle origini (forme ancora vive, per quanto ne so e mi auguro, in molte tradizioni, non solo buddhiste). Quel tempo è passato: ciò comporta che sia ulteriormente necessaria una attenta ed approfondita verifica della persona cui ci affidiamo. Non basta che un medico abbia laurea e titoli accademici, per farne un medico davvero affidabile anzichè un buon funzionario. Le organizzazioni religiose, tutte, rispondono a ben altre esigenze e c’è effettivamente il rischio che, nel mondo dello ‘square’, i rappresentanti titolati trovino più gratificazioni ed interesse in queste che non nel rapporto ‘cuore a cuore’ con chi si rivolge loro con sincerità.
Tutto ciò dal filmato non si evince: è un limite delle immagini, che pongono l’accento sul ‘protagonista’ anzichè sul ruolo dinamico delle relazioni, esaltando involontariamente il culto della persona.
Ottobre 15th, 2009 at 12:53 pm
Nel mondo dell’immagine, dei media, di internet, ci pare di essere più vicini perchè siamo tanti: ma siamo certamente più lontani. E’ il regno della quantità, che non può che generare sconforto e pessimismo. Urgono provvedimenti.
Ottobre 15th, 2009 at 2:47 pm
@doc
n. 44: “è compito del discepolo mettere alla prova il (presunto) maestro, fino all’esasperazione”. Allora sono sulla buona strada!
n. 45: sottoscrivo il Manifesto della lotta al regno della quantità.
Ottobre 15th, 2009 at 5:37 pm
n. 44: lo saresti se bastasse quello… 🙂
Ottobre 15th, 2009 at 9:04 pm
Lo vedi, lo vedi che sei esasperato??? yu-huuuuuUUUUUUUU
Ottobre 15th, 2009 at 11:55 pm
Galeotto fu il 44 e chi lo scrisse.
Ottobre 16th, 2009 at 8:10 am
Ciao mym, si hai ragione, al tempo della donna ancora non praticavo e la persona in questione “era un falso predicatore”, come si è rivelato e non ovviamente zen.Ed io sono stato anche se per qualche anno un fraquentatore dei gruppi che praticano” il buddismo di nichiren, che conoscerai”,che è un buddismo non buddismo, una vera e propria setta. Sono capitato per caso in un sito che mi ha aperto gli occhi definitivamente, facendomi capire quanto tempo ho perso si chiama”no soka gakkai,sito di carlo”, un’amico mi ha parlato di cristianesimo-zen, per questo sono finito nel tuo sito.E ne ho sparato un pò. Ma come dici tu un pò mi piango addosso, un pò marcio con luoghi comuni, e vorrei aggiungere che oltre alle mezze stagioni, non si trova neanche il posteggio.Ciao sono certo di non aver inciso negativamente sui tuoi umori, e se fosse perdona questo operaiaccio. Tra l’altro oggi dolorante per un lavoro fatto ieri su di un terrazzo nel centro di genova.Beh un piccolo lamento ci voleva, P.S. avrei giurato che quel che ho scritto lo avresti cancellato,ma cosi non è stato! Grazie e a presto. e dimentica le mie domande è meglio!!
Ottobre 16th, 2009 at 9:33 am
Belìn che pittima… 🙂
Fai pure tutte le domande che vuoi, chi pensa di poter rispondere lo farà. Questo in parte è avvenuto, se ne hai altre o di non pienamente soddisfatte per una volta dedicati solo alla domanda: la censura la rischi se invece di postare un commento (sui 500 caratteri) scrivi una filippica da 2500 (37, 38 e 44) o più. Salutami il Righi…
Ottobre 16th, 2009 at 10:12 am
Non ricordo quella frase nei Vangeli: Giovanni?! apocrifi?! Qualcuno sa darmi un riferimento bibliografico? grazie
Ottobre 16th, 2009 at 10:27 am
Lc 11,36.
Ottobre 16th, 2009 at 10:36 am
grazie
Ottobre 16th, 2009 at 11:05 am
Nel testo che ho io (ed. Paoline ’86) la frase si legge così: “Se dunque il tuo corpo è tutto nella luce, senza alcuna parte nelle tenebre, sarà tutto splendente, come quando una lampada ti illumina con il suo fulgore”.
Mi pare che ci sia una differenza non da poco, determinata dal senso che diamo a quel secondo ‘tutto’.
Ottobre 16th, 2009 at 11:15 am
Penso che il “ti” di “ti illumina” spiani la possibile differenza riferendo “tutto” (in ambedue le versioni) a “tuo corpo”. Aspettiamo che si svegli l’esperto per una parola dotta in materia.
Ottobre 16th, 2009 at 11:18 am
Ho preso il testo come compare nel libro, che forse cita la nuova versione Cei. Comunque, in generale, le edizioni italiane moderne sono un pianto: qui lo scopo era solo accennare alla bella frase pronunciata da Gesù, ma senza approfondire i dettagli.
Traduzione letterale dal greco: “Quindi, se il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere nessuna parte di tenebra, (allora) tutto sarà luminoso come quando la lampada ti illumina con il suo splendore.”
Ottobre 16th, 2009 at 11:42 am
Sarebbe risolutivo avere la vera versione letterale originale, ma … ad impossibilia nemo tenetur.
Ottobre 16th, 2009 at 2:57 pm
In ogni caso la frase è suggestiva. E’ vero che il ‘ti’ di ‘ti illumina’ sembra riferire tutto al corpo: però è anche pleonastico, dato che è stato appena detto. Questa ambiguità è intrigante.
Ottobre 16th, 2009 at 4:19 pm
Testo greco originale per il signor mym.
“ei oun to somà sou hòlon photeinòn, mè echon méros ti skoteinòn, éstai photeinòn hòlon hos hòtan ho lychnos te astrapè photìze(i) se.”
Chiedo venia per accenti, spiriti, iota sottoscritti… e grazie per la fiducia…
Ottobre 16th, 2009 at 4:24 pm
Ora che ho controllato de visu son più tranquillo.
Certo che il senso dell’umorismo di voi dotti è imparagonabile alla vostra kultura. In altre parole -come s’usa dire oggi- siete più dotti che intelligenti… 🙂
Ottobre 16th, 2009 at 6:28 pm
Personalmente, sono più bello che intelligente.
Ottobre 16th, 2009 at 6:40 pm
La frase del vangelo di Luca l’ho letta e riletta nelle due versioni ma non ci trovo nulla di interessante. Qualcuno mi vuole aiutare? È una bella frase, sì, ma o vuol dire una cosa del tipo “se ti tocchi diventi cieco” oppure… oppure?
Ottobre 16th, 2009 at 6:50 pm
Quella frase di Gesù, nei vangeli, è isolata, non ha paralleli. D’altro canto la domanda posta prima da doc conferma che non se la fila sostanzialmente nessuno, la Chiesa non l’ha promozionata come la molto più “sfruttabile” sentenza: Tu sei Pietro, e su questa pietra…
Ciò detto, padre Gruen la riporta come promessa implicita della risurrezione, di una trasfigurazione bella e profonda della nostra corporeità.
Al recensore piaceva soprattutto per la sua evocatività, senza che per forza se ne ricavino delle conseguenze.
Ottobre 16th, 2009 at 6:53 pm
Grazie, anch’io penso sia una bella frase, evocativa di belle immagini. Chissà che cosa ci ha visto Doc…
Ottobre 16th, 2009 at 6:54 pm
Al recensore/bis piaceva inoltre quell’espressione come descrizione di sé da parte di Gesù, di quando il suo corpo sarebbe stato trasformato in puro “disegno di luce”, foto-grafia.
Ottobre 17th, 2009 at 8:39 am
Daccordo con in buona parte…stabilire ruoli non è cosa facile,tutti possiamo essere l’uno il maestro dell’ altro.Ma forse è un punto di arrivo, non alla portata di tutti.Ricerca? A volte mi domando di cosa? Di un respiro profondo e duraturo,in un mondo caotico?Il distacco: essere al di sopra delle parti, pur uniti al tutto, o al nulla, non rischia d’essere una pura e semplice vita non vita? O solo una via per darsi una ragione, nell’esserci? O semplicemente non ho capito un tubo?Vai doc! Dai una compassionevole risposta a questa entità virtuale vagante.
Ottobre 17th, 2009 at 10:41 am
Scusate, mi sono assentato un attimo. Forse è solo la mia fantasia. Comunque di interessante ci ho trovato una suggestione di parallelismo con altre tradizioni come lo yoga (il lavoro sulle nadi, la purificazione interiore attraverso il lavoro sul corpo) o anche lo zen di Doghen (la Via si raggiunge soprattutto tramite il corpo). O l’eschia con le tecniche di respirazione/recitazione, che svolgono un lavoro sul corpo.
Mi fa pensare che ciò che viene definito ‘maculazione’ o ‘contaminazione’ nelle tradizioni più devozionali, o ‘nodo/tensione/blocco’ in linguaggio più moderno ma anche nello yoga appunto, posa avere un corrispondente, più preciso di quanto abbia finora immaginato, nell’idea di ‘peccato’.
Non mi sovvengono altri spunti o indicazioni di ‘lavoro sul corpo’, di pratica del corpo, nella Bibbia. Anzi, il corpo sembra di solito negato.
In questa ottica la purificazione del corpo(/mente) è condizione/prelude alla chiara visione del ‘tutto’.
D’altronde non vi sembra un po’ banale dire che se tutto il corpo è luminoso, allora tutto il corpo è luminoso?
Ottobre 17th, 2009 at 10:42 am
Però! 559 caratteri. Disciplina forense o del battilastra? L’animo umano è una miniera di misteri. Vai Doc, si puedes, altrimenti qualcuno finisce che conferma il suddetto tubo…
Ottobre 17th, 2009 at 11:04 am
Hai un pallottoliere sulla scrivania?
Temo di essermi un po’ perso…
Ricerca? Non so bene cosa si dovrebbe cercare. Personalmente la metto più sul ‘lavoro’ indirizzato a ricomporre le tendenze di opposizione/antagonismo con la realtà che mi circonda.
Probabilmente Hui-neng ha tutte le ragioni: non c’è nè polvere nè specchio. Tuttavia a me tocca pulire lo specchio per vagamente intuire, ogni tanto, un barlume di pacificazione.
Ciò si ricollega ai commenti sulla frase evangelica citata da dhr nel post Cosa c’è dopo la morte.
Ottobre 17th, 2009 at 11:19 am
@doc
Di per sé il corpo non è “negato” nella “Bibbia” tutta intera. Nel c.d. Antico Testamento ha un valore positivo, e un rabbi non sposato – come Gesù – faceva addirittura cattiva impressione. E’ stata la storia del cristianesimo a premere sulla questione del sesso peccaminoso: il senso di colpa è un’arma formidabile. Mentre nell’ebraismo NON esiste neppure il concetto di peccato originale.
Ottobre 17th, 2009 at 11:22 am
oh finalmente un po’ di interdipendenza anche nei blog
Ottobre 17th, 2009 at 11:25 am
A dire il vero non ho proprio la scrivania.Io pensavo ad una ricerca in se stessi,per capire meglio come ci si rapporta nei confronti di tutto ciò che ci circonda “umani” compresi, e forse forse scoprire se c’è troppa arroganza, o autostima… o se ce nè poca, non mi sembra cosa da poco. Riguardo al lavoro la ricerca è continua visto che lavoro saltuariamente con ditte interinali.”Lo specchio”?…ne ho uno solo, e non lo pulisco molto, tranne che nel punto dove mi si vede la faccia.L’idea del pallottoliere però non è male Grazie.Ora me lo compro!
Ottobre 17th, 2009 at 12:23 pm
Scusa, la frase sul pallottoliere era rivolta a mym che ormai ha preso il vezzo di contare i caratteri…
Quanto al lavoro, ovviamente intendevo il lavoro su se stessi, intesi come corpo-mente, lavoro che trova un eauriente paradigma nella pratica (ad es.) dello zazen. Sono dell’idea che procedere sul piano del ‘capire’ sia assolutamente insufficiente, se non mettiamo anche in relazione i processi mentali e percettivi con quelli corporei.
In un certo senso, non ‘Il distacco: essere al di sopra delle parti’, ma proprio il suo opposto: essere completamente (dentro) le cose, il momento che viviamo. Corpo-mente, appunto.
Ottobre 17th, 2009 at 12:33 pm
E’ vero. Tuttavia, mentre nelle tradizioni orientali – salvo direi rare eccezioni – il corpo è valorizzato come strumento, come terreno di pratica religiosa, non mi pare altrettanto succeda nella tradizione giudaico-cristiana; con l’eccezione appunto dell’esichiasmo.
Ottobre 17th, 2009 at 1:20 pm
Esicasmo.
Circa l’attuale pratica ebraica – che comunque saranno “pratiche” al plurale – non saprei.
Nel cristianesimo degli ultimi decenni si tenta spesso di rilanciare il “valore positivo del corpo”; l’impressione generale però è di un certo isterismo, che è semplicemente l’altra faccia della medaglia del disprezzo tradizionale.
Ottobre 17th, 2009 at 1:22 pm
“il lavoro su se stessi, intesi come corpo-mente”
… cos’è corpo e cos’è mente? (al di là di ciò che viene dato per scontato nel linguaggio ordinario)
Ottobre 17th, 2009 at 1:42 pm
Furbacchiotto!
Se non ci vedi (più) alcun dualismo, allora…’tutto è nella luce’.
Una volta le montagne erano montgne, i fiumi erano fiumi: poi le montagne non erano più montagne…
La storia a l’è bela, a fa piasì cuntela…
Ottobre 17th, 2009 at 1:43 pm
ebbene sì, ogni tanto mi piace pisciare fuori dal vaso.
Ottobre 17th, 2009 at 2:20 pm
No problem doc, ho realizzato,è il mio complesso di inferiorità che ogni tanto affiora, inoltre mi piace ironizzare,… ma con senso.Vorrei dire a dr che corpo è corpo e mente è mente. possiamo non dar senso a nulla o credere importante tutto, comunque di sicuro corpo è quello che ci fa stare diritti. Mente è quello che ci frega,o ci aiuta, o tutte due insieme.Perdona il mio linguaggio ordinario ma con i miei limiti non vedo altre possibilità.Dimmi tu….Caro doc di certo essere dentro alle cose implica il fatto che c’è da girare con paraocchi e tappi negli orecchi se non si è al di sopra delle parti,o “distaccati”, si rischia l’influenza (A). Anzi… già accuso dei sintomi, speriamo che non si attacchi virtualmente.
Ottobre 17th, 2009 at 2:34 pm
Grazie per la correzione.
Esicasmo, esichiasmo, esichia sono forme usate con una certa indifferenza in letteratura. Senza dubbio la prima è quella linguisticamente corretta.
Ottobre 17th, 2009 at 2:49 pm
C’è un tempo per i tappi e per i paraocchi; e c’è un tempo per l’influenza. Siamo sempre noi, la vita che si manifesta.
Ognuno ha i suoi percosi e le sue esperienze, a prosito delle quali – soggettive ed aleatorie come sono – meno si dice, in fondo, meglio è.
Personalmente ritengo che prendere rifugio nel buddha che è me stesso, raccogliendo corpo e mente in una adeguata postura, sia una buona medicina. Meglio se in compagnia.
Ottobre 17th, 2009 at 4:07 pm
n. 59: “Se non ci vedi (più) alcun dualismo, allora…’tutto è nella luce’”.
Per citare un maestro che non cito (ma inizia per M): “Il buddismo comincia quando smetti di chiederti: Che cos’è?”
Ottobre 17th, 2009 at 11:26 pm
Che c’entra il buddismo? O:-)
Ottobre 18th, 2009 at 9:46 am
Che ne so, chiedilo a lui!
😀
Ottobre 18th, 2009 at 2:05 pm
…giusto per rompere il ghiaccio, in questo pomeriggio d’autunno in cui il cielo è così terso da non far “pensare al male”…
La prima riflessione mi sorge se penso al “male” come ad una “deviazione ( errore, sbaglio..)” dalla via che sto percorrendo, per cui prima della ricaduta eventuale ( ma forse anche non necessaria ) su qualcun altro o qualcos’ altro, ciò che viene colpito è il “me stesso” che viene a trovarsi fuori…
Se poi considero il “me stesso” comprensivo del mondo che mi circonda, facendo “il male” a qualcuno o a qualcosa ( che solo apparentemente è fuori di me), il cerchio si chiude …sempre su me stesso.
Detto così mi sembra troppo semplice, però può essere un piccolo inizio… o no? Ciao
Ottobre 18th, 2009 at 2:33 pm
Che cosa sia il male – così come il bene – lo si impara facendolo.
Ottobre 18th, 2009 at 2:34 pm
Oppure quando smetti di chiederti perchè ? Ma forse c’è poca differenza.Di certo sai perchè!… ma non è altrettanto certo che puoi sapere cos’è,senz’altro saprai che è solo una cosa tua,e come tutte le cose nostre, difficile da spiegare, in questo dò ragione a doc, meno si parla e meglio è. Grazie per l’insegnamento… anche se io purtroppo sono un chiacchierone, ed ho deciso di accettarmi così.
Ottobre 18th, 2009 at 4:29 pm
Nonnonnò, né perché né cos’è. Insomma, siete proprio una disperazione. L’unica cosa che conta è realizzare il come e continuare per sempre. Quale come? Il come uscirne. Il resto son chiacchiere perse, che sian tante o che sian poche non fa differenza. Se poi avete la bontà di rivedere il film, alla fine vi è una famigliola di criceti in una gabbietta. Chi non si identifica o chi si identifica “solo” per chiedersi perché et similia…
Ottobre 18th, 2009 at 5:01 pm
Non è troppo semplice e neppure un piccolo inizio, piuttosto è -con altre parole- proprio quello di cui parla il sutta. Io però chiedevo se qualcuno fosse disponibile a sbilanciarsi un po’ di più, cioè se qualcuno sia pronto a dire che cos’è o come distingue. Apparentemente dr -detto anche lingua tagliente- è nel vero, si sa in realtà solo ciò che si vive. Però in pratica ripete il grido di battaglia di Pierinux quando gli chiedo di aiutarmi a risolvere un problema sul sito: “Ranges!”. Che in veneto corrisponde più o meno al più mite adagio “aiutati che ‘l ciel t’aiuta”.
Ottobre 18th, 2009 at 5:32 pm
OKAY.
Definizione: il Male è voler definire il Male.
Ottobre 18th, 2009 at 5:35 pm
Capisco. Però, almeno, prima di farlo, come lo distinguo, oppure (che è più o meno lo stesso), come faccio a scegliere il bene?
Ottobre 18th, 2009 at 6:17 pm
Basta fare il contrario di quello che faccio io.
Ottobre 18th, 2009 at 6:22 pm
Vabbe’, intanto che cerchiamo il contrario di quel che fa dr, che poi equivale al contrario di “2”, speriamo che qualcuno sia più generoso…
Ottobre 18th, 2009 at 6:31 pm
A non rispondere alla domanda, almeno a sè stessi, sembrerebbe quasi di procedere alla cieca, a pensare di rispondere si potrebbe pensare che ci sia veramente una risposta nascosta da qualche parte che ci consente di poter scegliere sempre ( o quasi ) la strada giusta. Personalmente non vedrei altra strada che il riferimento al proprio percorso. Le indicazioni date dagli insegnamenti credo siano abbastanza chiare, il come metterle in pratica, è la sfida continua di ogni giorno …
Certo che è tosta questa domanda…. ma porsela ogni tanto non può fare altro che bene. Ciao
Ottobre 18th, 2009 at 6:34 pm
Grazie, Ciao.
Ottobre 18th, 2009 at 7:08 pm
ciao a tutti..
io quando si parla di questo argomento, bene e male,
ho in mente quel passo che dice che, quando non siamo rapidi nel bene la mente si diletta nel male.
ora, se non erro, nel buddismo si dice che bene è tutto ciò che mi mantiene nella “via” e male ciò che mi fà deviare da essa, il famoso “inciampo” probabilmente.
a questo punto direi che la questione è spostata a cosa sia questa benedetta via da seguire…
azzarderei che questa via voglia condurre ad una modalita dell’essere, del modo in cui cammino, che spontaneamente mi fà agire in modo conforme alla situazione( emancipazione da schemi precostituiti).
per cui questo male lo posso trovare nelle possibili ipostatizzazioni dei concetti di bene e male, che appunto essendosi fissati non mi fanno agire in maniera creativa e responsabile agli eventi…quindi il rischio di nascondersi dietro la regola…mi sembra che era confucio che disse che il saggio seglie caso per caso.?!
Ottobre 18th, 2009 at 7:42 pm
“Certo che è tosta questa domanda…. ma porsela ogni tanto non può fare altro che bene”, anche rispondendo ad Alessandro direi che si può fare qualcosina di più: “…. ma porsela spesso non può fare altro che bene.” Un altro discorso interessante potrebbe essere la relazione con ciò che noi (dico “noi” perché in due terzi del pianeta non esistono neppure le parole per dirlo) chiamiamo senso di colpa.
Ottobre 18th, 2009 at 8:21 pm
Va bene, ci riprovo: PRIMA di agire siamo mossi dall’istinto (automatismi psichici), ANCHE quando pensiamo di avere “ponderato bene”. Solo a posteriori comprendiamo il valore positivo o negativo di ciò che abbiamo fatto, e questo incide sugli automatismi successivi, ma in tutta la vita sarà grasso che cola se riusciamo a modificare l’1%.
Ottobre 18th, 2009 at 8:23 pm
Alla seconda domanda di mym: il senso di colpa PRECEDE l’azione cattiva, non viceversa.
Ottobre 18th, 2009 at 9:18 pm
..si hai ragione,e mi scuso ancora una volta.Il fardello è individuale,e le risposte non possono esserci.Il mio uscir dal tema in origine di questo sito, come ormai hai compreso, e causato dalla mia difficoltà a dare un senso minimo alla mia esistenza,così è da sempre.E mi ritrovo a cercar domande, senza risposte possibili.Avevo notato i criceti ma senza dar loro molto peso.Ora credo di aver capito.Ma non credo di farcela.Almeno non in questo periodo.(Tra i peggiori).
Ottobre 19th, 2009 at 10:02 am
Questa cosa della precedenza mi pare interessante. Sarebbe quindi il senso di colpa già desto prima della mala azione a far sì che noi si sappia… Diabolico! È il gusto del peccato. Se fossimo nel “secolo giusto” a dr comincerei a mostrare gli strumenti…
Ottobre 19th, 2009 at 10:08 am
@12
Pare di capire che la “salvezza” intesa come libera possibilità di scegliere il bene sia negata a priori dagli “automatismi/istinto”. È però un modo di negare la possibilità del distacco. Per non andar troppo lontano, anche Eckhart…
Ottobre 19th, 2009 at 10:32 am
al n. 14 – La sfumatura era un po’ diversa: compiamo cattive azioni PERCHE’ avvertiamo già una colpa, un peso, una inadeguatezza dentro di noi.
Però va anche precisato che Agostino e Pelagio avevano sotto gli occhi (materialmente, fisicamente) lo STESSO mondo.
al n. 15 – La libertà potrà essere un punto di arrivo, non di partenza. Trovo abbastanza assurdo, per esperienza vissuta, il presupposto: “Siccome possediamo la libertà del volere, allora dobbiamo…”
Ottobre 19th, 2009 at 8:35 pm
… ‘mazza che silenzio. Ma che ho detto di Male? …
Ottobre 20th, 2009 at 10:03 am
“… le nubi sono già più in là”…
Ottobre 20th, 2009 at 10:14 am
I periodi peggiori… fanno star male. Mi spiace. A mio parere dovresti lasciar perdere (almeno per un po’) il buddismo e pensare in termini più liberi, ariosi. Chi te lo fa fare di cercar domande? I peggiori periodi hanno, almeno, il pregio di preludere ai migliori.
Ottobre 20th, 2009 at 6:02 pm
fischia, in 18 frasi abbiamo già risolto il problema del Male! ma chi ci batte, a nnoi???
