In questi giorni, mentre una strana agitazione pare contagiare i più portandoli, tra l’altro, ad accendere lucine

colorate un po’ dappertutto, DHR ha invece tempo da dedicare a legger libri quieti e a raccontarceli. Questa volta si tratta di Omelie delle feste del SignoreTempo ordinario, di don Giuseppe Dossetti. Vi offriamo la sua recensione, ringraziandolo per la cortesia.

Luce da luce

Un libro che si apre con un lampo di luce e si chiude nella luce ineffabile.
Sarà un caso, ma sono proprio questi i temi della prima e della ultima predica di don Giuseppe Dossetti contenute nella raccolta Omelie delle feste del SignoreTempo ordinario appena pubblicate dalle Paoline. La prima, risalente alla solennità

dellʼAnnunciazione del 25 marzo 1968; lʼultima, alla solennità della Trasfigurazione del 6 agosto 1996. Estremamente significativi anche gli anni: nel 1968 Dossetti aveva appena dato inizio alla propria esperienza di vita monastica, mentre il 1996 sarà lʼanno della sua morte, tanto che lʼomelia sulla Trasfigurazione può essere considerata il suo testamento spirituale.
Termina con le parole: “Il significato pratico, concreto della trasfigurazione è anche questo: poter adorare e assimilare i patimenti di Cristo nella pace. È stupendo, no? Nel riposo, non nella commozione, non nellʼagitazione; nella sofferenza reale sua e nostra, sì, ma nella pace. Questo è il primo fondamentale frutto della trasfigurazione del Signore, lʼinvito a parteciparne con larghezza di cuore, per potere poi insieme godere della sua luce infinita, della sua essenza divina che tutto lo trasforma e tutti ci trasforma, e che trasforma e illumina di una luce radiosa tutto lʼuniverso. E così sia”.

Nella storia della Chiesa contemporanea, Dossetti viene dato “in forze” allʼala progressista, ma questa è coercizione ideologica. “Progressista” può andare bene se indica il suo cristianesimo radicale, ridotto allʼessenziale, poco incline ai giochetti di potere. Ma se si guarda alla sostanza della predicazione dellʼex membro della Costituente ed ex vicesegretario Dc, con il suo ritorno puro e duro alla spiritualità dei Padri della Chiesa, allora con altrettanta pertinenza lo si può classificare tra gli ultraconservatori.
Illuminanti alcuni suoi testi della seconda metà degli anni ʼ70, riferiti alla cosiddetta pastorale del post-Concilio, ancora adesso in auge: “Se da una parte nella Chiesa ci sono certamente i doni dello Spirito Santo, dallʼaltra ci sono tanti altri segni, quegli sventurati, disgraziatissimi segni dei tempi di cui si parla oggi equivocando completamente sulla parola evangelica e andandoli a cercare dove non ci sono. A questo proposito bisogna raschiare via tutto il discorso di questi ultimi dieci o quindici anni… Ci siamo sempre detti che la nostra teologia è una teologia antica e che non siamo disposti ad accedere a riletture dei misteri fondamentali del cristianesimo secondo chiavi diverse… Qualcuno dei contemporanei ha inventato nuove chiavi, ma a me non interessano”.

Ironia della sorte, lʼintroduzione del libro è stata affidata a mons. Bruno Forte che, con tutto il rispetto, è appunto uno degli epigoni della teologia elegante e innocua, tutto il contrario di ciò per cui Dossetti si batteva.
La si raccomanda per la sua inattualità, questa sorta di autobiografia monastica di Dossetti che copre lʼintero arco della sua vita nella congregazione Piccola Famiglia dellʼAnnunziata, fondata da lui. Una inattualità che – insistendo su ciò che “conferma” e rende “stabile” il Vangelo da due millenni – è lʼunica prospettiva realmente attuale. Anche per chi cristiano non è, un confronto serio con il cristianesimo dovrà passare da pagine come queste, non da tavole rotonde in cui si chiacchiericcia su che tempo fa.

Giuseppe Dossetti, Omelie delle feste del SignoreTempo ordinario, Paoline, Milano 2011, pp. 214, euro 21