di Andrea Maselli – Computer Idea n.171 – 30 agosto 2006

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Forse i miei lettori più attenti ricorderanno la vicenda del “computer a manovella” destinato ai bambini del Terzo Mondo. Si tratta del famigerato progetto One Laptop Per Child, nato sulla scorta di un “sogno da peperonata” di Nicholas Negroponte, il guru del MIT di Boston, avente l’obiettivo di superare il digital divide nelle zone più povere del mondo. Nonostante la sua palese insensatezza, il progetto è andato avanti, ha strappato l’egida dell’ONU (che notoriamente non ha cose più importanti da fare e, comunque, fa sempre la scelta giusta) e già il mese prossimo potrebbe cominciare la produzione in massa del “portatilino” da 140 dollari. Passa quindi dal “delirio ai fatti” una controversa operazione che, come ho già avuto occasione di sostenere su queste pagine, mostra più il tratto dell’iniziativa commerciale e della celebrazione di un folle amor proprio, piuttosto che i caratteri umanitari che qualcuno vorrebbe cucirgli addosso.

L’iniziativa di Negroponte è talmente umanitaria che lo stesso Bill Gates, notoriamente uomo di cuore che non guarda al soldo, si è sentito in dovere di accettare la competizione, proponendo anch’egli il suo computer “per paesi in via di sviluppo”. Equipaggiato, manco a dirlo, con Windows Xp, il PC di Gates viene venduto ai poveretti con la “formula ricaricabile”: l'”indigente in via di sviluppo” si presenta in negozio, porta via “gratuitamente” il suo computer, e potrà poi utilizzarlo ricaricando un’apposita tessera: quando il credito è esaurito il computer si ferma. Ogni ora trascorsa davanti al monitor costa all’indigente poco meno di un dollaro: il che, considerando che in gran parte del Terzo Mondo con quella cifra ci si campa un giorno, significa che il malcapitato potrà scegliere ogni volta tra alimentare il proprio apparato gastrointestinale o nutrire la propria cultura informatica. Come dire che il progresso sta nell’anoressia. Gates o Negroponte in realtà pari sono. L’idea balzana di vedere in un computer la chiave per educare una popolazione, liberarla dalla schiavitù dell’ignoranza e farla schizzare direttamente dall’Età della Pietra al Nuovo Millennio già si commenterebbe da sola, ma è stata comunque criticata da tutte le persone di buon senso. Soprattutto da quelle che non sentono l’esigenza di farsi pubblicità e propagandare hardware e software a spese di milioni di poveracci. Pensare di superare il “digital divide” muovendo dalla tecnologia e saltando a piè pari la creazione di una cultura che abbia gli strumenti per assimilarla, è come pensare di risolvere il problema della sovrappopolazione gettando milioni di profilattici da aerei in volo sulle foreste africane o sugli altopiani cinesi: il massimo che si potrebbe ottenere, riserve idriche permettendo, è una colossale guerra di gavettoni tra extracomunitari.

Non è un caso che “Nicholas II Guru” sia sì riuscito a sfilare 140 milioni di dollari al governo nigeriano in cambio di un milione di computer a manovella, ma si sia anche visto sbattere la porta in faccia dal ministero dell’Istruzione indiano: “Noi abbiamo bisogno di insegnanti in carne ed ossa, e poi di scuole. Solo allora potremo porci il problema di un computer per ogni alunno: e non è detto che questa sia comunque una prospettiva desiderabile per l’educazione dei ragazzi”. Solo un paese che ospita allo stesso tempo la miseria più nera e il più straordinario serbatoio di competenze informatiche esistente al mondo poteva dare una risposta tanto ovvia quanto politicamente sana. Pensate alla “manovella”. È lei l’icona simbolo del progetto di Negroponte, il folle escamotage di un individuo che pensa che la pura tecnologìa, fine a sé stessa, possa innescare un volano virtuoso, saltando a piè pari tutti i suoi stessi presupposti, tutto ciò che avrebbe già dovuto esistere prima di lei. Un po’ come accadeva a Troisi e Benigni che, in un noto film, si dannavano per spiegare a Leonardo Da Vìnci l’utilità della lampadina e del semaforo… Secondo questa visione strumentale e ipocrita della solidarietà, il digital divide non è determinato tanto dall’assenza di elettricità (e di tante altre cose essenziali) ma soltanto dalla mancanza di quella piccola quota di energia necessaria per avviare un processore: per Negroponte, lo scenario di migliaia di bambini che girano vorticosamente la loro manovella in pieno deserto non è una scena grottesca, quasi un’irrisione della povertà e dell’ignoranza, bensì la prova sperimentale che la tecnologia può superare qualsiasi gap. Insomma, c’è qualcuno che crede (o finge di farlo) che a colpi di manovella sia possibile simulare l’esistenza di una società civile e farla evolvere. Pover’uomo. E poveri bambini.

Andrea Maselli
andrea.maselli@bp.vnu.com

Computer Idea n.171 – 30 agosto 2006