Ottobre 20th, 2009 at 6:07 pm
È il mondo dello zapping, honey…
Ottobre 20th, 2009 at 6:41 pm
meglio “honey” che l’ape “Maia”
Ottobre 22nd, 2009 at 5:38 pm
Riemerge il male, dunque, non un male individuale ma un male che coinvolge la Terra con tutto ciò che comprende. Difficile dire, a mio parere, se la colpa sia solo di coloro che compiono l’atto finale, mi viene da pensare che siamo coinvolti un po’ tutti, perchè queste azioni sono possibili per il tipo di società in cui siamo inseriti ( cosa banale e risaputa se vogliamo, ma che dovrebbe metterci di fronte alle nostre responsabilità, non fosse altro per come “fruiamo” i beni costruti anche con ciò che poi diventa rifiuto tossico). Quanto e come sia possibile evitare questa fruizione, non lo so, già il mezzo che sto usando in questo momento, mi sembra, è di “difficile” riciclaggio.
Probabilmente c’è un modo per trattare in modo conveniente i rifiuti di vario genere, ma, da quel poco che so, la cosa più importante e sulla quale bisognerebbe forse scommettere è la capacità dell’ uomo di cambiare la modalità di, diciamo, “produrre rifiuti” che comporta anche un nuovo ( o antico )modo di vivere ( mangiare, divertirsi, muoversi..)
Mi sembra che, oltre alle necessarie denunce ( necessarie perchè il prendere coacienza del problema è il primo passo per potere cambiare qualcosa) , sia questo, forse, un possibile contributo da parte dello zen, alla “cultura” occidentale intesa in senso lato. Cioè far scorgere che c’è un’alternativa al modo di vivere ” consumistico” ( con tutto quello che comporta) a cui siamo abituati. Un modo di vivere in cui magari, ci si sente più uomini ( o donne ) e meno soggetti ( o oggetti ) di consumo.
Scusate se mi sono dilungata un po’….
Ottobre 22nd, 2009 at 7:33 pm
Sì, certo, tutte queste cose. Oltre ad un senso d’impotenza. Se si guarda da un’ottica buddista il cambiamento deve essere personale, senza curarsi dei numeri, una sorta di continuità nel fare come se dal nostro singolo gesto dipendesse tutto. Nella misura in cui si riesce a farlo tutto comincia a cambiare. Il futuro non è una nebulosa in mano a qualche entità misteriosa. Il futuro è quello che facciamo giorno per giorno. Praticare la libertà con caparbietà.
Ottobre 24th, 2009 at 12:33 pm
Torna con forza la questione dell’origine dl male sopratutto alla luce della dimensione del “con-essere”, la quale nell’uomo,in particolare, è inevitabilmente riflessione politica.
Ottobre 24th, 2009 at 6:16 pm
Certamente la religione vissuta nel sociale -possibilità evitabile solo con mai perfetti isolamenti eremitici- ha luoghi, aspetti che attengono al politico. La scelta dei consumi (cibi, beni vari) è tra questi. La potenza politica di tali scelte è funzione della profondità dell’etica personale. In termini più “comuni”: la fede muove le montagne.
Ottobre 30th, 2009 at 5:13 pm
Tiscrivo qui perché ormai da giorni non riesco a reggiugerti al tuo indirizzo: la posta mi è rimandata indietro con la nota che è impossibile trasmetterla, appunto, all’indirizzo indicato. Come mai? E’ un problema della mia macchina o della tua? Ciao
Ottobre 31st, 2009 at 2:25 pm
Se c’è qualche blogger umbro: il 19 novembre, ore 16, il libro verrà presentato a Perugia presso il Centro ecumenico (via del Verzaro, 23). Presenti lo storico Mario Tosti e il traduttore. Doveva venire l’autore Hesemann, ma ha pensato bene, buddisticamente, di dileguare in silenzio…
Ottobre 31st, 2009 at 5:43 pm
Saremo lì. Buddisticamente naturlicht…
Ottobre 31st, 2009 at 6:18 pm
“natuerlich” bitte
🙂
Novembre 5th, 2009 at 8:46 pm
ciao, cristina, non so se il messaggiodove dicevi che non riuscivi a raggiungermi era riferito alla mia richiesta, se era possibile soggiornare per un week end presso la vostra comunità. sono interessato allo za zen che ho praticato per un periodo presso un dojo.gazie
ivan cecca
e-mail ivan.cecca@libero.it
Novembre 6th, 2009 at 4:42 pm
Errore!
Scusa Ivan, il mio programma di posta agisce in modo autonomo rispetto quello che le chiedo, certamente il mio messaggio non era indirizzato a te!
Auguri. Cristina
Novembre 6th, 2009 at 5:13 pm
Caro Ivan, al momento non c’è una sola sede ma più sedi dove può praticare. Provi a vedere qui http://www.lastelladelmattino.org//index.php/vita-della-comunita se c’è un gruppo vicino a casa sua. Un saluto, mym
Novembre 7th, 2009 at 9:52 pm
Salve a tutti!
Volevo sapere se a questo concorso poteva partecipare anche il mio elaborato. Solo che si tratta dell’elaborato finale della scuola triennale di Rimini di Filosofia Orientale e Comparativa.
E tratta di stati di coscienza (anche se punta alla multiculturalità).
Vi ringrazio anche per l’incontro della settimana scorsa ad Urbino con Forzani e Marassi: è stato davvero interessante e soprattutto mi ha trasmesso una grande serenità. A presto e complimenti per il vostro lavoro.
Carlo Maria Cirino
Novembre 8th, 2009 at 8:34 pm
Caro Carlo Maria,
Ci ha scritto pubblicamente perciò le rispondo pubblicamente. Il comitato che si occupa dell’esame delle tesi ha risposto negativamente alla sua richiesta. Come può vedere, all’interno del bando si specifica chiaramente che la borsa è destinata ai soli laureandi presso l’Università di Urbino.
Un saluto,
mym
Novembre 10th, 2009 at 11:51 am
Immagino che per l’occasione il priore Enzo Bianchi insisterà sul valore del nascondimento e del silenzio 😛
Vai, mym, spacca!
Novembre 10th, 2009 at 1:27 pm
Non credo, per come conosco Enzo Bianchi più che esperto di nascondimenti e silenzi lo ricordo come combattivo e tenace. Staremo a vedere, come sempre nella tenera parte dell’agnello… 🙂
Novembre 10th, 2009 at 2:03 pm
mannaggia che tocca fare come Achille Campanile che spiegava le battute. Il riferimento ironico era a uno che, siccome è sempre a parlare in radio e in tv…
🙁
Novembre 10th, 2009 at 4:11 pm
Figurati che a me tocca fare quello che le battute non le capisce… 🙁
Novembre 10th, 2009 at 5:36 pm
😀
Certo che se il dialogo a Bose procederà con la capacità di comprensione reciproca che sta avvenendo in questo blog…
😀
“Che botte, quella notte”
Novembre 13th, 2009 at 6:03 pm
questo film mi riporta in luoghi e tempi di cui non so dire…
Novembre 13th, 2009 at 7:23 pm
Il ricordo dei semi scomparsi sono gli alberi del nostro tempo
Novembre 14th, 2009 at 1:39 am
focalizzarsi sui semi perdendo di vista gli alberi… forse è un “male”
Novembre 14th, 2009 at 9:12 pm
Biella ciao! Buon viaggio, e quando torni ‘contaci com’è l’è andata neh?
Novembre 19th, 2009 at 4:57 pm
“Mauricio Yūshin Marassi fa emergere, attraverso un approccio rispettoso delle specifiche identità, le differenze sostanziali che separano il buddhismo dal cristianesimo.”
La seconda metà della frase capovolge la prima metà. Della serie: A buon intenditor…
Novembre 19th, 2009 at 6:01 pm
Occorre rispetto per dire, in casa d’altri, che casa mia è diversa, grazie a Dio… 🙂
Novembre 19th, 2009 at 10:28 pm
Nuovo slogan per il dialogo interreligioso. Invece di “Cerchiamo ciò che ci unisce, invece di ciò che ci divide” ora vale: “Venezia è bella, ma non ci abiterei” !
Novembre 19th, 2009 at 11:36 pm
Già.
Sono con quelli che considerano la parola ‘dialogo’ ambigua se non perniciosa. Se ci si incontra per conoscersi, confrontarsi, magari capirsi e con questo si spera di pervenire ad un rispettoso riconoscerci, allora il prerequisito minimo è di saper dire ‘Venezia non mi piace’.
La piaggeria è una falsa strada per la pace.
Novembre 20th, 2009 at 4:46 pm
Può essere che la parola dialogo sia usata impropriamente in vari contesti, ma all’ interno di un “confronto” sincero sulle proprie identità religiose, non trovo un’altra modalità di comunicazione che possa portarci ad un “rispettoso riconoscerci”.
Non so, ma in un dialogo mi sembra sia importante lasciare comunque aperta la possibilità che l'”altro” mi possa cambiare, anche radicalmente…
Novembre 20th, 2009 at 9:38 pm
Scusate, ma sono solo io a vederci una sottile, ironica, affettuosa…presa per i fondelli?
Novembre 20th, 2009 at 10:23 pm
Ciao Marta,
è ineccepibile quanto tu dici. Ma non ritiro la mia considerazione. Anche se riconosco che, grazie a Dio, ci sono tante persone che usano la reciprocità dell’uso della parola (dialogo) anche come reciprocità, ad es., di ascolto. Non solo per sbattere la lingua o fare la ruota. O peggio.
Questo Cd si intitola ‘confronti’: già questo mi pare un buon segno.
Novembre 21st, 2009 at 10:39 am
Capperi, Doc, così spiattellata fa un certo effetto, però considera che -come sai- la presa per i fondelli come non presa è stata insegnata. Perciò è detto presa per i fondelli, presa per i fondelli. Forse così è più chiaro, no?
Novembre 21st, 2009 at 11:52 am
Proprio così, proprio così o Mym-Subuthi!
(Ma non sarà che studiare troppo i sutra può far male?)
Comunque la mia Signora, cui ho trasmesso la pagina web come gentile omaggio, ha immediatamente colto la venatura ironica (o la vogliamo chiamare linguaggio-intenzionale?). Più veloce del cronometro!
Novembre 21st, 2009 at 11:59 am
Be’ era un post per soli maschi, ovviamente… E poi gliel’avevo detto che quel “quasi imprendibili” faceva acqua da tutte le parti. Complimenti alla sua Signora, comunque, le manderemo il kit omaggio.
Novembre 21st, 2009 at 2:07 pm
Giuro, non sono io l’autore di quei versi. Basta confrontare il livello dei bellissimi haiku di Lasting con quello penosetto dei miei haiku pubblicati nella sezione “In English” di questo stesso sito. Se la signora vince il kit, io nella competizione vincerei il kat…
Novembre 21st, 2009 at 4:05 pm
L’intreccio s’infittisce: assodato che attorno è fuffa -di gran lusso ma pur sempre fuffa- di chi sono i versi attribuiti ad Alan? Al primo che lo scoprirà un CD in omaggio, al secondo due CD in omaggio, al terzo…
Novembre 22nd, 2009 at 10:52 am
Ciao doc, già, confronti importanti, tra le altre cose, anche da ascoltare. Non sempre si è in grado di porsi come interlocutori ( parlo per me ovviamente ) all’interno di un contesto ampio di confronto tra fedi e dottrine diverse, ma il porsi in ascolto delle varie diversità e somiglianze mi sembra permetta ( anche ) di mettere in crisi alcune “certezze” cresciute dentro di noi, magari senza che ce ne rendessimo conto, con quel che ne consegue…
Per questo ( e non solo )mi sento di ringraziare chi in questa continua ricerca investe una parte “non da poco” della sua vita….
Novembre 22nd, 2009 at 3:20 pm
semi e alberi sono la stessa cosa, uno dipende dall’altro.il “male” ? é la parte povera dell’uomo che ha avuto il dono della ragione, ma aimè… troppo spesso ne è vittima, perchè il sacco è troppo grande rispetto a quel che può metterci dentro, e sembra sempre vuoto.
Novembre 22nd, 2009 at 3:41 pm
io intanto l’ho comprato, ma non aspettatevi una recensione… 😉
Novembre 22nd, 2009 at 4:44 pm
Il convento ringrazia. Nel post ho dimenticato di aggiungere che il ricco incasso andrà interamente alla comunità di Bose. Mettere a frutto i talenti è arte antica in quel dei cristiani…
Novembre 22nd, 2009 at 5:47 pm
E’ normale vendersi. Lo facciamo tutti in questo mondo, inclusi gli eremiti. Con i soldi la sostanza non cambia, è solo meno ipocrita.
Sono d’accordo che il dialogo interreligioso non significa fare minestroni newage, lo ha detto anche il Papa 🙂
D’altra parte se si trova qualche analogia di precetti o intenti morali, notarlo non guasta.
Ciao
Novembre 22nd, 2009 at 6:18 pm
Grazie Al, è vero lo ha detto anche il Papa. Vorrei davvero sbagliare ma l’impressione che ne ho tratto ascoltandolo è che lo dicesse affinché non si confondesse l’oro (loro) con la paglia (gli altri), ma sai, sono un filino prevenuto per cui…
Novembre 22nd, 2009 at 6:42 pm
Be’ il Papa è un po’ come qualche altro noto aspirante monarca. Basta aggiungere “lui escluso”. Premesso ciò si può condividere anche quello che ha detto alla FAO contro il lusso e gli sprechi…
Sul sincretismo idem. E’ indubbio che in politica si trasforma facilmente in trasformismo e in filosofia/religione in qualunquismo ideologico.
Novembre 24th, 2009 at 8:00 pm
Guarda guarda, con un anno e mezzo di ritardo mi sono imbattuta in questa denuncia di Jiso: non so come mi sia sfuggita allora… nè c’è altro da aggiungere, in realtà, alla più che esauriente, lucida, precisa delineazione e denuncia dell’aberrazione da parte di Jiso stesso. Posso solo dargli il sostegno, in pauroso ritardo, della mia totale adesione…
Novembre 25th, 2009 at 3:36 pm
Ringrazio Cristina per il sostegno dell’adesione, non tardiva per il semplice fatto che le cose non vanno certo meglio. L’unica differenza è che non siamo più a maggio, ma il tempo continua a essere bruttino. A forza di resistere cesseremo di esistere, ma qui sta il bello della faccenda. Tutto ciò che inizia ha fine, e verrà dunque anche il giorno che le nostre “denunce” saranno osbolete. En attendant…
Novembre 25th, 2009 at 7:44 pm
Il fatto è che cesseremo di esistere sia che resistiamo, sia che accettiamo e/o subiamo… e nessuno di noi individualmente ha il potere di cambiare le “cose”. Per me il problema è: Che fare? ( ti ricordi “Fontamara”? Plus ça change, plus c’est la mème chose!)
Novembre 29th, 2009 at 11:42 am
Se semi ed alberi sono “la stessa cosa” allora anche bene e male sono la stessa cosa. Quando parlavo del “ricordo dei semi passati” intendevo, in metafora, il loro lascito: gli alberi. Invitavo a vedere nell’albero anche il seme che lo ha prodotto. Fuor di metafora: il periodo di frontiera, spontaneità e fantasia di cui si “parla” nel film La Tana del Buddha è padre di questo presente, quindi un po’ si assomigliano.
Novembre 30th, 2009 at 12:47 pm
Sì, è proprio così. Una delle ragioni per cui ho accettato l’esilio (chi scrive vive e lavora a Parigi) è stata per vedere se riesco a costruire qui un approdo, magari anche solo momentaneo, per giovani fuoriusciti dal nostro disgraziato paese, che non è più un Paese per giovani (neanche per vecchi, se è per questo, ma noi in fondo possiamo acquattarci più o meno ovunque). Prima di tutto per i mei figli, se vorranno, ma non solo per loro.
E’ la misura di quanto triste sia la situazione, il fatto che si debba
invitare i propri figli ad andarsene dal futuro che gli abbiamo preparato.
Perché per quanto le proporzioni delle responsabilità siano diversamente
distribuite, non possiamo chiamarci fuori, e attribuire la colpa di questa
miseria morale e umana a solo chi ha in mano le leve del potere. Gliele abbiamo date noi o almeno abbiamo lasciato che se le prendessero, ma non solo. Qui (in Italia) il degrado è endemico, il pesce non puzza solo dalla testa. Quando leggo con incredulo terrore (sì, perché ormai non fa più ridere, fa davvero paura) che un ex ministro della giustizia (!) propone di mettere la croce sulla bandiera, per arginare massoni ed islamici, senza che i custodi (che tali si impalcano a essere) di quel simbolo urlino all’oltraggio e lo fulminino con i loro anatemi, senza che i suoi colleghi lo invitino a un ricovero urgente, senza che da ogni parte si levino voci ad ammonire che le croci si uncinano, a maneggiarle con le mani e la mente sporche, allora mi accorgo, un mattino, che è finita davvero, è solo questione di giorni, anche fossero mesi. Abbiamo lasciato un’altra volta che i nemici del bene, il pubblico bene che è la casa del bene privato, trafugassero le chiavi e ci sequestrassero tutti. Glielo abbiamo lasciato fare, e questo è concorso di colpa. Ieri ero in metrò, nel ventre di Parigi, domenica c’è poca gente. Un tragitto un po’ lungo, mi siedo e di fronte un signore orientale legge un quotidiano cinese. Il retro della pagina che stava leggendo è di fronte ai miei occhi, mi ci cade uno sguardo.
Sulle prime credo a un abbaglio, guardo meglio. E’ una pagina intera dedicata al primo ministro del nostro paese. Al centro campeggiano due foto accostate: una è quella del Nostro, l’altro è Benito, vestito da gerarca fascista: appaiati, gemellati, quasi indistinguibili. Mannaggia, ho pensato, lo san pure i cinesi, solo noi non vogliamo vedere! Ragazzi, andate via, oggi il mondo è più accogliente del vostro paese. Andate via, e non perdonateci.
Novembre 30th, 2009 at 1:04 pm
@mym: “Da quando ha iniziato l’università le consiglio di provare a pensare ad un futuro all’estero”. Beato chi c’è già arrivato e chi ci andrà. E’ anche il mio sogno.
@JF: “Non possiamo chiamarci fuori, e attribuire la colpa di questa
miseria morale e umana a solo chi ha in mano le leve del potere”. Ecco, appunto.
Novembre 30th, 2009 at 1:48 pm
Vero vero, facciamo esame di coscienza, autocritica e quant’altro. Nel frattempo cheffamo co’ ‘sti ragazzi? Io non me la sento di dir loro: state qui e lottate per il vostro Paese. Soprattutto perché temo non servirebbe a nulla. Allora: all’estero all’estero!
Dicembre 1st, 2009 at 1:45 am
Vorrei sommessamente riportare una chiave di lettura alternativa. Se ne parla qui: http://www.federicasgaggio.it/2009/11/celli-e-la-lettera-al-figlio-sullespatrio/
Forse qui il tema non è tanto il contenuto della lettera quanto il modo in cui è stata proposta e “macinata” nel circuito mediatico.
Io nel mio piccolo mi chiedo: servirà a qualcosa andarsene ? Nel frattempo che ci penso vado a preparare il passaporto…
Dicembre 1st, 2009 at 9:39 am
Ho letto le considerazioni di Federica Sgaggio che Pierinux ci invita a prendere in considerazione, e mi pare che in effetti spostino l’attenzione dal messaggio al mezzo, per dirla in termini mediatici. Anch’io, leggendo la lettera del direttore generale Celli ho avuto retropensieri assai simili a quelli esposti nel blog di cui sopra. In particolare l’argomento Alitalia mi è parso uno dei meno pregnanti fra i tanti che si potevano scegliere per invitare i propri figli all’abbandono della patria e per di più presentato con un taglio ricattatorio e antipatico. Anch’io, per seguire la giovane giornalista nel suoi ragionamenti, penso ogni tanto che Saviano, col suo copyright su ogni sospiro, potrebbe personalizzare un po’ meno la sua battaglia. Però ho paura che siamo alle solite: il Titanic affonda e qui si discute se l’orchestra doveva suonare Mozart o Vivaldi o se il primo violino sia lì perché è brava o solo perché è l’amante del direttore. La lettera di Celli è uno spunto di riflessione, quali che siano i più o meno reconditi motivi per cui l’ha scritta e Repubblica gliela pubblica in prima, proprio perché l’esemplare figliolo non ha nessun bisogno di lavorare per vivere, né di faticare per cercare un posto, né rischia di fare il precario a vita: se, per strumentale che sia l’operazione giornalistica, è ammissibile pensare che uno così ben piazzato dal destino possa preferire l’espatrio agli agi di una vita da privilegiato, vuol dire che siamo proprio mal messi. Non è quando scappano i topi che ci si deve preoccupare davvero: è quando salgono alla chetichella sulle scialuppe gli ufficiali di bordo.
Quindi il punto è: servirà a qualcosa andarsene? E chi lo sa! E’ una scelta in perdita, questo è chiaro, la ratifica di una sconfitta. Ma serve qualcosa restare in un paese dove, sul fronte dei resistenti, chi frequenta i vertici come il signor Celli (ex-direttore generale della RAI!!!) sembra indignarsi più che altro per i ritardi dei voli Alitalia, e chi stimola la riflessione indipendente si incaponisce nella critica al narcisismo di colleghi che comunque rischiano la pelle per dire la loro?
Dicembre 1st, 2009 at 10:53 am
Sì, mi era stato segnalato il post di Federica appena uscito, non avevo commentato (se non per mail) tuttavia credo che, una volta disquisito della correttezza politica o meno degli argomenti a supporto, il tema posto dalla lettera di Celli andasse affrontato nel merito. Che riassumo: indicare ai giovani, figli e non, la via di una sconfitta pressoché certa nel buio delle conseguenze o favorire una scelta (quasi?) altrettanto difficile (chi non ha esperienza del migrante non sa quant’è salato l’altrui pane), magari pronti a tornare quando e se…
Dicembre 1st, 2009 at 4:04 pm
In Italia – è vero, è un paese pieno di difetti gravi – ci sono più leaders che seguaci. Vogliamo essere tutti leaders: armiamoci e partite!
Tutta ‘sta storia secondo me rientra nella strategia ‘politica’ di Repubblica, giornale-partito che non amo partcolarmente, visto che da un quotidiano cerco se possibile un po’ di informazione; non mi piace il lavaggio dei cervelli né la manipolazione strumentale (come ad es. nel nostro caso il rinforzo ossessivo della delusione-depressione, nella speranza che le masse trovino il famoso sussulto di orgoglio, a favore di ‘buoni’ naturalmente). Questo genere di strategia, spesso impantanatasi nel gossip più squallido, fa leva sull’emotività dei fedeli di parte e si propone come centro di potere mediatico alternativo. Mi puzza. La ritengo corresponsabile del degrado del nostro paese. (In sintesi, non è la destra che ha vinto, miei cari, ma la sinistra che ha perso!).
Qualche tempo fa mi furono tirate le orecchie da un caro amico per aver espresso l’umano desiderio che mio figlio raggiunga un titolo di studio ed una professionalità che possano aprirgli una qualche strada per la sopravvivenza futura: mi fu fatto notare che da un punto di vista buddista, preoccuparsi per il futuro dei figli e tentare di ‘indirizzarli’, è proprio ciò che non si dovrebbe fare.
Noto quindi che, appena la si gira in ‘politica’, la passione ridiventa incoercibile, ed i figli ridiventano ‘figli e mammete’
Emigrare? In quale paese? Uno dei paesi ‘ricchi’, immagino: Usa, Canada, nord Europa… . E magari con un posto di prestigio: ambasciatore, scrittore ecc…. Siamo alle solite. Credo che nessuno speri per i suoi figli di farsi strada con le proprie capacità – magari partendo dalla gavetta – a Kabul o in qualche angolo dell’Africa, dal Congo al Biafra se ancora esistono, o giù di lì. Se non da ‘ricco europeo’ con babbo alle spalle o, nella migliore delle ipotesi, funzionario di rango o leader di qualche organizzazione umanitaria.
