Lun, 30 Nov 2009
Vi è una giovane donna che si sta per laureare, un padre -io- che tenta di fornire supporto alla sua formazione e informazioni sulla natura del mondo nel quale ci troviamo. Da quando ha iniziato l’università le consiglio di provare a pensare ad un futuro all’estero. Con molte resistenze, a volte con angoscia ma sempre più sicuro di indicarle una via di fuga da una nave che affonda, con falle tali da impedirne la salvezza. Oggi, 30 novembre, su La Repubblica ho trovato questo articolo, ve lo propongo per intero sia perché le conclusioni sono identiche a quelle che ho tratto, sia perché -dopotutto- la sua analisi è più ottimistica della mia. L’autore è Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss, Libera Università internazionale degli studi sociali.
Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.
Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l’idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all’attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E’ anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l’Alitalia non si metta in testa di fare l’azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell’orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d’altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l’unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po’, non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato – per ragioni intuibili – con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all’infinito, annoiandoti e deprimendomi.
Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell’estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.
Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.
Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.
Preparati comunque a soffrire.
Con affetto,
tuo padre
(L’autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli)
30 novembre 2009
37 Commenti a “Figlio mio, lascia questo Paese”
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30 Novembre 2009 alle 12:47 pm
Sì, è proprio così. Una delle ragioni per cui ho accettato l’esilio (chi scrive vive e lavora a Parigi) è stata per vedere se riesco a costruire qui un approdo, magari anche solo momentaneo, per giovani fuoriusciti dal nostro disgraziato paese, che non è più un Paese per giovani (neanche per vecchi, se è per questo, ma noi in fondo possiamo acquattarci più o meno ovunque). Prima di tutto per i mei figli, se vorranno, ma non solo per loro.
E’ la misura di quanto triste sia la situazione, il fatto che si debba
invitare i propri figli ad andarsene dal futuro che gli abbiamo preparato.
Perché per quanto le proporzioni delle responsabilità siano diversamente
distribuite, non possiamo chiamarci fuori, e attribuire la colpa di questa
miseria morale e umana a solo chi ha in mano le leve del potere. Gliele abbiamo date noi o almeno abbiamo lasciato che se le prendessero, ma non solo. Qui (in Italia) il degrado è endemico, il pesce non puzza solo dalla testa. Quando leggo con incredulo terrore (sì, perché ormai non fa più ridere, fa davvero paura) che un ex ministro della giustizia (!) propone di mettere la croce sulla bandiera, per arginare massoni ed islamici, senza che i custodi (che tali si impalcano a essere) di quel simbolo urlino all’oltraggio e lo fulminino con i loro anatemi, senza che i suoi colleghi lo invitino a un ricovero urgente, senza che da ogni parte si levino voci ad ammonire che le croci si uncinano, a maneggiarle con le mani e la mente sporche, allora mi accorgo, un mattino, che è finita davvero, è solo questione di giorni, anche fossero mesi. Abbiamo lasciato un’altra volta che i nemici del bene, il pubblico bene che è la casa del bene privato, trafugassero le chiavi e ci sequestrassero tutti. Glielo abbiamo lasciato fare, e questo è concorso di colpa. Ieri ero in metrò, nel ventre di Parigi, domenica c’è poca gente. Un tragitto un po’ lungo, mi siedo e di fronte un signore orientale legge un quotidiano cinese. Il retro della pagina che stava leggendo è di fronte ai miei occhi, mi ci cade uno sguardo.
Sulle prime credo a un abbaglio, guardo meglio. E’ una pagina intera dedicata al primo ministro del nostro paese. Al centro campeggiano due foto accostate: una è quella del Nostro, l’altro è Benito, vestito da gerarca fascista: appaiati, gemellati, quasi indistinguibili. Mannaggia, ho pensato, lo san pure i cinesi, solo noi non vogliamo vedere! Ragazzi, andate via, oggi il mondo è più accogliente del vostro paese. Andate via, e non perdonateci.
30 Novembre 2009 alle 1:04 pm
@mym: “Da quando ha iniziato l’università le consiglio di provare a pensare ad un futuro all’estero”. Beato chi c’è già arrivato e chi ci andrà. E’ anche il mio sogno.
