di Bernardo Valli

Da la Repubblica del 5 settembre 2006

Per ottenere una vera pace è indispensabile estirpare i principali motivi che l´hanno a lungo impedita.

La stampa israeliana funziona spesso da sveglia. Nel corso di avvenimenti che agitano trippe e cervelli, guerre o intifada, nei momenti in cui hai l´impressione che le idee si appannino e si smarriscano nella faziosità, su alcuni quotidiani di Gerusalemme e di Tel Aviv puoi trovare analisi lucide, dissacranti, anticonformiste, che riconducono alla ragione e quindi alla realtà. È una delle principali virtù di una società democratica puntualmente messa alla prova dalle passioni. Nelle ultime ore, grazie ai colleghi israeliani, mi sono reso conto che avevamo dimenticato la questione palestinese.

Prima presi dal conflitto in Libano, e poi dalle sue immediate conseguenze, impegnati come eravamo a seguire le grandi trame diplomatiche, a Damasco, a Teheran, nelle capitali occidentali, avevamo perso di vista il dramma all´origine, magari come pretesto, di (quasi) tutti i drammi mediorientali: appunto la questione palestinese. La quale, se non verrà risolta o seriamente affrontata, renderà vani i tentativi di ridisegnare, in positivo, la mappa politica mediorientale.

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Assurdo:

anche un semplice seme di ortaggio tradizionale e contadino, solo perché non registrato, diventa un seme proibito!

Ciao!

Come stai? Io che abito in campagna vivo stupendamente e sono ogni giorno più contento della mia scelta.

Il diventare “contadino” mi ha fatto scoprire alcune realtà che prima da “cittadino” non sospettavo nemmeno e non mi toccavano. Adesso sono più consapevole di tante persone e cerco con le forze che ho a disposizione di portare un cambiamento necessario ad alcune cose. Ciò richiede la consapevolezza, l’impegno e la partecipazione anche di tante altre persone. Io sono solo un granello di terra in un campo, ma insieme a tanti altri possiamo formare un campo.

Ti chiedo di essere un granello di questo campo e di partecipare ad una semplicissima petizione. Nulla di impegnativo.

Lo sai che:

  • i contadini NON possono più scambiarsi fra di loro sementi e piante?
  • i contadini NON possono seminare se non le sementi ammesse per decreto?
  • che i semi degli ortaggi di qualità ibrida F1 (quasi tutti prodotti dalle multinazionali) non si possono riseminare se non penalizzando fortemente la possibilità di raccolto?
  • che le antiche varietà tradizionali (che non pagano royalties a nessuno) vanno gradualmente a perdersi, perché cancellate dai registri europei e allora diventano proibite per la semina e sono destinate alla probabile estinzione?

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di Andrea Maselli – Computer Idea n.171 – 30 agosto 2006

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Forse i miei lettori più attenti ricorderanno la vicenda del “computer a manovella” destinato ai bambini del Terzo Mondo. Si tratta del famigerato progetto One Laptop Per Child, nato sulla scorta di un “sogno da peperonata” di Nicholas Negroponte, il guru del MIT di Boston, avente l’obiettivo di superare il digital divide nelle zone più povere del mondo. Nonostante la sua palese insensatezza, il progetto è andato avanti, ha strappato l’egida dell’ONU (che notoriamente non ha cose più importanti da fare e, comunque, fa sempre la scelta giusta) e già il mese prossimo potrebbe cominciare la produzione in massa del “portatilino” da 140 dollari. Passa quindi dal “delirio ai fatti” una controversa operazione che, come ho già avuto occasione di sostenere su queste pagine, mostra più il tratto dell’iniziativa commerciale e della celebrazione di un folle amor proprio, piuttosto che i caratteri umanitari che qualcuno vorrebbe cucirgli addosso.

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Quella che segue è la versione scritta dell’intervento di Giuseppe Jiso Forzani al convegno interculturale sul tema “La religione nell’era della tecnica” svoltosi, in occasione del Vesak[1], a Torino, venerdì 12 maggio 2006.

Nel poco tempo che ho a disposizione, sia perché siamo in ritardo con il programma sia perché devo necessariamente prendere un treno che non mi aspetta, cercherò di mettere in risalto due questioni che mi sembrano oggi particolarmente rilevanti in relazione alla realtà del buddismo in Italia. Mi scuso per l’approssimazione che la sintesi porta inevitabilmente con sé, ma credo che, dopo le esaurienti relazioni che abbiamo ascoltato finora, un intervento breve non sarà sgradito al pubblico.

