Per la pagina Bibliografia commentata-Approfondimenti, l’amico dhr ci invia una scheda su un testo al quale la prima parte del titolo sul “dopo morte” non rende pienamente giustizia. Infatti è più propriamente un librocop_grun sull’arte di quel vivere che comprende il morire, l’ars moriendi come ricorda dhr. Val la pena rammentare che la formulazione “dopo la morte”, relativa per esempio a un aldilà, è quantomai infantile: parlare di un dopo presuppone che si possa rispondere alla domanda “quanto dura?”. Può essere che la morte duri così a lungo che non sia poi così interessante chiedersi che cosa c’è dopo. Forse più intrigante, e meno vano, è il chiedersi riguardo al durante…

Morte, la s’ignora del tutto

Anselm Grün, Che cosa c’è dopo la morte? L’arte di vivere e morire, Paoline, pagg. 196, euro 16.
Tutta la tensione interna a questo nuovo libro del monaco benedettino Anselm Grün è espressa dal rapporto tra

il titolo “Che cosa c’è dopo la morte?” e il sottotitolo “L’arte di vivere e morire” (traduzioni fedeli del titolo e sottotitolo originali tedeschi). Il tema più delicato e più intrigante è “L’arte di vivere e morire”, però evidentemente gli editori e/o l’autore hanno pensato che non fosse sufficiente, e soprattutto che avrebbe fatto poco colpo sul mercato, quindi in bella evidenza è venuta la frase “Che cosa c’è dopo la morte?”.
Quest’ultimo punto di forza, nell’ottica del mercato, corrisponde però al punto debole sul piano contenutistico. Di per sé padre Grün è una persona colta, attenta, spiritualmente matura. Precisa fin dall’inizio che l’aldilà, per definizione, è inconoscibile e indescrivibile. Quindi le categorie con cui se ne parla, anche in ambiente cristiano (paradiso, Gerusalemme celeste, banchetto ecc.), sono solo immagini che non hanno lo scopo di descrivere alcunché, ma di consolare, di introdurre la persona alla modalità positiva di porsi di fronte all’evento della morte. Ciò non toglie che in varie occasioni l’autore cada nella tentazione di “quantificare” il regno dei cieli, sciorinandone le meraviglie paesaggistiche e gli impagabili benefici. Con un triste scivolone qualunquista a proposito del buddismo.
Dietro queste – poche – note un po’ stridenti, si avverte tuttavia una melodia di fondo ben più raffinata, quella appunto in cui Grün lascia indicazioni di percorso relative a “L’arte di vivere e morire”. Dove la congiunzione “e” non separa due concetti, ma congiunge due aspetti della medesima realtà. Due modi complementari di avvicinarsi al mistero della non/esistenza, in cui ognuno dei due illumina l’altro. Parole nutrite degli insegnamenti del Vangelo, di san Benedetto, della tradizione cristiana e anche dell’esperienza personale, in quanto padre Grün è attivo come consulente per l’elaborazione del lutto.
Disciplina antica, quella dell’ars moriendi o “apparecchio alla morte”; oggi caduta un po’ in disuso, ma senza motivo, perché la morte fa ancora tenacemente parte delle nostre vite (e viceversa). Grün la impreziosisce con acuti riferimenti a opere d’arte, o aspetti del folklore, o collegando tra loro in modo inedito i versetti della Bibbia. Ad esempio una frase di Gesù che nessuno cita mai: “Se il tuo corpo è tutto luminoso, senza avere parte alcuna nelle tenebre, tutto sarà nella luce, come quando la lampada ti illumina con il suo fulgore”.

dhr