@JF: “Non possiamo chiamarci fuori, e attribuire la colpa di questa
miseria morale e umana a solo chi ha in mano le leve del potere”. Ecco, appunto.
30 Novembre 2009 alle 1:48 pm
Vero vero, facciamo esame di coscienza, autocritica e quant’altro. Nel frattempo cheffamo co’ ‘sti ragazzi? Io non me la sento di dir loro: state qui e lottate per il vostro Paese. Soprattutto perché temo non servirebbe a nulla. Allora: all’estero all’estero!
1 Dicembre 2009 alle 1:45 am
Vorrei sommessamente riportare una chiave di lettura alternativa. Se ne parla qui: http://www.federicasgaggio.it/2009/11/celli-e-la-lettera-al-figlio-sullespatrio/
Forse qui il tema non è tanto il contenuto della lettera quanto il modo in cui è stata proposta e “macinata” nel circuito mediatico.
Io nel mio piccolo mi chiedo: servirà a qualcosa andarsene ? Nel frattempo che ci penso vado a preparare il passaporto…
1 Dicembre 2009 alle 9:39 am
Ho letto le considerazioni di Federica Sgaggio che Pierinux ci invita a prendere in considerazione, e mi pare che in effetti spostino l’attenzione dal messaggio al mezzo, per dirla in termini mediatici. Anch’io, leggendo la lettera del direttore generale Celli ho avuto retropensieri assai simili a quelli esposti nel blog di cui sopra. In particolare l’argomento Alitalia mi è parso uno dei meno pregnanti fra i tanti che si potevano scegliere per invitare i propri figli all’abbandono della patria e per di più presentato con un taglio ricattatorio e antipatico. Anch’io, per seguire la giovane giornalista nel suoi ragionamenti, penso ogni tanto che Saviano, col suo copyright su ogni sospiro, potrebbe personalizzare un po’ meno la sua battaglia. Però ho paura che siamo alle solite: il Titanic affonda e qui si discute se l’orchestra doveva suonare Mozart o Vivaldi o se il primo violino sia lì perché è brava o solo perché è l’amante del direttore. La lettera di Celli è uno spunto di riflessione, quali che siano i più o meno reconditi motivi per cui l’ha scritta e Repubblica gliela pubblica in prima, proprio perché l’esemplare figliolo non ha nessun bisogno di lavorare per vivere, né di faticare per cercare un posto, né rischia di fare il precario a vita: se, per strumentale che sia l’operazione giornalistica, è ammissibile pensare che uno così ben piazzato dal destino possa preferire l’espatrio agli agi di una vita da privilegiato, vuol dire che siamo proprio mal messi. Non è quando scappano i topi che ci si deve preoccupare davvero: è quando salgono alla chetichella sulle scialuppe gli ufficiali di bordo.
Quindi il punto è: servirà a qualcosa andarsene? E chi lo sa! E’ una scelta in perdita, questo è chiaro, la ratifica di una sconfitta. Ma serve qualcosa restare in un paese dove, sul fronte dei resistenti, chi frequenta i vertici come il signor Celli (ex-direttore generale della RAI!!!) sembra indignarsi più che altro per i ritardi dei voli Alitalia, e chi stimola la riflessione indipendente si incaponisce nella critica al narcisismo di colleghi che comunque rischiano la pelle per dire la loro?
1 Dicembre 2009 alle 10:53 am
Sì, mi era stato segnalato il post di Federica appena uscito, non avevo commentato (se non per mail) tuttavia credo che, una volta disquisito della correttezza politica o meno degli argomenti a supporto, il tema posto dalla lettera di Celli andasse affrontato nel merito. Che riassumo: indicare ai giovani, figli e non, la via di una sconfitta pressoché certa nel buio delle conseguenze o favorire una scelta (quasi?) altrettanto difficile (chi non ha esperienza del migrante non sa quant’è salato l’altrui pane), magari pronti a tornare quando e se…
1 Dicembre 2009 alle 4:04 pm
In Italia – è vero, è un paese pieno di difetti gravi – ci sono più leaders che seguaci. Vogliamo essere tutti leaders: armiamoci e partite!
