Mer 14 Dic 2005 Scritto da Padre Luciano AGGIUNGI COMMENTO

* Nella celeste camera nuziale
Maria assunta in cielo – 15 agosto – (Lc 1,39-56)

In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». Allora Maria disse:

«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

* Magnificat

In piena estate, quando nel nostro emisfero il caldo e in quello boreale il freddo raggiungono il loro apice, la Chiesa ha collocato la festa di Maria assunta in cielo. Festa di antica tradizione, nata spontaneamente nel popolo cristiano, che nel 1950 da papa Pio XII, a nome della Chiesa, fu codificata in un dogma di fede. Il dogma dice che Maria, dopo la sua morte, in corpo e spirito è stata assunta nella celeste camera nuziale della divinità, come madre della creazione. Ella stessa donna fra le donne, creatura fra le creature, è dichiarata figlia del Padre, madre del Figlio e sposa dello Spirito: inscindibile quindi non solo dall’opera di Dio, ma ancor più dalla sua natura. Così Maria entra nella stanza nuziale di Dio, con il corpo e con lo spirito. «Umile ed alta più che creatura»: canta Dante nella Divina Commedia. I fratelli protestanti non accolgono questo principio, perché non espresso direttamente nelle Scritture; ma Carl Gustav Jung, benché figlio di un pastore protestante, scrive nella sua autobiografia: «il cristianesimo sonnecchia e ha dimenticato di sviluppare ulteriormente il suo mito, nel corso dei secoli… l’unico raggio di luce è Pio XII con il suo dogma», «Nel dominio del pensiero cattolico la Madre di Dio e Sposa di Cristo è stata accolta nel divino talamo».

La festa di Maria assunta in cielo, difficilmente deducibile dalle Scritture, scaturisce piuttosto dalla religiosità umana e universale. Rappresenta, come afferma Jung, un mito primordiale che, creduto e celebrato, riscalda e conforta l’esistenza. Tutti i popoli celebrano, in un modo o in un altro, la santità del principio femminile dell’esistenza che si manifesta come madre, sposa e figlia sia nei riguardi di Dio come della creazione. Nel cattolicesimo Maria è riconosciuta come la donna che impersona tutto questo in modo perfetto. Maria è la terra, Dio è il cielo: questa l’immagine più popolare. La terra senza il cielo non è nulla, perché anch’essa esiste nel cielo come un frammento del cielo. Così Maria è creatura di Dio. Ma il cielo non può non avere la terra da fecondare, su cui versare raggi di sole e gocce di pioggia. È in questo misterioso rapporto fra Dio e la creazione che l’umile giovane di Nazaret è stata elevata a grande Madre, grande proprio perché umile.

Maria, e in lei tutta la femminilità, ha cantato il Magnificat! Il Magnificat è anzitutto esultanza di essere così: esistere come madre, sposa e figlia di fronte a Dio e alla creazione. È consapevolezza di dignità somma, e insieme umiltà convinta perché tutto è ricevuto come dono. Maria riceve da Dio di essere madre di Dio: «figlia del tuo figlio», come canta Dante. Forse è proprio della donna la capacità di avere di sé un’alta e umile concezione, perché sa che lei è necessaria e inutile: lei è tutto per i figli, mentre altro non desidera che i figli raggiungano l’autonomia da lei. «D’ora in poi tutte le generazioni mi diranno beata»: sì, perché le generazioni passano attraverso di lei e lei le aiuta a passare. Lei sa che ogni generazione è un processo di misericordia infinita: «Di generazione in generazione la sua misericordia».

Maria rappresenta tutte le donne che, confidando nella potenza del braccio di Dio, hanno resistito alla superbia dei prepotenti e, resistendo, hanno esposto la loro vita per proteggere la vita che è nata dal loro seno. L’amore di una donna è più forte dell’odio di qualsiasi dittatore: l’uomo dimentica il nome del tiranno, ma non l’affetto della madre o della sposa. Nessuno, prima di morire, invoca il nome di un potente, ma quello della madre. Nemmeno il nome di Dio, ma quello della donna attraverso la quale Dio gli ha donato la vita. L’uomo percepisce profondamente il legame inscindibile fra il seno che lo ha plasmato e la tomba che nuovamente scomporrà il suo corpo. Seno della donna che coagula dal tutto il mio corpo; e seno della terra che scioglie il mio corpo nel tutto. Nelle icone orientali il bambino Gesù che riposa sul grembo della madre è avvolto con una fascia, come viene fasciato il corpo del defunto alla sua sepoltura.

