La Cina

* Anne Cheng, Storia del pensiero cinese, Einaudi, Torino, 2000 (due volumi).
Abbraccia tutta la storia del pensiero cinese, dai primordi a i nostri giorni. È scritto in modo piacevole e fresco, si legge senza fatica, ha un notevole impianto di note e riferimenti. Vi è rappresentata abbastanza dettagliatamente anche la storia e lo sviluppo del passaggio del buddismo dall’India in Cina con tutte le vicissitudini legate alle traduzioni dei testi, del sincretismo tra daoismo, confucianesimo e buddismo e la formazione delle prime scuole cinesi autenticamente buddiste che poi ritroviamo sostanzialmente uguali, nei secoli successivi in Giappone, Corea e Vietnam.

* A.C.Graham, La ricerca del tao. Il dibattito filosofico nella Cina classica, Neri Pozza, Vicenza, 1999.
È una sorta di monumento degli studi sinologici. Molto rispettato dagli studiosi, riguarda solamente il periodo classico, ovvero dal V al II secolo avanti Cristo. È un testo che costituisce una vera e propria pietra miliare negli studi su quel periodo. Purtroppo non è stata tradotta l’appendice fornita dall’autore a quest’opera dedicata soprattutto a problemi di filologia e semantica, all’influenza della peculiarità della lingua sulla formazione del pensiero e viceversa. È un testo scritto con uno stile più ostico del precedente ma nei tre-quattrocento anni che prende in considerazione, è un testo di grande accuratezza. Vi è un’analisi attenta della nascita e dello sviluppo del pensiero confuciano e daoista. Ed è importante capire bene queste due correnti di pensiero proprio ora che dall’estremo oriente arrivano folate di quello che viene definito genericamente buddismo ma spesso è un impasto inestricabile di confucianesimo legista, daoismo e buddismo. Questo fatto è particolarmente rilevante per le scuole Zen perché gli stessi vettori, siano essi Sōtō o Rinzai, giapponesi, coreani o vietnamiti, molto spesso non sono in grado di distinguere all’interno della propria cultura e della propria religione che cosa sia di derivazione confuciana o daoista e che cosa sia autenticamente buddista.

* F. Tomassini, Chuang-tzu, TEA, Torino, 1999.
Tra le due traduzioni del Zhuangzi, sino ad alcuni anni or sono traslitterato Chuang-tzu, disponibili in italiano questa è l’unica tradotta direttamente dal cinese nella nostra lingua. È un’opera oramai vecchia, con una prosa non sempre all’altezza del testo. Ma chi è l’unico è anche il migliore, oltre che il peggiore.

* Gianluca Magi, Sanjao: I tre pilastri della sapienza, Ed. Il Punto d’Incontro 2006, pagine 238, € 9,90.
Le radici profonde dell’immensa Cina.
Un paese dall’estensione geografica sterminata, un paese con una cultura che affonda le sue radici nei millenni. La Cina è tutto questo ed altro ancora. Nel testo scritto da Gianluca Magi emerge, in special modo nell’introduzione, l’enorme bagaglio cultrale-filosofico della Cina.
Non mancano nella prima parte del testo vari confronti con il pensiero occidentale che danno molti spunti di comparazione. Potremmo pensare ad un confronto tra la scuola legista ed il pensiero politico hobbesiano. Oppure al dibattito, presente in entrambi i pensieri, sull’originale stato di natura dell’uomo.
Il testo poi si apre sull’universo cinese, l’autore propone tre pilastri, tre percorsi di sviluppo: il Confucianesimo, il Taoismo, il Buddismo.
Ovviamente l’estensione del testo, circa 212 pagine, fa intuire come gli argomenti siano affrontati in modo sintetico.
Tuttavia il prezzo di tale sintesi non è la superficialità, anzi, il testo tocca punti chiave dello sviluppo di questi tre sistemi di pensiero. L’autore è consapevole che vi sono delle omissioni, tuttavia, tali omissioni sono degli stimoli ad approfondire la conoscenza di una tale cultura dai confini davvero sterminati.
Dal testo può scaturire una riflessione: studiare lo sviluppo storico-culturale della Cina non è un puro esercizio speculativo o d’indottrinamento, ma può essere un modo per comprendere una realtà oggi più che mai presente.
Potremmo solo pensare a quanti punti di contatto ci sono tra pensiero confuciano e sviluppo economico attuale della Cina.
Nel testo si dà spazio ad una parte più specifica sulla scuola legista e monista, osservando come queste scuole abbiano influenzato le varie fasi storiche della storia cinese.
L’ultima parte del libro è particolarmente interessante poiché vengono affrontati vari temi monografici.
L’autore offre degli scorci sull’arte, sull’architettura, sulla medicina, sulla scienza e sulla psicologia, passando per l’ alchimia, la meditazione, l’arte della lotta, la sessualità.
Ogni tema è trattato per poche pagine, ma danno un’idea della vastità del pensiero cinese e ci fanno scoprire che in esso manca ogni forma di settarismo.
Questa completezza è una fonte inesauribile di studio e di confronto con la nostra cultura.
La conoscenza del pensiero cinese penso possa offrire degli strumenti preziosi per leggere e vivere la nostra epoca.