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La celebrazione del Vesak in Italia è un’occasione di incontro, tanto delle diverse tradizioni buddiste presenti nel nostro Paese fra di loro, quanto con la cultura e la religiosità storicamente predominanti in Italia e costitutive della sensibilità più diffusa. Vorrei sottolineare questo aspetto, perché mi pare vada posto in risalto, più di quello relativo alla celebrazione di una festività buddista. E’ infatti opinabile che i buddisti abbiano festività da celebrare: quando ciò accade nei paesi dove il buddismo è religione popolare, succede più che altro in omaggio alla cultura e al folklore indigeni, per venire incontro a sentimenti devozionali e alla ciclicità di scansioni temporali ricorrenti: tutte cose comprensibili e legittime, ma che non hanno direttamente a che fare con il buddismo che, in omaggio all’indicazione di Śākyamuni Buddha, raccolta da tutte le tradizioni posteriori, di non considerarlo mai un oggetto di culto e di fede, non ha nessuna ricorrenza da celebrare o di cui far memoria in riferimento al “fondatore”. Inoltre, il Vesak in quanto festa ricorrente celebrativa non è universalmente riconosciuto nei paesi dove il buddismo è quantitativamente significativo: in Giappone, il paese dove il buddismo mahāyāna ha la maggiore diffusione percentuale al mondo, il Vesak è festività sconosciuta. A livello popolare ci sono celebrazioni della nascita e della morte (entrata nel nirvana) di Buddha, ma in date separate, mentre nei monasteri si ricorda il Risveglio in un’altra data ancora: la festività dei tre momenti raggruppati in un’unica data celebrativa è ignota alla tradizione buddista giapponese.

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28-08-2006 – Fonte: Ecoblog.it

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Non che se ne parli molto, ma in Africa l’acqua potabile è un privilegio di pochi. Gli altri devono camminare chilometri su chilometri per raggiungere la propria fonte di vita quotidiana.E’ un lavoro che in genere viene fatto dalle donne e il peso di circa 20 litri di acqua da portare sulle spalle è increscioso.

Grazie a questo sistema chiamato Hippo Roller si possono trasportare 90 litri e riducendo sensibilmente la fatica. Sembra l’invenzione della ruota, ma prima del 1994 non ci aveva pensato nessuno.

Info: www.hipporoller.org

CORRIERE ROMAGNA
1 SETTEMBRE 2006

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Non saranno centinaia di Super Rambo armati di fucili a caccia di Bambi a “riequilibrare” la natura. L’argomento è sfacciatamente pretestuoso. Tutte le alterazioni degli equilibri naturali sono di diretta o indiretta responsabilità dell’uomo. Vittime gli animali che, se non si estinguono “naturalmente”, vengono “prelevati selettivamente”, che, meno eufemisticamente significa ammazzati con programma. Nel caso degli ungulati le immissioni volontarie, spesso clandestine, hanno prodotto gravi squilibri tra prede e predatori e alterato l’ambiente. La domanda sorge spontanea: chi ha interesse che ciò accada per poi invocare gli interventi selettivi? Si dice che i caprioli causino incidenti automobilistici anche mortali, ma non si cita (non si potrebbe) quanti morti ogni anno sono causati dai caprioli, perché facendolo si scoprirebbe l’inconsistenza di queste affermazioni; se del resto i caprioli fossero così terribilmente pericolosi per l’incolumità pubblica non si capisce che senso avrebbe ucciderne solo una frazione e non tutti.

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D’altro canto è invece un dato di fatto statisticamente accertato e verificabile che ogni anno gli incidenti di caccia causano decine di morti. Vogliamo procedere all’abbattimento selettivo dei cacciatori? Se invece vogliamo parlare solo di danni economici, una ricerca francese di qualche anno fa ha evidenziato che i danni a persone e cose provocati dagli ungulati sono minori di quelli provocati dai cacciatori, e dunque di nuovo bisognerebbe prima pensare ad abolire la caccia, e solo dopo semmai occuparsi dei caprioli. Ma c’è poi davvero una necessità scientifica alla base delle delibere degli enti locali o si tratta solo di un paravento per proteggere gli interessi della lobby dei cacciatori?

Buddazot n.4

Dalla penna di Paolo Sacchi è uscito il nuovo numero di Buddazot.

Tutte le pagine sono scaricabili in formato PDF.

Buona lettura.

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