Novembre 2011


È tornato! L’unico, vero, inimitabile Buddazot. L’unico fumetto del web certificato come buddista. Perché? Aaaah, cari miei: perché Buddazot è tutto tutto niente niente.
Ed ecco a voi il Buddazot n° 18, il dhamma della pazienza (paziente fermezza?) senza il buonismo italico 🙂
Grazie Doc!

La forza della pazienza
è la risorsa degli esseri nobili:

possono venire incatenati,
sopportare attacchi fisici e verbali
senza abbandonarsi alla rabbia.

Dhammapada, 399

L’impulso moraleggiante dentro di noi va domato. Più siamo intelligenti, più dobbiamo essere cauti. Più la nostra parola è eloquente, più abbiamo bisogno di contenimento. Solo quando sappiamo di poter dire “no” a noi stessi, quando sappiamo di non dover sempre essere il vincitore possiamo apprezzare il potere trasformante della paziente tolleranza.

Con metta
Bhikkhu Munindo

(Ringraziamenti a Chandra per la traduzione)

Vi sono libri che nel “nostro ambiente” cadono come sassolini in uno stagno e sollevano onde che, raggiunte le sponde, tornano varie volte a manifestare quell’emergere del pensiero che chiamiamo interesse. Il libro di Paul Knitter Senza Buddha non potrei essere cristiano è uno di questi. Lo dimostra lo spazio che si è conquistato tra queste pagine, con le centinaia di commenti -anche aspri- che ha suscitato ed ora anche

con questo nuovo scritto che vi propongo, ad opera di aa. Dove però commentare il testo di Knitter è anche l’inizio di un percorso personale, la testimonianza di un cristianesimo che trova ossigeno nel buddismo, in particolare nello zazen. Aa evidenzia una differenza tra cristianesimo e buddismo da un punto di vista insolito. Di Gotama, dice aa, almeno a livello di leggenda agiografica, si conosce, si sa come e perché secondo quale percorso sia “diventato” (le virgolette son mie…) il Buddha. Invece non sappiamo secondo quale percorso Gesù divenne il Cristo.
Qui sotto, a seguire, trovate il testo completo di aa, che in pdf trovate anche qui

Di non solo Zazen

Il titolo del libro di Knitter Senza Buddha non potrei essere Cristiano (ed. Fazi, Roma, 2011) è forte, provocatorio, forse anche paradossale. Colpisce soprattutto l’accostamento tra il Buddha

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Come abbiamo annunciato nei

Crema - Via XX Settembre

Crema - Via XX Settembre

post precedenti, nei giorni scorsi si sono svolti due eventi nei quali la Stella ha dato il suo contributo: il primo ad Assisi, dedicato a Raimon Panikkar ed il secondo a Crema dedicato all’attenzione nei confronti di chi vede la fine della propria vita avvicinarsi a velocità crescente.
Trovate qui l’intervento di Jiso ad Assisi e qui l’intervento di Paolo a Crema. Ambedue gli argomenti, e gli interventi che li interpretano, sono interessanti. L’accostamento tra zazen e capacità di vita che comprende la morte non è una novità assoluta. In Giappone, nell’XI e XII secolo molti tra i samurai stabilirono legami stabili con lo zazen e con lo zen di scuola Rinzai. In quel caso però possiamo parlare, penso, di una situazione particolare: per “mestiere” i samurai ponevano la loro vita in gioco in combattimenti spesso mortali per cui lo zazen era un ponte attraverso il quale avventurarsi lasciandosi alle spalle la paura della morte. Al convegno di Crema, invece, Paolo pone il problema in termini più ampi, così come è ampia la platea di coloro che sanno che moriranno. Un altro punto che emerge in quell’intervento, anch’esso non per la prima volta, è l’ipotesi di uno zazen completamente slegato dal terreno buddista nel quale è stato allevato. Penso sia un aspetto da approfondire, quantomeno la domanda: che cos’è lo zazen privo di un retroterra buddista?
Il convegno di Assisi, invece, era dedicato a Panikkar: penso sia giunto il tempo di iniziare un esame della vita e delle opere di quell’uomo distinguendo l’aspetto meramente culturale e quello religioso, o con altre parole: distinguere l’uomo dai suoi libri. Soprattutto con occhi liberi da una scontata apologetica. L’intervento di Jiso, esteta nella parola, è un primo piccolo passo in quella direzione.

