In merito al titolo 普勧坐禅儀 – Fu kan zazen gi – un paio di precisazioni appaiono utili, se non necessarie. In precedenti occasioni abbiamo tradotto l’intero titolo con “La forma dello zazen che è invito universale”: ora è bene rendere conto del perché di quella scelta, affinché conservi, se è il caso, la sua validità. Vediamo prima le singole parole e poi la frase nel suo insieme. 普勧Fu Kan – è ciò che è stato reso con “invito universale” e la traduzione ci sta, a patto, crediamo oggi, di inquadrare il senso con cui si utilizza il lemma “universale”, parola attualmente di uso comune quanto polivalente. Fu – sta a indicare “ampiezza – generalità”: nel giapponese moderno si usa, ad esempio, abbinato ad altro ideogramma, per dire “comune, usuale (futsū普通)” oppure “onnipresenza, universalità (fuhensei普遍性). Kan – sta a indicare “incoraggiamento, raccomandazione”: oggi si usa, ad esempio, nella parola “stimolo, incoraggiamento (kanshō勧奨)” o anche “persuasione, invito (kanyū 勧誘)”. Fukan è dunque invito ampio, raccomandazione rivolta alla generalità. Zazen lo lasciamo lì dov’è e com’è. Gi (pron. it. Ghi di ghiro) è stato reso con “forma” dopo non breve riflessione: è utilizzabile a patto di chiarire di che genere di forma si tratta. Il senso letterale del termine è “rito”, “modello”, “standard di comportamento”: ritroviamo l’ideogramma in molte parole, fra cui “gishiki儀式 – cerimonia, rituale, servizio religioso” e “girei 儀礼– etichetta, cortesia formale”. Chiediamoci ora cosa può aver voluto dire Dōgen usando quell’espressione e cerchiamo di capire perché ha usato proprio quelle parole. Siamo nel 1227, in Giappone: il buddismo è una religione di scarsa diffusione popolare ma organizzata e potente, gestita in modo esclusivo da una classe clericale protetta e sostenuta materialmente dal potere politico costituito, che a sua volta conferma e legittima sul piano religioso. Le forme del culto sono rituali ed esoteriche, i testi scritti incomprensibili a tutti, tranne che a pochi specialisti. E’ anche un periodo di grande turbolenza politica, segnato da numerose catastrofi naturali: a livello popolare si fa strada l’idea della fine dei tempi, dell’ingresso nella fase storica finale del dharma (mappō). Alcuni religiosi, tutti formatisi nei templi situati sul monte Hiei, sede della scuola esoterica ritualistica Tendai, sono spinti dalla loro ricerca verso differenti lidi: molti viaggiano in Cina, per cercare il sapore genuino dell’acqua sorgiva. Fra loro, Dōgen Zenji. Al suo ritorno in patria pubblica subito Fukanzazengi. E’, in ordine di tempo, il suo primo testo, che però giunge a noi nella forma definitiva, dopo rivisitazioni protrattesi nell’arco di tutta la vita. Non è il solo Zazengi scritto da Dōgen: nella sua opera maggiore, lo Shōbōgenzō, troviamo un testo datato 1243, intitolato semplicemente Zazengi: è praticamente identico al nostro ma ridotto a circa un terzo, contiene solo le istruzioni su come mettere il corpo seduto e sulla disposizione del pensiero. Possiamo ritenere fosse rivolto prevalentemente all’ambito monastico. E’ legittimo dunque intendere che l’intenzione di Dōgen, nello scrivere Fukanzazengi, fosse di offrire ai lettori uno zazengi (una spiegazione relativa al gi chiamato zazen) rivolto a chiunque, alla generalità delle persone. Fukan va dunque inteso come consigliato a tutti, nel senso che è scritto in modo che tutti lo possano comprendere e che è indirizzato a persone comuni, non a specialisti. Possiamo inoltre legittimamente pensare che Dōgen intendesse anche proporre lo zazen come una forma religiosa accessibile direttamente alle persone, senza mediazione di chierici, senza fumi esoterici. Per parte nostra, ci spingiamo fino a sostenere che fukanzazengi vuol dire che zazen è una forma d’accesso all’universale: forma del corpo che coincide con la nostra postura seduta (za), forma del pensiero che non coincide con niente.
GJF

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