(Scontro di civiltà o…)

V. Disarmo o barbarie

Purtroppo le religioni non paiono attualmente svolgere la loro funzione di testimonianza della possibilità concreta del disarmo, anzi. Dietro allo spauracchio dello scontro di civiltà, spesso si agitano fantasmi religiosi. Si rivendicano identità religiose non negoziabili, al punto di giustificare eventualmente anche il ricorso alle armi per difenderle (magari preventivamente) contro l’aggressione da parte di altre identità religiose non negoziabili. Ma la religione non ha il compito di difendere identità non negoziabili: deve semmai testimoniare l’apertura verso un’identità umanamente impensabile. La religione non ha il compito di detenere la verità, di imporre l’esclusiva sulle verità: una verità col copyright, per sublime che sia il detentore del marchio, è comunque una verità relativa.

Inoltre oggi non siamo più ai tempi delle crociate. Oggi giocare alla guerra non vuol dire più solo aprire ferita nel corpo dell’umanità (che dovrebbe comunque essere intollerabile dal punto di vista religioso) può voler dire ucciderla. Il fatto che ci sia, teoricamente concreta, la possibilità di distruggere con i mezzi bellici già a disposizione, la terra e il genere umano, disegna uno scenario del tutto nuovo, che mai si era verificato prima: e quando una possibilità diventa realisticamente realizzabile, le probabilità che si realizzi tendono al 100%, a meno che non si opti per un’altra possibilità altrettanto significativa. La risposta dunque non può che essere una risposta nuova, impensabile e inaudita prima.
Il disarmo, appunto, unilaterale e incondizionato.
Non importa ciò che fanno gli altri, importa cosa faccio io.
Solo testimoniando io, con la mia persona, con la mia prassi, la novità inaudita, posso sperare che anche l’altro l’intenda.

Forse oggi Gesù non si chiederebbe più “Ma il Figliol dell’Uomo quando tornerà troverà la fede sulla terra” (interrogativo già abbastanza inquietante) ma si chiederebbe “Ma il Figliol dell’Uomo, quando tornerà, troverà l’uomo sulla terra?” – interrogativo, in un certo senso, ancor più inquietante.

Guai dunque a fornire alibi religioso alle farneticazioni sullo scontro di civiltà. E’ ciò che di meno religioso si possa fare, perché l’identità che la religione indica come vera non è proprietà privata da difendere, territorio geografico e culturale da recintare, fisionomia granitica da proteggere dalle intemperie del mutamento, dell’incontro, della contaminazione. La purezza identitaria è una mistificazione culturale anche per quello che riguarda la religione.

L’alternativa è dunque fra due orientamenti della stessa civiltà, non fra civiltà contrapposte. L’esito sarà comunque lo stesso: né vincitori né vinti. E’ da scegliere se ciò debba accadere perché saremo tutti perdenti, o perché abbandoniamo la logica della guerra e pace, della vittoria e della sconfitte, del conflitto permanente. Il disarmo religioso si situa proprio qui, dove vittoria e sconfitta, perdita e guadagno non fanno presa.

Ma non c’è motivo di soverchia speranza. E’ ben possibile, perché è sempre avvenuto, che qualche isolato profeta, qualche singolo pazzo, qualche stanco solitario viandante proclami e pratichi il disarmo nel deserto affollato. Rischiano, purtroppo, di essere solo fatti suoi. L’unica possibilità, a quel che vedo, di evitare il disastro è che lo spirito religioso, che qui ho indicato come spirito disarmato, invece di scontrarsi o farsi corrompere dalla prosopopea dominatrice e opprimente della cultura occidentale, ormai unica e globale, si incontri e si accoppi con un’idea gracile ma vivace, che in quella stessa cultura serpeggia, e la fecondi. Noi, come occidente, abbiamo percorso un curioso tragitto, che ci consegna una responsabilità molto particolare. Abbiamo preparato, e gustato, e fatto assaggiare in giro, un cocktail imprevedibile di filosofia greca, diritto romano, religione mediorientale, mentalità scientifica, individualismo illuminista, internazionalismo socialista, capitalismo liberale e chissà che altro ancora che ci ha dato un’ebbrezza tutta da verificare: che sia possibile percorrere un percorso, già dischiuso e ancora da inventare, spirituale e intellettuale, individuale e sociale, economico e politico, finora storicamente inconcepibile nella sua ovvietà: creare una sensibilità umana diffusa per la quale ciascuno si senta, a fondamento della propria identità, coabitante del mondo, compartecipe del destino dei propri simili e dei propri dissimili, ovunque essi siano e qualunque cosa pensino, corresponsabile della vita sulla terra di tutti terrestri, quale che sia il regno naturale cui li si voglia iscrivere: e si comporti di conseguenza.

Auguriamoci di essere all’altezza della responsabilità che ci siamo cuciti addosso e che, invece di continuare nei secoli a vaneggiare di scontri di civiltà, ci convertiamo nel nostro cuore al disarmo cui la nostra stessa mortalità, individuale e collettiva, naturalmente ci consegna.

Urbino, Aprile 2006

Giuseppe Jisō Forzani

Terza parte

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