Tutta ‘sta storia secondo me rientra nella strategia ‘politica’ di Repubblica, giornale-partito che non amo partcolarmente, visto che da un quotidiano cerco se possibile un po’ di informazione; non mi piace il lavaggio dei cervelli né la manipolazione strumentale (come ad es. nel nostro caso il rinforzo ossessivo della delusione-depressione, nella speranza che le masse trovino il famoso sussulto di orgoglio, a favore di ‘buoni’ naturalmente). Questo genere di strategia, spesso impantanatasi nel gossip più squallido, fa leva sull’emotività dei fedeli di parte e si propone come centro di potere mediatico alternativo. Mi puzza. La ritengo corresponsabile del degrado del nostro paese. (In sintesi, non è la destra che ha vinto, miei cari, ma la sinistra che ha perso!).
Qualche tempo fa mi furono tirate le orecchie da un caro amico per aver espresso l’umano desiderio che mio figlio raggiunga un titolo di studio ed una professionalità che possano aprirgli una qualche strada per la sopravvivenza futura: mi fu fatto notare che da un punto di vista buddista, preoccuparsi per il futuro dei figli e tentare di ‘indirizzarli’, è proprio ciò che non si dovrebbe fare.
Noto quindi che, appena la si gira in ‘politica’, la passione ridiventa incoercibile, ed i figli ridiventano ‘figli e mammete’
Emigrare? In quale paese? Uno dei paesi ‘ricchi’, immagino: Usa, Canada, nord Europa… . E magari con un posto di prestigio: ambasciatore, scrittore ecc…. Siamo alle solite. Credo che nessuno speri per i suoi figli di farsi strada con le proprie capacità – magari partendo dalla gavetta – a Kabul o in qualche angolo dell’Africa, dal Congo al Biafra se ancora esistono, o giù di lì. Se non da ‘ricco europeo’ con babbo alle spalle o, nella migliore delle ipotesi, funzionario di rango o leader di qualche organizzazione umanitaria.
Forse sarebbe il caso di vedere i nostri rampolli con un po’ più di fiducia e stima, magari evitare di condizionarli. Non è possibile che siano meglio di noi, che abbiano occhi più chiari dei nostri? Suvvia, un po’ di fede!
1 Dicembre 2009 alle 4:59 pm
Caro doc,
la mia adesione alla “proposta” di mym non era certo dovuta all’influsso nefando di Repubblica, che di certo non leggo, anzi neppure ho letto il testo riportato qui nel blog; ho semplicemente visto l’introduzione di mym.
Essendo un libero professionista relativamente giovane, non vorrei mica andare all’estero a fare l’ambasciatore; però sogno un Paese qualunque dove, se mandi in giro il CV, la gente almeno gli dà un’occhiata, anche se non sei parente – amico – amico degli amici – amante di nessun intrallazzatore.
1 Dicembre 2009 alle 5:20 pm
Caro doc, aspettavo un tuo intervento, visto che sei uno dei pilastri di questo sito, sei padre e sei, pensavo, per vari motivi coinvolto dal tema. Mi permetto dunque quello che credo sia un uso improprio di questa pagina, rivolgendomi a te personalmente. Ma visto che lo faccio in modo pubblico per un discorso allargato, forse il guardiano del sito mi concederà l’eccezione.
Per me la questione è assai semplice, e vorrei tanto sbagliarmi. L’Italia, se non succede qualcosa che non saranno le prossime elezioni, è ormai destinata a diventare un paese “fascista”. Uso intenzionalmente la parola proibita, perché condensa, nella mia sensibilità, quell’insieme di protervia, egoismo, vitellonaggine, cattiveria, meschinità, razzismo, stupidità, mancanza di visione ideale, ottusità… elevata a sistema di potere che il fascismo ha incarnato così egregiamente nel secolo scorso. E allora vorrei che i miei figli e i tuoi e quelli di chiunque non vivessero in un posto così.
