Riflessioni


Corrida e sangue. Cosa fa la Chiesa quando non riesce a fermare la violenza umana? Si adegua.

Di Franco Libero Manco – da http://www.newmediaexplorer.org

La crudeltà praticata come spettacolo ha origine antichissime, si pensi che per l’inaugurazione del Colosseo furono immolati 11.000 animali. Le prime gare con i tori in Spagna risalgono all’anno 815 d.C. ma la corrida vera e propria nasce nel XIV secolo come gioco equestre.

Nell’arco di 20 anni il papa Pio V emanò ben 4 bolle a severa condanna delle corride e le altre fiestas, ma senza alcun risultato.
Filippo V di Borbone disse: “E’ incredibile il desiderio di ammazzare animali che dimostra questa nazione. Questo popolaccio è di una ferocia incredibile”. Nel 1805 Carlo IV emise la Real Cedula che vietava formalmente la corrida, ma di fatto non ebbe alcuna efficacia.

Vi sono molti interessi di carattere economico, politico e religioso che ruotano intorno alle corride. Ricchi latifondisti, allevatori di bestiame, agenzie turistiche e operatori della carta stampata si appellano alla tradizione, all’interesse turistico, artistico e sportivo.
I grandi allevatori godono di importanti appoggi politici e di consistenti finanziamenti da parte del Ministero della cultura.

[continua qui…]

A proposito dei due articoli recentemente apparsi su questo sito riguardo la successione al Dalai Lama (Dalai Lama eletto per sfidare la Cina e Il Dalai Lama: dopo di me basta con le reincarnazioni), M.Y.Marassi ci spedisce questo commento.

Shingatse

E pensare che la reincarnazione con il buddismo non c’entra nulla, o meglio ha finito per entrarci per la forza pervasiva di una credenza antichissima, presente in molte culture orientali e occidentali. Vi è un’ipotesi tra le altre, come riportato qui sotto, che fa risalire la sistemizzazione di tale credenza a Pitagora, e poi -via Mesopotamia- potrebbe essere giunta anche in India. Dove prima ha pervaso l’induismo upanishadico e bramanico e poi il buddismo popolare. Tramite il quale è giunta in Cina senza attecchire e poi in Giappone dove le credenze sciamaniche autoctone l’hanno sempre soverchiata. Infine questa credenza si è “manifestata” in Tibet. Ora, attraversato tutto il mondo, fa “ritorno” in Occidente, come se fosse cultura buddista. In ogni caso, anche in Tibet, l’usanza di educare un bambino ritenendolo l’incarnazione di un lama, è recente rispetto alle origini del buddismo: sono “solo” 800 anni che nel Paese delle Nevi si è istaurata questa scelta di trasmissione dell’autorità, del carisma e del sapere da una generazione all’altra, mentre il buddismo è nato ben 1700 anni prima che questo suggestivo costume si manifestasse: un tempo troppo lungo per poter ipotizzare una comparsa tardiva di un elemento così importante e già presente. Eppure oggi in Occidente, anche tra gli stessi buddisti, l’idea che la reincarnazione sia parte della cultura buddista è una certezza consolidata.

(altro…)

Quella che segue è la versione scritta dell’intervento di Giuseppe Jiso Forzani al convegno interculturale sul tema “La religione nell’era della tecnica” svoltosi, in occasione del Vesak[1], a Torino, venerdì 12 maggio 2006.

Nel poco tempo che ho a disposizione, sia perché siamo in ritardo con il programma sia perché devo necessariamente prendere un treno che non mi aspetta, cercherò di mettere in risalto due questioni che mi sembrano oggi particolarmente rilevanti in relazione alla realtà del buddismo in Italia. Mi scuso per l’approssimazione che la sintesi porta inevitabilmente con sé, ma credo che, dopo le esaurienti relazioni che abbiamo ascoltato finora, un intervento breve non sarà sgradito al pubblico.

