A metà ottobre, organizzato dall’Ufficio Europeo del Soto Zen, si è svolto alla Gendronnière, un castello tra i boschi presso Blois, il seminario dedicato alle prospettive dello zen -in particolare il Soto Zen- in Europa. È la prima volta che ciò accade: i seminari del Soto Zen sino ad ora erano stati dedicati allo studio dei riti e delle cerimonie canoniche, in particolare le ordinazioni di vario livello. Da questo punto di vista, quindi, vi è certamente uno sviluppo, una

differenza marcata con il passato. Le relazioni seminariali sono state tenute da Pierre Dōkan Crepon (1° da sin. nella foto), francese, responsabile del tempio Kokaiji a Vannes e proprietario direttore della casa editrice Editions Sully. Da Fausto Taiten Guareschi (4° dall’alto), italiano, rsponsabile del monastero Fudenji. Da Eric Rommeluère (2° da sin.), francese, per lungo tempo responsabile di un centro zen a Parigi, ora in una fase di riflessione. Da Isshō Fujita (1° a dx), già monaco residente di Antaiji, poi responsabile del Valley Zendo in Massachussets, attualmente responsabile del Soto Zen International Center di San Francisco. Da Carl Bielefeld, professore di buddismo dell’Estremo Oriente (in particolare Dōgen, di cui è uno specialista) presso l’Università di Stanford e responsabile del Soto Zen Text Project. La cosa, difficile da concepire e ancor più da organizzare soprattutto per la deriva creatasi in anni di consuetudini e per l’impossibilità di far parlare tutti creando perciò disparità e mugugni, fu mirabilmente organizzata da Jisō Forzani (al centro, in piedi), direttore dell’Ufficio Europeo; ecco il suo discorso introduttivo. Dell’evento vi offriamo alcune valutazioni dopo un sunto, in francese, delle 5 relazioni, un’analisi approfondita -vera e propria controrelazione- in spagnolo, e qui a seguire la mia breve opinione sull’insieme.

Considerazioni sul seminario presso la Gendronniére del 16-17 ottobre 2010

A poco a poco si chiariscono le aspettative secondo le quali ognuno vorrebbe che…

il buddismo zen si sviluppasse in Europa. Da un lato l’esigenza di sicurezza spinge affinché l’Istituzione tutto abbracci e contenga. Dall’altro, la manifestazione normalmente anarchica dell’uomo dello spirito.
Storicamente lo zen nasce e si rigenera come espressione di libertà, priva di contenitore regolato. Non è obbligatorio che si riconosca per sempre neppure nel buddismo. Per ora è così, domani chissà.
Vi è molto da imparare e nulla da insegnare, l’Istituzione può sussistere sensatamente purché non valichi questo limite. Se tenta di superarlo, allora deve rinunciare all’appellativo di “buddista” e ancor più a quello di “zen”, affinché i nomi mantengano un legame con le cose. Se invece pretenderà di possedere lo stampo delle inesistenti chiavi del senso mantenendo un nome -a quel punto- falso, sarà abbandonata; inutile carcassa che trascina i suoi anni blandita dagli inconsapevoli.

mym