Non ho nessuna aspirazione dirigenziale per i miei figli, se mi dicessero che vanno in Congo a guidare un trattore o a Stoccolma a suonare in un gruppo rock la mia preoccupazione sarebbe solo per la loro salute, come ovunque peraltro. E’ l’aria che si respira in Italia che mi preoccupa, per quanto io possa avere fiducia nelle loro capacità critiche. Se il fumo passivo fa male anche a chi non fuma, perchè mai non dovrebbe far male il fascismo passivo?
Tutto qui.
Certo, questo modo di vedere, che è anche uno stato dell’animo, ha a che fare col pensiero che mio padre mi ha consegnato un paese appena liberato dal fascismo e io lo riconsegno a mio figlio in questo stato. E’ più che probabile che i miei figli siano meglio di me, non ci vuole poi molto. E dunque ho fiducia in loro, ma questo non c’entra col nostro discorso. Anzi. Oggi andare all’estero, magari per qualche anno, anche non da rampolli di dirigenti, è un’esperienza che fa respirare aria nuova, fa vedere le cose da altri profili. E magari fa venire in mente soluzioni, per il proprio Paese che non verrebbero in mente se non si uscisse a prendere un po’ d’aria meno viziata.
1 Dicembre 2009 alle 5:30 pm
“Quell’insieme di protervia, egoismo, vitellonaggine, cattiveria, meschinità, razzismo, stupidità, mancanza di visione ideale, ottusità” che si trova benissimo anche in Umbria, dove da 60 (SESSANTA) anni di seguito senza interruzione governa la c.d. sinistra. Italiana.
1 Dicembre 2009 alle 9:20 pm
Il che, caro dr, è ,ahimé, irrilevante. Il fascismo di cui parlo non è un partito politico, è un modo di essere (anche se in Italia siamo riusciti nel “miracolo” di incarnare in un partito politico uno stile di vita, ed è per questo che lo chiamiamo così, quello stile). E’ una forma mentis, e come tale si ritrova ovunque. Dunque in questo dx o sin per me pari sono. Anzi, visto che per storia storica e personale la stragrande maggioranza delle persone che ho frequentato in vita mia sono state (e sono) di sin, mentre quelle dichiaratamente di dx le conto sulle dita di una mano, va da sé che, per la legge dei grandi numeri, i peggiori fascisti che ho conosciuto erano di sin. Me compreso, a volte. E sì, perché essendo una forma mentis, una categoria dello spirito, un comportamento di vita, e non una tessera, si è fascisti quando lo si è. Il lato buono della faccenda è che, essendo un modo di essere, si può dismettere, volendo, come ogni altro modo d’essere. Però bisogna saper riconoscerlo. Qui torniamo all’Italia di oggi. Un’occhiata allo specchio è un dovere che abbiamo prima di tutto verso noi stessi, credo. Ama il prossimo tuo come….
1 Dicembre 2009 alle 10:36 pm
1. “Anzi, visto che (…) va da sé che, per la legge dei grandi numeri, i peggiori fascisti che ho conosciuto erano di sin.”
Quello che adoro di questo “luogo” (situs) è che vi si dicono cose che nessun altro sa dire.
2. “Il lato buono della faccenda è che, essendo un modo di essere, si può dismettere, volendo”.
Hmm, fosse così facile…
1 Dicembre 2009 alle 10:39 pm
ah, @doc volevo aggiungere: niente di personale!
… nel senso che nel buddismo non c’è “niente” che corrisponda alla categoria ontologica di “persona”
😀
2 Dicembre 2009 alle 12:47 am
Ciao Jf e ciao Dr,
…tuttavia siamo su un sito buddista a parlare di persone.
Il tema si è fatto molto ampio e non ho una posizione particolare da sostenere, salvo concordare che sì, viaggiare ed avere esperienze anche all’estero certamente è una grossa opportunità per una crescita personale, a patto che la si sappia cogliere nel modo giusto. E questo può essere utile, come suggerisce Jf, a migliorare anche il proprio paese d’origine.