Forse sarebbe il caso di vedere i nostri rampolli con un po’ più di fiducia e stima, magari evitare di condizionarli. Non è possibile che siano meglio di noi, che abbiano occhi più chiari dei nostri? Suvvia, un po’ di fede!
Dicembre 1st, 2009 at 4:59 pm
Caro doc,
la mia adesione alla “proposta” di mym non era certo dovuta all’influsso nefando di Repubblica, che di certo non leggo, anzi neppure ho letto il testo riportato qui nel blog; ho semplicemente visto l’introduzione di mym.
Essendo un libero professionista relativamente giovane, non vorrei mica andare all’estero a fare l’ambasciatore; però sogno un Paese qualunque dove, se mandi in giro il CV, la gente almeno gli dà un’occhiata, anche se non sei parente – amico – amico degli amici – amante di nessun intrallazzatore.
Dicembre 1st, 2009 at 5:20 pm
Caro doc, aspettavo un tuo intervento, visto che sei uno dei pilastri di questo sito, sei padre e sei, pensavo, per vari motivi coinvolto dal tema. Mi permetto dunque quello che credo sia un uso improprio di questa pagina, rivolgendomi a te personalmente. Ma visto che lo faccio in modo pubblico per un discorso allargato, forse il guardiano del sito mi concederà l’eccezione.
Per me la questione è assai semplice, e vorrei tanto sbagliarmi. L’Italia, se non succede qualcosa che non saranno le prossime elezioni, è ormai destinata a diventare un paese “fascista”. Uso intenzionalmente la parola proibita, perché condensa, nella mia sensibilità, quell’insieme di protervia, egoismo, vitellonaggine, cattiveria, meschinità, razzismo, stupidità, mancanza di visione ideale, ottusità… elevata a sistema di potere che il fascismo ha incarnato così egregiamente nel secolo scorso. E allora vorrei che i miei figli e i tuoi e quelli di chiunque non vivessero in un posto così.
Non ho nessuna aspirazione dirigenziale per i miei figli, se mi dicessero che vanno in Congo a guidare un trattore o a Stoccolma a suonare in un gruppo rock la mia preoccupazione sarebbe solo per la loro salute, come ovunque peraltro. E’ l’aria che si respira in Italia che mi preoccupa, per quanto io possa avere fiducia nelle loro capacità critiche. Se il fumo passivo fa male anche a chi non fuma, perchè mai non dovrebbe far male il fascismo passivo?
Tutto qui.
Certo, questo modo di vedere, che è anche uno stato dell’animo, ha a che fare col pensiero che mio padre mi ha consegnato un paese appena liberato dal fascismo e io lo riconsegno a mio figlio in questo stato. E’ più che probabile che i miei figli siano meglio di me, non ci vuole poi molto. E dunque ho fiducia in loro, ma questo non c’entra col nostro discorso. Anzi. Oggi andare all’estero, magari per qualche anno, anche non da rampolli di dirigenti, è un’esperienza che fa respirare aria nuova, fa vedere le cose da altri profili. E magari fa venire in mente soluzioni, per il proprio Paese che non verrebbero in mente se non si uscisse a prendere un po’ d’aria meno viziata.
Dicembre 1st, 2009 at 5:30 pm
“Quell’insieme di protervia, egoismo, vitellonaggine, cattiveria, meschinità, razzismo, stupidità, mancanza di visione ideale, ottusità” che si trova benissimo anche in Umbria, dove da 60 (SESSANTA) anni di seguito senza interruzione governa la c.d. sinistra. Italiana.
Dicembre 1st, 2009 at 9:20 pm
Il che, caro dr, è ,ahimé, irrilevante. Il fascismo di cui parlo non è un partito politico, è un modo di essere (anche se in Italia siamo riusciti nel “miracolo” di incarnare in un partito politico uno stile di vita, ed è per questo che lo chiamiamo così, quello stile). E’ una forma mentis, e come tale si ritrova ovunque. Dunque in questo dx o sin per me pari sono. Anzi, visto che per storia storica e personale la stragrande maggioranza delle persone che ho frequentato in vita mia sono state (e sono) di sin, mentre quelle dichiaratamente di dx le conto sulle dita di una mano, va da sé che, per la legge dei grandi numeri, i peggiori fascisti che ho conosciuto erano di sin. Me compreso, a volte. E sì, perché essendo una forma mentis, una categoria dello spirito, un comportamento di vita, e non una tessera, si è fascisti quando lo si è. Il lato buono della faccenda è che, essendo un modo di essere, si può dismettere, volendo, come ogni altro modo d’essere. Però bisogna saper riconoscerlo. Qui torniamo all’Italia di oggi. Un’occhiata allo specchio è un dovere che abbiamo prima di tutto verso noi stessi, credo. Ama il prossimo tuo come….
Dicembre 1st, 2009 at 10:36 pm
1. “Anzi, visto che (…) va da sé che, per la legge dei grandi numeri, i peggiori fascisti che ho conosciuto erano di sin.”
Quello che adoro di questo “luogo” (situs) è che vi si dicono cose che nessun altro sa dire.
2. “Il lato buono della faccenda è che, essendo un modo di essere, si può dismettere, volendo”.
Hmm, fosse così facile…
Dicembre 1st, 2009 at 10:39 pm
ah, @doc volevo aggiungere: niente di personale!
… nel senso che nel buddismo non c’è “niente” che corrisponda alla categoria ontologica di “persona”
😀
Dicembre 2nd, 2009 at 12:47 am
Ciao Jf e ciao Dr,
…tuttavia siamo su un sito buddista a parlare di persone.
Il tema si è fatto molto ampio e non ho una posizione particolare da sostenere, salvo concordare che sì, viaggiare ed avere esperienze anche all’estero certamente è una grossa opportunità per una crescita personale, a patto che la si sappia cogliere nel modo giusto. E questo può essere utile, come suggerisce Jf, a migliorare anche il proprio paese d’origine.
Poi, a volte, al bar, si può anche dire che sì, piuttosto che gli italiani, meglio andare all’estero…
Ma il tema originale, quello della lettera a Repubblica, è un’altra storia: a me pare un artefatto giornalistico che dà fiato ad un piagnisteo misto di pessimismo, autocommiserazione e rassegnazione, di facile presa emotiva. E’ una scena ad effetto studiata ‘politicamente’ (eh sì, purtroppo siamo a questi livelli…) e politicamente direi quantomeno di ‘cattivo gusto’. Non credo che meriti analizzarla ulteriormente.
Tuttavia mi viene da dire: i nostri figli non meritano certi consigli, soprattutto da padri che hanno fatto brillanti carriere sapendo benissimo come si fa a fare brillanti carriere.
(scusate il ritardo, ma sono rientrato tardi :-[ )
Dicembre 2nd, 2009 at 1:05 am
Mi viene da rilevare che, in realtà, non si parla di fuggire dall’italia bensì dagli italiani. Pertanto, non siamo tanto un paese fascista, quanto un paese popolato da ‘fascisti strutturali’.
Ma sapete quanti italiani ci sono in giro per il mondo? come scansarli? 😀
Dicembre 2nd, 2009 at 2:25 am
Siamo responsabili del degrado della nazione quanto lo potrebbero essere delle aspiranti pulci in confronto a consolidati elefanti.
La sinistra è colpevole ma non così becera e volgare come i cialtroneschi neo-crociati dell’altra sponda.
Repubblica non sarà il quotidiano ideale ma lo preferisco mille volte al Giornale.
Il declino politico-morale dell’Italia è innegabile ma quando vedo i livelli di censura, oppressione, miseria e precarietà dell’esistenza di tre quarti dei paesi del mondo, penso quanto sono fortunato a vivere qui…
Dicembre 2nd, 2009 at 8:50 am
Caro doc,
all’estero è pieno di italiani, però il mondo del lavoro – almeno in parte – funziona in modo alternativo. Perfino nella Cina monopartitica, iper-funzionarizzata e insabbiatrice c’è posto per la meritocrazia, quando la si ritiene utile allo sviluppo del Paese.
Perciò se V. (figlia di mym) avesse bisogno di aiuto per fare le valigie, non ha che da chiamarmi.
Un altro piccolo addentellato a quel “volendo” scritto da JF: se nulla possiede consistenza e tutto è impermanente, perchè l’unica realtà affidabile dovrebbe essere la volontà? Che anzi…
Dicembre 2nd, 2009 at 9:43 am
Caro doc,
l’Italia la fanno gli italiani (come diceva Garibaldi, o era Nino Bixio? o Claudio Bisio?) e il fascismo lo fanno i fascisti. Non ho detto, e non lo penso, che gli italiani siano fascisti in quanto italiani e dunque il problema degli italiani all’estero in questi termini per me non si pone. Ho semmai suggerito che, se il fascismo è una categoria mentale e un modo di essere prima di tutto individuale, gli italiani hanno regalato al mondo e alla storia la capacità di renderlo partito politico, nel senso di aggregazione organizzata per la gestione e l’amministrazione della polis, della res pubblica. E non è poco. Per cui oltre che guardarci allo specchio ogni tanto per dare una controllata a noi stessi come individui, sarebbe il caso di farlo anche come collettività a rischio. La lettera di mr. Celli, quali che siano i motivi per cui l’ha scritta, è per me un’interessante provocazione, nel senso etimologico di “chiamarmi fuori” dal mio habitat mentale e costringermi a guardare in un altro specchio. Ricordate il Sutra del Loto? Ai figli nella casa in fiamme, inconsapevoli, il padre non dice: Voi che siete tanto bravi, state dove siete, gettate acqua sul fuoco e spegnete l’incendio! Li alletta con un dono stupendo perché escano fuori e si salvino. La questione è: la casa (nella fattispecie l’Italia) sta bruciando o è solo un fuoco di paglia, e il fumo una manovra dei disfattisti? Mi sa che presto lo sapremo.
Caro dr, “volendo”, fra due virgole, non stava a dire che per dismettere un modo d’essere basta volerlo né che si fa con la forza di volontà. Stava a dire che per dismettere un modo d’essere bisogna volerlo fare, innanzitutto. Volerlo e farlo son due cose distinte, ma credo sia il volerlo che conduce sulla soglia del farlo.
Dicembre 2nd, 2009 at 10:28 am
(Esco lievemente di topic, ma resta comunque legato alla “possibilità di redenzione” di un singolo o di una nazione)
“Credo sia il volerlo che conduce sulla soglia del farlo”: sulla base di Spinoza, tendo a capovolgere la questione. Si fa – di fatto – qualcosa, per cui lo si percepisce come “voluto” (“Se un sasso lanciato in aria potesse pensare, penserebbe di muoversi di sua spontanea volontà”). A decidere che cosa si fa, a monte, sono una serie di spinte inconsapevoli difficilmente controllabili.
Pessimismo? Attendo smentite con trepidazione. Le attendo dalla vita; a cominciare dalla mia.
Nel frattempo, se c’è bisogno anche di un facchino per le valigie, ecc.
Dicembre 2nd, 2009 at 11:01 am
Caro Jf, non è che io non veda gli aspetti preoccupanti che tu sottolinei: è, innanzi tutto, che spero che tu ti sbagli. E’ che voglio/devo aver fiducia nei più giovani. E’ che penso che un sano spirito critico vada applicato sempre (quindi anche di fronte ai giochini come quelli di Repubblica); mentre il rinunciare allo spirito critico quando a spararle grosse sono quelli che consideriamo ‘amici di parte’ rientra proprio tra quei vizi italiani, modi di essere, che tu stigmatizzi e che stanno alla base del ‘fascismo strutturale’ e dei nostri ragionamenti. Così un po’ come vedere l’erba del vicino sempre più verde.
Non sono d’accordo nello stiracchiare la metafora del sutra del Loto per applicarla a situazioni contingenti. Una metafora vale per il campo di applicazione per cui viene proposta: nella fattispecie qui si tratterebbe di scappare di casa abbandonando nella casa che (forse) brucia, donne e bambini. Oltretutto nutrendo quella che mi pare un’altra bella illusione: che fuori di casa si trovi tout court l’Eldorado, i ‘veicoli’ di ogni foggia e rivestiti di mille pietre preziose. E’ vero, è molto tempoche non viaggio e non ho poi girato il mondo così tanto: ma se andiamo a guardare i paesi ‘esteri’ e la loro storia con spirito critico, così come facciamo per il nostro stivale, non mi pare che ci sia poi così tanto da ridere.
Certamente, chi vuole andare via fa bene a farlo (per ora, almeno, è possibile!); casomai, se e quando ci ripensa, torna indietro.
A questa sera…
Dicembre 2nd, 2009 at 11:01 am
Sarà pure che io arrivo a credere di voler fare questo o quello per una serie incontrollabile di spinte e controspinte che risalgono al big bang (o chi per esso), però se mi fermo nella risalita alla decisione (di tirare il sasso che poi se potesse pensare crederebbe ecc..) conta o non conta la mia voluntas? Ho un margine per cui posso decidere di tirarlo o no? Non sempre, certo, ma almeno in qualche caso. Altrimenti che bruci la casa, metto anch’io la mia fascina, è così bello il fuoco! Lo so, è vexata quaestio, però posso almeno credere di voler credere che posso credere di poter volere. O no?
Dicembre 2nd, 2009 at 11:30 am
E così siamo arrivati a Llosa: ”Posso anche immaginarmi che scrivo che già avevo scritto che mi sarei immaginato che scrivevo che avevo scritto che mi immaginavo che scrivevo che mi vedo scrivere che scrivo” (La zia Julia e lo scribacchino). Comunque oggi su La Repubblica c’è un interessante articolo (on line non lo trovo) di Benedetta Tobagi che è ben rappresentato nel titolo “Ma i padri non devono invitare alla fuga”. Egregiamente argomentato.
Dicembre 2nd, 2009 at 11:32 am
Che ritmo, comincio ad ansimare. La mia precedente era, con evidenza, per dr.
Caro doc, è proprio perché ho fiducia nei giovani che gli consiglio di farsi un giro. A casa si sta bene, fa caldo, si capisce la lingua, in fondo non manca niente e qualche frustrazione si può anche mandar giù. Fuori non c’è il Bengodi e l’erba è verde se la innaffi. Però ogni erba non è un fascio (absit iniuria verbo). Qui dove mi trovo parlo con un giovane italiano che fa studi umanistici, è sostenuto economicamente da questo governo di destra che spende per la ricerca (perfino quella umanistica che non serve a niente!) e finanzia senza guardare la nazionalità (“non ce n’è per i nostri, figurarsi per luri” direbbe un ministro nostrano) e incoraggiato dai professori solo sulla base del suo impegno (che è qualcosa di diverso dal merito). Non è che al di là della siepe c’è l’Eldorado, è che al di qua l’erba è secca. E poi, guarda, andare a vivere lontano dal proprio paese non è come fare un viaggio, per lungo che sia. E’ un gran sacrificio, anche se non sei un sans papier, come dicono qui, un extracomunitario clandestino, come si dice da noi. Non è una bazzecola neanche per chi va per star meglio e non solo per fuggire a un orrore. Però sembra che tiri un’altr’aria, finché dura, mentre da noi a me pare viziata. Ma chissà, forse è solo il mio naso ad esser viziato. Spero, con te, di aver torto. E se ho torto la metafora del Loto me ne scuso: lo sapevo che qualcuno avrebbe eccepito. Però le situazioni sono sempre contingenti. E i giovani non lasciano donne e bambini, a meno che non siano molto precoci.
Dicembre 2nd, 2009 at 1:32 pm
Il commento di Louis (N° 16) era rimasto nei filtri del server ed è giunto ora, peccato perché è controcorrente, almeno rispetto a certe correnti…
Dicembre 2nd, 2009 at 2:40 pm
Concordo con Louis per quanto riguarda la lettura dei quotidiani.
Anche a proposito dei neo-crociati.
Lo stesso sul fatto che nascer qui è una specie di fortuna, ma se ci si paragona al peggio un colpo di machete è una carezza in confronto a uno di bazooka (si scrive così?).
Tante pulci pesano come un elefante.
Dicembre 2nd, 2009 at 2:46 pm
Poi a meno di uscite fantasmagoriche depongo le armi.
L’articolo di Benedetta Tobagi è davvero da leggere (anche per chi ha in uggia La Repubblica). E’ l’altra faccia dell’articolo di Celli. Lei poi il rapporto adulto col padre se lo è dovuta inventare. Mi pare abbia fatto un egregio lavoro.
Ma allora quelli di Repubblica non sono così malfidati se mettono in prima entrambi i lati della medaglia (l’ho detto, però non ricominciamo daccapo, per cortesia).
Dicembre 2nd, 2009 at 4:38 pm
Ho trovato on line l’articolo/lettera della Tobagi, per chi lo vuol leggere risparmiando l’acquisto del giornale, eccolo qui
Dicembre 2nd, 2009 at 7:23 pm
Molto bene. Un punto per Repubblica, per quanto mi riguarda. E si può perdonare la tardività della ‘risposta/punto di vista complementare’: voglio sentirmi magnanimo . (O sarà la magnanimità che si traveste da volontà per farmi fare la solita figura del fesso?!)
Dicembre 2nd, 2009 at 7:34 pm
Complimenti anche alla sintesi di Louis (n. 16), con cui concordo.
Aggiungerei solo una cosina, non certo per critica ma per rinforzo: quel quarto di mondo che non citi è proprio quello dove tutti vorrebbero andare per ‘stare meglio ed avere maggiori opportunità’: ed è anche quello la cui popolazione si crogiola in agi determinati dalle ricchezze sottratte agli altri 3/4 del pianeta con mirabile sprezzo del prossimo e crudeltà passate presenti e, temo, future inaudite. E’ quello che consuma ed inquina non so quante volte più degli altri 3/4 di mondo ed è quindi particolarmente responsabile del disastro ecologico planetario. E’ quello che ha inventato la guerra preventiva; è quello che ha appena votato al referendum per continuatre a produrre e vendere armi e non vuole i minareti; eccetera eccetera
Non è tutto oro quello che luccica.
Dicembre 2nd, 2009 at 8:47 pm
E così – contro tutto il senso del discorso imbastito da JF – si è arrivati alla rassicurante conclusione che chi vuole emigrare per lavoro è un imperialista e un fascista.
Peccato che a lanciare la discussione “pro espatrio” sia stato mym, che in comune con “lui” ha giusto la pelata.
Dicembre 2nd, 2009 at 9:30 pm
Hai ragione doc, e qui si aprirebbe più che un nuovo canale di discussione, una voragine. Non parlavo comunque di equità, ma di fortuna. Tale è purtroppo, in questo mondo, il “normale” diritto di non morire di fame e di stenti o di bombe. Aggiungo che il poter ancora parlare liberamente in un blog, non essere, come avviene nei regimi teocratici, lapidati o decapitati per preferenze sessuali o per aver manifestato idee contrarie al ras di turno ecc. sono valori che la laicità e l’illuminismo hanno portato nella nostra cultura e noi dobbiamo preservare con tutte le nostre forze. Non gettiamo l’acqua sporca insieme al bambino (non dico a te, ma in generale a chi tende a rappresentarsi solo il marcio e gli aspetti meno edificanti della nostra civiltà).
Dicembre 3rd, 2009 at 12:32 am
Ciao anche a Louis.
Io, caro Dr, ero arrivato ad altra conclusione ,che provo a tratteggiarti. (Ho notato una certa propensione ad una visone ‘personale’ del tema, in questo blog: o è solo la mia sensibilità?!)
Ovunque siamo, siamo ‘qui’ ed abbiamo a che fare con i problemi e la gente di ‘qui’: che non è un posto geografico, naturalmente, ma – vergognosamente citando a mente le criptiche parole di Doghen – è nientemeno che il “mondo della trasmissione del dharma”!. Le cose cambiano e così le condizioni esterne a noi. Gli stessi paesi attraversano, tutti, fasi cicliche e non esiste un mondo fisico a nostra personale misura. Se non tutto almeno una parte del nostro disagio profondo, inteso come dukkha, non dipende dalle condizioni ambientali.
Che poi la mia volontà sia causa efficace e sufficiente ad eliminare il ‘velo’che mi tiene ai margini di quel “mondo della trasmissione del dharma” , non saprei; ma non posso fare a meno di volere. Ci sarà pure un motivo…
Dicembre 3rd, 2009 at 8:47 am
Caro doc,
in sé hai ragione, ma se a sentire quel disagio sono anche personaggi come mym e jf, che sicuramente sanno riconoscere i trabocchetti delle “false fughe illusorie”, allora qualche problema ci sarà sul serio.
Quanto ai toni “personali” dei miei post, verissimo. Vorrei guadagnarmi onestamente da vivere con il sudore della fronte… sì, l’ho detto, arrestatemi!!
Dicembre 3rd, 2009 at 10:38 am
Oggi, 3 dicembre, su La Repubblica vi è il terzo articolo della serie, s’intitola “I miei figli all’estero col cuore italiano”, di Veronesi Umberto. Tratta del Villaggio Globale. Fa sbadigliare fin dal titolo…
Dicembre 3rd, 2009 at 11:20 am
Ah beh, allora è da leggere prima della nanna…
Caro dr, capisco cosa vuoi dire: è buona cosa avere dei punti di riferimento che ci aiutino ad orientarci, soprattutto quando trattasi di ‘buoni amici’ al di sopra di ogni sospetto. Ma appoggiarsi ad altri è comunque perdere l’equilibrio. Ed in più si rischia di caricare questi altri di responsabilità che non hanno, quale quella di aver indirizzato una nostra scelta: un domani potremmo dire ‘ecco, è colpa dei suoi consigli se oggi mi trovo in questa situazione!’
Andare, venire, stare: perchè preoccuparsi tanto delle opinioni altrui? perchè dire ad altri cosa è bene fare e cosa no? quali sono le reali motivazioni che ci spingono a fare una scelta o l’altra?
Nessuno ti arresterà nè ti criticherà, se vorrai andare: anzi, se trovi un bel posto magari invitami chè mi farebbe giusto bene muovere un pò il sedere da qui…
Dicembre 3rd, 2009 at 11:55 am
Un bel posto, dici? Te ne invierò uno in visione… con gli auguri di Natale.
😉
Dicembre 3rd, 2009 at 4:02 pm
grazie. ciao
Dicembre 4th, 2009 at 2:53 pm
Mi ero persa questa questione, e forse nessuno leggerà più, chissà, meglio così.
Se torniamo alla “frasetta” e al monito di leggerla buddista, mi viene da pensare che male non sia sostantivo, ma aggettivo e avverbio (non ci sono sostanze in casa di Buddha). Male è la qualifica che può avvighiarsi a ogni cosa, come quel rampicante a quell’albero. E’ l’effetto male di una causa male. Anche amare, non lo sappiamo?, può avere effetto male. Come è possibile? Perché ho amato male. Se amiamo bene c’è l’effetto bene. Si vede dopo, però di solito lo si sapeva anche prima. E questo è doppio male, perché non posso dire che non lo sapevo, eppure l’ho fatto. Questa è la vera megalomania, di pensare che posso mutare in effetto bene la causa male. E quando non lo so, se quel che sto pensando, che sto per dire, che vorrei tanto fare è causa bene o male, ci son apposta i precetti a suggerire. E là dove tutto tace, la coscienza e i precetti, non fare niente è sempre bene fare.
Per il resto ogni torto è irreparabile e c’è solo il momento che viene.
Dicembre 4th, 2009 at 4:17 pm
Bene, allora non facciamo(ci) male. Se non sono cose non si può neanche chiedere che cosa sono. Le modalità non si possono fissare, anche brucia! non ha temperatura, figuriamoci lento e veloce. Però, stabilito che non sono cose, vi è un conoscerle o no?
PS: i commenti non passano mai inosservati. A volte inevasi.
