A proposito dei due articoli recentemente apparsi su questo sito riguardo la successione al Dalai Lama (Dalai Lama eletto per sfidare la Cina e Il Dalai Lama: dopo di me basta con le reincarnazioni), M.Y.Marassi ci spedisce questo commento.

Shingatse

E pensare che la reincarnazione con il buddismo non c’entra nulla, o meglio ha finito per entrarci per la forza pervasiva di una credenza antichissima, presente in molte culture orientali e occidentali. Vi è un’ipotesi tra le altre, come riportato qui sotto, che fa risalire la sistemizzazione di tale credenza a Pitagora, e poi -via Mesopotamia- potrebbe essere giunta anche in India. Dove prima ha pervaso l’induismo upanishadico e bramanico e poi il buddismo popolare. Tramite il quale è giunta in Cina senza attecchire e poi in Giappone dove le credenze sciamaniche autoctone l’hanno sempre soverchiata. Infine questa credenza si è “manifestata” in Tibet. Ora, attraversato tutto il mondo, fa “ritorno” in Occidente, come se fosse cultura buddista. In ogni caso, anche in Tibet, l’usanza di educare un bambino ritenendolo l’incarnazione di un lama, è recente rispetto alle origini del buddismo: sono “solo” 800 anni che nel Paese delle Nevi si è istaurata questa scelta di trasmissione dell’autorità, del carisma e del sapere da una generazione all’altra, mentre il buddismo è nato ben 1700 anni prima che questo suggestivo costume si manifestasse: un tempo troppo lungo per poter ipotizzare una comparsa tardiva di un elemento così importante e già presente. Eppure oggi in Occidente, anche tra gli stessi buddisti, l’idea che la reincarnazione sia parte della cultura buddista è una certezza consolidata.

Federico Rampini (I kamikaze non volevano morire, La Repubblica 17 sett. 2006) che pur ha accumulato una notevole esperienza dell’Oriente, scrive: «Nella versione nipponica del buddismo è scomparsa da tempo la fede nella reincarnazione» dando per scontato in modo così certo che nel buddismo quella fede “c’è” che laddove non ci sia questo è perché col tempo è scomparsa, non perché non ci sia mai stata.

A ben vedere non è un grosso problema: sia che viga la teoria che la reincarnazione sia un fatto, una realtà, sia che viga la teoria che si tratti di fantasia, certo è che v’è nascita, che v’è vecchiezza, che v’è morte, che vi sono pene, lamenti, dolore disperazione e mancanza di serenità. Affermare o negare tali teorie non è salutare, non appartiene ai fondamenti della vita religiosa, non conduce al sereno disincanto, al distacco, alla cessazione del dolore, alla pace alla conoscenza, al risveglio…

  • Penso possa essere utile considerare le seguenti citazioni:

\- Alan Coates Bouquet, Breve storia delle religioni, Mondadori, Milano 19944, p.41:

«Pare che i primi uomini facessero poche distinzioni fra se stessi e i loro cugini mammiferi, rettili e uccelli, e questa è la spiegazione più logica […] anche della fede nella trasmigrazione delle anime […]. Si suppone che quest’ultima dottrina in India sia il retaggio dei non-Ariani(*) dato che non se ne trova menzione nella parte più antica dei Veda, né traspare dalle mitologie nordiche europee. Si dice, per la verità, che non fosse ignota al druidismo, ma probabilmente, ciò fu dovuto a qualche infiltrazione lungo il Mediterraneo, dall’Asia Minore, in cui era certamente nota attraverso l’insegnamento di Pitagora; oppure si trattò di un residuo dell’antichissima cultura che precedette la conquista della zona mediterranea da parte degli Ariani. In India, probabilmente, essa non fu una scoperta dei Dravidi, ma forse fu passata agli invasori dagli australoidi che li precedettero».

(*) Con “Ariani”, secondo gli studi più recenti, intendiamo non una particolare razza di uomini o un popolo comparso dal nulla, ma invasori provenienti con ogni probabilità dalla Mesopotamia, gli arii: «da antico indiano aríh “straniero” e derivati infine dalla stessa base del latino alius» cfr. Giovanni Semerano, Le origini della cultura europea, Leo S. Olschki Editore, Firenze 20022, vol.I, 657.

\- Philippe Cornu, Dizionario del Buddhismo, Bruno Mondadori, Milano 2003, p.685:

«La credenza nella reincarnazione […] è contraria al punto di vista buddista. Il “sé” individuale, infatti, esiste solo dipendentemente dai cinque aggregati della persona, i quali sono a loro volta fenomeni composti e impermanenti, dunque soggetti a distruzione. Gli aggregati di una data vita […] si disgregano alla morte […] non vi è alcun supporto tangibile per l’esistenza di un “sé” permanente che passi da una vita all’altra. Non è quindi la stessa persona a fare ritorno».

\- Sarvepalli Radhakrishnan, La filosofia indiana, ed. Āśram Vidyā, Roma 1998, vol.I, p.124:

«I Brāhmana [una delle quattro partizioni dei Veda] contengono tutti gli spunti necessari per lo sviluppo della dottrina della rinascita. Essi sono comunque solo dei semplici suggerimenti, mentre il motivo dominante è quello dell’immortalità individuale: saranno le Upanişad a sviluppare tali suggerimenti nella dottrina della rinascita. […] Le concezioni riguardanti il karma e la rinascita sono indiscutibilmente frutto del pensiero ariano»

\- M.Anesaki, alla voce “Trasmigration (Buddhist)” in: The Buddhists. Encyclopaedia of Buddhism, a c. di Subodh Kapoor, Cosmo Publications, New Delhi 2001, vol.V, p.1451:

«Dottrinalmente il Buddhismo non insegna né l’esistenza dell’anima né la sua trasmigrazione [in successive incarnazioni], ma insiste sulla trasformazione dinamica, o “flusso”, (samsāra), di esistenze. Tuttavia, nella sua influenza sul pensiero popolare questa dottrina è assimilata a ogni altra dottrina sulla trasmigrazione».

mym