Gennaio 2020


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Dalla Lettera agli amici, Qîqājôn di Bose: «Guardando ai nostri giorni e, in particolare, all’ultimo anno trascorso, noi vediamo il dilagare dell’odio nei comportamenti e a livello verbale, sui social come nelle conversazioni quotidiane, vediamo un inumano che si fa strada tanto nelle relazioni quotidiane, quanto nelle politiche: stiamo vivendo tempi cattivi, in cui quasi ci sa fa un vanto della cattiveria.
Quasi si rivendica un diritto alla cattiveria. Da politiche di respingimento nei confronti di migranti, a impedimento a soccorrere in mare chi è in difficoltà e rischia la morte, a episodi odiosi di violenza e intolleranza verso stranieri braccianti che lavorano per pochi soldi nelle campagne del nostro Meridione, tanti sono i gesti di cattiveria e inumanità che colorano di tinte tenebrose i nostri giorni e riguardano governi nazionali e singoli cittadini, financo ragazzi e adolescenti che crescono nell’insegnamento del disprezzo verso il povero e lo straniero.
Vediamo aumentare esponenzialmente gli episodi di intolleranza xenofoba e le violenze di chiara impronta fascista e razzista ad opera sì di frange minoritarie, che tuttavia sentono, da un lato, di poter godere della comprensione e del supporto di una fetta consistente della popolazione, dall’altro, di essere legittimati da discorsi e atteggiamenti di responsabili della cosa pubblica. Potremmo dire: da responsabili irresponsabili. Perfino alcuni amministratori pubblici locali hanno attuato disposizioni discriminatorie nei confronti dei non italiani, palesemente in contrasto non solo con l’etica cristiana ma anche con il dettato costituzionale… »

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Per alcuni motivi antropologici, storici e testuali, nella scuola zen in generale e in questo blog in particolare, poco o nulla si parla dei precetti, delle regole che per secoli hanno governato la vita dei monasteri buddisti. Lo zen ha contribuito alla nascita del ’68 americano, dove libertà e trasgressione erano concetti paralleli e positivi. In passato, in Cina, la trasmissione delle norme mahayana è avvenuta, anche, attraverso prese di posizioni politiche e poi sovrapponendo varie opere (in particolare il Brahmajāla Sūtra, Sūtra della rete di Brahmā, probabile apocrifo cinese del V secolo) al vinaya dei Dharmaguptaka scelto dall’Impero di Mezzo come unico codice monastico per tutte le Scuole buddiste. Con conseguenti ricadute, quindi, in Corea, Giappone e Vietnam. Watanabe roshi, con una concisione pari alla sua non-simpatia per le regole ufficiali, soleva dire: «Fate nel modo migliore, per piacere». In Cina, in passato, vi fu chi riassunse la questione dicendo: «Non fare alcun male, attentamente praticare ogni atto di bene». In India, la stessa visuale già compare nel Dhammapada (116): «Si deve essere rapidi nel bene, dal male si deve ritrarre la mente. Se qualcuno compie il bene in ritardo, la sua mente si diletta nel male». Certo, i casi particolari sembrano confondere e perciò, su quelle basi, sono nate le centinaia di indicazioni riferite ad ogni singolo caso, per i monaci e per le monache. Vi presentiamo qui due lavori riassuntivi di questa complessa materia. Il primo, ampio e articolato, ad opera di Charlie Korin Pokorny, monaco americano del Soto zen, e il secondo, più riassuntivo, ad opera di Pedro Aigo Seiga Castro, monaco spagnolo del Soto zen.