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o stesso è ciò che è vivo e ciò che è morto, che è desto e che dorme, che è giovane e che è vecchio: queste cose mutando sono quelle, e quelle di nuovo mutando sono queste” (88 DK). Così scriveva Eraclito, “l’inventore” del logos, tòpos dell’anima e di questa il fondo. La sapienza dell’era assiale pare echeggiare nelle sue parole, quasi un ponte tra Cina, India ed Hellas.
Di questo e di più ne I Confini dell’Anima, la nuova puntata de All’ombra del Partenone, come sempre a cura di CR.

I confini dell’anima

“I confini dell’anima non li puoi trovare andando, pur se percorri ogni strada: così profondo essa ha il logos.” (Eraclito, 45 DK).
Eraclito, soprannominato dagli antichi skoteinos, l’Oscuro, era evidentemente di difficile interpretazione anche per loro, i quali disponevano del testo completo della sua opera.

Scrive di lui Diogene Laerzio

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(IX 6): “Eraclito, come è stato affermato… l’avrebbe scritta (la sua opera) di proposito in forma così oscura perché vi si accostassero solo quelli che fossero in grado di intenderla.” A noi sono giunti 126 frammenti, tra i quali alcuni limitati a 2/3 parole, riportati da grammatici, filosofi posteriori, seguaci e oppositori: tanto più oscuro ci riesce, quindi, dal momento che ci manca del tutto il contesto in cui ogni frammento si possa inserire assumendo il suo pieno significato nello sviluppo di un discorso costruito secondo criteri logici/razionali. I frammenti sono certo sufficienti per mettere a fuoco chiaramente la posizione eraclitea nella storia del pensiero, nonché per rilevare la straordinaria efficacia delle immagini simili più a quelle della poesia che a quelle dell’argomentare filosofico. Ma non bastano a risolvere l’impenetrabilità delle singole affermazioni. Espongo qui un esempio delle perplessità originate dal testo. Nel frammento 45 sopra riportato, cosa significa logos? Pagine su pagine sono state scritte in proposito dai filologi, i quali arrivano a conclusioni discordanti l’una dall’altra per quanto tutte ugualmente sostenute da un’indagine linguistica e storica altrettanto serrata e documentata. Logos non può essere “ragione, facoltà intellettiva” in quanto il vocabolo assume questo significato soltanto circa un secolo più tardi rispetto a Eraclito, vissuto tra la fine del VI e l’inizio del V, inoltre la ragione non è un attributo riferibile all’anima. Diano e Serra traducono con “Discorso”, citando anche, tra gli argomenti presentati da chi ne da’ la stessa interpretazione, quello di E. Hoffmann: “Il Discorso non vuole dar nome a nulla, fissare nella sua singolarità nessuna cosa… vuole e può di più, abbracciare l’andare e il venire, il su e giù delle cose”. In effetti, altrove così scrive Eraclito: “Lo stesso è ciò che è vivo e ciò che è morto, che è desto e che dorme, che è giovane e che è vecchio: queste cose mutando sono quelle, e quelle di nuovo mutando sono queste” (88 DK), “La via in su e la via in giù è una e la stessa” (60 DK); “Il divino è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame…” (67 DK). Ma se logos = discorso, quale può essere il Discorso dell’anima?

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Bruno Snell, lo studioso della scoperta dello spirito/pensiero attraverso il primitivo mondo greco dall’epica alla lirica al dramma, lascia non tradotta la parola logos del fr.45; si sofferma invece sul valore che assume nello stesso frammento la parola psyche, anima. Egli osserva che, nel più antico documento in lingua greca di cui si conosca l’esistenza e che ci è arrivato per intero – il complesso dei poemi epici accomunati sotto il nome di Omero -, la psyche non ha niente a che vedere con l’anima pensante e senziente: è anima soltanto in quanto “anima” l’uomo, cioè lo tiene in vita; è una sorta di alito vitale del tutto simile a un organo fisico che, finché l’uomo è in vita, vive con lui. E il poeta non ne rimarca mai la presenza nella persona se non nel momento della morte, in cui essa se ne allontana uscendo dalla bocca o attraverso la ferita, e va verso l’Ade: non compare mai come caratteristica o componente dell’uomo finché è in vita, non mostra di avere alcuna funzione nell’organismo vivente.
Non sappiamo i passi attraverso cui si è modificata nei secoli questa concezione, fino a quella classica dell’anima come parte spirituale di ogni essere umano vivente, sostanzialmente distinta dal corpo e da ogni organo fisico: le testimonianze sono quasi inesistenti. Possiamo però constatare nella lirica arcaica la comparsa dell’aggettivo “profondo” riferito al sapere, al pensiero, al dolore: l’idea di profondità suggerisce quella di “illimitatezza” del mondo spirituale che lo distingue dal mondo fisico. Il passaggio è del tutto compiuto in Eraclito, nel fr. 45 sopra riportato.

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Qualunque cosa sia il logos dell’anima, sua caratteristica è la profondità: del tutto estranea a un organo fisico e alle sue funzioni, è una qualità che non riguarda né lo spazio né l’estensione e, se si può considerare eracliteo il fr. 115 DK, ha la proprietà di svilupparsi e aumentare: “E’ proprio dell’anima il logos che accresce se stesso”. Cosicché la psyche si estende a raggiungere l’infinito.