bbw.jpg

La celebrazione del Vesak in Italia è un’occasione di incontro, tanto delle diverse tradizioni buddiste presenti nel nostro Paese fra di loro, quanto con la cultura e la religiosità storicamente predominanti in Italia e costitutive della sensibilità più diffusa. Vorrei sottolineare questo aspetto, perché mi pare vada posto in risalto, più di quello relativo alla celebrazione di una festività buddista. E’ infatti opinabile che i buddisti abbiano festività da celebrare: quando ciò accade nei paesi dove il buddismo è religione popolare, succede più che altro in omaggio alla cultura e al folklore indigeni, per venire incontro a sentimenti devozionali e alla ciclicità di scansioni temporali ricorrenti: tutte cose comprensibili e legittime, ma che non hanno direttamente a che fare con il buddismo che, in omaggio all’indicazione di Śākyamuni Buddha, raccolta da tutte le tradizioni posteriori, di non considerarlo mai un oggetto di culto e di fede, non ha nessuna ricorrenza da celebrare o di cui far memoria in riferimento al “fondatore”. Inoltre, il Vesak in quanto festa ricorrente celebrativa non è universalmente riconosciuto nei paesi dove il buddismo è quantitativamente significativo: in Giappone, il paese dove il buddismo mahāyāna ha la maggiore diffusione percentuale al mondo, il Vesak è festività sconosciuta. A livello popolare ci sono celebrazioni della nascita e della morte (entrata nel nirvana) di Buddha, ma in date separate, mentre nei monasteri si ricorda il Risveglio in un’altra data ancora: la festività dei tre momenti raggruppati in un’unica data celebrativa è ignota alla tradizione buddista giapponese.

(altro…)

* Considerazioni nate a margine del libro Non lasciarmi, di Kazuo Ishiguro, Einaudi 2005

Questo libro può essere letto su più piani: è un racconto di iniziazione, è un racconto fantastico, è un racconto fantascientifico alla P. K. Dick, in cui si immagina un futuro che trova nell’oggi possibili radici.

La storia è semplice e complessa insieme.

Kathy parla in prima persona e racconta la sua storia e quella dei suoi amici Tommy e Ruth.

Sono amici d’infanzia, hanno vissuto insieme in un collegio ed insieme hanno scoperto l’amicizia, l’amore, la solidarietà, i dubbi le paure del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, all’età adulta.

Su questo piano il romanzo è ben scritto, ma non avrebbe elementi di interesse particolari, ciò che lo rende inquietante è l’ontologia di questi tre amici: non sono esseri umani procreati ma creati, clonati per poter essere utilizzati come riserve di organi. Ma non sono solo questo, sono anche inseriti in un esperimento fortemente voluto da alcuni scienziati: piuttosto che “allevarli” in sterili cliniche, vengono “cresciuti” in un collegio dove è permesso loro di vivere tutta l’infanzia e l’adolescenza come se fossero “figli di mamma”.

I tre amici sanno di essere destinati a donare organi, ma quest’informazione rimane sottotraccia, i ragazzi vivono una vita normale, gioiosa e dolorosa come è la vita di tutti gli adolescenti; tuttavia crescendo colgono distorsioni nell’atteggiamento degli insegnanti verso di loro, li sentono a tratti pietosi, a tratti leggono nei loro sguardi l’orrore.

Il libro sviluppa la storia dei tre ragazzi, ma senza entrare nei dettagli. Alla fine sapremo che il collegio è stato chiuso, l’esperimento è fallito: era intollerabile per gli esseri umani la presenza tra loro di cloni così “uguali”, con emozioni, sentimenti, cultura, dubbi.

Leggere questa storia mi ha creato inquietudini e riflessioni.

Cos’è il progresso, come si può- se si deve- coniugarlo con l’etica?

C’è un limite che si può porre alla ricerca?

E come mi pongo io- di formazione scientifica (sono medica e psichiatra), mentre cerco di percorrere una via religiosa buddista zen- davanti a temi così attuali come la clonazione, la “riserva d’organi”, la procreazione assistita?

La mia posizione su questi temi è esitante, dubbiosa, sono combattuta tra la mia formazione scientifica, e l’idea religiosa che ho della vita.

La mia formazione mi porta a credere nella ricerca, nella possibilità della medicina di poter migliorare le sue capacità diagnostiche e terapeutiche. Tanti sono stati i progressi che hanno reso più accettabile la vita dei malati, ed hanno reso meno invasive tante malattie. Ma, si sa, la ricerca non sempre trova “quello che cerca” e quello che trova non è sempre esente da rischi. A volte poi la direzione della ricerca è determinata da interessi che non hanno nulla di etico.

Ma la soluzione, da questo punto di vista, può essere possibile: si fanno protocolli precisi, ci si dà una regolamentazione, si legifera. Ma chi decide i confini? L’ultima legge sulla procreazione assistita è un chiaro esempio di queste difficoltà. Come si vede, già dal punto di vista “semplicemente scientifico” le implicazioni sono tante.

