Porgiamo all’attenzione del dotto pubblico un articolo (La Repubblica, 4 dic. 2010, p. 18) a firma Benedetta Tobagi che ci pare interessante. Ma non interessante e basta. Il desiderio, sino a prova contraria, in tutte le culture orientali (induista, buddista, jaina, confuciana, daoista) è considerato molto vicino a ciò che noi consideriamo “peccato”, non tanto nel suo sorgere perché -si sa- siamo tutti di carne, ma nel suo svilupparsi davanti ai nostri occhi (quelli della coscienza intendo), prendere forma, identificare la preda, congeniare tutti i sotterfugi affinché la cattura possa avvenire

e … poi ancora e ancora, senza fine. Senza limite di quantità, di tempo, niente.
Secondo quelle culture, religioni nulla è più vicino ad essere la causa prima di tutti i nostri guai di quanto lo sia nutrire e lasciar sviluppare il desiderio. Nell’articolo invece, con aria di nulla, in modo convincente, circostanziato si sostiene che solo il desiderio può salvare questa Italia sospesa nel vuoto, pietrificata nel cinismo, esausta, smarrita, sfibrata. Il desiderio come nuovo umanesimo italiano? Possibile? Non vi è nulla di meglio da proporre?

Nuovo umanesimo antidoto al vuoto

“Rilanciare il desiderio”: non è la ricetta di un manuale per coppie in crisi, ma l’invito conclusivo della serissima relazione del Censis, fotografia di un’ Italia che ha retto ai colpi della crisi economica, ma appare esausta, smarrita, sfibrata. Contro “il deserto che cresce” dentro e fuori dagli italiani,

scrive il sociologo De Rita, “tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica della società”. La relazione si serve di concetti psicanalitici nel tentativo di muovere oltre le previsioni di breve periodo, in cerca di una diagnosi di quello che emerge come il dato dominante: un malessere profondo. In una società sempre più orizzontale e “indistinta”, l’ invito è tornare a guardare dentro di noi: ogni vero cambiamento dovrà necessariamente partire dall’ interno delle coscienze. Fenomeni molto diversi tra loro, (dalle violenze sempre più gratuite e insensate, ai fenomeni di bullismo, dall’ anoressia alle droghe alla ricerca di rischi estremi, come il balconing), vengono collegati in una quadro più ampio, in cui centrale è proprio l’ indebolirsi del desiderio, in favore di una scomposta “onda di pulsioni sregolate”. Se il desiderio è in crisi, si argomenta, è anche per il parallelo deteriorarsi della legge, il principio normativo, esterno e interno, con cui esso deve lottare e “negoziare” per affermarsi. Crisi della legge ben visibile nella perdita di prestigio delle auctoritas tradizionali. La maturazione del desiderio – e l’ impegno per cercare di realizzarlo – non è il soddisfacimento immediato di un bisogno. Serve tempo per maturare desideri autentici, gli unici in grado di alimentare un progetto che riempia di senso la vita. Come insegnava il filosofo Spinoza, il desiderio ( cupiditas) è la passione fondamentale che proietta gli uomini nel futuro, passa attraverso le resistenze, fa i conti coi limiti imposti dalla realtà, rinuncia ai deliri d’ onnipotenza come ai buchi neri delle dipendenze da oggetti, droghe, denaro, sesso. Per questo a partire dalla riscoperta del desiderio possiamo finalmente abitare un orizzonte progettuale, dentro una trama coerente di azioni che rende sopportabili anche gli ostacoli, in vista dello scopo: una narrazione, insomma, secondo il modulo più classico della saga, il “viaggio dell’ eroe”. E quanto sia profonda la fame di una simile dimensione “narrativa”, mi pare lo confermino il successo del messaggio politico del “poeta” Nichi Vendola, come pure il successo dei racconti di Roberto Saviano, che ha catturato milioni di telespettatori con le sue storie, ma anche la scelta degli studenti in protesta di mascherarsi da uomini-libro: la letteratura, come in Fahreneit 451, offre strumenti per immaginare altri mondi possibili, e scoprire desideri profondi da cui muovere verso il cambiamento. Che ci sia “bisogno di desiderio” lo mostrano da settimane tutti coloro – e sono soprattutto ragazzi e giovani adulti – che protestano chiedendo che non gli venga rubato il futuro. Non chiedono garanzie o privilegi, ma un orizzonte normativo e programmatico in cui sia possibile provare a giocare la propria partita, a prescindere dal censo, dalle appartenenze, dal sesso. Con forte senso di realtà: chi protesta nelle strade non vuole più “tutto e subito”, ma la possibilità di studiare in un ambiente serio e competitivo; di accendere un mutuo in cui impegnarsi per decenni; di ingaggiare progetti di lungo periodo: dal matrimonio alla ricerca, alla creazione di un’ attività imprenditoriale, artistica o intellettuale, a un figlio. Il riaffacciarsi del “desiderio” dunque, si intreccia profondamente alla domanda di restituire centralità e prestigio alla dimensione della norma, della “legge”. Da destra come da sinistra si invoca un ritorno alla legalità come valore centrale. Il governo che sta miseramente crollando è anche la fine di una narrazione – quella del “nuovo miracolo italiano” – che ha venduto modelli di sogni e desideri fittizi, perversamente deformati, inautentici. Ora tutto questo non basta più, nemmeno a destra. Nella tundra del presente congelato dal cinismo fotografato dal Censis, il richiamo alla fiamma del desiderio brilla come il fuoco che cercano di mettere in salvo l’ uomo e il bambino in viaggio nello scenario post-apocalittico del romanzo La strada di Cormac McCarthy. – BENEDETTA TOBAGI