Poi, a volte, al bar, si può anche dire che sì, piuttosto che gli italiani, meglio andare all’estero…
Ma il tema originale, quello della lettera a Repubblica, è un’altra storia: a me pare un artefatto giornalistico che dà fiato ad un piagnisteo misto di pessimismo, autocommiserazione e rassegnazione, di facile presa emotiva. E’ una scena ad effetto studiata ‘politicamente’ (eh sì, purtroppo siamo a questi livelli…) e politicamente direi quantomeno di ‘cattivo gusto’. Non credo che meriti analizzarla ulteriormente.
Tuttavia mi viene da dire: i nostri figli non meritano certi consigli, soprattutto da padri che hanno fatto brillanti carriere sapendo benissimo come si fa a fare brillanti carriere.
(scusate il ritardo, ma sono rientrato tardi :-[ )
2 Dicembre 2009 alle 1:05 am
Mi viene da rilevare che, in realtà, non si parla di fuggire dall’italia bensì dagli italiani. Pertanto, non siamo tanto un paese fascista, quanto un paese popolato da ‘fascisti strutturali’.
Ma sapete quanti italiani ci sono in giro per il mondo? come scansarli? 😀
2 Dicembre 2009 alle 2:25 am
Siamo responsabili del degrado della nazione quanto lo potrebbero essere delle aspiranti pulci in confronto a consolidati elefanti.
La sinistra è colpevole ma non così becera e volgare come i cialtroneschi neo-crociati dell’altra sponda.
Repubblica non sarà il quotidiano ideale ma lo preferisco mille volte al Giornale.
Il declino politico-morale dell’Italia è innegabile ma quando vedo i livelli di censura, oppressione, miseria e precarietà dell’esistenza di tre quarti dei paesi del mondo, penso quanto sono fortunato a vivere qui…
2 Dicembre 2009 alle 8:50 am
Caro doc,
all’estero è pieno di italiani, però il mondo del lavoro – almeno in parte – funziona in modo alternativo. Perfino nella Cina monopartitica, iper-funzionarizzata e insabbiatrice c’è posto per la meritocrazia, quando la si ritiene utile allo sviluppo del Paese.
Perciò se V. (figlia di mym) avesse bisogno di aiuto per fare le valigie, non ha che da chiamarmi.
Un altro piccolo addentellato a quel “volendo” scritto da JF: se nulla possiede consistenza e tutto è impermanente, perchè l’unica realtà affidabile dovrebbe essere la volontà? Che anzi…
2 Dicembre 2009 alle 9:43 am
Caro doc,
l’Italia la fanno gli italiani (come diceva Garibaldi, o era Nino Bixio? o Claudio Bisio?) e il fascismo lo fanno i fascisti. Non ho detto, e non lo penso, che gli italiani siano fascisti in quanto italiani e dunque il problema degli italiani all’estero in questi termini per me non si pone. Ho semmai suggerito che, se il fascismo è una categoria mentale e un modo di essere prima di tutto individuale, gli italiani hanno regalato al mondo e alla storia la capacità di renderlo partito politico, nel senso di aggregazione organizzata per la gestione e l’amministrazione della polis, della res pubblica. E non è poco. Per cui oltre che guardarci allo specchio ogni tanto per dare una controllata a noi stessi come individui, sarebbe il caso di farlo anche come collettività a rischio. La lettera di mr. Celli, quali che siano i motivi per cui l’ha scritta, è per me un’interessante provocazione, nel senso etimologico di “chiamarmi fuori” dal mio habitat mentale e costringermi a guardare in un altro specchio. Ricordate il Sutra del Loto? Ai figli nella casa in fiamme, inconsapevoli, il padre non dice: Voi che siete tanto bravi, state dove siete, gettate acqua sul fuoco e spegnete l’incendio! Li alletta con un dono stupendo perché escano fuori e si salvino. La questione è: la casa (nella fattispecie l’Italia) sta bruciando o è solo un fuoco di paglia, e il fumo una manovra dei disfattisti? Mi sa che presto lo sapremo.
Caro dr, “volendo”, fra due virgole, non stava a dire che per dismettere un modo d’essere basta volerlo né che si fa con la forza di volontà. Stava a dire che per dismettere un modo d’essere bisogna volerlo fare, innanzitutto. Volerlo e farlo son due cose distinte, ma credo sia il volerlo che conduce sulla soglia del farlo.