C
ome promesso, ecco una nuova visitazione del libro di padre Tiziano Tosolini, giovane missionario saveriano, ora in Giappone. Diciamo subito che il libro val davvero la fatica d’esser letto con attenzione, anche se non tutti i motivi che mi spingono a dirlo sono di apprezzamento per il suo contenuto. È ben scritto, documentato sui vari aspetti della vita di un popolo e la sua storia. È un testo complesso, articolato, con un ottimo lessico, vario, dove religione, antropologia, psicologia e

sociologia si equilibrano e si intrecciano. Il Giappone ed i suoi abitanti vi sono rappresentati con occhio attento, seppure questa attenzione a volte si arresti, non giunga sino in fondo. In ogni caso la quantità di spazio che vi stiamo dedicando testimonia, penso, del fatto che non si tratti di un libro irrilevante. Trovate qui l’articolo che state leggendo in formato pdf, completo delle note che non hanno trovato posto nel testo che segue.
Il punto di maggior criticità -ed anche l’unico sul quale mi soffermerò- è quello che riguarda l’atteggiamento di padre Tosolini (d’ora in poi p. T.) nei confronti del buddismo e del “dialogo” religioso. Usando alcuni degli esempi possibili mi servirò delle sue parole per spiegare ciò che voglio dire; sono cosciente che citare un testo puntando il dito è spiacevole: me ne scuso con l’Autore e con i lettori, ma con questo mezzo di comunicazione mi sarebbe molto difficile operare diversamente.
Cominciamo non dall’inizio ma da p. 73, dove p. T. cita una frase del Prajñāpāramitāhṛdayasūtra, noto come Sutra del cuore. Non importa che consideri scritta in giapponese la versione citata quando è invece scritta in cinese…

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Sono periodi molto pieni di iniziative e la Stella non si nega: è presente e viva e il suon di lei questa volta è affidato a Paolo Sacchi, sul blog meglio noto come “Doc”. Il tema è di quelli da far tremare i polsi, ed anche il resto. Si parla, pudicamente, di “fine vita” e di come accompagnar color che se ne vanno.

Se potessi scegliere vorrei che nei momenti cruciali vi fosse chi, gentilmente, mi porgesse un bicchier d’acqua (morire mette sete, si sa) e mi ricordasse che
Ma, certamente, vi sono casi in cui tutto questo non basta ed esser quello a cui è affidato lo star con qualcuno che improvvisamente scompare, definitivamente, per sempre, non è facile: non si può recitare una lezione imparata a memoria.

dunque ignorava che quando a questo mondo ci si univa,
ciò avveniva per un tempo breve, breve, breve,
che non si intendeva come si fosse arrivati a darsi del tu
dopo non essersi conosciuti per un tempo infinito
e pronti a non rivedersi mai più per un altro infinito tempo
.

(Italo Svevo, La coscienza di Zeno)

Qui, il programma completo (absit iniuria verbis…)

Vi sono luoghi dove più forte risuona il richiamo del mistero. Assisi è uno di questi. Purtroppo quel richiamo è da tempo coperto da altri suoni: la cittadina medioevale è stata trasformata nel palcoscenico di una rappresentazione mondiale a cui il nome del luogo -sorretto sullo sfondo da Francesco- continua a dare una

sorta di imprimatur, di sacralità speciale. Il valore aggiunto del Poverello, si potrebbe dire. Recentemente c’era Benedetto XVI, l’erede di Pietro, col treno speciale, assieme a tutte le religioni del mondo. Il prossimo fine settimana ci sarà Panikkar, nelle parole a lui dedicate in tre giorni di incontri tra appartenenti alle tre culture religiose di cui quell’uomo era crocevia: cristianesimo, buddismo, induismo.
In tanta assise, poteva mancare la Stella? Sabato 5 novembre, al monastero benedettino di san Giuseppe, Jiso Forzani parlerà sul tema Lo spirito della parola – Panikkar e il rinnovamento della lingua religiosa.