E che cosa succede, invece, se ascolto la parte di me che ha una visione religiosa della vita? L’uomo è una parte di un tutto (è interdipendente), ma la nostra cultura è assolutamente antropocentrica- l’uomo è misura di tutte le cose- ed in questo è aiutata anche dalla visione cattolica. Non è di tantissimo tempo fa l’obiezione che non si potrebbero riconoscere diritti giuridici agli animali perché sarebbe come riconoscerne una “soggettività” che solo l’anima dà.

La mia comprensione del buddismo mi porta a sentirmi, rispetto a tutto ciò che vive, una parte di un tutto che vive oltre me, ed ha “leggi” che io non conosco né capisco: è un mistero. La pratica dello zazen mi porta a sostare nel vuoto, nell’incertezza e, per qualche breve momento a “vivere” l’interdipendenza. Se dovessi seguire questa parte di me avrei un atteggiamento molto critico sia sulla ricerca scientifica sia sull’idea di progresso così come è attuata.

Un contributo decisivo per uscire dal possibile empasse che può derivare da un atteggiamento come il mio viene forse dall’ecologia, in tutti i suoi aspetti, da scienza ambientalista a ricerca di rapporto tra uomo e natura; il principio di precauzione, vale a dire non rendere attive ricerche se non si riesce a prevederne gli effetti. Non sempre le scienze economiche permettono di seguirlo.

Questo sul piano normativo, ma come si esce dall’inquietudine che nasce dalla difficoltà di integrare le proprie appartenenze? Forse la via indicata dal buddismo è un continuo tentativo di creare e percorrere un crinale?

Tutte queste riflessioni leggendo il libro di Ishiguro, che pure contiene molto più di tutto ciò.

Rosaria

A margine del ritiro del 16/17/18 giugno
* Buddismo e il cane che non abbaia

Ho un cane, Billie, un meticcio di circa quattro anni e mezzo; cagnone, vitello, orso, billibello, billaccio sono alcuni degli appellativi con cui lo indicano i miei amici. E’ nero, un po’ brizzolato, come me, di grande taglia (come me), quasi gigante, 60 cm al garrese, quando sbadiglia, e lo fa sonoramente, nella sua bocca può entrare tutto intero un mio piede.

Billie gioca, corre, si bagna nel torrente sotto casa durante le passeggiate mattutine, rincorre le lepri (ma solo “fin lì.. se si allontanano troppo lui torna indietro), mi porta la pallina per giocare, abbaia agli estranei. Eppure se gli dico basta, lascia la pallina, se gli dico seduto lo fa (non sempre), uggiola per avere le coccole, sta seduto piantato sul cancello se vuole uscire, ma aspetta i miei tempi.

Una volta al mese lo lascio padrone dell’appartamento e del terrazzo per andare al ritiro, a Galgagnano, e rimane tutto solo, ed un mio amico lo accudisce tre volte al giorno. Non ha mai rotto niente , ho sempre trovato la casa in ordine come l’avevo lasciata.

Mi è tornato in mente venerdì, quando sono arrivata a Galgagnano.

Era un orario insolito (per problemi personali non avevo potuto arrivare prima), e mi sono avviata silenziosamente verso lo zendo.

Mi sono bloccata: sulla soglia dello zendo, sul tappeto era sdraiato un pastore tedesco. Ho pensato “adesso abbaia, scodinzola, si agita” e disturbo lo zazen… si è alzata (è una femmina) mi ha annusato appena un pochino, poi zoppicando si è sdraiata di nuovo, con eleganza.

Ho saputo poi che accompagnava un ragazzo ipovedente.

Durante tutto il ritiro è stata così, silenziosa, elegante, paziente. Mi sembrava di leggere il fumetto sulla sua testa “ questo è il mio posto adesso, sono dove devo essere adesso…… e non rompete”

Che differenza con il mio cagnone! E’ solo per l’età? No, sappiamo che esistono molti modi di invecchiare sia tra i cani che tra gli umani. E’ che Onda ( il suo bellissimo nome) ha imparato a fare quello che deve, e lo fa ed è tutta lì, in ogni adesso.

Uno dei motivi che mi fa provare a percorrere la via indicata dallo zen è questo. Imparare a stare dove sono mentre ci sono, a vedere e guardare, a sentire ed ascoltare. Lo zen mi “insegna” e Onda mi fa capire che forse ci si può arrivare con impegno, fatica, eleganza, senza abbaiare.

Bau bau.

rosaria

« Pagina precedente