2 Dicembre 2009 alle 10:28 am
(Esco lievemente di topic, ma resta comunque legato alla “possibilità di redenzione” di un singolo o di una nazione)
“Credo sia il volerlo che conduce sulla soglia del farlo”: sulla base di Spinoza, tendo a capovolgere la questione. Si fa – di fatto – qualcosa, per cui lo si percepisce come “voluto” (“Se un sasso lanciato in aria potesse pensare, penserebbe di muoversi di sua spontanea volontà”). A decidere che cosa si fa, a monte, sono una serie di spinte inconsapevoli difficilmente controllabili.
Pessimismo? Attendo smentite con trepidazione. Le attendo dalla vita; a cominciare dalla mia.
Nel frattempo, se c’è bisogno anche di un facchino per le valigie, ecc.
2 Dicembre 2009 alle 11:01 am
Caro Jf, non è che io non veda gli aspetti preoccupanti che tu sottolinei: è, innanzi tutto, che spero che tu ti sbagli. E’ che voglio/devo aver fiducia nei più giovani. E’ che penso che un sano spirito critico vada applicato sempre (quindi anche di fronte ai giochini come quelli di Repubblica); mentre il rinunciare allo spirito critico quando a spararle grosse sono quelli che consideriamo ‘amici di parte’ rientra proprio tra quei vizi italiani, modi di essere, che tu stigmatizzi e che stanno alla base del ‘fascismo strutturale’ e dei nostri ragionamenti. Così un po’ come vedere l’erba del vicino sempre più verde.
Non sono d’accordo nello stiracchiare la metafora del sutra del Loto per applicarla a situazioni contingenti. Una metafora vale per il campo di applicazione per cui viene proposta: nella fattispecie qui si tratterebbe di scappare di casa abbandonando nella casa che (forse) brucia, donne e bambini. Oltretutto nutrendo quella che mi pare un’altra bella illusione: che fuori di casa si trovi tout court l’Eldorado, i ‘veicoli’ di ogni foggia e rivestiti di mille pietre preziose. E’ vero, è molto tempoche non viaggio e non ho poi girato il mondo così tanto: ma se andiamo a guardare i paesi ‘esteri’ e la loro storia con spirito critico, così come facciamo per il nostro stivale, non mi pare che ci sia poi così tanto da ridere.
Certamente, chi vuole andare via fa bene a farlo (per ora, almeno, è possibile!); casomai, se e quando ci ripensa, torna indietro.
A questa sera…
2 Dicembre 2009 alle 11:01 am
Sarà pure che io arrivo a credere di voler fare questo o quello per una serie incontrollabile di spinte e controspinte che risalgono al big bang (o chi per esso), però se mi fermo nella risalita alla decisione (di tirare il sasso che poi se potesse pensare crederebbe ecc..) conta o non conta la mia voluntas? Ho un margine per cui posso decidere di tirarlo o no? Non sempre, certo, ma almeno in qualche caso. Altrimenti che bruci la casa, metto anch’io la mia fascina, è così bello il fuoco! Lo so, è vexata quaestio, però posso almeno credere di voler credere che posso credere di poter volere. O no?
2 Dicembre 2009 alle 11:30 am
E così siamo arrivati a Llosa: ”Posso anche immaginarmi che scrivo che già avevo scritto che mi sarei immaginato che scrivevo che avevo scritto che mi immaginavo che scrivevo che mi vedo scrivere che scrivo” (La zia Julia e lo scribacchino). Comunque oggi su La Repubblica c’è un interessante articolo (on line non lo trovo) di Benedetta Tobagi che è ben rappresentato nel titolo “Ma i padri non devono invitare alla fuga”. Egregiamente argomentato.
2 Dicembre 2009 alle 11:32 am
Che ritmo, comincio ad ansimare. La mia precedente era, con evidenza, per dr.