Nello Zen come nell’ebraismo e nel cristianesimo protestante la donna è rimasta molto marginale. Nel cattolicesimo è viva la devozione a Maria, aiuola di terra immacolata e purificata dal dolore, che Dio ha assunto nella sua camera nuziale. Venga il giorno in cui in ogni donna e in ogni esistenza femminile tutti riconoscano la madre, la sposa e la figlia.

Luciano

* Il canto di ogni cuore

La figura di Maria sembra assommare le più stridenti contraddizioni. Vergine madre, figlia del tuo figlio: già Dante la salutava così, con gli attributi delle contraddizioni che la compongono. Da circa cinquant’anni la Chiesa cattolica ha codificato un’ulteriore contraddizione: la donna Maria, donna in carne e ossa vissuta duemila anni fa in Palestina, è assunta in cielo, in carne e spirito: e cielo e carne ci appaiono due realtà inconciliabili.

La tendenza forse più diffusa mi pare quella di intendere che queste caratteristiche di Maria (verginità – maternità soprannaturale – assunzione in cielo) ne fanno una creatura superiore, che poco o nulla ha in comune con le donne, le figlie, le madri che hanno popolato e popolano il mondo: la devozione di cui è oggetto sembra essere dovuta a un processo di sublimazione più che di identificazione. Questo, però, mi pare una mortificazione ingiusta della femminilità. La maternità così come è, secondo le meravigliose leggi della natura, è un miracolo ordinario che non finisce di stupire: perché aggiungere ad esso l’elemento della verginità, come se ci fosse qualcosa da correggere (da aggiungere o da togliere, secondo i punti di vista) nella maternità normale, per renderla divina? La verginità è bella e ha valore in se stessa: la maternità è bella e ha valore in sé stessa. Perché mischiare cose che sono belle in se stesse, distinte? Cosa aggiunge l’assunzione in cielo alla meraviglia del corpo? Il corpo è bello, è miracoloso, è santo così come è: perchè nasce, invecchia, muore, si decompone, si riforma in altre forme di vita, sale nel vento come fumo: cosa aggiunge a questo il salire di un corpo nel cielo, forma ingombrante in un mondo d’aria e di luce, trasparente e senza confini? Gli angeli sono belli come angeli: gli esseri umani come esseri umani: che bisogno c’è di contaminare due realtà distinte?

Queste domande ci si pone e non si può evitare di farlo, credo, se si vuol essere intellettualmente onesti anche nel campo della fede. Però queste domande partono da un presupposto che riteniamo scontato e invece non lo è: partono cioé da un idea di cielo, da un modo di intendere il cielo che è molto terrestre. Certo, il cielo si vede dalla terra: ma si può comprendere solo dal cielo. La realtà è fatta di terra e di cielo, mentre noi siamo abituati a veder tutto dalla terra e a considerare anche il cielo con gli occhi della terra. Ogni cosa completa, invece, è fatta di terra e di cielo, inseparati: ogni cosa completa è assunta in cielo, assume in sé il cielo come la terra e ricuce una separazione che in realtà non esiste, perché nulla separa la terra dal cielo. L’insegnamento buddista ammonisce: «Se dai origine anche al minimo scarto, il cielo e la terra si fanno incommensurabilmente lontani». È la nostra visione a farci cogliere separati la terra e il cielo, e basta introdurre una differenza minima, dello spessore di un capello, perché ci appaiano tali: e se cielo e terra sono separati, la confusione regna ovunque.

Ecco allora che Maria non rappresenta una sublimazione del femminile, ma la ricomposizione dell’interezza della femminilità, la sua terra e il suo cielo. Maria, figura di contraddizione, non rappresenta un essere superiore, donna angelicata, madre verginale: Maria, come donna, ha accolto in sé il cielo con innocenza e semplicità: ninte di più naturale del fatto che il cielo accolga lei così come è, nella pienezza del suo essere. In questo modo Maria incarna la femminilità in ogni suo aspetto, la femminilità che è in ogni donna, la femminilità che è in ogni essere, che è in me. Allora sì comprendo la sua assunzione nell’alto dei cieli, la sua beatificazione gloriosa. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Comprendo il canto di Maria, che è il canto di ogni cuore, di quella parte di ogni cuore che accoglie e custodisce, dentro di sé, la propria terra e il proprio cielo, che sono tutta la terra e tutto il cielo che ogni cuore può accogliere: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono». Il canto in cui il timore di Dio non è la paura di una punizione ma l’attenzione a non separare ciò che da sempre è uno.

Jiso

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