One Mind è un documentario di Edward A. Burger del 2016, girato nel monastero chan Zhenru, situato nella provincia di Jiangxi, Repubblica Popolare Cinese. Burger è lo stesso autore di un altro precedente e bellissimo documentario, Amongst White Clouds, the la cui visione è possibile attraverso un link che trovate qui.

L’autore ha vissuto e studiato per oltre 15 anni con le comunità buddiste cinesi e ciò lo ha certamente agevolato nel tratteggiare un fedele ritratto cinematografico della vita all’interno di una delle comunità Zen più austere e rispettate della Cina.

Il documentario offre una visita discreta, un punto di osservazione intimo che è quasi presenza, silenziosa e partecipativa. Le sequenze sono cadenzate su alcune strofe del Gaṇḍavyūhatra (molto popolare in Cina), in particolare, nel momento in cui il protagonista Sudhana incontra Maitreya, il Buddha del futuro, al quale Sudhana chiede di essere guidato verso il risveglio e una conseguente concreta condotta di vita. Questa scelta, di intrecciare il sutra con le immagini riguardanti la vita di una comunità frugale intenta ad edificare proprio quel modo di essere, la trovo una buona soluzione per ricordarci quanto le scritture all’interno dell’esperienza religiosa buddista siano una forma di testimonianza che assume senso solo nel momento in cui si fanno quotidiano e intimo progetto di vita. E questo fa anche sì che il film in oggetto non sia un film sul buddismo bensì un film buddista, come auspicato dall’autore.

L’ atmosfera di quieta contemplazione la si deve pure ai tanti momenti di silenzio che le sequenze ci offrono attraverso la visione, spogliata di elementi edulcoranti, di una realtà colta nei dettagli che efficacemente esprimono il limpido manifestarsi e divenire di quella stessa realtà nella sua coralità, e in cui la presenza umana si inserisce con armonia e cura.

Personalmente, la visione di questo documentario non poteva non evocarmi, per contrasto, le immagini di alcuni monasteri giapponesi, e occidentali che dei primi tentano di riprodurne fedelmente la mise en scène. Un carattere giapponese cui, nella vulgata versio, istintivamente si associa in esclusiva lo zazen. Ebbene quei monasteri brillano per pulizia e arredi pregiati, vesti svolazzanti e gerarchie umane subito evidenti; ambienti e modi raffinati che ovviamente non sono un male di per sé, ma certo offuscano l’essenza di un’esperienza religiosa mistica, come è quella dello zazen, che mi pare possibile solo al nostro farci da parte.

Nel film di Burger invece non ho riscontrato alcuna eccentricità, o almeno così mi pare, se non quella del bue ribelle che scorazza nelle foreste (della nostra mente), e che appare in alcune scene molto belle del documentario.

Infine segnalo, oltre la bella qualità e composizione delle immagini, le scelte sonore che accompagnano le stesse: suoni della natura, dei fenomeni atmosferici che si fondono con quelli delle umane attività, ma anche quelli, forse più artificiali, che ci accompagnano mentre ci accomiatiamo dal monastero, scena che ho trovato molto potente.

Concludo invitandovi a visitare il sito della Commonfolk films dove avrete la possibilità di vedere il film in streaming e trovare altro materiale inerente al tema, tra cui una breve intervista all’autore Edward A. Burger.

AdO

A film by Edward A. Burger / 2016 / filmed in Jiangxi Province, China / 81 minutes / 16:9 widescreen / Mandarin with English subtitles

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