Riceviamo e, più volentieri del solito, pubblichiamo una riflessione di Jiso Forzani sul nuovo reato da poco introdotto in Italia: quello di “clandestinità”, ovvero legato ad uno status e non ad un agire, ad un misfatto. L’introduzione di questo reato sarà una grave violazione dell’etica filosofica. Lo so che detto così pare nulla: la filosofia, la poesia, l’etica non si mangiano né fanno guadagnare quattrini, forse per questo dai dirigenti politici attuali sono sbeffeggiate. In base però ad una precisa filosofia: quella che premia il più forte e zittisce il più debole.

Ninetta mia

Mentre non pochi maestrini di pensierini con le facoltà mentali strozzate dal torcicollo e la vista murata dal moralismo di recupero sentenziano che i mali dell’Italia provengono in buona parte dal ’68, culla del lassismo e del relativismo individualista,

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quarant’anni dopo il “joli mai” l’Italia infelix di questo maggio grigio striato di nero si appresta a varare, nel disinteresse del popolo democratico che ha votato tanto e votato bene, una legge che trasforma una condizione logistica ed esistenziale in un reato.

In uno stato di diritto un reato dipende dal fare, non dall’essere: io non posso essere imputato perché “sono” ladro, ma perché ho rubato quel particolare bene in quel luogo specifico e in quella data circostanza – ed eventualmente condannato se il fatto imputatomi, il furto, è ragionevolmente dimostrato che io lo abbia effettivamente commesso. Il reato di clandestinità non è invece legato a un fatto, ma a uno stato (l’entrata illegale nel territorio dello Stato contravvenendo alle leggi che la regolamentano è altra cosa ed è già sanzionata dalla nostra come da ogni legislatura). La creazione del reato di clandestinità che i nostri governanti fortissimamente vogliono in nome del popolo che fortissimamente li ha voluti, al di là del merito giuridico, è un oltraggio ambientale alla democrazia, la ratifica legislativa di una violazione dello spirito democratico che alimenta e sostiene uno stato d’animo antidemocratico cui il nostro caro popolo italiano si è troppo spesso dimostrato incline. Uno dei principi della democrazia è la ricerca inesausta della libertà per chiunque, indipendentemente dalla razza, nascita, provenienza, appartenenza… e uno degli elementi primi della libertà è la libertà di movimento, circoscrivibile solo in casi eccezionali, come la detenzione temporanea per l’espiazione di una pena per un reato commesso. Se il movimento, l’essere in un luogo per il solo fatto di esserci giunti, diviene reato, un cerchio diabolico si chiude: posso essere privato della libertà di movimento per il solo fatto di essermi mosso. Che un’aberrazione del genere possa diventare legge dello Stato dovrebbe smuovere un’indignazione corale e unanime: non se ne sente l’eco.

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La democrazia non è solo un modo di votare e di contare i voti: è il tentativo di mettere in pratica lo spirito dell’eguaglianza, dove ogni uno ha lo stesso valore intrinseco. Se la democrazia diventa solo una legge elettorale, una meccanica della rappresentanza, basterà suggestionare la percezione dei votanti e poi i numeri forniranno l’alibi che serve per sanzionare democraticamente qualunque cosa, perfino la fine della democrazia. Chi ha alimentato la paranoia dell’identità generando l’ossessione della sicurezza oggi invoca la paura della “gente che ci ha votato per questo”, il “diritto a non avere paura” per contrabbandare la violazione di un diritto democratico basilare come espletamento di un dovere democratico. La democrazia muore in nome della democrazia, insultando per di più la nostra intelligenza. Nel 1968 noi, fannulloni individualisti senza morale, avremmo invaso strade e piazze con la nostra indignazione. Mi tocca accontentarmi di una rete virtuale, che tutto ingoia senza sussulti, per testimoniare la mia, come essere umano, cittadino italiano, praticante buddista. “Ninetta mia, crepare di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio…”. Meno male che il tempo è brutto…

Jiso