Si presentarono un giorno a Paride, figlio di Priamo re di Troia, tre dee in splendido aspetto umano, chiedendogli di dirimere una terribile contesa sorta tra loro su chi fosse la più bella; per indurlo a designare proprio lei, ciascuna gli prospettò la ricompensa di una allettante tangente: Era promise il dominio dell’Asia, Atena l’invincibilità in guerra, Afrodite il possesso della donna più bella.

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Il giovane e ardente principe scelse quest’ultima e riscosse il suo premio: in visita a Menelao re di Sparta, affascinato dalla moglie di questi Elena e da lei ricambiato, la portò con sé dando così il via alla guerra vendicatrice che tutti i re achei, sdegnati per l’affronto arrecato al sacro diritto dell’ospitalità, mossero contro Troia.

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Nell’Iliade, la voce più antica (1) giunta dal mondo greco fino a noi, Omero, il poeta dell’ira di Achille, fa seguire il nome di Elena dagli appellativi “bianche braccia”, “divina tra le donne”, “lungo peplo”: sono topoi, cioè espressioni ricorrenti facenti parte di un formulario che gli aedi, i cantori professionisti, si trasmettevano di generazione in generazione insieme al materiale narrativo col quale costituivano un tutt’uno. Ma l’ammirazione per la bellezza di Elena travalica ogni formula nelle parole che i vecchi nobili d’Ilio, non più abili alla guerra, si scambiano con voce sommessa al suo passaggio:
“Non è vergogna che Troiani e Achei dai begli schinieri per una tale donna soffrano dolori per lungo tempo: terribilmente è simile, alla vista, alle dee immortali” (Iliade III, 156 – 60).
Secoli dopo, nell’Atene del quinto secolo e quindi in un ambito culturale profondamente trasformatosi rispetto a quello arcaico in cui era fiorita la poesia epica, il poeta tragico Eschilo fa balenare l’immagine di Elena tra gli orrori dei fatti già vissuti e quelli angosciosamente presentiti, come

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“…impressione di mare tranquillo senza vento, quieta immagine di gioiello prezioso, molle dardo degli occhi, fior di desiderio che morde il cuore” (Agamennone vv739 – 44).
Invece la donna che con tale aura comparve ad Ilio minacciava rovina già col nome assegnatole da “qualcuno che con preveggenza del futuro colse nel segno con la parola: Elena (2) (…) distruzione di navi, distruzione di uomini e città” (Agam. 685 – 90); e già essa, abbandonando la città di Sparta e la casa del marito Menelao, ai suoi concittadini e a tutti i Greci “lasciando tumulti armati di scudo, e insidie, e flotte di navi in armi, portando ad Ilio morte invece di dote, varcò agilmente le porte osando il non osabile” (Agam. vv403 –8).

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Ma nella misura in cui poco possono decidere i mortali sulla propria vita retta dagli dei, a loro volta inferiori al Destino, Elena è innocente dei lutti che in nome suo i guerrieri hanno causato da una parte e dall’altra. E’ il re Priamo stesso ad assolverla, il padre di quel Paride che indusse la donna a seguirlo a Troia attirando sulla città le schiere dell’esercito vendicatore:
“Figlia mia, per me non tu sei in qualcosa colpevole: gli dei sono colpevoli, che mossero contro di me la guerra dei Danai, causa di molte lacrime” (Iliade, vv164 – 65).

E neppure c’è colpa alcuna in Elena nell’interpretazione di Saffo (II metà VII sec. a.C.), che anzi fa di essa il simbolo della potenza invincibile della dea Afrodite:
“…quella che molto superava in bellezza ogni essere umano, Elena, lasciando il marito più nobile, navigando andò a Troia e non si ricordò per niente della figlia né dei cari genitori, ma Cipride (id: Afrodite) la condusse..” (Saffo, 16 V.).

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Qui la vicenda è restituita al suo primitivo ruolo sacrale, simbolo del significato religioso dell’amore ispirato da Afrodite e la donna, non più vittima né responsabile, è anzi la prediletta della dea e perciò a lei va ammirazione piuttosto che biasimo o compianto.

1) La prima strutturazione narrativa del poema risale probabilmente a un periodo attorno alla metà dell’VIII secolo a.C.; la questione è ampia e complessa, poco pertinente in questa sede. Nella tradizione orale, i racconti riguardanti la guerra di Troia avevano origini molto più lontane.
2) Eschilo collega il nome Elena alla radice el- “prendere” e, per estensione, “distruggere, rovinare”. Naus è la “nave”.

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