Dicembre 6th, 2009 at 11:30 pm
(copio un post che avevo scritto su un altro blog tempo fa)
Strano ma vero, la cosa [la questione del crocifisso] potrebbe essere considerata in chiave polemica anche da un punto di vista cristiano.
Infatti per almeno 500 anni — quindi ben oltre le necessità di “segretezza” imposte da persecuzioni a ritmo alterno — i cristiani per primi non si sarebbero mai sognati di esibire dappertutto l’immagine del Crocifisso. Il quale, per ammissione dello stesso Gesù e poi di Paolo, aveva un valore scandaloso, quasi orrorifico, una “medicina forte” contro qualsiasi pericolo di idolatria. E invece… si è riusciti a trasformare in un idoletto perfino quello, soprattutto a partire dal XIV secolo a opera dei francescani.
Una storia che, nel suo insieme, ha risvolti davvero paradossali.
Dicembre 7th, 2009 at 10:34 am
“per ammissione dello stesso Gesù”. Fammi capire meglio: il crocifisso esisteva già come simbolo in Palestina/Israele, prima della crocifissione di Cristo?
Dicembre 7th, 2009 at 10:40 am
Caro doc,
esisteva come PATIBOLO ed esclusivamente così. Un patibolo riservato agli schiavi senza dignità e ai peggiori delinquenti — i cittadini romani venivano decapitati, che era considerata una forma di onore, diversamente dalla gigliottina nel ‘700. Per gli ebrei era sinonimo non solo di esecrazione ma di maledizione.
Per questo, adottare la croce come “trono della divinità” era uno scandalo inconcepibile.
Dicembre 7th, 2009 at 6:11 pm
Già, e come uno “scandalo” viene percepito da coloro che, non “resi ciechi” dall’abitudine, lo vedono per la prima volta. Non è infrequente nelle scuole elementari trovarsi a dover “giustificare” la strana presenza di “quell’uomo” messo in croce ai bambini stranieri. Certamente non viene vissuto come un simbolo di pace e di amore. E spiegarne la storia veramente non è semplice…
Ci sarebbero tante altre cose da dire prima…
Dicembre 11th, 2009 at 7:42 pm
Intervengo con un sensibile ritardo perché ho pensato a lungo se, e come, esporre il mio dubbio in relazione a quanto scrive padre Luciano. Leggo nel suo Corollario: ” Chi può comprendere un islamico ignorando il suo tipo di religiosità? Oppure un orientale, o un sudamericano? E chi può comprendere la storia di questa Italia, ignorando la religione cattolica?” Questo mi trova pienamente d’accordo: nell’attuale convivenza di culture diverse è, più che importante, essenziale conoscere la componente religiosa di ognuna di esse. Ma a questo punto mi sconcerta l’affermazione successiva che “il messaggio religioso, quindi universale” sia declassato a “messaggio culturale, quindi locale”. Cosa significa? Come può essere universale un messaggio che si può comprendere, come è stato appena detto, solo in relazione a una determinata cultura e viceversa? Se è un messaggio universale, è ugualmente comprensibile in quasiasi tipo di cultura, per definizione stessa del concetto di “universalità”. Oppure tutte le religioni sono universali, ma qualcuna è più universale delle altre?
Dicembre 11th, 2009 at 9:55 pm
Cara Cristina, il dubbio che proponi è, almeno formalmente, solo in apparenza problematico come a te appare. Infatti Luciano (mi permetto qui di interpretarlo, ma credo di non sbagliare) scrive “come si può comprendere la storia di questa Italia, ignorando la religione cattolica?” e non come si può comprendere la religione cattolica ignorando la cultura italiana (o europea o occidentale). E’ vero che nella prima frase c’è un doppio scarto, perché si parla della religiosità di un islamico (che non è una definizione né etnica né geografica ma religiosa) poi della religiosità di un orientale o di un sudamericano (cioè del sentire religioso in base alla geografia culturale) e poi dell’influsso della religione cattolica (la Chiesa? l’educazione ricevuta? il sentimento diffuso? il fatto che comunque dai e dai qualcosa è permeato del messaggio religioso cattolico?). Però è difficile negare, quale che sia l’accezione in cui quell’affermazione è dichiarata, che la storia italiana non è comprensibile ignorando la religione cattolica (italiana, aggiungerei io). Tutt’altra storia è parlare di radici cristiane dell’Europa, questa sì un’affermazione incomprensibile dal punto di vista religioso. Ammesso e non concesso che la religione abbia e metta radici (il Figliol dell’Uomo non ha dove posare il capo, ma dove piantare i piedi sì?) visto che l’albero si giudica dai frutti e l’Europa è il frutto dell’albero cristiano… auguri. Ma sopratutto, dire che le radici dell’Europa sono cristiane equivale a dire che le radici cristiane sono europee (a ogni albero la sua radice, da una radice un’albero), e dunque l’unica possibilità di essere cristiani è europeizzarsi, almeno nel modo di intendere la religione. Questo è il piccolo grande trucco pseudo-religioso dei nostri tempi, a questa greppia li trovi tutti, cristiani europei, islamici arabi, buddhisti giapponesi e via cantando. L’equazione cristianesimo uguale fede evangelica più logos greco che manda in visibilio papi e teologi è, alla fin fine, una forma di colonialismo culturale che ogni Chiesa declina a modo suo ma che, a me pare, con la religione nulla ha a che fare.
Dicembre 11th, 2009 at 10:09 pm
A Luciano, piuttosto, chiederei altro, ma non so se mi sente, quindi lo chiedo a che ascolta. Scrive: “L’aver declassato la religione a materia facoltativa e confessionale è stato una scelta miope”. Ma in Italia l’insegnamento della religione è sempre stato confessionale, anche quand’era obbligatorio. E definire la religione una materia mi pare discutibile. Penso che si dovrebbe sì insegnare a scuola la religione, altroché, ma so anche che la religione non si insegna. Oggi si pongono problemi che un tempo non sussistevano. Ai miei tempi, nel medioevo di cinquant’anni fa, la religione era una e “insegnare” quella voleva dire insegnare tutta la religione. Non è più così e non lo sarà mai più, per quanto scalcino i nostalgici. Che fare?
Dicembre 12th, 2009 at 7:49 pm
Grazie di mantenere viva l’attenzione sul “politico”.
Ricordare è significare(se ji è JUYUzanmai..), altrimenti poi sono le ricostruzioni pre-potenti che si impongono, altrimenti poi “siamo” costretti a invitare i giovani ad andarsene all’estero.
Aiutiamoci a risignificare,aiutiamoci a ricostruire, aiutiamoci a con-vivere.
Dicembre 12th, 2009 at 8:30 pm
Quando il politico penetra con violenza, con l’inganno nella vita di tutti non è “solo” politico. È anche banditismo, terrorismo. Il vulnus che provoca è nella totalità della vita. Pur con differenze di ambito e di strumenti nessuno dovrebbe chiamarsi fuori. Fare, per esempio, il parroco a Corleone o a Casal di Principe non può non deve prescindere da tutto quello che vi accade di “politico”.
Dicembre 12th, 2009 at 11:43 pm
C’entra eccome, eccome se c’entra. Quelle bombe del 12 dicembre di quaranta anni fa hanno cambiato il corso delle nostre vite, come quando si devia un fiume con la dinamite. Viviamo ancora nel cono d’ombra proiettato da quell’evento, noi che avevamo vent’anni e tutti quelli che son venuti dopo. Il nostro qui e ora non è un attimo senza tempo, avulso dal prima e sconnesso dal poi. A ciascheduno il suo, ma ciascheduno è fatto della materia con cui siamo fatti tutti.
Dicembre 13th, 2009 at 12:57 pm
Dice bene mym: è un pezzetto della nostra storia. Ed è sacrosanto ravvivare la memoria per comprendere il presente e costruire il futuro.
Anche altrove ci sono state stragi o delitti irrisolti (mi sovviene ad es. la saga dei Kennedy), ma qui da noi la storia rimane ‘politico’, tanto che ancora non è definitivamente storia neppure l’epoca del fascismo. Ciò premesso, concordo: il ‘politico’ diventa materia in noi e ci costituisce. Come il pane consumato, come l’aria che abbiamo respirato, le letture e gli amori di cui ci siamo nutriti . Anche l’espressione della nostra ‘religiosità’ ne risulta di conseguenza condizionata.
Non ne consegue però, a mio avviso, che il ‘religioso’ debba o possa diventare ‘politico’. Sennò è un guaio peggiore. Mi auguro che i parroci, così come gli imam o i loro colleghi ministri di altri ‘credo’, colgano la differenza.
Non entro nel merito del bell’articolo di Ferrarella: non sono abbastanza preparato in materia, non è la sede, e poi si aprirebbe un vaso di Pandora. Concedetemi solo una piccola, ironica considerazione: alla fin fine mi risulta che l’unico ‘mandante’ accertato dell’epoca delle stragi, che si è fatto tutta la sua bella galera, sulla sola base delle dichiarazioni di un ‘pentito’, senza riscontri oggettivi, sia stato Adriano Sofri. Ha proprio ragione il Sire Nostro in The Sky a prendersela con la magistratura politicizzata!
Dicembre 13th, 2009 at 3:21 pm
Dice bene doc: il politico diventa materia in noi e ci costituisce. Ma non finisce qui, temo. Non di solo passato vive l’uomo. Il politico è anche ciò che noi (come e cosa pensiamo, diciamo, facciamo) materializziamo nel nostro ambito, quale che sia. Il nostro modo di stare nella polis, nella vita associata. D’istinto tendo a concordare sulla considerazione che non ne consegue “che il religioso possa o debba diventare politico”. Ma poi mi dico: c’è un religioso astratto, che non si incarna nella vita vissuta? E c’è una vita vissuta che non tange il politico? E poi, quale “religioso”? E Gandhi? E Bonhoffer? E don Puglisi e don Diana? In un contesto brahamanico separare religioso e politico non ha senso, così come, mi pare di capire, in un contesto ebraico, islamico e in fondo anche cristiano. L’imperatore Asoka, il principe Shotoku han fatto del buddhismo religione di Stato, uno in India, l’altro in Giappone. Sulla base di quale riscontro possiamo dire che questi eventi politici non hanno influito sulla vicenda, anche spirituale, del buddhismo? Questioni antiche e amare. Forse è lecito dire che si può (deve?) provare a vivere religiosamente anche il politico: cesare e dio stanno su facce opposte dell’unica medaglia, la terza faccia sono io che le tengo insieme.
Dicembre 13th, 2009 at 4:16 pm
Ciao Jf. Era chiaro che scoprivo un fianco, con le mie affermazioni. E giustamente tu ti ci infili. Però credo che converrai con me su un punto: che va preservato uno ‘spazio’ – che possiamo anche non chiamare ‘religioso’, ma come chiamarlo? – dove chi ne ha necessità possa ‘ritrovarsi’. Se lo zen avesse avuto, ai tempi, connotazioni ‘politiche’ nè tu, credo, nè io ci saremmo mai lasciati coinvolgere. E non avremmo avuto questa splendida opportunità. Opportunità che io spero venga preservata per altri.
Inoltre, seppur io nutra poche convinzioni in materia, credo che ciò che chiamiamo ‘politico’ non sia l’unica nè la principale causa della sofferenza: personalmente non metto il ‘sociale-politico’ al primo posto nella genesi di dukkha.
E’ naturale che, percorso un cammino di liberazione, il praticante ritorni poi a considerare il mondo che lo circonda e quindi anche a riconsiderare il ‘politico’ come parte integrante della (propia) esistenza. Ma questa è un’altra storia.
Mi piace pensare che è proprio quella ‘opportunità’- simboleggiata se vogliamo dallo zazen – che faceva dire al Patriarca: non dobbiamo contaminarlo!
Dicembre 13th, 2009 at 4:29 pm
Perdonate ancora una piccola chiosa ‘politica’.
Forse sarà per l’età o per vecchio vizio italico, ma sembriamo troppo spesso più orientati al passato che al futuro.
Va bene la ‘memoria’, ma intanto la storia è andata avanti… Oggi i grandi temi politici sono anche e soprattutto quelli che si dibattono e si combattono per le strade di Copenhagen.
Alla enorme, spietata, tracotante violenza delle multinazionali e dei loro lacchè, si contrappone il sacro e santo furore di giovani che si battono per poter domani ancora respirare l’aria o bere l’acqua che gli lasceremo (se glie ne lasceremo), seppur imputridita dai reflui del nostro folle stile di vita.
Dicembre 13th, 2009 at 4:43 pm
Il politico ha cicli brevi (20-30 anni, max. una generazione). Il religiso ha cicli lunghi (secoli, millenni). Il religioso include il politico, non viceversa. Per questo il politico di turno si allea sempre strumentalmente al religioso. Sia il politico che il religioso sono sovrastrutture che celano e giustificano ideologicamente il potere reale, concreto e materiale. Politico e religioso – in pratica la cultura – sono omnicomprensivi o esiste una natura più profonda dell’uomo che sussiste al di là di essi?
Dicembre 13th, 2009 at 4:54 pm
La domanda è birbante. Se sussistesse farebbe parte anch’essa del calderone, a volte politico a volte religioso, comunque: potere reale e concreto. Se non sussistesse: be’ ragazzi, scendete dal pero, siete come gli altri ecc. ecc. Il problema è antico. Il fatto di dire che “tutto è illusione” non è in contraddizione col fatto che io mi tenga alla larga dalla galera: c’è illusione e illusione. Il punto per il quale sia la vita sottoposto al 41 bis, sia un soggiorno nella suite reale di Maracaibo sono illusioni alla pari…. ecco lì si può cominciare a parlare di natura profonda che sussiste aldilà.
Dicembre 13th, 2009 at 9:31 pm
“… sovrastrutture che celano e giustificano ideologicamente il potere reale, concreto e materiale”.
Un onesto riassunto del marxismo, ma ingannevole. Il potere è TOTALMENTE virtuale. Esempio: se nel momento in cui il padrone X esigesse la cosa Y, NESSUNO gli obbedisse, il suo potere crollerebbe.
Certo, se A disobbedisce, e invece B, C, D ecc. obbediscono e sbattono A in galera, allora la cosa non funziona e il potere sussiste. Quindi è “reale, concreto e materiale” solo perché si troverà sempre qualcuno che, per un qualsiasi motivo, acconsentirà a fare il “lavoro sporco”.
Dicembre 13th, 2009 at 9:42 pm
Postilla. Il marxismo tutto sommato è una forma ottimista di utilitarismo: la gente fa le cose “per soldi” (qui si stanno ovviamente tagliando le cose con l’accetta).
Ma sono arrivato alla conclusione che la gente NON agisce affatto per il proprio utile. Si potrebbero “guadagnare molti più soldi” se si agisse diversamente.
Per tornare al precedente blog sull’emigrazione all’estero: gli italiani credono di essere molto furbi e di procurare l’ “utile” proprio e dei propri amici con l’uso sistematico dell’ammanicamento. Invece l’unica cosa che hanno ottenuto è di trasformare l’Italia in una pozza di m***a.
Dicembre 13th, 2009 at 9:45 pm
Ciao Doc, concordo con quasi tutto ciò che scrivi nel 6. Credo anche che lo spazio di cui parli, che mi ha attirato a suo tempo e sempre mi richiama, debba “inghiottire” tutto il tempo della mia vita e non essere un ritaglio di tempo fra altri tempi. La meta della via mi pare quella. Altrimenti quell’opportunità (rappresentata idealmente e praticamente per me dallo zazen) diventa nicchia di rifugio, e questo può essere un altro modo di contaminare. Quanto al 7, certo, non di solo passato, ma anche di futuro… Però senza la luce sul passato il futuro è più buio. Se i ragazzi di Copenhagen, coi quali probabilmente correrei fossi ragazzo, guardano solo il presente per sperare nel futuro, senza vedere il passato che li conduce lì, che vuol dir anche essere disposti a rinunciare a parte degli enormi benefici che quel passato ha loro regalato, il rischio è che domani buona parte di quei ragazzi si trovino a schierare la polizia contro i loro nipoti, se ci sarà ancora qualcuno in giro.
Una parola al 9, non per sproloquiare su tutto, ma perché il tema è fondamentale. La vita dentro al 41bis e quella nella suite di Maracaibo sono parimenti illusorie ma forse non sono illusioni alla pari. Forse il 41bis è così cogente che può indurre più dell’altra condizione reazioni radicali, conversione o suicidio; mentre la suite coltiva la mollezza. Però dalla suite si può uscire in qualunque momento, dal 41bis è un bel po’ problematico. Infatti, nel mito fondativo, Sakyamuni è uscito da una suite, non da Bad’e Carros.
Dicembre 13th, 2009 at 9:50 pm
Sono illusioni alla pari… in quanto illusioni. Che ci sia illusione e illusione è già scritto il rigo prima.
Dicembre 13th, 2009 at 11:02 pm
Grazie Jf, ottime precisazioni. Ciao.
Dicembre 14th, 2009 at 11:02 am
Dalla bellissima Divina Commedia a fumetti di Go Nagai (il creatore di Goldrake), un dialogo che avviene nel cerchio infernale degli avari, parole non presenti nel testo originale del poema:
DANTE – Dimmi, maestro: per quale ragione la brama umana è senza limiti? Perché ci si riduce a esseri così meschini?… Oppure quella è la vera essenza dell’uomo?
VIRGILIO – Io non ti posso rispondere. Non sono un santo. E forse ciascun uomo deve sforzarsi di trovare dentro di sé la risposta a quella domanda.
Dicembre 14th, 2009 at 2:02 pm
Chiarimento per dr n.10: sono d’accordo con l’osservazione. I tre attributi con cui ho connotato il potere si includono l’uno nell’altro. Reale è il contenitore più ampio che implica anche gli aspetti psicologici, motivazionali ecc. Marxianamente invece avrei dovuto parlare di “rapporti materiali di produzione”, ma non credo che si esaurisca tutto lì.
Dicembre 14th, 2009 at 4:50 pm
@louis
Spero comunque che i lettori apprezzeranno il nostro sforzo di dare i Massimi Sistemi in pillole 🙂
Shakyamuni ci è riuscito bene con la seconda Nobile Verità.
Dicembre 14th, 2009 at 7:11 pm
Caro jf, forse non mi sono spiegata bene: convengo pienamente sul fatto che la storia d’Italia, ma non solo la storia: anche la letteratura, l’arte, le tradizioni popolari e la concezione stessa dei rapporti sociali, non è coprennsibile a prescindere dalla religione cattolica, e convengo altrettanto pienamente sul fatto che qualsiasi altra storia, di qualsiasi altro paese, non sia comprensibile ignorandone la, o le religioni. Precisamente questo è, secondo me, il punto: la religione si dimostra, proprio perciò, un importantissimo fattore “culturale”. E con altrettanta chiarezza si dimostra “non universale”: a ogni cultura la sua religione, a ogni religione la sua cultura. Suggerisco di abbandonare la metafora dell’albero: certo un albero ha un’unica radice e da’ frutti tutti uguali. Pensando all’Europa, non mi pare proprio che – cito a caso – Greci, Lapponi, Svedesi, Islandesi, Portoghesi siano frutti tutti uguali dello stesso albero dall’unica radice. Semplificazioni di questo tipo sono eccessivamente riduttive, il linguaggio figurato ha un suo fascino evocativo ma a a volte è opportuno non lasciarsene suggestionare. Dire che le radici dell’Europa sono cristiane equivale a fare un’affermazione senza senso. Meglio tacere, lasciar parlare il silenzio. E non perché io abbia paura a parlare.
Dicembre 14th, 2009 at 7:49 pm
Cara Cristina, pienamente d’accordo ad abbandonare la metafora dell’albero: le metafore sono come le zattere, servono fin quando servono, poi sono d’ingombro. Credo che nel nostro discorso si mischino almeno due piani. La religione è certo un fattore culturale, ma la formula “cuius regio, eius religio” (a ogni regione la sua religione) non dice tutto. Un cristiano lappone (ce ne sarà uno), un cristiano vaticano, un cristiano del Bangla Desh, hanno un quid religioso in comune? E se ce l’hanno, è quella l’universalità del cristianesimo? O è nel fatto che un lappone, un vaticano e un Bangla Desho possono riconoscersi cristiani? Io da un po’ di tempo a questa parte penso che l’universalità, intesa come fattore che tutti accomuna consista nell’unicità di ciascuno, non in qualche forma di generica eguaglianza. Ognuno di noi è unico, siamo nati tutti, ma ciascuno è nato lui , lei, non altro; moriamo tutti, ma solo io muoio come me. In questo siamo accomunati e uguali, nell’essere ognuno unico, e qui ci possiamo ritrovare. Francamente non so se c’entra molto con il discorso che stavamo facendo, ma mi viene di “risponderti” così.
Dicembre 14th, 2009 at 8:53 pm
Prima e oltre Shakyamuni e Marx siamo interpellati dall’E-mergenza , e anche oggi da lì partiamo e lì dobbiamo con-venire.
L’esperienza luogo della relazione inesauribile tra verità e illusione, politica e religione, luogo della sofferenza e della (possibile?) libertà..
o quantomeno non ne vedo un’altro.
Dicembre 14th, 2009 at 9:31 pm
Sono d’accordo quasi su tutto, tranne su “and zen”.
Dicembre 15th, 2009 at 12:16 pm
Credo di capire. E se ho capito quel “siamo interpellati” è la nostra vita ora, qui. L’esserci, insomma. Per cui l’esperienza.
Dicembre 15th, 2009 at 12:25 pm
Be’, per non essere seriosi ad ogni costo una parte all’intrattenimento leggero ogni tanto ci può pure stare, no?
Dicembre 15th, 2009 at 1:20 pm
ohssì… è il resto che non ci può stare
😀
Dicembre 15th, 2009 at 1:29 pm
Allora dovrò togliere il riferimento al sesso …
Dicembre 15th, 2009 at 1:51 pm
ci arrivo sempre in ritardo, sgrunt…
🙁
Dicembre 15th, 2009 at 7:54 pm
Nemmeno io so bene se c’entri, che ridere! ed è forse per questo che ora mi sento sulla stessa lunghezza d’onda. In effetti le definizioni perdono consistenza di fronte al fatto che “ognuno è nato lui/lei; solo io muoio come me.” Questo, si, è “universale”… Ciao.
Dicembre 15th, 2009 at 11:28 pm
Esco dalle mie nebbie lisergiche(preso come sono dalla farsa dell’esame per abilitazione)e scrivo senza disposizione mentale(insomma non letto un bel niente).L’ostensione della vagina, come immagine corrente, ne rivela il segreto e la sputtana.Le prestazioni ginniche degli amanti hanno lo scopo di abolire la madre e codificare il figlio come un incidente erotico che non meritava attenzione.La pornografia è lo sbarazzarsi infastidito di ciò che copre ancora le pudende e gli atti inerenti come un paio di vecchie brache.Si apre la via per una nuova castità che non costerà rinuncia e martirio ma sarà spontanea come il profumo di un fiore o l’aria che si respira.Lo sfrontato principio di vita non troverà più la bruciante materia prima.
PS.Ho il karma della tartaruga, sosto ancora nella tana del buddha..
Dicembre 16th, 2009 at 11:06 am
@JF
Parigi val bene un sesshin.
Dicembre 16th, 2009 at 3:27 pm
a dr
Semmai, un sesshin val bene Parigi.
Ma poi, un sesshin non è una messa, io non sono Enrico IV né un convertito per l’occasione che occasione non è. Au contraire, si tratterebbe di convertire Parigi….
Dicembre 16th, 2009 at 7:33 pm
>Au contraire, si tratterebbe di convertire Parigi….
è vero, la nouvelle cuisine grida vendetta davanti a Dio
Dicembre 16th, 2009 at 7:50 pm
Ma non riuscite a star seri un momento? Mannaggia, qua si tratta di RE LI GIO NE!