(a c. di Gennaro Iorio)

* Hans-Georg Moeller La filosofia del Daodejing, Einaudi, 2007.
Il Daodeging: il libro che non doveva essere.
L’autore assume, in modo diretto, una posizione su questo testo: l’approccio che seguirà per questo classico del pensiero cinese sarà filosofico.
Il termine filosofico non dev’essere assunto da un punto di vista strettamente tecnico e riduttivistico. Anzi, filosofico qui sta per un approccio il più possibile libero da dogmi interpretativi.
L’autore crea il terreno su cui questo non-testo è nato. Cerca di far capire al lettore che leggere questo libro è un atto che va al di là della lettura stessa.
Il Daodeging non fu pensato come testo: non ha un autore, non ha un inizio ed una fine, non ha un argomento.
Il primo punto che emerge dall’approccio a questo classico è che del Laozi, o Daodeging che dir si voglia, possiamo dire ciò che non è, ma difficilmente possiamo dire ciò che è.
Dobbiamo pensare che questo testo inizialmente fosse un insieme d’insegnamenti esoterici trasmessi oralmente in un élite di persone. Questo dato, fondamentale, ci deve far comprendere perché il linguaggio di questo classico è così oscuro.
Non vi è, nell’opera, alcuna ambizione esplicativa perché si presuppone che chi legge o memorizza certi aforismi, sappia già di cosa si sta parlando.
Se ci aspettiamo dal Laozi un insegnamento specifico il nostro approccio ermeneutico al testo è del tutto sbagliato.
L’autore fa un’analogia interessante, ovvero, il Laozi è come un ipertesto, l’analogia è particolarmente acuta. L’ipertesto non ha un autore e non ha una trama, ma è ben usato da chi è un esperto della materia, sa cosa cercare e il percorso da seguire.
Dunque dopo averci dato gli strumenti di questo non-libro che oscuramente tratta di cose oscure, l’autore da inizio a quello che propone come uno dei tanti possibili percorsi di analisi di questa galleria d’immagini semantiche, qual è il Daodeging.
La prima immagine che si affronta è quella della valle. L’autore fa riferimento al cap. 6 del testo cinese e da questo punto sviluppa la sua argomentazione sul senso delle immagini nel testo.
Afferrare il significato delle immagini del Daodeging è importante per comprendere quali sono gli argomenti da esso trattati. La valle è metafora di ciò che è vuoto, essendo tale è immagine di ciò che tutto può generare, che crea senza possedere. La valle vuota, si contrappone alla parte piena, le montagne che la circondano. La capacità generatrice della valle rinvia ad altre immagini presenti nel testo, ovvero l’oceano o il fiume, che come la valle hanno in sé la capacità di generare. Questa capacità generatrice ci richiama l’immagine della femminilità e del suo potere di generare vita.
La dialettica che scaturisce dalle immagini è dialettica tra pieno e vuoto, alto e basso. Ciò che si trova più in basso è ciò che governa senza apparire è ciò che produce senza consumare. Si richiama al riguardo l’immagine della radice, che nessuno vede, ma è ciò che dà la vita alla pianta. La dialettica che vediamo nell’immagine della radice è tra basso ed alto. