Il buddismo per gli occidentali

Ovvero testi scritti da occidentali o da orientali e rivolti ai lettori occidentali.

Mario Fatibene e Giampaolo Fiorentini, Resuscitare i vivi. I Koan nello Zen, Libreria Editrice Psiche, Torino, 2017.

L’autore: Mario Fatibene Nanmon, ha iniziato a praticare nel 1983 con Engaku Taino di cui è stato allievo. E’ stato ordinato monaco nel 2001. Nel suo ‘bagaglio’, tra l’altro, un sesshin di un mese nel monastero di Sogenji, un tempio Rinzai, a Okayama.
Dirige il centro
Hokuzenko in Torino ed è responsabile del Athens Dojo Zen Rinzai in Grecia.

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Se nella tradizione Soto la centralità della pratica è indubbiamente lo zazen (shikantaza, ‘solamente sedersi’; o, secondo la formula di Dogen, ‘pratica e Illuminazione sono una cosa sola’), nella tradizione Rinzai è il koan il fulcro della pratica, e lo zazen ne diviene quasi campo di studio, di elaborazione. Chi sfogliasse il Dizionario del Buddhismo di Philippe Cornu troverebbe asserzioni come questa: «Mentre la scuola Caodong/Soto promuove lo Shikantaza, “solo sedersi”, a volte chiamato anche mokushozen, “zen dell’illuminazione silenziosa”, la scuola Linji/Rinzai preferisce che ci si sieda meditando su un oggetto: è la “contemplazione delle parole”…incentrata sulla soluzione dei koan.» (pag. 500).
Fa eco l’Autore di questo libro: «…lo zazen e i koan sono un unico processo». Ed ancora «Lo zazen favorisce la chiarezza, lo spazio, che fa emergere la risposta (al koan)» (pag. 119). Un’altra differenza tra le due tradizioni riguarda la nozione di kensho o satori, termini sovente usati come sinonimi sebbene alcuni preferiscano operare dei distinguo. Se la scuola Soto dopo il XVII secolo «abbandonò ogni riferimento esplicito al satori o kensho, una nozione di illuminazione improvvisa … è invece rimasta centrale nel Rinzai fino ai giorni nostri» (Cornu p. 501). «…oggi nessun maestro Soto si permette più di alludere a tale esperienza personale di illuminazione» (id. pag 599)

In Italia, la pratica Rinzai è stata introdotta dal maestro Luigi Mario Engaku Taino, (1938-2021), che ha fondato nel 1973 il tempio di Scaramuccia, sulle colline di Orvieto. Nel sito internet del tempio sono elencati oggi 30 centri affiliati in Italia ed all’estero.

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Con l’espediente di una intervista costruita ad hoc l’autore risponde alle domande di un amico praticante Vipassana ed il discorso si dipana veloce, coinvolgendo il lettore quasi empaticamente. Man mano che si procede nella lettura affiora una sorta di disvelamento delle modalità della pratica dei Koan, almeno per quanto concerne la tradizione che Taino ha riproposto in Italia. Emergono elementi distintivi che – ad un praticante Soto che abbia avuto come riferimento la ‘scuola di Sawaki-Uchiyama’- possono sembrare dissonanti rispetto all’abitudine a considerare la pratica del ‘sedersi e basta’. Come l’importanza rilevante che viene data all’esperienza del kensho. Come anche lo studio ‘in progressione’ attraverso un percorso o meglio un “processo” i cui ‘steps’ sono rappresentati dai Koan, che si susseguono secondo un ordine codificato. Tuttavia tale processo non si esaurisce nella definizione di inizio e fine, come ammonisce l’autore: «non è una pratica… che… più si pratica più si capisce….non ha nulla a che vedere con qualsiasi ottenimento.» «E’ una pratica che taglia…anche l’ansia di ottenere qualcosa…»

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Le luci di questo libro vanno individuate nell’esposizione per così dire ‘dall’interno’; sia attraverso l’espediente dell’intervista, sia riportando narrazioni e testimonianze che rendono viva l’esposizione e pongono il lettore in posizione partecipativa. Ed anche nell’attenzione a rifuggire da elucubrazioni dottrinali o filosofiche. Tra i pregi del libro annovero ancora l’assenza di note (esplicative o di rimando alla letteratura), che avrebbero appesantito la lettura.
Il risultato è la presentazione ‘senza veli’ di una realtà radicata in occidente: in Italia penso si possa parlare ormai almeno di terza generazione di praticanti esperti.
Il testo è pervaso da una certa freschezza. Freschezza che si perde a mio avviso nella parte finale, una appendice di 40 pagine che riporta una serie di conferenze del maestro giapponese Miura Isshu Roshi sul tema dei koan. Per addetti ai lavori …

Per contro il libro pecca di un eccesso di seriosità per quanto stemperata dalla forma domanda/risposta; di una certa autoreferenzialità (un po’ scarni i riferimenti alla letteratura/tradizione); di un certo disinteresse per l’esegesi dei termini specifici. E infine della mancanza di note chiarificatrici ed esplicative nell’appendice, ove invece sarebbero state opportune .

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L’ accento reiterato sull’esperienza del kensho suggerisce inevitabilmente una sorta di ‘idea di guadagno’, di obiettivo, di meta o di successo da conseguire, che ad un praticante nella tradizione Soto suonerà probabilmente stonata. Non credo che ciò sia imputabile all’autore, che si fa qui portavoce di una tradizione. Può essere ‘il koan’ del libro.
Proprio in questo instillare dubbio e, se vogliamo, clamore, sta il merito della pubblicazione. Una citazione per tutte:
Senza l’esperienza fondamentale e personale del satori… lo zen non esiste. (Pag 93 citaz da Shibayama). Affermazione che nessun ‘soto’ sottoscriverebbe, almeno a sentire Cornu…

                                                                                                                                                   (A cura di Doc)

* G. Filoramo (a c. di), Buddhismo, Laterza, Bari, 2001.
L’ho consigliato come libro di testo integrativo nei miei corsi attuali perché è un buon tentativo di rappresentare il panorama mondiale del buddismo in tutta la sua storia. È composto dai saggi di più autori, tutti ottimamente informati. Tuttavia il testo genera un’impressione di distacco e freddezza. Molto particolareggiato su alcuni argomenti, è invece un poco troppo veloce su altri, quale per esempio la genesi dei rapporti tra Occidente e buddismo.

 

* Jiso Giuseppe Forzani, Eihei Dōghen, Il Profeta dello Zen, (EDB 1997).
È un lavoro sull’insegnamento e sulla biografia di Dōgen, un approfondimento critico e storico al momento unico in Italia, forse in Europa.

 

* D. S. Lopez Jr., il Buddhismo tibetano, Elledici 2003.
È un libretto agile, essenziale, contenente un buon numero di informazioni ben organizzate. È molto utile per farsi un’idea d’insieme, sia storica che dottrinale, del fenomeno vajrayāna, quello che normalmente chiamiamo buddismo tibetano. Per uno studio specialistico è insufficiente: ha degli intenti soprattutto divulgativi, ma di buon livello.

 

* M.Y.Marassi, G.J.Forzani, E se un Dio non ci venisse a salvare ? Il buddismo Zen in 6 conversazioni, Marietti, Genova-Milano, 2003.
Nasce come libro di testo per il corso che per alcuni anni ho svolto presso la facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino, nell’ambito dell’insegnamento di Antropologia culturale. È un libro discorsivo, divulgativo. Vuol essere anche una risposta al testo di Heidegger sopracitato. L’introduzione (del professor Alfieri, Preside del Corso di Laurea Specialistica in Antropologia. delle religioni dell’Università di Urbino) in modo del tutto inedito, presenta un punto di vista antropologico sullo Zen e sulla sua presenza in Occidente.

 

* M.Y.Marassi, La via maestra, la trasmissione di una tradizione autentica nel paradigma del buddismo Zen, Marietti, Genova-Milano 2005.
È un altro testo mio, scritto con l’intenzione di cautelare coloro che intendono seriamente dedicare la propria vita a quell’approfondimento spirituale che, vissuto secondo il particolare insegnamento di Śākyamuni, si chiama buddismo. È un testo specialistico, adatto a chi voglia approfondire la relazione fondamentale nell’apprendimento del buddismo, in particolare di “scuola” Zen, e dedicarsi alla pratica senza finalità deviate.