Caro doc, è proprio perché ho fiducia nei giovani che gli consiglio di farsi un giro. A casa si sta bene, fa caldo, si capisce la lingua, in fondo non manca niente e qualche frustrazione si può anche mandar giù. Fuori non c’è il Bengodi e l’erba è verde se la innaffi. Però ogni erba non è un fascio (absit iniuria verbo). Qui dove mi trovo parlo con un giovane italiano che fa studi umanistici, è sostenuto economicamente da questo governo di destra che spende per la ricerca (perfino quella umanistica che non serve a niente!) e finanzia senza guardare la nazionalità (“non ce n’è per i nostri, figurarsi per luri” direbbe un ministro nostrano) e incoraggiato dai professori solo sulla base del suo impegno (che è qualcosa di diverso dal merito). Non è che al di là della siepe c’è l’Eldorado, è che al di qua l’erba è secca. E poi, guarda, andare a vivere lontano dal proprio paese non è come fare un viaggio, per lungo che sia. E’ un gran sacrificio, anche se non sei un sans papier, come dicono qui, un extracomunitario clandestino, come si dice da noi. Non è una bazzecola neanche per chi va per star meglio e non solo per fuggire a un orrore. Però sembra che tiri un’altr’aria, finché dura, mentre da noi a me pare viziata. Ma chissà, forse è solo il mio naso ad esser viziato. Spero, con te, di aver torto. E se ho torto la metafora del Loto me ne scuso: lo sapevo che qualcuno avrebbe eccepito. Però le situazioni sono sempre contingenti. E i giovani non lasciano donne e bambini, a meno che non siano molto precoci.
2 Dicembre 2009 alle 1:32 pm
Il commento di Louis (N° 16) era rimasto nei filtri del server ed è giunto ora, peccato perché è controcorrente, almeno rispetto a certe correnti…
2 Dicembre 2009 alle 2:40 pm
Concordo con Louis per quanto riguarda la lettura dei quotidiani.
Anche a proposito dei neo-crociati.
Lo stesso sul fatto che nascer qui è una specie di fortuna, ma se ci si paragona al peggio un colpo di machete è una carezza in confronto a uno di bazooka (si scrive così?).
Tante pulci pesano come un elefante.
2 Dicembre 2009 alle 2:46 pm
Poi a meno di uscite fantasmagoriche depongo le armi.
L’articolo di Benedetta Tobagi è davvero da leggere (anche per chi ha in uggia La Repubblica). E’ l’altra faccia dell’articolo di Celli. Lei poi il rapporto adulto col padre se lo è dovuta inventare. Mi pare abbia fatto un egregio lavoro.
Ma allora quelli di Repubblica non sono così malfidati se mettono in prima entrambi i lati della medaglia (l’ho detto, però non ricominciamo daccapo, per cortesia).
2 Dicembre 2009 alle 4:38 pm
Ho trovato on line l’articolo/lettera della Tobagi, per chi lo vuol leggere risparmiando l’acquisto del giornale, eccolo qui
2 Dicembre 2009 alle 7:23 pm
Molto bene. Un punto per Repubblica, per quanto mi riguarda. E si può perdonare la tardività della ‘risposta/punto di vista complementare’: voglio sentirmi magnanimo . (O sarà la magnanimità che si traveste da volontà per farmi fare la solita figura del fesso?!)
2 Dicembre 2009 alle 7:34 pm
Complimenti anche alla sintesi di Louis (n. 16), con cui concordo.
Aggiungerei solo una cosina, non certo per critica ma per rinforzo: quel quarto di mondo che non citi è proprio quello dove tutti vorrebbero andare per ‘stare meglio ed avere maggiori opportunità’: ed è anche quello la cui popolazione si crogiola in agi determinati dalle ricchezze sottratte agli altri 3/4 del pianeta con mirabile sprezzo del prossimo e crudeltà passate presenti e, temo, future inaudite. E’ quello che consuma ed inquina non so quante volte più degli altri 3/4 di mondo ed è quindi particolarmente responsabile del disastro ecologico planetario. E’ quello che ha inventato la guerra preventiva; è quello che ha appena votato al referendum per continuatre a produrre e vendere armi e non vuole i minareti; eccetera eccetera
Non è tutto oro quello che luccica.
2 Dicembre 2009 alle 8:47 pm
E così – contro tutto il senso del discorso imbastito da JF – si è arrivati alla rassicurante conclusione che chi vuole emigrare per lavoro è un imperialista e un fascista.
