Un’occasione d’incontro tra buddisti e cristiani: sabato 5 marzo nell’eremo camaldolese di Montegiove vi sarà una giornata dedicata ad osservare come cristianesimo e buddismo si siano occupati del problema della sofferenza.

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Secondo la storia del buddismo antico, certamente apocrifa nei fatti ma altrettanto autentica nel senso, il buddismo nasce e si sviluppa proprio in relazione alla sofferenza che affligge ogni essere di questo mondo. La dissoluzione della sofferenza è l’unico scopo dichiarato di questa forma di spiritualità. Non ostante ciò, non vi sono molti testi che si siano dedicati ad esaminare questo problema in modo esplicito.
Soprattutto nell’ambito del buddismo zen, spesso il fine di tutto pare essere, o viene presentato come se fosse, la cosiddetta “illuminazione”: stato particolare e definitivo che, una volta riconosciuto e asseverato con apposito certificato da un altro “illuminato” con certificato, non si perde più, qualsiasi sciocchezza indirizzi la nostra vita.
Ma anche fosse, a che pro? Una volta gonfiato il collo e fatta la ruota per far vedere al dotto pubblico come siamo illuminati, alla fin fine tignola e ruggine consumano mentre malattia vecchiaia e morte regnano indisturbate sul nostro destino.
L’illuminazione non serve a nulla. Grazie al cielo il buddismo si occupa d’altro.
Allora: la sofferenza come ritorno alle origini.
Trovate qui sotto il testo da scaricare, dal titolo: La sofferenza come punto di partenza

Il punto d’arrivo… un’altra volta.