 

* M.Y.Marassi, Il buddismo mahāyāna attraverso i luoghi, i tempi e le culture. L’India e cenni sul Tibet. Marietti, Genova-Milano, 2006.
È il primo di un progetto di due volumi, nei quali tentare di riassumere l’evoluzione del modo di esprimere la propria esperienza religiosa da parte dei buddisti di quella particolare “famiglia” detta mahāyāna, nel viaggio nel tempo e nelle culture. Adatto sia al neofita che al praticante esperto, vuole essere fondante nella costituzione di una cultura buddista secondo le grammatiche della cultura occidentale. In particolare lavora sull’ipotesi che ciò che sta succedendo “qui” è estremamente simile a ciò che accadde in tutte le culture mature al momento dell’introduzione del buddismo, con la differenza che ora possiamo essere coscienti del fatto e fruire dell’esperienza del passato.

 

* T. R. V. Murti, La filosofia centrale del Buddhismo, Ubaldini, Roma, 1983
E’ un testo irrinunciabile per chi intenda affrontare in modo specialistico il mahāyāna di scuola indiana ed in particolare la visuale secondo Nāgārjuna e la scuola Mādhyamika da lui fondata. Murti non è solo uno studioso di buddismo ma è buon competente di filosofia occidentale cosicché la sua opera, oltre che ottimamente impostata secondo gli studi buddisti, è densissima di rimandi appropriati a tutta la cultura filosofica occidentale.

 

* Shunryū. Suzuki, Mente Zen, mente di principiante, Ubaldini, Roma, 1976.
Suzuki Shunryū, da non confondere con il più famoso Suzuki Daisetsu, è stato il primo giapponese che ha pubblicato in Occidente un libro sullo Zen con un radicamento sano e autentico in quella religiosità, ovvero sul versante della pratica. Quindi questo libro ha anche un’importanza storica perché è il primo libro in lingua occidentale di un praticante, di un monaco, non di un dottore della legge. Purtroppo è corredato dalla prefazione di R. Baker (americano, già discepolo di Suzuki, poi cacciato per indegnità dalla comunità) e questa prefazione pesa malamente su tutta l’opera.

 

* K. Uchiyama, a c. di G. J. Forzani, La realtà della vita, (EDB 1993).
Pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1971, è stato tradotto in sei lingue. Sebbene abbia avuto una scarsa diffusione quantitativa (a parte in America dove è alla terza edizione) è certamente il libro moderno più importante tra tutti quelli da me citati. Lo consiglio a chi voglia approfondire il proprio approccio in modo formante. In particolare padre Uchiyama ha due caratteristiche che lo rendono prezioso: è uno dei pochissimi (forse l’unico) tra gli abati giapponesi di monastero Zen ad essersi laureato in filosofia occidentale e ha accolto per molti anni nel suo monastero discepoli occidentali, per lo più americani, con cui ha instaurato un dialogo di reciproca conoscenza. Per chi sappia quanto refrattari siano certi personaggi ad approfondire un dialogo reale, non di facciata, con persone diverse dalla etnia giapponese, questo apparirà immediatamente notevole. Inoltre è il primo abate Zen giapponese ad aver dato la massima importanza al dialogo interreligioso. Possiamo dire che sia Jiso Forzani sia io dobbiamo anche a lui se, invece di essere dei conversi buddisti, e quindi in crisi con la nostra parte cristiana, siamo buddisti di cultura cristiana, ovvero strutturalmente dialoganti, con possibilità di comunicazione intima tra le nostre due anime.

