* Alcune considerazioni sul film L’arpa birmana, di Kon Ichikawa (Yamada Uji), 1956.
È un film pervaso da una grande religiosità, a partire dall’atteggiamento del regista che tenta, in parte con successo, di rappresentare con equilibrio un episodio dell’epilogo dell’aggressione giapponese in Birmania. Tuttavia i temi religiosi sono due, intrecciati, per cui è bene distinguerli per non confonderli. Il più evidente discende dal luogo geografico nel quale si svolge la vicenda, riassunto nelle poche parole del monaco buddista che cura il soldato ferito: «Tutto è vano […] la Birmania era ed è rimasta la Birmania. Un Paese dove sempre rimane Dio». Questo nel doppiaggio in italiano. Però i sottotitoli in giapponese (il monaco sta parlando birmano…) della frase finale di quella scena sono:
«» cioè «La Birmania è patria del Buddha». Il significato di questa frase è rappresentato dall’atteggiamento di tutta la popolazione birmana, compassionevole, amichevole, pacifica, intenta. Esemplificata dalla anziana signora che scambia doni con i soldati. Il buddismo è lo sfondo del film.
In quel mare si tuffa il soldato convertito. Ma qui inizia l’intreccio con l’altro tema: lo “spirito” giapponese. L’intero film, visto da questo lato, è un affresco della parte più pura dell’identità spirituale giapponese. Qualche cosa di così profondo e potente da costituire una pre condizione anche nel momento in cui i giapponesi si rivolgono ad una religione o un’altra. Ed infatti questa appartenenza non cessa anche quando il suonatore d’arpa si spoglia di tutto e per gradi diviene monaco errante. Infine il suo voto di dedizione è sì un atteggiamento di servizio e di completa donazione alla compassione, ma questo atto di devozione viene prima stimolato da e poi indirizzato verso i morti giapponesi. Non tutti i morti, non tutte le vittime della guerra -che, non dimentichiamolo, i giapponesi hanno portato in quelle terre pacifiche- ma coloro che condividono con lui anche da morti la “patria spirituale”. Questa chiave di lettura unifica il comportamento del soldato/monaco, quello del suo comandante e dei suoi compagni che lo cercano per farlo rientrare nel gruppo di appartenenza, quello del comandante del distaccamento che preferisce morire con tutti i suoi soldati piuttosto che arrendersi: anche questi, secondo una diversa angolatura, in modo sconosciuto da tutti e sacrificando la vita, operano come gli altri per lo spirito di Yamato, lo spirito del Giappone.
2 Responses to “L’arpa birmana”
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Maggio 5th, 2006 at 9:36 am
Nel commento all’”Arpa Birmana” mi pare sia necessaria una chiarificazione.
Dapprima mym scrive:
e via col primo tema che è quello della religiosità Birmana. OK
Poi, il secondo tema è introdotto dalla frase:
che, come si evince proseguendo nella lettura, è qualcosa di profondamente settario, nazionalistico. Ed il ragionamento è sviluppato senza capovolgimenti dialettici.
Ora, secondo me, dovrebbe essere spiegato meglio cosa ci sia di ‘religioso’ in una visione profondamente settaria e nazionalistica della vita e della morte (perché di ciò si parla nel film); o almeno quale uso viene fatto in questo contesto del termine ‘religioso’.
Il tema è probabilmente interessante, ma detto così non posso che trovarmi in disaccordo.
Maggio 8th, 2006 at 11:49 pm
Il tema proposto da Paolo è interessante e complesso. Prima o poi occorrerà occuparsene in modo sistematico perché le implicazioni particolari (influenza diretta sul buddismo giapponese e perciò anche sullo Zen) e generali (concetto di religione) sono tutte in gioco ed hanno una valenza che non deve essere ignorata…
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