Peccato che a lanciare la discussione “pro espatrio” sia stato mym, che in comune con “lui” ha giusto la pelata.
2 Dicembre 2009 alle 9:30 pm
Hai ragione doc, e qui si aprirebbe più che un nuovo canale di discussione, una voragine. Non parlavo comunque di equità, ma di fortuna. Tale è purtroppo, in questo mondo, il “normale” diritto di non morire di fame e di stenti o di bombe. Aggiungo che il poter ancora parlare liberamente in un blog, non essere, come avviene nei regimi teocratici, lapidati o decapitati per preferenze sessuali o per aver manifestato idee contrarie al ras di turno ecc. sono valori che la laicità e l’illuminismo hanno portato nella nostra cultura e noi dobbiamo preservare con tutte le nostre forze. Non gettiamo l’acqua sporca insieme al bambino (non dico a te, ma in generale a chi tende a rappresentarsi solo il marcio e gli aspetti meno edificanti della nostra civiltà).
3 Dicembre 2009 alle 12:32 am
Ciao anche a Louis.
Io, caro Dr, ero arrivato ad altra conclusione ,che provo a tratteggiarti. (Ho notato una certa propensione ad una visone ‘personale’ del tema, in questo blog: o è solo la mia sensibilità?!)
Ovunque siamo, siamo ‘qui’ ed abbiamo a che fare con i problemi e la gente di ‘qui’: che non è un posto geografico, naturalmente, ma – vergognosamente citando a mente le criptiche parole di Doghen – è nientemeno che il “mondo della trasmissione del dharma”!. Le cose cambiano e così le condizioni esterne a noi. Gli stessi paesi attraversano, tutti, fasi cicliche e non esiste un mondo fisico a nostra personale misura. Se non tutto almeno una parte del nostro disagio profondo, inteso come dukkha, non dipende dalle condizioni ambientali.
Che poi la mia volontà sia causa efficace e sufficiente ad eliminare il ‘velo’che mi tiene ai margini di quel “mondo della trasmissione del dharma” , non saprei; ma non posso fare a meno di volere. Ci sarà pure un motivo…
3 Dicembre 2009 alle 8:47 am
Caro doc,
in sé hai ragione, ma se a sentire quel disagio sono anche personaggi come mym e jf, che sicuramente sanno riconoscere i trabocchetti delle “false fughe illusorie”, allora qualche problema ci sarà sul serio.
Quanto ai toni “personali” dei miei post, verissimo. Vorrei guadagnarmi onestamente da vivere con il sudore della fronte… sì, l’ho detto, arrestatemi!!
3 Dicembre 2009 alle 10:38 am
Oggi, 3 dicembre, su La Repubblica vi è il terzo articolo della serie, s’intitola “I miei figli all’estero col cuore italiano”, di Veronesi Umberto. Tratta del Villaggio Globale. Fa sbadigliare fin dal titolo…
3 Dicembre 2009 alle 11:20 am
Ah beh, allora è da leggere prima della nanna…
Caro dr, capisco cosa vuoi dire: è buona cosa avere dei punti di riferimento che ci aiutino ad orientarci, soprattutto quando trattasi di ‘buoni amici’ al di sopra di ogni sospetto. Ma appoggiarsi ad altri è comunque perdere l’equilibrio. Ed in più si rischia di caricare questi altri di responsabilità che non hanno, quale quella di aver indirizzato una nostra scelta: un domani potremmo dire ‘ecco, è colpa dei suoi consigli se oggi mi trovo in questa situazione!’
Andare, venire, stare: perchè preoccuparsi tanto delle opinioni altrui? perchè dire ad altri cosa è bene fare e cosa no? quali sono le reali motivazioni che ci spingono a fare una scelta o l’altra?
Nessuno ti arresterà nè ti criticherà, se vorrai andare: anzi, se trovi un bel posto magari invitami chè mi farebbe giusto bene muovere un pò il sedere da qui…
3 Dicembre 2009 alle 11:55 am
Un bel posto, dici? Te ne invierò uno in visione… con gli auguri di Natale.
😉
3 Dicembre 2009 alle 4:02 pm
grazie. ciao