Dicembre 16th, 2009 at 9:24 pm
– Appunto.I sistemi religiosi costituiscono una sorta di metafisica popolare destinata a comunicare Dio al popolo(un pubblico vastissimo).Se la natura popolare di tutte le religioni è un limite insuperabile e Dio per i pastosi sentimenti della gente non significa nulla(o al massimo ‘parigismo’),come si fa a comunicare la verità senza l’abuso religioso?Adieu mon ami(si fa per dire).PS.Sono sconvolto dal grande insuccesso..
Dicembre 17th, 2009 at 11:18 am
Non penso vi sia una verità da comunicare. Al più, per chi ama quel tipo di cose, potrebbe esservi una verità da cercare. Mi spiace per il grande insuccesso. Dalle “mie” parti si dice “a golpes se echen los hombres”, quindi, in quel senso puoi considerarti fortunato, almeno come hombre.
Dicembre 17th, 2009 at 3:00 pm
Anche a me spiace per il grande insuccesso, di qualsiasi cosa si tratti. Spesso però un grande successo è ben peggio.
Comunque, che c’entrano Dio, il popolo e la verità con la RE LI GIO NE? E poi (10), io sono SERISSIMO…
Dicembre 17th, 2009 at 3:54 pm
anch’io!
Dicembre 18th, 2009 at 12:52 am
Rifletto sul grande insuccesso.E’ così:forze soprannaturali mi sono contro.Se i divulgatori di religioni non possono che esprimere la verità sensu allegorico per il tramite del veicolo mitico spetta alla filosofia comunicarla sensu proprio per via immediata. Secondo il concetto la verità è unica ed eterna.Quando conoscere la verità diventa un pericolo mortale il meno che si possa fare è comunicarla agli altri.Se lo stato di diritto ci difende dallo stato di natura chi ci difende dalla società?La metafisica non è altro che la politica di una mente più accorta.
PS.Agli spiritualisti dico:se non volete leggere le tracce di diritto penale sessione 2009 di ieri(16.12.09)guardate blob di oggi (17.12.09).Giusto per comunicare la CO MU NI CA ZIO NE.
PS.Dalle “mie” parti si dice “My love is a revolver!Do you wanna die happy?”.
Dicembre 18th, 2009 at 11:30 pm
Siccome vengo da una infernale maratona di tre giorni questa argomentazione non vuole essere un pezzo di bravura.Premesso che senza una seria riflessione sulla musica rock non si può parlare di etica, secondo la cosmologia buddhista il mondo NON è la mia rappresentazione. Da amateur dissento in toto sulla ‘Proposta europea’.Le spiegazioni mistiche sono superficiali e rivendico il primato della teologia. Tuttavia resto un antiagostiniano: la verità sopravviene all’individuo come un incidente, dal di fuori per cui è l’idea del visibile che alletta, non ciò che si vede.L’appello terapeutico è mendace.Gli occidentali non hanno mai sentito parlare di una salute che passa attraverso la rinuncia ad essa.L’esistenza del medico attesta che c’è qualcosa per cui la società gli sfugge, e soprattutto sfugge al suo naturale rappresentante, il politico.La politica introietta la malattia, e quindi il medico, nell’ordine di sua pertinenza.La salute diventa un fatto politico e il medico politico a sua volta.Oggi se la ‘società’ ti cura stai fresco.(N in illo tempore come se l’avesse previsto indico un’altra via:naufragare nella malattia).
P.S. Capite?Io posso conoscere tutto,ma proprio non voglio. Al silenzio preferisco i LIT FI BA – Apapaia – (pleasure listening).Della serie ‘critica’ ai nervi di mym..
NB.Je ne recherches pas le temps..
Dicembre 18th, 2009 at 11:58 pm
Insomma dire che la salute è verità è roba da medici.
Hasta siempre.
Dicembre 20th, 2009 at 1:00 am
@ homosex
Leggere i tuoi commenti è fantastico.Mi sento leggera e sicura nella fortezza delle tue parole anche se non le capisco.Visto come scrivi sono fiduciosa sull’esito fausto del tuo esame.Ciao.
Dicembre 20th, 2009 at 11:52 am
Caro Doc, leggo in ritardo e in ritardo intervengo, così, tanto per scaldarmi un po’ in questa gelida domenica mattina parigina. Mi riferisco al 4. Capisco che la parola “dialogo” ti sia in uggia, spropositamente usata com’è, ma non c’è granché altro fra umani. Ma non di questo volevo dirti. E’ la questione di saper dire “Venezia non mi piace” che non mi convince. Venezia, cioè il luogo dell’altro, è per lui il suo tutto (parliamo di religione, no?) come per te è Torino, per restare alla metafora campanilista. Mentre per te, di e da Torino, Venezia è luogo di visita, di pensoso turismo, al meglio. Non ha senso che tu gli dica che non ti piace, come prerequisito minimo del”incontro. La piaggeria non c’entra. Tu di quello che è per lui “Venezia” non sai niente, o meglio, sai solo che è per lui quel che per te è “Torino”. E’ proprio la tua idea di Venezia, il sentimento che ti piaccia o no, che devi scordare, per ascoltare come te la racconta lui, che è la sua casa, la sua vita. Sempreché tu lo voglia o lo debba incontrare. Altrimenti è meglio guardare le foto da soli.
Dicembre 20th, 2009 at 1:54 pm
Ciao Jf, sono orso , è vero, ma non poi così tanto. Mi piace ‘smascherare’ quel po’ di ipocrisia che traspare a volte da certo politically correct.
Nella fattispecie l’accento era sul ‘saper dire’: il fatto che Venezia mi piaccia o no lo consideravo irrilevante (per altro Venezia è, a mio avviso, uno splendido luogo dell’anima). Se, per accattivarmi la simpatia o l’attenzione dell’interlocutore, o semplicemente per non dispiacerlo, dico che amo Venezia anche se non è vero, apparentemente il dialogo è favorito. In realtà tutto quanto ne segue è basato su una menzogna o quantomeno un misunderstanding di fondo, che vizia ascolto e comprensione reciproche. Poi, ci sono modi e modi…
Sono del parere che (di solito) sia meglio una verità, anche se poco gradevole all’orecchio, che non una armonica bugia. La sincerità è quindi il prerequisito minimo che mi preme. E non interdisce l’ascolto, quando il mio ruolo nel dialogo è di ascoltare.
Anche se noi torinesi siamo famosi per essere falsi e cortesi!..
Dicembre 20th, 2009 at 2:41 pm
Sono d’accordo, se con “mente” si intende una cosa del tipo: “la sintesi neuronale della sequenza delle nostre azioni, e dei nostri progetti (per l’immediato, non i sogni)”.
Dicembre 20th, 2009 at 4:42 pm
Capisco, se il pelo nell’uovo fosse un capello di vipera, be’, allora, si potrebbe eccepire…
Dicembre 20th, 2009 at 5:30 pm
Oooooh! Sono proprio contento. Finalmente qualcuno che non solo apprezza ma (addirittura!) si trova leggera e sicura nella prosa di Homosex. Mi ero scervellato, avevo chiesto aiuto ai pezzi da novanta per scrivergli due righe a tono. Ma nessuno era in grado neppure di rilevarlo, il tono. Ed ora Isabela. Grazie. E un “in bocca al lupo” a H. Che il grande insuccesso fosse “solo” percepito?
Dicembre 20th, 2009 at 7:49 pm
Gna gna, sempre spiritoso. Volevo evitare un concetto di “mente” molto niùeig come se fosse chissà che cosa. Meglio una visione minimalista, ma pratica, che produce appunto quegli effetti auspicati dal Dhammapada citato.
Dicembre 20th, 2009 at 8:32 pm
Pardòn, pensavo volessi definire “mente”, che è una cosa un po’ sull’eretico spinto… Sono l’ayatollah del sito per cui me ne corre.
Dicembre 20th, 2009 at 10:31 pm
Se sapevo che era una cosa eretica spinta, lo avrei fatto volentieri. La prox volta avverti prima!
😛
Dicembre 21st, 2009 at 8:58 am
Leggero leggero forse no, ma apprezzo anch’io.
😉
Dicembre 21st, 2009 at 3:55 pm
Caro doc, mi spiego meglio. La sincerità (l’onestà intellettuale) è senz’altro un requisito necessario anche se non sufficiente. Ma quello che volevo dire è che se di dialogo religioso si tratta, la “città” dell’altro va in linea di principio accettata in toto: è una questione di sincerità anche questa. Fuor di metafora, se A è il testimone buddista e B è il testimone cristiano, A deve accettare di farsi raccontare il cristianesimo da B, e non partire dal presupposto che il ii cristianesimo “non gli piace” perché la sua frequentazione, i suoi studi, la sua esperienza glielo hanno reso spiacevole. Poi semmai, gli potrò fare degli appunti: Venezia è umida, ci sono un sacco di topi, troppi turisti e troppo da camminare… oppure fargli notare che fra il suo racconto e quello che tu vedi ed esperimenti ci sono discrepanze. Ma se parti a dire che non ti piace, che ci si incontra a fare? Credo che la cosa che più conta in questa faccenda del dialogo sia l’intenzione: a che pro’ dialogare? Forse è su questo che ci si dovrebbe mettere d’accordo come prima cosa.
Dicembre 21st, 2009 at 4:11 pm
Io non so se apprezzo, perché troppo mi sfugge, ma due notazioni le faccio.
Prima, le spiegazioni mistiche non possono essere superficiali (né profonde) perché non sono spiegazioni, nel senso che non sono esaurienti: c’è sempre un resto. Il passaggio mistico (la porta stretta?) è lì, in quel resto.
Seconda, non è vero che gli occidentali non hanno mai sentito parlare di una salute che passa attraverso la rinuncia ad essa: vedi Paolo di Tarso e/o Francesco di Assisi, per fare solo due casi lontani nel tempo e nel linguaggio.
Con l’aggiunta che se al posto del silenzio ci fossero davvero sempre i Liftiba, forse anche homosex preferirebbe il silenzio.
Dicembre 21st, 2009 at 9:40 pm
In effetti hai ragione Jf, la frase ‘venezia non mi piace’ è un paradigma sbagliato ( a chi mai può importare se mi piace o no?), e devo ammettere che l’ho tirata in ballo proprio io al n° 4. Impropriamente, l’ho già detto qui sopra. Chiedo venia.
Mentre il tema era più o meno ‘il mio modo di vivere è diverso dal tuo’, oppure ‘la mia religione è diversa dalla tua’. Quello che mi premeva dire è che, in ogni caso, c’è il rischio che il non saper dire, nel senso di non osare dire, vizi la reciproca comprensione. Molto spesso la parola ‘dialogo’ viene usata come se implicitamente contenesse in sè l’obiettivo di trovare una quadra, una formula che faccia sembrare tutti d’accordo, tutti contenti; ad esempio, concludere che tutte le religioni sono uguali ecc ecc Anche per questo, nasconde molte insidie. Perciò ‘confronto’ mi pare un termine più sincero e meno ambiguo.
PS- Mentre cenavo, lasciata questa mia in sospeso, ho sentito Bersani dire la stessa cosa (la parola dialogo è ‘malata’ ecc ecc). Mentre altri personaggi politici intervistati, di quelli cui non affiderei le chiavi di casa neanche per un secondo, continuavano ad usare enfaticamente il termine ‘dialogo’. Che Bersani segua questo blog?! Che ne abbia anche lui le scatoline piene di demagogia e di politicamente corretto?!
Dicembre 22nd, 2009 at 9:48 am
Magari, caro doc, ne avesse Bersani le scatole piene di quella roba. Sono del tutto d’accordo, la parola dialogo è malata, ma lo è perché sono “malati” (leggi in malafede) i dialoganti, e lo sarebbero anche si usasse la parola “confronto”, che in italiano significa anche “paragone”, motivo per cui non mi pare adatta per il ….(non so più come chiamarlo) religioso: “non facciamo paragoni” si diceva una volta. Io ogni tanto la metto così: il dialogo è un’impossibilità logica (non si può che constatare irriducibili differenze, a cominciare dai linguaggi) e una necessità esistenziale (vivere implica dialogare, prima di tutto con se stessi). Comunque auguri a Bersani. E un consiglio da amico: non guardare la tele o ascoltare la radio, quando ceni, soprattutto le news: ti fa andare i bocconi di traverso. O forse mi sbaglio, e Bersani era a cena da te.
Dicembre 22nd, 2009 at 11:19 am
Ciccìcoccò, coccòciccì. Buon Natale
Dicembre 22nd, 2009 at 11:40 am
Dialogando dialogando…siamo alla frutta
Buon Natale a Voi tutti.
Dicembre 22nd, 2009 at 1:11 pm
Milano in questo momento non mi piace… ma ci andrei (in treno, per le vacanze in Piemonte). Se lo Yeti non ci rapisce e il Dalai Lama non viene a salvarci.
– – – – –
AUGURI A TUTTI !!!
Dicembre 22nd, 2009 at 4:48 pm
Meno male che Natale c’è.
AUGURI!
Dicembre 26th, 2009 at 7:51 pm
…e poi non ci sono più nemmeno io.
Buon Natale a tutti da questo niente!
Dicembre 27th, 2009 at 5:44 pm
Mai ricevuto auguri dal niente. Questa mi mancava, grazie 🙂
Dicembre 31st, 2009 at 1:28 pm
fiiiiùùùùùùùùùùùùùù che roba! Anzitutto, grazie della fiducia, per avermi immeritatamente inserito tra gli eletti… beh, arrivo subito al sodo: sono d’accordo. ok ok, anche nella chiesa cattolica ogni tanto salta su uno a dire “torniamo all’essenziale, liberiamoci dagli orpelli” ma poi in realtà non lo fa nessuno. invece, conoscendo i tipi, so che VOI state dicendo sul serio. anzi, QUESTA è la differenza QUALITATIVA che il “buddismo zen di scuola Soto del sito La stella del mattino” ha nei confronti di qualunque religione, filosofia, setta, movimento ecc. ecc.
“Più forte, ragazzi!” (Bud Spencer)
😉
Dicembre 31st, 2009 at 1:30 pm
Grazie, dhr, iniziare con un’approvazione proprio non me l’aspettavo… Buon anno
Dicembre 31st, 2009 at 1:33 pm
caro Yushin, hai ragione quando dici che trasferire l’esperienza giapponese in materia di formazione e approfondimento è sbagliato. Non ti seguo quando dici che i centri non hanno ragione di esistere. Mettiti nei panni di qualcuno che senta il desiderio di capire cosa ha da offrire lo Zen. Si compra un libro — magari uno dei tuoi — e si dice: mmmm, interessante, voglio saperne di più. Cosa fa?
Adesso fa un google e scopre che in Lombardia c’è un centro Zen, dove i responsabili hanno una traiettoria personale non da buttare, e che ha uno spazio dove ogni settimana a tale e tal ora ci si siede in zazen. Prende su e ci va. Gli fa male il culo ma ritorna. Fa un passo in più nella conoscenza dello zen e poi può decidere di lasciarlo oppure di farne un altro.
Se tu abolisci i centri, come ci si raccapezza chi vuole saperne di più in prima persona su che cosa è lo zen? Come trova il fratello a fianco del quale sedersi? Facebook? Un abbraccio,
CG
Dicembre 31st, 2009 at 1:46 pm
Caro CG, grazie, sei coraggioso: mettere i piedi nel piatto espone a rischi… Il tuo intervento, in una certa ottica, è perfetto. Molto chiaro e diretto. Allora: o sono un pollo e non ho pensato ad una cosa così platealmente chiara, oppure… Se clicchi qui trovi un “centro”. Per cui sarei doppiamente pollo: dico una cosa e ne faccio un’altra. Oppure… A mio modesto avviso, la parte interessante di questo breve scritto sta esattamente nella tua domanda. Per non essere troppo sibillino, una cosa penso sia bene dirla: chi ha parlato di “abolire i centri”? E poi, a proposito di chi legge dello zen in un libro e vuol saperne di più… prima di preoccuparmi voglio vedergli le mani: se non sono scorticate a forza di bussare a destra e sinistra… può continuare a leggere libri.
Dicembre 31st, 2009 at 5:55 pm
Caro Yushin, Tutto questo è molto molto interessante e di attualità, dato che siamo entrati – dopo la fine di Galgagnano – nella via invisibile di Buddha. Abbiamo già parlato di questo con Jiso e sono d’accordo, senza esitazioni, con la tua interpretazione. Ho appena discusso di questo nel mio testo nell’ultimo numero de “La Stella del mattino”: il buddismo come ricerca – attraverso l’appartenenza a un centro – di una nuova identità individuale e sociale. Per me, leggere questo, è una boccata d’aria fresca. Ma come puoi immaginare, per tanti altri – in particolare la “scuola” di Deshimaru – sarà preso come un attacco, un discorso scandaloso di un uomo che vuole dare
lezioni su ciò che non è il buddhismo. Eppure ha il merito di essere detto apertamente. Però nessuno chiuderà “il suo” centro, come tu e Jiso avete giustamente deciso per Galgagnano. Penso che questo messaggio possa
essere d’aiuto per un giovane che stia provando a percorrere la via del buddha, praticando in un centro, a sviluppare la domanda interiore: cosa sto facendo cosi? Fu (è ancora) per me una domanda interiore durante anni con la vicinanza di “insegnanti” che – penso- non avevano più aperto questa domanda da molto tempo. Sì, è un testo molto controverso, perché si vuole rovesciare tutto il movimento della storia del Buddismo Zen in Occidente. Lo Zen è venuto dai missionari giapponesi motivati dalla diffusione del loro insegnamento. Mi riferisco, naturalmente, alle “scuole” che ho frequentato qualche tempo fa, Deshimaru in Francia, Suzuki Roshi a San Francisco e Maezumi Roshi a Los Angeles. Credo che Uchiyama abbia fortemente incoraggiato i suoi successori alla creazione di centri. Dato che questo mondo oggi è così fragile e falso, la tua raccomandazione, relativa a una prassi più solitaria e invisibile, è una discussione sull’onestà e l’integrità della nostra fede in zazen e nella vita, prima di condividere questo in un gruppo. Un funzionamento con incontri
“organici” di fratelli praticanti (è infatti una caratteristica della
tradizione Theravada, credo) mi sembra anche più vicino della via del dharma che una costruzione piramidale di un centro.
Spero di essere un poco utile in questa risposta. Ci vediamo presto spero. Un abbraccio – OP
Dicembre 31st, 2009 at 6:03 pm
Caro Op, grazie per il commento, la tua lunga e varia esperienza su tre continenti fa di te un testimone prezioso. Una precisazione: il testo di cui stiamo parlando, è un documento interno alla Stella del Mattino, se gli appartenenti ad altre “scuole” vogliono discuterlo sono i benvenuti, con il rispetto e la cautela che avremmo noi qualora discutessimo i loro documenti interni.
Dicembre 31st, 2009 at 6:05 pm
Caro Y, permettimi di sprecare qualche parola in difesa delle persone comuni che incorrono nell’errore segnalato in “Pantomima”, errore dovuto sì ai costruttori di fantasie che si concretizza in centri per insegnare, per far fare –al servizio della propria vanità e della propria borsa -, ma non solo, credo. L’errore fa parte della nostra struttura mentale costruita negli anni: gli autodidatti sono una specie generalmente irrisa da chi si è formato lungo i percorsi accademici e sotto la guida dei più quotati maestri, e questo vale in tutti i campi della conoscenza umana, dall’arte del cuoco a quella del pensatore. Difficile per la persona comune cogliere subito dal primo approccio la differenza sostanziale tra queste conoscenze e la pratica del Buddismo. Inoltre, in ogni attività che si esercita è prassi ed anche esigenza materiale farlo nel luogo adatto: non è pensabile studiare o scrivere di filosofia, per esempio, nel ripostiglio o nel gabinetto di casa! D’altra parte, il cercare tenacemente il confronto con chi ha esperienza richiede un luogo fisico dove poterlo fare! Io parlo da non iniziata, però penso che il discorso possa essere esteso a molte persone che non hanno raggiunto una consapevolezza pari alla tua e degli altri che come te hanno impegnato in questo per intero la loro persona. Ti scrivo tutto questo come augurio per il nuovo anno: augurio per te e per tutti noi.
Dicembre 31st, 2009 at 6:08 pm
Grazie Cristina. Sono sostanzialmente d’accordo con quanto scrivi, mi pare però che tu colga un problema. Se c’è, vuoi mostrarmelo, per favore?
Dicembre 31st, 2009 at 6:32 pm
Ciao! Non so se vada “cercato tenacemente il confronto con chi ha esperienza”, probabilmente si, e certamente ci sono delle persone che vanno cercando questo rapporto. Quelle che vengono qui, immagino, abbiano anche questa motivazione. Alla fine, dal mio punto di vista – che è il punto di vista non di chi cerca un rapporto ma di chi si offre ad un rapporto – la questione di fondo è: con quale intenzione ti offri alle persone? Perché è evidente che mi offro ad una relazione innanzitutto e, in quella relazione, porto quello che posso portare e ciò che sono e ciò che mi muove. Le persone si usano a vicenda, comunemente, ma non è detto che debba essere per forza così. Perchè mi offro? Perché è nelle cose che mi offra, sarebbe innaturale non farlo. E’ manifestazione di un protagonismo? E’ un esibire? Queste sono domande pertinenti e dalle quali ho dovuto partire, da tempo. Che cosa mi rispondo? Che un tempo c’è stata una traccia evidente di egoità e, misurandomi con essa, ho potuto lavorarla e trasformarla. Misurandomi con essa. E’ scomparsa? Non saprei, di certo non è condizionante. Se sono andato oltre me stesso, in una qualche misura, è perché ho accettato la sfida che da me stesso veniva. Oggi non ho alcun particolare interesse per me ed offro ciò che sorge dalla mia esperienza di vita: potrei tacerlo o posso offrirlo, qual è la differenza se questo non mi riguarda,
cioè se non sollecita nulla sul fronte della mia identità? Sono in gioco io? Mi “riguarda” quel che propongo, mi torna come “guadagno”? Nel tempo il mio sguardo su me e sulla realtà è diventato più vasto e con esso è anche sorto quel gesto naturale del mettere a disposizione. Sarei uno stupido e brucerei questi anni se non avessi uno sguardo lucido sull’intenzione che mi muove. Dal mio punto di vista si possono aprire centri come si possono chiudere, si può tacere o si può parlare, si può ricavarne un reddito oppure no, tutto dipende dall’intenzione che ci muove. Ciao!
Dicembre 31st, 2009 at 6:35 pm
Grazie RO. Il problema dell’intenzione è certamente centrale in tutta “questa storia”.
Dicembre 31st, 2009 at 7:19 pm
Il problema è per me quello segnalato sopra da CG: “Se tu abolisci i centri, come ci si raccapezza chi vuole saperne di più in prima persona su che cosa è lo zen? Come trova il fratello a fianco del quale sedersi?” Ce n’è un altro ad esso legato: quello della consapevolezza: ma questa non è un’intuizione immediata, bisogna impararla…
Dicembre 31st, 2009 at 7:31 pm
Forse devo ripetere: chi ha parlato di abolire i centri? Per quanto riguarda la consapevolezza, tempo al tempo, polvere alla polvere…
Dicembre 31st, 2009 at 8:08 pm
Mmmmm…. questo non l’ho capito!
Gennaio 1st, 2010 at 2:18 pm
…. Ricorderete la storia del diavolo e un suo amico che, camminando, vedono un uomo chinarsi, raccogliere qualcosa da terra e metterselo in tasca. L’amico chiese al diavolo: “Che cosa ha raccolto?”. “Un pezzo di Verità”, rispose il diavolo. “Un brutto affare per te”, disse l’amico. “Per niente!”, rispose il diavolo.
“Aspetterò che la organizzi!”….
Forse qualcuno ricorda questo passo tratto dal ‘discorso dello Scioglimento dell’Ordine della Stella’ (ma guarda un po’ a volte le analogie…)di Krishnamurti: 2 agosto 1929.
Può essere interessante andare a rileggersi tutto il discorso.