 

* Brian Victoria, Lo Zen alla guerra, Sensibili alle foglie, Dogliani 2001.
Questo è un testo che dal punto di vista storico e documentale è veramente importantissimo. Nella prefazione all’edizione italiana vi sono evidenziati in modo inconfutabile i rapporti e le influenze tra i buddisti Zen giapponesi dei primi del novecento e gli ambienti del nazismo tedesco e del fascismo italiano. È inoltre ben documentato il supporto dato dai buddisti Zen giapponesi a cinquant’anni di guerre di aggressione da parte dell’Impero del Sol Levante. L’autore è un monaco Zen di nazionalità americana che ha vissuto molti anni in Giappone. Aldilà degli intenti dell’autore, che sono di ricerca e di documentazione storica, è un libro molto importante per capire i pericoli che qualsiasi religione corre, e fa correre alla società nella quale vive, nel momento in cui interviene nel processo di giusto e sbagliato, bene e male all’interno delle scelte politiche e militari di un Paese. I valori religiosi non possono essere imposti per legge né, tanto meno, con la spada, pena la loro completa decadenza da qualsivoglia legame con la religione. Ogni religione, in ogni era, dovrebbe avere un libro come questo.

 

* Alan Watts, La via dello Zen, Feltrinelli, Milano 1960.
Questo piccolo libro è stato senz’altro molto importante sia per meriti storici, essendo il primo libro sullo Zen pubblicato da un occidentale, ma anche perché seppure con qualche ingenuità, ha avuto una forte influenza, specialmente negli Stati Uniti, nella formazione della nascente cultura Zen occidentale.

 

* P. Williams, il Buddhismo dell’India, Ubaldini 2002.
È un libro importante, utile sia per lo specialista che per l’inesperto. Pur non avendo un taglio particolarmente profondo, compie una carrellata su tutto l’arco di sviluppo del buddismo indiano, dal 5-600 avanti Cristo sino al dodicesimo secolo, quando per l’effetto combinato del riassorbimento induista e della conquista dell’India da parte di popolazioni di religione islamica, il buddismo praticamente si estinse su tutto quel grande territorio. Williams ha una capacità di sintesi ed una chiarezza espositiva che unita all’acume dell’analisi fanno del suo libro un testo importante.

 

* R. H. Robinson, W. L. Johnson, La Religione Buddhista, Ubaldini, Roma 1998
Lo conosco poco, l’ho consultato alcune volte e l’impressione è buona. Meno scorrevole del precedente è però più articolato e completo.

 
* Jesse Jacobs, Crawl Space, Eris edizioni, Torino 2018, s.n.p., euro 15
Dopo aver smontato la Genesi (vedi), il geniale fumettista canadese Jesse Jacobs riserva lo stesso trattamento alla religioni orientali nel suo nuovo albo Crawl Space, che significa seminterrato o anche intercapedine — i famosi “interstizi” in cui, secondo Epicuro, abiterebbero gli dèi. Fondendo il concetto vulgato di illuminazione buddista con quello fantascientifico di universi paralleli, Jacobs si diverte a sciorinare luoghi comuni del tipo: “L’accesso a certi livelli di realtà è limitato, di solito riservato a esseri particolarmente illuminati. Si può ottenere accesso a questi regni con considerevole difficoltà, attraverso una vita dedita all’impegno spirituale e all’adempimento di riti sacri. . . Con preparazione e cautela, tale regno si presta a fungere da ponte verso piaceri celestiali e trascendenza mistica. Ma se affrontato con intenzioni impure, negative, può fare da varco verso profondi e infiniti abissi di terrore”.

Già, e qui casca l’asino. Perché il famoso “varco” si trova dentro due grandi lavatrici vecchio modello nello scantinato di casa di una adolescente, e ben presto i suoi compagni di classe vanno lì a divertirsi con questo nuovo sballo, risvegliando i demoni che difendono l’universo parallelo. Nel frattempo le autorità intervengono con un cordone sanitario come nel film E.T. di Spielberg. Un fumetto apparentemente “schizzato” ma, in profondità, uno sguardo triste sul mondo attuale dove ognuno è solo, rinchiuso in se stesso (senza neppure ricorrere a smartphone & affini), incapace di cambiare la benché minima abitudine. La giovane protagonista Daisy, l’unica sincera ma anche disadattata, dà l’impressione di rappresentare un alter ego dell’autore. Da lei viene l’insegnamento. Quando un’amica le chiede, nel crawl space: “Perché è tutto così, qui?”, lei risponde: “Perché tutto è nel modo che è, dappertutto?”. (A c. di Dr)

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