tratto dal libro Il buddismo mahāyāna di M.Y.Marassi, edizioni Marietti

* L’universalità mahāyāna

L’universalismo del buddismo mahāyāna, ovvero il buddismo della comunione universale, prevede il risveglio dell’universo intero grazie al cammino di ogni singolo essere. Questo impone che ogni singolo essere, ogni filo d’erba percorra la via, il cammino del risveglio. Altrimenti la salvezza, la liberazione, il risveglio non è completo per nessuno.

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Nell’insieme di questa visuale è implicitamente espressa una gerarchia che pone al primo posto il dharma[22] e poi chi lo espone, e questa gerarchia è valida anche per il Buddha. A maggior ragione quindi vale per i suoi successori: l’importante, il valore a cui fare riferimento, il tesoro da proteggere è l’insegnamento, l’eterno dharma. Senza il quale il processo non si può mettere in moto.È opportuno notare una interessante differenza tra buddismo e cristianesimo alla quale, soprattutto in passato, i cristiani hanno dato importanza. Il buddismo, affinché sia via efficace di liberazione, ricomincia da capo in ogni uomo e ciascuno è tenuto a partecipare da protagonista ad una salvezza di cui, proprio per questa premessa, gli è affidata la chiave. Parimenti, a mano a mano che i secoli ci separano dall’ultimo che ha ristabilito il cammino, o dharma, questo si affievolisce sino a scomparire al punto che occorre un altro Buddha che lo rigeneri. A causa di tutto ciò è stata applicata al buddismo la definizione di “umanesimo” in contrapposizione al cristianesimo, che è invece religione rivelata da Dio nella quale, secondo una certa visuale, con l’incarnazione della divinità nella persona umana di Gesù, l’uomo è stato salvato una volta per tutte. In qualche modo esautorandolo dalla possibilità di conquistare una salvezza, poiché gli viene offerta gratuitamente, purché vi creda.

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Dal punto di vista complessivo questa puntualizzazione evidenzia sia l’aspetto umano del buddismo sia l’appropriazione di tutto il tempo dell’uomo da parte del cristianesimo, appropriazione che si semplifica nel dividere l’eternità in prima e dopo ponendo in mezzo la figura di Cristo: tutti noi possiamo appartenere solo al dopo. Nel buddismo, al contrario, il prima e il dopo sono secondo un crinale che sta dentro alla storia di ciascun uomo: prima e dopo l’inizio del percorso/risveglio. Perciò se non attivo la pratica del risveglio nella mia vita allora vi è solo il prima, il dopo dipende da me, dal convertire o meno la direzione del mio cuore.Volendo, a sostegno di questa tesi si può anche aggiungere che il Buddha non ha detto, né intendeva dire, la parola definitiva di salvezza. Anzi, secondo un corretto modo di intendere l’insegnamento, il Buddha non ha detto neppure una parola[23] poiché, essendo il vero insegnamento oltre le parole, oltre la sfera del ragionamento, come è ripetutamente affermato per esempio nel Sutra del Loto, nessuna parola lo contiene e perciò nessuna parola del Buddha è afferrabile, identificabile con il suo “vero messaggio”. Non c’è quindi la parola definitiva. La parola che salva[24].

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Penso non vi sia nulla da obiettare a questo distinguo. Aggiungo però che tra i motivi per cui trascorro la mia vita lasciandomi orientare dalla bussola del Buddha piuttosto che da quella di Gesù secondo la lettura che ne dà santa romana chiesa, uno dei più chiari è quello che non ho alcuna propensione all’arruolamento tra i salvati in massa, grazie al battesimo di Cristo e al suo sacrificio sulla croce. Tuttavia, siccome la pratica buddista è la continua, ripetuta immersione nel non alimentare una vita egotica o particolare o individuale affinché un’altra, infinita, si dispieghi accogliendo anche la mia, riconosco che in definitiva anch’io nel mio orgoglioso[25] non arruolarmi non faccio altro che collaborare affinché “sia fatta la Tua volontà” divenga il passo giornaliero della mia vita.

[22] A questo proposito Panikkar compie un parallelo con Origene: «Il Buddha si volge direttamente a quel quarto principio di cui parlava Origene: il Buddha è la rivelazione del sentiero della salvezza, senza addentellati ontologici di nessun tipo» cfr. RAIMON PANIKKAR, Il silenzio di Dio, la risposta del Buddha, cit., 160.

[23] Cfr. La Rivelazione del Buddha, vol. I: I testi antichi, cit., XLVII.

[24] «La differenza col cristianesimo, spiega [Foucaux], non consiste nel fatto che il fine ultimo, secondo il buddismo sarebbe il niente, ma nel fatto che il Buddha, secondo la stessa fede buddista, muore senza aver portato la vera legge di liberazione», cfr. HENRI DE LUBAC, Buddhismo e Occidente, cit., 223 s.

[25] Il termine “orgoglioso” qui è usato in modo scherzoso, paradossale. Panikkar parla di «coscienza della soggettività» e «ciò che ha importanza è la persona concreta e la sua liberazione esistenziale; tutte le idee, non esclusa quella di Dio, sono una specie di rifugio dove l’Uomo ha cercato riparo, perché aveva paura di sé stesso. Il Buddha vuole liberare l’uomo da questi timori» cfr. RAIMON PANIKKAR, Il silenzio di Dio, la risposta del Buddha, cit., 159.

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