Gennaio 1st, 2010 at 2:20 pm
Lo si trova ad es qui: http://www.riflessioni.it/testi/verita.htm
Gennaio 1st, 2010 at 4:02 pm
Perdonate, devono essere ancora i postumi della sbronza di stanotte: ma in questo giorno, che inaugura il nuovo calendario, sono in vena di Amarcord.
Spero di non tediarvi dunque con un’altra citazione, forse non così autorevole ma a mio avviso ben centrata sul tema posto da mym e Cristina (12 e 13).
A seguire…
Gennaio 1st, 2010 at 4:03 pm
…. “Molto contiene la dottrina del Buddha cui la rivelazione è stata largita: a molti insegna a vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo tra centinaia di migliaia. Questo è ciò di cui mi sono accorto, mentre ascoltavo la dottrina. Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un’altra e migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n’è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri e raggiungere da solo la mia meta o morire. Ma spesso ripenserò a questo giorno, o Sublime, e a questa ora, in cui i miei occhi videro un Santo”…. Omissis …. “ Se io diventassi ora uno dei tuoi discepoli, o Venerabile, mi avverrebbe – temo – che solo in apparenza, solo illusoriamente il mio Io giungerebbe alla quiete e si estinguerebbe, ma in realtà, esso continuerebbe a vivere e a ingigantirsi, poiché lo materiereri della dottrina, della mia devozione e del mio amore per te, della comunità con i monaci!” …
Dal dialogo tra Siddharta e Gotama.
Hermann Hesse – Siddharta – 1922. pagg. 56-57
Gennaio 1st, 2010 at 4:30 pm
L’intreccio s’infittisce… 🙂
Gennaio 1st, 2010 at 5:42 pm
Essere o appartenere.
Lo zen senza la pratica cos’è?
E senza insegnanti?
E quali insegnanti?
Girare con un sudoku al collo?
Essere riconosciuto all’interno di un gruppo?
OK si capisce cosa non è.
Parlarne non é facile.
Vivere “francamente” senza nascondersi dietro a niente non é uno scherzo.
Ogniuno se la veda da solo.
speriamo di rivederci da qualche parte.
Gennaio 1st, 2010 at 5:47 pm
Non poniamo limiti alla provvidenza… 🙂
Gennaio 1st, 2010 at 10:32 pm
Condivido.
Penso che le ultime parole della frase conclusiva siano “fondamentali”:al riconoscimento del limite deve accompagnarsi la consapevolezza(e responsabilità)della doverosa testimonianza di chi “ha già esperienza”.
Gennaio 2nd, 2010 at 12:05 am
@ Roccia
‘Ogniuno se la veda da solo’, mi pare l’estremo opposto della ‘pantomima’.
Non due! non è ‘da solo’, ne convieni?
Se qualcuno sa testimoniare questo, …beh, la faccenda si fa interessante.
Gennaio 2nd, 2010 at 11:24 am
@21, 22 Concordo, concordo. Chi cerca tenacemente e chi ha esperienza non sono né due né uno. Ma più uno che due, nel senso che ciascuno è anche l’altro, per questo il senso non è “da solo” in senso escludente o autarchico. Ma da solo in quanto nessuno può fare al mio posto, né in un ruolo né nell’altro.
Gennaio 2nd, 2010 at 5:07 pm
OK, alla fine si arriva che ci si stanca “a raccontarsela”: c’è sempre un topolino che rosicchia tutto quello che trova e la sotto c’è una bella tigre che si lecca i baffi. La soluzione? Penso che nessuno possa rispondere.
anche negli zendo girano di quei topoloni…
Gennaio 2nd, 2010 at 5:21 pm
Ne tigri né topi, temo. Chi non sa che fumare fa male, accorcia la vita ecc.? Bastasse saperlo per chiuderla lì anche il Cristo sarebbe stato a girare i pollici con Maddalena. Ci facciamo pena, poveri noi, ecchesarammai ed ecco che d’un tratto siamo vecchi e coglioni, troppo tardi anche solo per pentirsi
Gennaio 2nd, 2010 at 5:35 pm
Topolone pentito! 🙂
Gennaio 3rd, 2010 at 10:13 am
A ogniuno il suo.
me la vedo la Maddy che impreca verso il Redentore: “te e i tuoi apostoli ve la menate e poi alla fine tocca sempre a me di ramazzare”.
Anche la vita di coppia è una bella palestra.
Gennaio 3rd, 2010 at 11:04 am
Vita di coppia est via di santità! Garantito al limone.
Gennaio 3rd, 2010 at 1:26 pm
Non è per fare il topolino ad oltranza. Ma ho come l’impressione che il discorso si sia un po’ incartato, o quantomeno sbilanciato. Ci sono momenti e casi della vita in cui l’incontro e la frequentazione di un “buon amico” può letteralmente salvarci ed aprirci ad una nuova occasione. Così come c’è il tempo in cui si sente l’urgenza di stare, di praticare con altri compagni di strada: ed il luogo di pratica non è solo un rifugio ove nascondersi.
Questo è ben diverso dalla ‘pantomima’, secondo quanto io ho inteso.
Perciò con l’acqua sporca non butterei anche il buon consiglio di Uchiyama: “Contribuite e mirate a creare un dojo dove i praticanti sinceri possano praticare senza disturbo”.
Poi…si fa quel che si può.
Gennaio 3rd, 2010 at 1:31 pm
Per questo – più che per motivi di dialettica dottrinale – rosicchiavo il ‘da solo’ di H. Hesse e di roccia (17 e 19).
Gennaio 3rd, 2010 at 1:39 pm
Organizzare un luogo in cui praticare al meglio, accogliendo chi vuol fare lo stesso. Il resto è fuffa. A volte si può stabilire che la fuffa serve per un momento, in un’occasione, ma con cautela e smettendo subito. Non si scherza con la vita, né con la propria né -soprattutto- con quella altrui.
Gennaio 3rd, 2010 at 5:27 pm
Per quanto possa apparire strano, organizzare un luogo senza orpelli, solo perché si possa praticare al meglio, è la cosa più difficile del mondo. Non solo occorre esser passati e ripassati per la porta stretta, ma continuare a passarci pur sapendo che non è quello l’obiettivo. Non solo, occorre poi fare per tutti e perciò non avere mio. E poi: occorre saper pensare.
Gennaio 4th, 2010 at 1:04 am
> E poi: occorre saper pensare.
Non ci avevo mai pensato…
Gennaio 4th, 2010 at 1:14 am
Non pare, invece, che “i buddisti” gli abbiano dato molto peso. Chissà perché 🙂
Gennaio 4th, 2010 at 1:53 am
Dio tiene conto non delle cose che si fanno, ma dell’animo con cui si fanno, e il merito e il valore di colui che agisce non consistono nell’agire ma nell’intenzione.(Abelardo, Scito te ipsum) La pantomima natalizia è stata un successone.Ho riso sempre per finta e nessuno se ne è accorto(Il trucco è giocare seriamente con le persone..).Dopo una overdose da buone maniere rompo il protocollo e un bel commentone è il mio biglietto d’auguri.Buena suerte.
Gennaio 4th, 2010 at 2:04 am
Grazie Homosex, te siento mucho
Gennaio 4th, 2010 at 11:58 am
E’ una proposta fattibile smettere di aprire o gestire centri?
Perché non provare invece a rinnovare l’idea di centro. Lo scopo dei “centri” buddisti dovrebbe essere sostenere il risveglio dei praticanti.
Un centro dovrebbe avere le caratteristiche di un laboratorio di apprendimento e, se possibile, di ricerca. Gli insegnanti in quanto tali dovrebbero occuparsi di andragogia e metodologia e fornire gli strumenti necessari, i mezzi abili, a coloro che si avvicinano al buddismo. Chissà che in questo modo…
Gennaio 4th, 2010 at 12:14 pm
Non so se sia “fattibile smettere di aprire o gestire centri”, non ci avevo mai pensato, però mi pare una cosa abbastanza priva di senso. Perché questa domanda (cfr. 3, 4, 12)? Non penso che “lo scopo dei centri buddisti dovrebbe essere sostenere il risveglio dei praticanti”, perché non penso che questo sia possibile: chi e come farebbe una cosa simile? L’idea di laboratorio di apprendimento e di ricerca mi piace. Invece non penso proprio che esistano “insegnanti in quanto tali”, anzi: è proprio questa (auto)convinzione che ha condotto i gruppi zen europei, occidentali, nelle pessime condizioni in cui si trovano.
Gennaio 4th, 2010 at 12:43 pm
Anche se è già passata molta acqua sotto i ponti
“smettere di aprire o gestire centri”
è una frase del documento in questione.
Cancelliamo pure “in quanto tali” ma gli attuali insegnanti dei
centri zen occidentali però ci sono e continuano a svolgere
la loro funzione. Perchè non dare un suggerimento per tentare di rinnovare il loro ruolo?
Gennaio 4th, 2010 at 12:49 pm
Non bariamo: la frase è “smettere di aprire o gestire centri per insegnare, per far fare, occorre interrompere subito questa pantomima al servizio della propria vanità e -spesso- della propria borsa.”, l’estrapolazione rischia di diventare manipolazione. Come si può rinnovare il ruolo di qualchecosa che non esiste? Il fatto che lei dica “ci sono” non mi pare basti a farli esistere. So che ci sono persone che si autodefiniscono (o accettano di essere definite) in quel modo. Ma è una sciocchezza priva di senso. Basta chiedersi: “che cosa insegna, o dovrebbe insegnare, l’insegnante di un centro zen?”.
Gennaio 4th, 2010 at 1:00 pm
Non era mia intenzione manipolare la citazione se così è sembrato
mi spiace e la ringrazio delle risposte.
Gennaio 4th, 2010 at 1:08 pm
Prego, siccome avevo citato 3, 4 e 12 pensavo fosse chiaro che il documento non afferma, semplicemente, che occorra “abolire i centri” o simili. Prima che il “centro” (prima o poi usiamo un altro termine?) della mia città aprisse i battenti, mi sono seduto a casa mia, da solo, per 13 anni. Ora, oltre a sedermi a casa mia, mi siedo anche in un luogo aperto ad altri. Si parla, pochissimo, ci si scambia gli auguri. Per lo più tra persone che non riuscirebbero (per tanti motivi che conosce chi ci ha provato) a sedersi a casa loro, senza essere in contatto con altri che fanno quella strana, folle cosa che consiste nello stare fermi davanti ad un muro.
Gennaio 4th, 2010 at 1:11 pm
Con riferimento a (35) – buon anno, homosex – ‘sta storia dell’intenzione salta sempre fuori, ma non mi convince poi mica tanto. Troppo comoda. L’intenzione conta, sì, ma anche il risultato: provate ad entrare in sala operatoria come pazienti e pensare che ciò che conta è che il chirurgo abbia… buone intenzioni!
Il karma è azione: l’effetto è causato dalle azioni. L’intenzione non agisce su questo piano. Abelardo forse non conosceva il detto “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
Gennaio 4th, 2010 at 1:48 pm
Ben detto doc-tore, ben detto ;-). La cernita delle intenzioni, infatti, vale in negativo: chi ha cattive intenzioni va tenuto lontano, evitato comunque. Poi, come in ogni cosa … In “questo caso”, però, non c’è modo di sapere prima come si fa, né qualcuno ce lo può insegnare. Per cui il detto “nel dubbio astienti” andrebbe capovolto: “astenersi chi non ha dubbi”. Ma siamo, di nuovo, nel campo del negativo.
Gennaio 4th, 2010 at 5:33 pm
Caro Mauricio, sono contento della mail che mi hai inviato che non mi ha creato sconcerto ma anzi mi da l’opportunità di riflettere su quanto vado facendo da 26 anni.Quando ho iniziato per quanto fossi preso dalla cosa in un periodo di confusione mentale,avevo intuito che era una pantomima, non ho mai amato le divise e le gerarchie infatti non ho ceduto alle lusinghe di prendere i voti da monaco e consegnare la mia vita “al maestro” per ottenere l’illuminazione e risolvere tutti i problemi. Qualcosa nella vita pur frequentando situazioni pericolose mi ha preservato dal prendere decisioni radicali,non dovendone subire le conseguenze. Percio a partire da questi presupposti ho continuato la mia ricerca dando importanza allo zazen e fortunatamente ho trovato in te e Giuseppe gli stimoli giusti per sviluppare la mia incompatibilità al luogo comune, al già fatto, al simulacro che sono esattamente l’opposto a quanto ho capito dello “spirito zen” se vogliamo usare quest’ espressione che è cogliere ogni momento nella sua transitorietà.Ti chiedo però i testi nella loro inaffidabilità a causa delle traduzioni e dell’interpretazione delle parole in tempi diversi, sono la riprova della giustezza dell’insegnamento buddista? é probabile che nessun testo prescriva l’apertura di un centro,ma non è sempre stato detto che la via è nella vita quotidiana che le scritture, bruciare incenso e prosternarsi non serve a nulla? La vita quotidiana è il sangha perciò un gruppo di persone si forma attorno ad una persona che ha più esperienza, ed eccoci daccapo.Ora se questo anziano pensa di esercitare un potere, di avere fama e profitto questa è un’aberrazione e su questo ammoniva Dogen nel 1231. Sedersi nell’anonimato è la cosa che faccio da sempre, mi fa molto piacere vedere però che chi potrebbe usufruire dei benefici di un certo status sociale ed economico rinuncia a tutto questo per amore della chiarezza e della verità.Per questo apprezzo il tuo continuo pungolare affinche tutto non si istituzionalizzi e si atrofizzi,
fabio
Gennaio 5th, 2010 at 5:26 pm
Ciao Fabio. Sono contento sia intervenuto anche tu, ora -tra i soliti noti- mancano solo i romani… Due cose vorrei enucleare in quello che dici. Seguire la via detta zen implica scelte radicali, quantomeno perché si possa parlare davvero di zen. Pantomima (che poi è fare un po’ di scena per attirare persone da abbindolare) e scelte radicali non sono necessariamente la stesa cosa. La radicalità è necessaria per attuare la conversione che non può essere parziale, altrimenti non è. Poi le scritture: non penso siano il Vangelo 🙂 tuttavia poiché molti (tutti?) in certi ambienti danno per scontato che sia normale aprire centri dove si insegna lo zen, da dove è nata questa convinzione? Da che cosa è sostenuta? Dicevo: dalle scritture certamente no. Ciao
Gennaio 6th, 2010 at 6:36 pm
Anche Zot si iscrive tra quelli che “c’erano già arrivati”, (come già 5, 9, 45 e qualche altro che mi scrive via mail e non vuol apparire) e mi segnala un vecchio numero di Buddazot, sempre godibile e graffiante. Però, in questo caso, davvero Zot è precursore del discorso di questo post?
Gennaio 6th, 2010 at 8:49 pm
Ha ragione mio suocero: “Non c’è più religione!” 🙂
Gennaio 6th, 2010 at 9:52 pm
Mym, sei sempre il solito terrorista. Nei nuovi detector in dotazione agli aeroporti dovranno aggiungere un rilevatore di (kalyana)mitra.
A proposito, che mi dici di tre anziani signori agghindati da principesse che circolavano nei paraggi? erano mica Drag Queens?
Gennaio 7th, 2010 at 11:00 am
I trafficanti? Quelli li abbiamo messi subito in gattabuia, il loro travestimento non ha ingannato il maresciallo: “Certamente amici di Esperancia, sorella del noto D’escobar…” ha detto.
Gennaio 7th, 2010 at 12:48 pm
Esperancia d’escobar, eh? con chi? con Mirra? (la “scellerata” di cui parla Dante)
Gennaio 8th, 2010 at 11:35 am
Non entro nel merito della discussione sui luoghi (va meglio di “centri”?) che consentono e “facilitano” la difficile pratica, né sulla pantomima (46 ci spiega cosa si debba intendere in questo contesto con quel termine e, per altro verso, sappiamo bene che tutto può diventare pantomima, anche una discussione sulla pantomima medesima – questo per dire: non sentiamoci mai al sicuro noi, rispetto ad altri). Vorrei invece portare l’attenzione su quella che secondo me è la questione cruciale, che non mi pare sia stata ancora rilevata a dovere e che il titolo dello scritto indica invece chiaramente: “ci si può perdere, scioccamente, la vita”. La vita si perde comunque, e perdere la propria vita è, tutto sommato, “in religione”, il da farsi (e.g. Vangelo Matteo 10,39) Tutto si concentra allora su quel “scioccamente”. Ci sono sciocchezze forse inevitabili: se una macchina guidata da un ubriaco mi falcia mentre cammino tranquillamente sul marciapiedi, potrete poi dire che, in un certo senso, ho perso scioccamente la vita, ma non di questo tipo di sciocchezza si sta qui parlando. E’ la sciocchezza che si può e dunque si deve evitare, quella da cui guardarsi. Per questo bisogna anche saper pensare (vedi 32), per discernere sciocchezza, che si annida ovunque.
Gennaio 8th, 2010 at 5:09 pm
Già, perder la vita è quel che fanno tutti. Per cui perderla seduti davanti a un muro o tra un viaggio e una settimana bianca, in definitiva cambia solo il panorama e dipende da molte cose, per lo più fuori controllo. Ma farci pure la figura dei pisquani, degli uccellati, sfruttati e derisi, quello dipende solo da noi. Non dovrebbe un minimo solleticare l’orgoglio degli zen italioti? Possibile che una vita gregaria, nella speranza di un inversione dei ruoli, valga davvero la vita?
Gennaio 8th, 2010 at 6:04 pm
“Non si scherza con la vita, né con la propria né -soprattutto- con quella altrui”(31).
Se non ci fosse questa sorta di ‘responsabilità’, le pisquanate farebbero tutt’al più sorridere.
Gennaio 8th, 2010 at 6:22 pm
Complimenti: se oltre a perderci la vita (mi sto toccando di qua e di là) e far la figura del pisquano riesci anche a sorriderci… ci hai gli attributi come silviuccio nostro… 🙂
Gennaio 8th, 2010 at 6:35 pm
Manipolatore! 😛
Gennaio 9th, 2010 at 6:57 pm
“A Rosarno c’è una situazione difficile come in altre realtà, perchè in tutti questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, un’immigrazione clandestina che ha alimentato da una parte la criminalità e dall’altra ha generato situazione di forte degrado” (Roberto Maroni, Ministro della Repubblica)
“Chiunque faccia qualcosa -non importa per quali motivi- in grado di ostacolare l’invasione, a questo punto mi sta bene” (sostenitore della Lega sul Forum di Radio Padania)
No comment.
Gennaio 9th, 2010 at 7:09 pm
A Rosarno la situazione più difficile è la criminalità organizzata e la completa assenza di coscienza civile. Sino a che gli immigrati si fanno sfruttare in silenzio… non problem. Se protestano bisogna cacciarli.
Gennaio 9th, 2010 at 7:12 pm
Di fronte a questa cosa, e già in passato a cose analoghe, mi chiedo: al di là di esprimere lo sdegno, c’è qualcosa che io, CC da Chiavari, posso concretamente fare? Avete dei suggerimenti? Mi sento impotente…
Gennaio 9th, 2010 at 7:17 pm
I cinesi antichi dicevano: aiutali a salire, più presto cadranno. Allora ho votato per la Lega, ma pare non siano saliti abbastanza…
Gennaio 9th, 2010 at 8:21 pm
A Cristina: se possibile sporcarsi le mani nella vita pubblica, condividere idee, votare, scrivere articoli come questo=
indignarsi (dovrebbe essere “naturale”..)e non stare in silenzio.
Non si tratta di trovare il meglio, ma di provare a realizzare il meno peggio.
Gennaio 9th, 2010 at 9:54 pm
Vorrei proporre a J di pubblicare la sua riflessione da qualche parte dove possa essere accessibile a un pubblico più vasto e non solo a noi pochi eletti… Si può fare?
Gennaio 10th, 2010 at 1:38 pm
Cara Cristina, quella “riflessione” ha già una sua circolazione internautica (facebook e altri snodi, mi dicono) e peraltro varie considerazioni analoghe di altri si trovano qui e là, sui giornali e in rete. Comunque è del tutto pubblica, e se qualcuno vuole diffonderla per altri canali, prego. Gli eletti, poi, son sempre pochi, per definizione: non è la quantità che conta, ma l’intensità. A salare tanta acqua basta poco sale, ma se il sale non sala….
Gennaio 10th, 2010 at 9:54 pm
D’accordo, ma ci vuole anche l’acqua perché il sale la sali, e più ce n’è più ne sala… A questo dovrebbe servire, secondo me, la divulgazione di massa..
Così mi autorizzi a mandare la tua “riflessione” al Secolo XIX, il giornale di Genova, nella rubrica in cui si concede la parola ai lettori? Se si, ti ringrazio; se no, ti ringrazio lo stesso…
Gennaio 11th, 2010 at 12:49 am
A Cristina.Il senso di radicale impotenza è la condizione dell’anima moderna che può ‘limitarsi’ a sorvegliare il futuro.Un tema per il futuro può essere la Rete ovvero la variante elettrificata della comunicazione universale incorporea(WOW!)oppure il koan 41 — Adornate il cuore di chi la contempla,perchè il Buddha della sala infiorata non è altrove.
Gennaio 11th, 2010 at 12:51 am
Dal programma delle Nazioni Unite del 1997 apprendo che l’83% del reddito mondiale è spartito da 800milioni di Occidentali mentre all’82% della popolazione mondiale va il resto.In Occidente gli stati nazione hanno fatto le guerre perseguendo il nobile fine delle tasse e dello stato sociale ovvero di una più equa distribuzione della ricchezza.E’ chiaro che i paesi terzomondisti non possono fare la guerra ‘nobile’ all’Occidente per spartirsi il bottino e allora vai col mercato dell’odio.E chi si odia?Chi, vivendo una non-vita, reagisce alla logica violenta del profitto con una impotenza rozza e proditoria(che porta botte,cazzotti e guai..)Mentre l’impotenza degli schiavi in giacca e cravatta è rispettata..Spero che nessuno si offenda ma al sud siamo ai livelli dell’africa(giusto un pò più eleganti) e al nord?
Gennaio 11th, 2010 at 1:45 am
A Cristina: manda pure a chi vuoi, il Secolo poi è stato il “mio” giornale per anni.
A homosex: al nord non siamo neppure eleganti: ti pare elegante un fazzoletto verde che spunta dal taschino? Questa storia scoperchia un verminaio, uno dei tanti del belpaese (le galere nostrane sono un altro, contiguo): faranno in fretta a ricoprirlo, a non parlarne più, e a continuare peggio di prima. La civiltà di una nazione si vede da come tratta i disgraziati, più che da come educa le élite: e le due cose potrebbero (dovrebbero?) andare di pari passo.
Gennaio 14th, 2010 at 8:57 pm
La discussione continua, con uno scambio di mail tra SP e mym, in questa pagina.
Gennaio 15th, 2010 at 7:44 pm
Yushin, riesci sempre a spiazzare chi si rivolge a te. questo credo sia dentro ciò che sei e lo sento profondamente stimolante. la domanda di Stefano- non chiara, è vero- io la sento così: si sente una cesura tra te, Jiso e noi “orfani” di galgagnano. Come la colmiamo?
A me sembra di capire che non c’è altro che il cercare. Sono stata a Roma alla sesshin, ho sentito ancora la forza dello zazen, ho sentito che per me è importante farlo con altri.
So che sia tu che Jiso ci siete per le domande, ma a me sembra di non avere ancora domande sensate, e cerco di fare come il mio cane che ogni mattina mi fa le feste come se fosse la prima volta
Gennaio 15th, 2010 at 7:58 pm
appena prima della chiusura di Galgagnano avevo chiesto a Jiso di prendere i precetti. Dopo tanta frequentazione sentivo il bisogno di un passaggio avendo l’impressione che anche nella pratica si potesse innestare un automatismo. Allora cercavo come un testimone esterno, una sorta di necessità di render conto di ciò che facevo.
Jiso mi deve ancora una risposta, ma nei fatti la risposta c’è stata e defragrante.
e questo scambio nato dalla “pantomima” di Y. ne è la prova. eppure ancora non sono capace di essere testimone di me stessa….e chiamo questa cosa bisogno di sangha….
