Giangiorgio Pasqualotto, che da ieri 7 ottobre non è più con noi, è uno dei pochi filosofi italiani, forse il primo, ad aver aperto la mente, indirizzato gli studi e intrecciato la pratica filosofica con apporti decisivi del pensiero Orientale, dove l’arte, la filosofia, la religione, i suoi territori amati, non sono ambiti separati da netti confini di pertinenza ma elementi di un unico vivace panorama.

Professore ordinario di Estetica all’Università di Padova, quindi di Storia della Filosofia e Storia della Filosofia Buddhista (una cattedra più unica che rara nel panorama accademico italiano) ha concepito l’insegnamento come una manifestazione di amicizia intellettuale circolare, fra insegnante e allievi, nel rispetto dei ruoli e della comune passione. Ne fa fede l’Alfabeto filosofico (Venezia 2018) che, nato da lezioni e conversazioni con gli studenti, propone un accostamento alla filosofia non tanto tramite lo studio di pensieri altrui quanto fornendo spunti e punti di riferimento intellettuali a pensare in proprio. Fra le sue numerose pubblicazioni Illuminismo e illuminazione (Venezia 1997) accosta alcuni temi forti del pensiero filosofico Occidentale ai punti cardinali dell’insegnamento tradizionale del Buddha; mentre Taccuino giapponese (Udine 2002) è un vivido diario di viaggio fra templi, estetica raffinata, echi zen e natura giapponese. Fra i fondatori dell’associazione Maitreya di Venezia per lo studio della cultura buddhista e presidente della Scuola Superiore di Filosofia orientale e comparativa di Rimini, Giangiorgio Pasqualotto è stato un pioniere gentile, amico sincero e partecipe del nascente movimento buddista italiano, armato solo di coraggio intellettuale, laica simpatia e senso della misura.