Gennaio 16th, 2010 at 1:55 pm
Ciao billibello,
Grazie, l’argomento è centrale e ancora in ombra. Come hai compreso, è la fine degli automatismi che stanno uccidendo il bambino prima ancora che venga concepito, una sorta di ambiente sterile, soffocante. Sui bisogni dovremmo fare un po’ di cernita. È vero che lo standard religioso attuale assieme alle indicazioni “fornisce” la comunità (parrocchia o centro zen fa poca differenza). Per cui se manca il gruppo pare che la religione sia in debito. Io penso che religione sia un grande lusso, la risposta a un bisogno che non riguarda quelli “elementari” (cibo, tetto, affetti) un bisogno forte, chiaro ma diverso dagli altri. Così come la sete è diversa dalla fame; per cui occorre una riflessione ulteriore. Se poi, al termine di questa, in un certo caso si stabilisce che per cercare senso profondo, serenità nella pace non derivata da ottenimenti concreti materiali, è utile un gruppo/sangha allora per un po’, in quel caso lo si organizza. Non lo si pretende già organizzato. Il “pacchetto tutto compreso” fa parte di quegli automatismi di cui sopra… E poi, ancora più importante, ciascuno di noi si deve dar da fare per conto suo, non c’è qualcuno -il prete il monaco- delegato a quello scopo per cui noi siamo fruitori di un servizio che in qualche modo ci deve essere garantito. Ciascuno è il protagonista, parliamo rivolti a uno specchio.
Gennaio 16th, 2010 at 6:43 pm
Certo che i cattolici il papato la chiesa hanno fatto un bel disastro con i nostri cervelli. Perché mi vuoi tagliar fuori dagli orfanelli? Caso mai, come ero orfano io prima ora lo sei anche tu, benvenuta. La cesura la fai tu, non farla ed è già colmata. Specialmente con SP non intendevo proprio essere spiazzante, anzi. A modo mio (non sono il re dei diplomatici) ho cercato di essere attento, vicino, capire ascoltare per collaborare. Mi ha sbattuto la porta sul naso due volte. A un povero orfanello! E poi giù lamentazioni e “signora mia…!”.
Gli animali si divertono ogni giorno, anche cento volte al giorno con lo stesso giochetto, dice Kundera, perché loro non sono stati scacciati dal paradiso terrestre. Noi sì (pare), per questo ecco tutto ciò.
Gennaio 16th, 2010 at 9:32 pm
Caro Yushin,
condivido pienamente il tuo documento.
E sono responsabile del centro Dojo Zen Sanrin.
Yushin
Gennaio 16th, 2010 at 10:10 pm
Grazie. Sei coraggioso: “centro Dojo Zen Sanrin” sembra una summa del contrario… ovvero pantomima completa. Proprio vero che la forma, a volte, non conta. Ciao, mym
Gennaio 17th, 2010 at 1:28 pm
Continua la discussione anche via mail. In questa pagina lo scambio con Nello Genyō
Gennaio 17th, 2010 at 5:14 pm
Buon pomeriggio,
Ho letto tutto con attenzione, mi sono sentita chiamata in causa in quanto io sono quella che da anni cerca un centro o qualcuno con cui sedersi senza successo. Senza centro, zazen si fa ugualmente peró si fa piú fatica perché non si ha alle spalle una realtá che ci protegge. Non si ha un posto dove tutto é preparato per noi: qualcuno che organizza gli orari, ci fa trovare i cuscini pronti, ci corregge la postura ecc ecc. Si soffre di piú nel confronto con gli altri, perché non c’é un luogo in cui andare a rifugiarsi e dove trovare amici che praticano zazen come noi e coi quali confrontarsi. D’altra parte, lo zazen diventa un pratica quotidiana come le altre, come mangiare, fare la lavatrice e stirare. E’ il momento in cui “Sara sta insieme a Sara” ed é tanto importante quanto lavare i piatti o rifare il letto. Fa parte del mio quotidiano, non é qualcosa che va oltre l’essenziale, come possono essere la palestra, la piscina o il ristorante… voglio dire che, forse, il non frequentare un centro toglie “l’aura di solennitá” alla pratica quotidiana dello zazen e non sono sicura che questo sia completamente negativo. La prima volta che l’ho incontrata, otto anni fa, Lei spiegó che “zazen non é altro che l’essere in grado di sedersi senza fare nulla” e tutto il resto sono conseguenze, effetti collaterali che arrivano. L’incontrarsi in un luogo per fare una determinata cosa crea inevitabilmente un atteggiamento settario o conferisce significati ‘deformati’ (credo). Le casalinghe non si incontrano per fare il bucato, eppure lo fanno ogni giorno ed é necessario che lo facciano. Si incontrano per bere il tea e magari discutono su quale detersivo utilizzano… tutto qui. E’ probabile che il mio punto di vista sia del tutto fuori da ogni contesto proprio perché mi arrangio da sola, se é cosí, mi spiace averle fatto perdere tempo. E’, credo, la prima volta che intervengo su una cosa importante e mi sento molto impacciata e fuori luogo. Mi scusi. Spero di incontrarla ad Urbino presto,
Un caro saluto
sara
Gennaio 17th, 2010 at 5:16 pm
Non è che scrivi tutte ‘ste belle cose perché non hai ancora “dato” l’esame con me e… :-). Grazie, bel lavoro.
Gennaio 18th, 2010 at 11:38 am
Caro Mauricio,
Cosa dire se non che condivido pienamente quello che scrivi.Già altri maestri ci hanno messo in guardia dal materialismo spirituale e la stessa psicoanalisi più recentemente ha messso al centro del suo dibattito il tema del falso-Sè. Ma il falso Sè si traveste in mille modi e perchè no anche di spiritualità,l’esoterismo è di moda
e spesso al servizio proprio di quell’ego che tanto vorrebbe ridimensionare
PS
Gennaio 18th, 2010 at 11:42 am
Grazie, PS. L’espressione “altri maestri” ne presuppone almeno uno. Potrebbe anche stare, non bisogna aver paura delle parole, anche se a volte hanno implicazioni molto negative.
Gennaio 18th, 2010 at 11:55 am
Pubblico qui di seguito una risposta alla mail di SP che ha dato inizio allo scambio che trovate al n. 53, mym.
————————————————-
Caro SP,
come ti avevo promesso, ho cercato di leggere con calma la tua lettera, non senza avere però letto anche tutto il dibattito che c’è stato sul sito della “Stella” in merito alla “pantomima” e, in fondo, alla chiusura di Galgagnano. Provo a esporti il mio pensiero. Credo che il motivo di fondo per cui ho amato quel posto e la sua situazione è stata fin dal principio la profonda”laicità” che mi è sembrato di trovarci. Per “laicità” (non credo che sia il termine esatto ma non ne trovo uno migliore) intendo il senso di “non chiesa” che c’era; un senso che, secondo me, era dovuto alla essenzialità estrema delle pratiche che si seguivano. Laicità che continuo a trovare nel pensiero profondo di Padre Luciano, che pure è inquadrato formalmente nella chiesa più chiesa di tutte, e in Jiso che è diventato addirittura il rappresentante ufficiale della sua chiesa.
Il discorso religioso che fanno entrambi, ognuno dal suo punto di vista, è l’unico discorso religioso che è riuscito a richiamare e a trattenere il mio interesse per un periodo di tempo così lungo, e questo proprio grazie alla loro carica anti-istituzionale e totalmente umana (nel senso di interessata all’uomo in quanto tale, per quello che ciascuno di noi è).
Insomma mi considero molto fortunato per avere avuto l’opportunità di fare questo incontro. Fatta questa lunga premessa, non riesco in nessun modo a esprimere un giudizio critico nei confronti della scelta di Jiso di chiudere Galgagnano, le cui motivazioni sono forse state espresse, almeno in parte, nei due documenti, il primo firmato anche da Yushin e il secondo dal solo Yushin. Nella tua lettera dici che sei disposto a “qualche compromesso iniziale se questo può aiutare”. Credo che proprio lì sia il nocciolo del dissenso, troppe volte (per qualcuno forse sempre) i compromessi iniziali sono causa di deviazioni forse non del tutto imprevedibili. Nel sito poi ho trovato un dibattito molto ricco e articolato e, per la verità, non parolaio, proprio sul problema che sta particolarmente a cuore a te, a proposito dei centri e dei luoghi dove “sedersi” e mi sembra che le cose sono ampiamente sviscerate, anche con opinioni molto vicine alla tua, senza nessuna polemica, e ancora una volta con risposte che mi sono sembrate comprensibili e non didascaliche. Tra l’altro, diversi interventi, compreso uno, molto sottotono di Yushin, sono del tutto allineati con la tua (nostra?) iniziativa di Rovofiorito. Insomma non mi sembra che ci siano motivi per polemizzare. Questa è, ovviamente, la mia opinione del tutto personale molto caratterizzata dal fatto che se ho trovato nella pratica del “sedersi” una pratica (religiosa?) che in qualche modo mi corrisponde, non riesco peraltro in nessun modo a definirmi o a considerarmi un buddhista o un adepto di qualche particolare scuola.
A presto risentirti, un abbraccio anche a C,
Stefano
Gennaio 18th, 2010 at 12:20 pm
Grazie, Stefano. Il tema della laicità, che interpreto come “non appartenenza”, non era ancora venuto in luce, almeno in modo esplicito. A mio vedere il percorso/veicolo/proposta che chiamiamo buddismo zen da un lato implica un riconoscimento di appartenenza assoluta, universale, ovvero come facenti parte della stessa barca assieme a tutte le creature. Dall’altra implica una completa non appartenenza, una libertà che è anche solitudine. Cercarsi, costruirsi un’identità o una confraternita d’appartenenza tramite lo zen o il buddismo è antitetico, una contraddizione superabile solo superficialmente: a volte occorre che mi dica buddista (in qualche caso addirittura “monaco zen”) per tagliar corto, offrire un’etichetta da cui poi uscire, se me ne viene offerta la possibilità.
Gennaio 18th, 2010 at 4:27 pm
Ciao Mauricio.
Ho seguito con interesse e quasi in diretta lo svolgersi della discussione, non sono intervenuto perché mi sembrava che l’argomento fosse già ben sviscerato, d’altro canto mi viene da pensare al motivo per cui tu abbia scritto quel testo.
Personalmente io vi scorgo l’incitazione al cammino personale “cercando tenacemente” e responsabile “continuando per sempre”, con il sonoro richiamo ad una visione disincantata rispetto a quello che viene dall’esterno, ed alle forme attraverso cui i messaggi di ogni genere, e nello specifico quello buddista , ci giungono. La provocazione arrivando da te direttore della stella e promotore di un “centro di pratica”, è chiaramente indicativo del fatto , che anche se in maniera imperfetta e con tutte le precauzioni possibili, la porta per chi bussa va aperta. E una porta dove bussare ci deve essere. dall’altro per chi bussa ci deve essere la coscienza che non c’è nessuna “ PORTA”. Anche se forse questa nozione arriva solo dopo aver a lungo bussato. Da un altro punto di vista vedo anche una provocazione a chi inneggia alla indispensabilità delle comunità ma non se ne serve, oppure le usa tutte senza valorizzarle o sostenerne nessuna.
a.p.
Gennaio 18th, 2010 at 4:33 pm
Grazie AP, è vero, vi è l’accento che ho messo sull’esigenza indispensabile di bussare e ancora bussare. Però c’è un altro aspetto, che pare in contraddizione, del quale sino ad ora solo Sara ha colto il segno in modo chiaro: la religione, lo zazen, il percorso è un fatto personale, individuale da scoprire con le proprie forze e da percorrere da soli. Altrimenti è un associarsi, partecipare, esserci anch’io con quelli “giusti”, nel posto giusto ecc. ecc. Tempo perso, insomma.
Gennaio 18th, 2010 at 7:38 pm
Ciao! Ricevo le tue mail anche se sono 3 anni che ho deciso di non aderire più alla Stella del Mattino, facevo parte del gruppo di Luciano. Ti risparmio i perchè della mia scelta.
Ti scrivo per dirti che la tua lettera è molto coraggiosa, ma poco “umana”. Spiego: l’uomo è un essere da sempre comunitario, identitario dunque anche quelli che si riconoscono nella pratica zen (la più personale, la meno comunitaria di tutte le pratiche) hanno bisogno del gruppo, del luogo, della persona di riferimento. Se lo zen è una proposta per pochissimi, quello che presenti tu nella mail è per ancora meno. Ammiro molto la capacità del silenzio, del non voler insegnare nulla a nessuno, dello smettere le pantomime; io credo che sia ora di sciogliere la Stella definitivamente, anche via web. Sarebbe un gesto di libertà enorme soprattutto per chi non se ne fa una ragione, la “comunità” si trascina ormai da anni e, in buona fede, crea confusione. Se non riesce a farlo Luciano, abbi il coraggio di Jiso. Buon cammino. Pietro
Gennaio 18th, 2010 at 7:48 pm
Grazie, Pietro. Sì, non è umano (almeno nell’accezione solita) essere adulti. Persone in grado di compiere il proprio destino senza dipendere da pacche sulle spalle e rassicurazioni dovute alla vicinanza di sodali. Il fatto è che la posta in gioco è inumana. Per questo la risposta è altrettanto inumana. Oppure finalmente umana. Vendi quello che hai, distribuisci il ricavato ai poveri, lascia la tua casa, non ti preoccupare del cibo e del vestito, lascia che i morti seppelliscano i morti, non andare neppure al funerale di tuo padre. Che cosa c’è di umano in ciò? È adulto. Ma siamo tutti bamboccioni in eterno?
Sciogliere la Stella dici. Di più ancora? Che cosa c’è di legato che possa essere sciolto? Se non vuoi più ricevere le mail basta cancellarsi e fuuu niente più … Cosa? Parolette sullo schermo. È quella la Stella? Che legame può costituire una pagina colorata su uno schermo… I legami sono nella nostra testa.
Gennaio 19th, 2010 at 10:34 am
Caro Yushin,
Di ritorno dal Giappone, Buon Anno !
Sono grato di cuore per avermi inserito nella lista.
Avevo già avuto modo di leggere la “Pantomima”, domande e risposte e avevo pensato di non potermi inserire in una riflessione che coinvolge, a volte mi rendo conto anche molto intensamente, persone esperte, che hanno inoltre seguito un percorso comune molto diverso da quello su cui ho incontrato la “pratica” (che non oso certo chiamare zazen).
Rispondo sollecitato dal tuo gesto amichevole e sei ovviamente autorizzato alla pubblicazione (anche perchè ho dimenticato la procedura per scrivere i commenti).
Ho ripreso a sedere dopo una pausa consapevole di qualche mese e in un momento non facilissimo.
La scelta delle poche righe di testo che leggo una volta conclusa la pratica sono quelle del Ghenjokoan, e mi è sembrato subito di essere tornato a casa (magari un po’ diroccata…, ma tant’è).
Il punto centrale mi pare quello di sempre ri-tornare a una/la presenza, corpo e spirito.
La mia esperienza di questi primi giorni di gennaio, in cui siedo a sera da solo, mi ha tuttavia reso ancora una volta perfettamente chiaro che la pratica – se non è “pantomima” – non è certamente la mia/nostra pratica, in un mio/nostro luogo.
Eppure altri altrove così si siedono, e il sedersi avviene; so per esperienza diretta che è così, e che questo, in un modo misterioso (viceversa non saremmo qui a parlarne… o no 🙂 ), cambia di fatto le cose.
L’esperienza del sedersi insieme è qualcosa di cui sono grato; e lasciare spazio a (luoghi di) gratuità e fiducia, sarà allora (semplicemente?) dare tempo a questo spazio (vogliamo chiamarla vita?).
Forse, ciò che accade in questo inverno piuttosto freddo, è proprio un invito a stare anche con le foglie secche, che pure alimentavano il fuoco del povero Ryokan-Sama nell’eremo di Gogoan; lui che non aveva paura di lamentarsi della solitudine, ma non aveva perso la fiducia nel soffio del vento.
E noi, abbiamo ancora fiducia in una/nella pratica, che non è (solo) nostra?
Nella tradizione in cui sono cresciuto, esiste questo koan; il Figlio non ha luogo ove posare il capo, e il vento soffia dove vuole; ma il Figlio, quando torna, trova ancora fiducia?
Oh uomini, ecco,
nel vento invernale
custodite una palla di neve;
risplende nel silenzio
il vostro cuore sincero
[Hitobito ya
yuki dama mamoru;
fuyu no kaze.
Kokoro no makoto
shizuka ni ikaru]
(anonimo)
Grazie come sempre,
A presto,
Giorgio
Gennaio 19th, 2010 at 10:54 am
Già, il punto è che “cambia di fatto le cose”. Ora, non si pretende che si lascino le cose come stanno, abbastanza difficile, ma che almeno non ci si metta a tocchignare aggiungere impiastricciare. Perché questo “cambia di fatto le cose”. Per cosa, poi? Sentirsi leader in mezzo a quattro zendipendenti? Apparire su qualche libro-rivista-trasmissione TV per dire finalmente come si fa? Fregiarsi di qualche titolo confuciano-giapponese? Oppure appartenere a un gruppo che ci qualifichi in qualche modo? Se vogliamo giocare meglio trovare qualche cosa di più dignitoso.
Ciao Giorgio, grazie. In quest’epoca l’esperienza del perdurare nello zazen da soli è fondamentale.
Gennaio 20th, 2010 at 7:53 pm
Buongiorno Mauricio,
Innanzitutto grazie.
“Chiedere, cercare, a volte sedersi a fianco per un po’, permette di rifare tutto, da capo, ogni volta. Continuando per sempre, ciascuno provi a scoprire la difficile strada da sé, cercando tenacemente il confronto con chi ha esperienza.”
Mi scuso, le poche righe che seguono non hanno nessun valore, sono soltanto un’opinione personale molto poco significativa.
Se il “luogo della via” non si facesse conoscere come “luogo della via”, come sarebbe possibile incontrarsi e scoprire?
“Sedersi nell’anonimato” dovrebbe significare comunque non essere silenziosi ed anonimi quando serve.
Non ho le mani “scorticate a forza di bussare a destra e sinistra”, ma se non avessi avuto l’occasione di frequentare il dojo di Vercelli e di conoscere proprio quelle persone, non avrei ancora idea neppure di quale direzione prendere.
Mi chiedevo come dovrebbe essere quel “posto” che permetta un’esperienza autentica. L’unica risposta che so darmi è quella che a mia volta ho sentito: “tiepido in inverno e fresco in estate”.
Sono convinto che chiedersi “come dovrebbe essere” sia fuorviante, almeno per principianti come me, che rischiano di voler provare qualcosa a loro misura, più che trovare un “luogo della via”.
C’è anche l’impossibilità oggettiva di discriminare chi possa sedere al fianco di chi (buon senso a parte), per cui forse il problema non si può porre in termini generali.
Certo in ognuno entra ed esce quel che può. Può essere che senza il passaggio dalla pantomima non si possa raggiungere nulla, un po’ come i bambini, che per imparare qualcosa scimmiottano gli adulti, e poi, cresciuti, smettendo di imitare, fanno.
E’ importante che qualcuno coraggiosamente ci riporti all’essenza della cosa: la responsabilità dell’esperienza personale è in parte dell’insegnante, ma viene condivisa individualmente da noi principianti, nella nostra tenacia e onestà di intenti.
E senza un impegno condotto da soli, continuativo e sincero, non si va lontano.
Volevo scusarmi se scrivo senza “aver fatto bene i compiti”, mi ero riproposto di leggere con attenzione gli interventi, ma impegni famigliari, di lavoro, ecc… mi lasciano poco tempo in questi giorni, e ieri notte quando mi sono svegliato sul divano con il mio portatile in bilico sulle ginocchia mi sono detto che era meglio rimandare.
Siccome assolutamente non ci conosciamo, ma tralasciando i particolari: ho scarsissima esperienza, sono assolutamente un principiante, mi sono accostato al buddhismo da pochissimi giorni (da giugno scorso ho cominciato a leggere qualcosa, da settembre frequento il ******* di Vercelli). Ancora grazie
Massimo
Gennaio 20th, 2010 at 7:56 pm
Grazie Massimo. Penso che una cerca, una vocazione, un impegno tiepido conducano ad una pratica tiepida.
Gennaio 21st, 2010 at 5:16 pm
La Chiesa aveva già assunto una prospettiva del genere quando, sotto Leone XIII all’inizio del ‘900, aveva deciso di reintrodurre ovunque la teologia Scolastica medievale.
Si trattò di pan-tomismo.
Gennaio 21st, 2010 at 6:44 pm
Chiedo scusa ma so poco di queste cose: di quale prospettiva si tratta e/o che cos’è il pan-tomismo? Grazie. Se stai in 500 battute (più o meno, veh!)…te ne saremo grati in tanti.
Gennaio 21st, 2010 at 7:31 pm
Tomismo = teologia di san To(m)maso d’Aquino, massimo autore della Scolastica medievale.
Pan = universale.
Sebbene il termine “pantomismo” non sia mai esistito, può essere ora chiamato all’esistenza quale “pantomima del tomismo”. E la peggiore pantomima è quella che lo prende (e si prende) troppo sul serio.
😛
Gennaio 21st, 2010 at 7:45 pm
Sei un guastatore. Oooooh!
Gennaio 21st, 2010 at 8:07 pm
Senti chi parla, quello che abbatte i Centri !!!
Gennaio 21st, 2010 at 8:29 pm
Un breve chiarimento sul perché ho citato Enzo Bianchi. Le parole che mi hanno colpito sono: “Noi monaci non abbiamo una particolare missione o funzione nella chiesa: siamo semplicemente uomini e donne insieme, da un punto di vista umano, quasi per caso. Siamo qui, siamo là, nei deserti o nelle selve, sui monti o nelle valli, per che cosa? Per stare davanti a Dio insieme, in una vita comune, niente più. Non facciamo nulla di particolare se non rimanere davanti a Dio […] Lo ripeto, i monaci non hanno compiti, non hanno missioni particolari: se sono fedeli alla vocazione ricevuta «fanno segno», sono come dei segnali sul cammino, niente di più.”, il resto l’ho citato per contestualizzare. Penso di poter dire che vi venga espressa una “posizione” estremamente simile a quella contenuta nel testo La Pantomima.
Gennaio 24th, 2010 at 8:58 am
Prendendo spunto dal film Avatar, una serie di agghiaccianti notizie su schiavitù e sterminio (conquistadores e francescani furono ancora più efficienti di Hitler!) dalle pagine di The Guardian. Una traduzione dell’articolo si trova su Internazionale del 22 gennaio; una diversa traduzione italiana è on line all’indirizzo
http://www.alessandracolla.net/?p=368
Gennaio 24th, 2010 at 12:06 pm
Dal link proposto da dr (12):
La mattanza ebbe inizio con Colombo. Fu lui a massacrare la popolazione di Hispaniola (ora Haiti e Repubblica Dominicana) servendosi di mezzi incredibilmente brutali. I suoi soldati strappavano i bambini dalle braccia delle madri e ne spaccavano la testa contro le rocce. Davano in pasto ai loro cani da guerra bambini vivi. Una volta impiccarono 13 Indiani in onore di Cristo e dei suoi 12 apostoli, «ad un patibolo lungo, ma abbastanza basso da permettere alle dita dei piedi di toccare il terreno evitando lo strangolamento […]. Quando gli indiani furono appesi, ancora vivi, gli spagnoli misero alla prova la loro forza e le loro spade, li squarciarono in un solo colpo facendo fuoriuscire le interiora, e c’era chi faceva di peggio. Poi gettarono intorno della paglia e li bruciarono vivi» [cit. da Bartolomé de Las Casas, History of Indies, trad. e cura di Andree Collard, Harper&Row, New York 1971, p. 94, in: David E. Stannard, Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo, Bollati Boringhieri 2001, p. 136.
Gennaio 25th, 2010 at 1:16 pm
Di solito, dalle accuse di genocidio contro i Conquistadores, “si salva” almeno Colombo. La cosa andrebbe approfondita. A casa di mia madre, non qui sottomano, ho un libro con le descrizioni fatte da Colombo della scoperta e dei primi contatti (solo i primi, però), e lì non mi pare che comparissero scene truculente. Però è vero che, già pochi anni dopo, Ariosto nell’Orlando Furioso esaltava (sic) la sottomissione violenta degli indios per opera degli europei. Viceversa, a metà ‘600, il poeta inglese John Milton descriverà le efferatezze dei Conquistadores, ma per denunciarle.
Gennaio 27th, 2010 at 1:33 am
Getto la maschera:sono un eresiarca della comunità degli uomini suono. Per la comunità il prossimo può impiccarsi senza che ciò commuova il cuore. Verso Dio si ha solo un cosciente impegno a non amarlo. La funzione dei monaci è quella di fare soldi (cfr.G.Mombiot).Per questo le comunità vanno in bancarotta. I monaci del passato sono esempi inattuali e impossibili mentre i truffatori di oggi hanno poca ambizione.
Gennaio 27th, 2010 at 1:35 am
Ricollegandomi ad Avatar credo che il metastorico eresiarca indiano Aldo Rane confermi il pan-nazismo come il più romantico degli ideali politici. Al lato cristiano dico: questa eresia la si apprende stando seduti a guardare il muro senza cuscino e con la camicia di forza.. (della serie Pan-tomismo). La chiusura della sede storica della Stella mi sembra una acutezza sprecata alla luce della ricchezza dei contenuti del sito mentre scioglierla definitivamente via web una crudeltà e una sconfitta (seppur nobile).Convengo che il futuro non è più quello di una volta e che la strada è incerta.
Gennaio 27th, 2010 at 11:00 am
Mi auguro che i lettori abbiano sufficiente pazienza (e acume) da perdonare/accettare le originali aggressioni pacifiche di Homosex. Altrimenti dovrei censurarle.
Gennaio 27th, 2010 at 11:28 am
Ti prego di non farlo. Mi piace l’odore del napalm al mattino.
Gennaio 27th, 2010 at 4:33 pm
Compagneros constato che le mie spiritosaggini producono svenDole non solo al Sud..(Il trucco è essere onesti e avere un buon antidolorifico).A Kamakura ho appreso lo ‘zen sull’istante’ analizzando l’esperienze dei nyudo.Durante le meditazioni veniva praticato il ‘pensare l’impensabile’ ovvero l’espressione hi-shiryo. Mentre gli anziani stavano in zazen i novizi erano impegnati con l’acciaio dei bilancieri. Allora chi è ‘0 bbuono e chi ‘o malamente(?).
Gennaio 27th, 2010 at 4:33 pm
Nadie comprende lo que sufro yo,todos me miran y se van.. ma un vero basterd non vuota mai il sacco.Sulla sua collana pendono denti di lupo e cucita è la sua bocca ,o no? (^_^)
Gennaio 27th, 2010 at 5:11 pm
Santa polenta, cumpa’, qui fai scappare i vivi e i morti… E l’odiens, dove mi finisce l’odiens? Per non parlare dello scear … Qui l’Editore ci stacca la spina a tutti. Ciao, mym
Gennaio 28th, 2010 at 2:24 am
Sono fuori dal circuito del’editoria.Di scrivere un libro prima di compiere il 45esimo anno d’età non mi passa neanche per l’anticamera del cervello. L’odiens italiano lo salto a piè pari mentre sullo scear internazionale ha ancora un certo appeal la cara vecchia madonnina..It’s incredibile,let’s finish what we started.Ciao.
Gennaio 31st, 2010 at 3:42 pm
Il guaio è, a mio parere, che la stessa domanda può essere fatta, ( se c’è una certa sensibilità ), da chi ha una casa, un lavoro che magari gli piace.. oppure da chi è senza lavoro, magari emarginato ecc…
E viceversa, c’è chi trova un senso al vivere sia che abbia un lavoro oppure no, che stia bene oppure no…
Non mi sembra che ci sia la possibilità di riconoscere in una situazione “oggettiva” ciò che dà un senso alla vita e questo, talvolta, è abbastanza drammatico, perchè si corre il rischio di non trovare un “serio motivo” per alzarsi al mattino…
Da questo punto di vista, è proprio dura…
Gennaio 31st, 2010 at 5:30 pm
Ciao Marta, bentornata.
Infatti. Per questo la considero una “domanda” interessante: è generalizzabile e, per di più, viene da un privilegiato.
Gennaio 31st, 2010 at 6:56 pm
Ciao mym, grazie. Certo, la domanda riguarda tutti. Molti di noi vivono, credo, in una situazione privilegiata, per un motivo o per un altro, e si sono trovati ( e si trovano ) comunque, a dover rispondere a questo interrogativo, che spesso non si sa neanche da dove nasce….( Già cercare questo magari…)
Le risposte che ci si dà cambiano, a seconda dei momenti, delle circostanze, di ciò in cui si crede e delle persone che si incontrano. A volte non si trovano proprio, nonostante tutto…
Tutte cose ovvie…
Mi verrebbe da dire che queste sono domande destinate a rimanere tali, eppure non possono non avere una risposta, sia pur mutevole e individuale…
Sì, lo so che non ho azzardato nessuna risposta, ma.. a chiedermelo adesso ( se la mia vita ha un senso), ho paura che mica saprei cosa rispondermi!
Un saluto
Gennaio 31st, 2010 at 8:40 pm
“oltre” me stesso:il volto dell’altro.
“oltre” la rabbia:l’impegno.
Una riflessione, non una risposta.
Gennaio 31st, 2010 at 11:00 pm
Il 21enne non ragiona male. Personalmente sono un fanatico del lavoro, e sono assai poco filo-sessantottino, però mi capita spesso di chiedermi: questi giovani (non il 21enne, credo) che arrivano ad alcolizzarsi, drogarsi… è perché non hanno capito niente, o sono gli unici che hanno capito tutto? Trovassero pure il mega-lavoro brillante e scintillante, il sogno della loro vita… a che servirebbe? a tenere in piedi che cosa?
…
[Torquato] TASSO – Che rimedio potrebbe giovare contro la noia?
GENIO – Il sonno, l’oppio e il dolore.
Febbraio 1st, 2010 at 10:55 am
Sì, però…Allora? La traduzione, un po’ libera ma certamente precisa, di “adulto” è “lo scaricabarile finisci qui”. Siamo uomini, donne o …?
Febbraio 1st, 2010 at 11:32 am
Mira sempre ottima, mym.
Infatti aggiungo che la celebre sentenza di Qohélet 1,2 ha come diretta conseguenza non lo svacco, bensì Qohélet 3,1-8.
Febbraio 1st, 2010 at 11:45 am
Dai, non ce li far cercare: dopo i numeretti metti i versetti…
Febbraio 1st, 2010 at 12:22 pm
La pappa pronta la si fa trovare ai bambini, non agli “adulti”…
Febbraio 1st, 2010 at 12:53 pm
Già, per quello pensavo che gli adulti scrivendo ai meno adulti… Vabbe’: Qoelet 1,2 “Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità, tutto è vanità”. Qoelet 3,1-9: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?”
Sì, però, allora?
Febbraio 1st, 2010 at 2:10 pm
(L’ultima frase c’entra un piffero: si era detto fino al v. 8, non 9)
Appunto: SICCOME tutto è vanità, ALLORA il bello – e il difficile – è sapere fare la cosa giusta al momento giusto. Anche l’indifferenza o l’apatia sarebbe una scelta unilaterale.
Questo mi insegnò tempo fa uno-dei-qui-presenti.
Febbraio 1st, 2010 at 4:55 pm
Non mi pare che una risposta in termini ‘religiosi’ sia pertinente a questo caso.
Ri leggendo la lettera del 21 enne, a me viene da pensare: o non la conta giusta, o non la conta tutta…o si atteggia a …
A un 21 enne si può giustificare quasi qualsiasi espressione: compreso il sentirsi fregato ancora prima di cominciare.
Ma tutto questo non è ancora una presa di coscienza del ‘disagio’, di dukka. Manca una domanda che parta dal cuore. E fintanto che questa domanda non venga formulata, qualsiasi risposta verrà assorbita da una smorfia di scetticismo.
Febbraio 1st, 2010 at 5:06 pm
Sono d’accordo. Il giovanotto ha posto le cose in modo impeccabile per ottenere consenso, ma si è tenuto ben distante dalla radicalità estrema. In altri termini, a me pare che chieda soprattutto come tenersi/godersi il malloppo
Febbraio 1st, 2010 at 5:46 pm
“Se sono solo i soldi che vuoi, avrai solo quelli!” (principessa Leila a Ian Solo)
Febbraio 1st, 2010 at 5:57 pm
Al giovanotto, come a chiunque altro del resto, a cominciare da me, darei le due classiche notizie, quella cattiva e quella buona. La cattiva è che, siccome è nato, gli tocca morire. La buona è che deve morire proprio perché è nato. La porta è strettina ma qui s’ha da passare, dalla radicalità estrema è un po’ difficile tenersi ben distante. Allora tanto vale occuparsene un po’ più da vicino, della “fregatura”, ma questo deve venire a ciascuno da dentro, non si può suggerire.
Qoelet non mi pare così pertinente. Il tempo di cui parla è il tempo dell’alternanza, del condizionato: siamo ancora nella fregatura, tutto sta prenderla bene. Deboluccio, non ci metterei le fondamenta. Infatti Qoelet ha poi bisogno del timor di Dio per darsi una mossa. Il nostro fantomatico giovanotto (si) chiede: il tempo che fine fa? La fine che fa lui stesso. Dunque, gli direi, lo tenga un po’ più in conto. Del resto a 21 anni chiedere come tenersi/godersi il malloppo mi par più che legittimo: temo però lo abbia chiesto alle persone sbagliate….
Febbraio 1st, 2010 at 6:04 pm
“Vale più la sapienza che le armi da guerra,
ma un solo errore può distruggere un bene immenso.”
Qohélet 9,18 (aveva evidentemente previsto la possibilità di fare una figuraccia di fronte a JF…)
Febbraio 2nd, 2010 at 10:42 am
La frase “L’uomo pericoloso è l’uomo che ha letto un solo libro” significa che di quel libro fa poi il suo idolo perciò non ha senso l’affermazione successiva “Figuriamoci se non ne ha letto nessuno”
Febbraio 2nd, 2010 at 1:51 pm
relata fero: mio figlio Alessandro mi dice che non fu affatto Gorgia a sostenere per primo che la parola per l’anima e’ come i farmaci per il corpo, bensì Protagora, una cinquantina d’anni prima. non sarà rilevante per la discussione ma mi sono sentito improvvisamente un vecchietto rinco…
come avrà fatto a sfuggirmi questa cosa ? 😉
Febbraio 5th, 2010 at 1:01 pm
A dr: “Fare la cosa giusta al momento giusto”? Cosa vuol dire “giusto”? Chi o che cosa determina cosa è giusto e cosa non lo è? Foprse solo l’esito del Fare?
Febbraio 5th, 2010 at 2:25 pm
A Cristina: Cerca la risposta nel profondo del tuo cuore. Nessuno potrà fornirtela dall’esterno.
Che, ovviamente, è un modo elegante per defilarsi. Ma, in questo momento, mi pareva la cosa giusta da fare.
Febbraio 5th, 2010 at 5:29 pm
Caro Yushin,
Trasferisco questa citazione del sempre più attuale Ryokan-Sama, apparsa dopo la pratica di qualche giorno fa.
Nel poema “Shoudoushi” : 唱導詞 (se non ho sbagliato a copiare 🙂 leggiamo:
“Se la Legge avesse permesso fondare delle sette,
Chi tra gli antichi non lo avrebbe fatto?
Se gli uomini fondassero ciascuno la sua setta,
Ah! Quale seguire?”
Anche Ryoukan dunque aveva affrontato un dubbio analogo (“centri” versus “sette”?) al nostro. E che risposta aveva dato?
Consapevole, ritengo, del fatto che 迷い と 悟り, (“mayoi to satori”, sempre a scanso di equivoci), ecco cosa scrive pochi versi a seguire:
“Per preghiera e indicazione del cammino, c’è naturalmente un inizio:
Lasciate che io cominci dal monte Grdhara (in nota: il luogo di preghiera di Buddha Sakyamuni, quindi – nota mia – là dove il Buddha storico semplicemente sedette in silenzio).
Giacchè Buddha è il Cielo del Cielo,
Chi oserà discuterlo?”
I necessari riferimenti:
Mitchiko Ishigami-Lagonitzer, “Ryokan Moine Zen”, CNRS Editions, Paris, 2001, pg. 93-94 e ivi n. 23 per le edizioni e 24).
P.s. (un po’ insinuante) a proposito del Cielo del Cielo… ma non abbiamo forse una indicazione altrettanto precisa nel “siate dunque perfetti come è perfetto il Padre, quello nei Cieli?”
Ahi ahi ! Qui la “pantomima” sconfina nel versante cristiano… Mi fermo subito… 😉
Grazie per la pazienza,
Giorgio.
Febbraio 5th, 2010 at 5:32 pm
Se gli uomini fondassero ciascuno la sua setta… non ci sarebbe bisogno di seguirne altre 🙂 Grazie, ciao, mym
Febbraio 5th, 2010 at 8:03 pm
“Devo fondare un Sistema mio personale, per non essere schiavo di quello di un altro.”
_____William Blake
Febbraio 5th, 2010 at 10:09 pm
Il cuore, poverino, pulsa e nemmeno sa di farlo. Cosa può sapere di tutto il resto? Ebbene, mio caro dr, io intendevo piantare una grana del tipo: come puoi tu, che a volte ti manifesti piuttosto sottile, cadere in simili banalità e/o luoghi comuni? Ma con questa risposta mi hai disarmata. Bravo!
Febbraio 6th, 2010 at 12:15 pm
Grazie!
… O no?… 😀
Ma la banalità, il luogo comune sarebbe quell’insegnamento di Qohelet?? Ammappa, io trasecolo.
In ogni caso, sì: a definire un’azione come giusta non è l’intenzione che si ha PRIMA di compierla, ma il suo risultato DOPO. Le intenzioni sono chiacchiere, e notoriamente servono solo a lastricare le strade dell’inferno.
Febbraio 6th, 2010 at 1:22 pm
Nonnonnonnò! La banalità è parlare di “cosa giusta al momento giusto”, cioè inserire una cosa qualunque, concreta, in una categoria astratta difficilmente definibile: la Giustizia platonica è un’astrazione, le singole cose sono giuste o no sempre e soltanto in relazione a qualche altra cosa… e in genere la definizione è soggettiva! E’ “giusto” dare un cocco in testa a uno che mi minaccia col coltello, è “giusto” farlo un momento prima che abbia il tempo di usarlo, ma non è più “giusto” dare lo stesso cocco in testa a uno che mi contraddice… E questo si può dire per ogni azione, fermo restando quello su cui concordi, cioè che in genere possiamo valutare solo dopo, e quindi “fare la cosa giusta al momento giusto” può essere al massimo un autocompiacimento a posteriori.
Febbraio 6th, 2010 at 1:37 pm
Sì. Però in questo caso (n. 20) “giusto” perde ogni senso religioso.
Febbraio 6th, 2010 at 2:15 pm
Mi sono accorta che l’esempio che ho portato da’ ragione al detto. Ne ho pensato uno più appropriato, eccolo. Cesira si è sposata a 25 anni con l’uomo dei suoi sogni, ha avuto il primo figlio a 27 e il secondo a 30, è ora appagata e soddisfatta delle sue scelte giuste. Caterina si è sposata a 25 anni con l’uomo dei suoi sogni, ha avuto il primo figlio a 27 e il secondo a 30, ora è frustrata e depressa. Il “momento giusto” e la “cosa giusta” sono strettamente soggettivi! Mym, permettimi questo esempio.: mi sembra che abbia carattere religioso come ce l’ha ogni scelta di vita.
Febbraio 6th, 2010 at 2:43 pm
>Mym, permettimi questo esempio: mi sembra che abbia carattere religioso come ce l’ha ogni scelta di vita.
In risposta al n. 22, mi associo alla contro-obiezione fatta da Cristina.
Febbraio 6th, 2010 at 5:20 pm
Ego vos absolvo … (speriamo si dica così…).
Comunque. Se ogni scelta di vita ha carattere religioso non c’è spazio per fare distinzioni, quindi non c’è più religione, mezze stagioni ecc. È sempre inverno o sempre estate. Almeno nella religione delle sacrestie (non le sacre stie… 🙂 se do uno schiaffo ad un giovane collassato per abusi vari, ne stimolo la vita, lo salvo. Sono un eroe. Se incrocio il don all’uscita della chiesa e gli appioppo uno smataflone perché “ai preti questo e altro” sarò sempre un eroe per qualcuno (è sempre estate…) ma … Pietà l’è morta. Nulla toglie, però, che per lo schiaffo al giovanotto di cui sopra debba comunque andare all’inferno (la violenza non paga…) ma, fuori dalle sacrestie (e dalle sacre stie) religione non c’entra con inferno e paradiso.
Febbraio 6th, 2010 at 7:08 pm
Esatto, esattissimo, caro mym. “Tra il samsara e il nirvana non c’è la minima differenza”.
A parte il fatto, ovviamente, che sono l’uno l’opposto dell’altro.
Febbraio 6th, 2010 at 7:11 pm
>nessun titolo più grande di nessun titolo
… e Non-Nome più valido di qualsiasi nome !!
😉
🙂
😀
Febbraio 6th, 2010 at 7:16 pm
Amen!
Febbraio 6th, 2010 at 8:10 pm
Mym, ego quoque te absolvo… se dai uno schiaffo al giovane non ti mando all’inferno. Ma se tu rubi senza farti prendere, e io sono già stata presa più di una volta, la tua scelta -perlomeno quella del momento giusto- è stata migliore della mia: hai l’ammirazione di tutti i ladri! Se scelgo di fare il ladro anzi la ladra, sarò condannata dalle persone che non rubano ma non dagli altri ladri! E comunque la mia è stata una scelta “religiosa”, cioè vincolante, che mi obbliga, per ragioni che tu non conosci e che evidentemente per me erano determinanti. A proposito. Quanto contante tieni nel cassetto della scrivania?
Febbraio 6th, 2010 at 8:12 pm
P.S. Quanto sopra non significa che io approvi o apprezzi il ladro: vuol essere un paradosso…
Febbraio 7th, 2010 at 3:04 am
Cheers Maestro!
Ma anche tu ultimamente hai letto l’anticristo di Nietzsche?;)
Scherzi a parte, e me ne scuso, a questo punto non farei che chiudere tutti questi discorsi, per limitarmi alla pubblicazione dei luoghi e giorni in cui sedersi.
Ti chiamo maestro non perchè qualcunque cosa tu dica sia oro colato.. ma perchè che tu voglia o no hai una maestranza maggiore della mia in certe tematiche.
Con affetto,
Rune
Febbraio 7th, 2010 at 11:41 am
L’Anticristo di Nietzsche? No, non sono mai riuscito a leggerlo. Capisco cosa vuoi dire, purtroppo pubblicare solo luoghi e giorni non basterebbe. Siamo animali complicati e anche il mantenere semplici le cose semplici è un affare complicato. Però, soprattutto giocando pulito, è anche abbastanza divertente, no? Ciao, mym
PS: per la tua (e la sua) “salute” ti consiglio di non chiamare nessuno “Maestro”. Tra l’altro, in quest’area, l’ultimo è finito in croce.
Febbraio 8th, 2010 at 12:56 am
L’aspetto interessante di tutta questa faccenda, per quanto mi riguarda, è che; quanto si constata che il re è nudo, tanto tocca imparare a pensare ed agire come un re.
Febbraio 8th, 2010 at 12:16 pm
… che poi è il finale di “1984” di George Orwell.
Il grande Doc con il suo inquietante humour…
Febbraio 8th, 2010 at 12:22 pm
Ho letto col consueto grande interesse la tua pagina e quella di Comolli, senza però riuscire a mettere a fuoco del tutto se tu concordi, e in che misura, con quello che dice lui. In realtà anch’io penso che nei decenni scorsi l’interesse grande per le dottrine orientali sia sorto in gran parte proprio per il loro essere “diverse” rispetto a una cultura cui ci si sentiva vincolati per educazione, tradizione, imposizione, e si voleva rompere con le tradizioni che uno si trovava offerte bell’e pronte e imposte da tutto il “sistema”. Credo che in gran parte, per molti, il fascino dell’esotico prevalesse sulla reale adesione a una dottrina e che, nel Buddismo in particolare, piacesse la mancanza del principio di autorità, dell’essere supremo, di una dottrina particolareggiata che regolasse ogni momento della vita e anche i pensieri. Non per tutti, ovviamente, ma certo per molti il fascino dell’Oriente ha giocato la carta vincente. Questo ora è finito, l’Oriente si è occidentalizzato e la sua voce suona molto simile a quelle che siamo soliti sentire… Cosa ne dici? Ciao. Cristina
Febbraio 8th, 2010 at 12:29 pm
Comolli l’ho citato non per i contenuti ma perché se un autore valdese ha sentito l’esigenza di occuparsi del “problema” vuol dire che il cattivo odore si è sparso ben oltre le stagnanti acque buddiste. All’interno delle quali, invece, pare che si preferisca turarsi il naso piuttosto che scoperchiare il verminaio. Il buddismo non è Oriente, almeno non più di quanto il cristianesimo sia -tout court- Occidente, il fascino anarcoide che si percepiva, perché vi è connaturato, nel buddismo zen, non ha nulla a che fare con l’Oriente, tant’è che Cina prima e Giappone poi hanno ingabbiato lo scugnizzo, temendo facesse guai.
Febbraio 8th, 2010 at 12:45 pm
Ciao,
trovo una certa ripetitività nella tessitura di questo ordito.
Tuttavia, penso che quanto ho letto nell’allegato voglia preludere a un linguaggio diverso da quello ordinario.
Sento che c’è un forte desiderio di non aderire a quella forma a quel linguaggio ritenuti appannaggio di altre storie diverse e lontane dalla nostra non solo geograficamente.
Tuttavia, chi usa un linguaggio ordinario non dovrebbe essere criticato nel senso ordinario del termine, penso che ognuno possa essere libero di parlare la lingua che più gli aggrada o gli corrisponde.
Se uno si sente affine a una modalità esistenziale, quella perseguirà e a nulla serviranno le critiche.
Io ho un figlio di 24 anni e per quanto mi sia sforzato di insegnarlgli a rapportarsi in un certo modo con l’esistenza, lui continua a fare, naturalmente, di testa sua con tutti i pro e i contro del caso. Tuttavia, ho potuto verificare che una possibilità di comunicazione e relazione con lui si produce solo con il mio fare, il mio esempio, quello lo elabora, lo considera, può anche farlo suo, e non quello che dico per quanto realistico e razionale possa essere.
Questo per dire che non credo che il dibattito sulle cosidette “pantomime” possa sortire un qualche effetto positivo ai fini dell’approfondimento del Dharma e dello zazen dalle nostre parti. E in definitiva ripeto, ognuno è libero di adottare il linguaggio che a lui è più affine, se altri lo troveranno adottabile procederanno per il loro cammino…che può darsi non giunga in nessun posto…ma ognuno non può che percorrere il suo karma, anche dentro allo zazen. E lo zazen non è contaminabile nè dagli usi cino-giapponesi, nè dagli usi europei. In definitiva, se non si trova propedeutico aderire a una forma, a una esperienza ritenuta troppo connotata, se la si ritiene un ostacolo sul proprio e altrui cammino realizzativo, l’unica via d’uscita non è provare a cambiare gli altri (impossibile comunque), ma partire sempre da se stessi, vale a dire dare forma ed espressione alla propria modalità religiosa senza curarsi troppo delle pantomime altrui, eterne in ogni modalità vengano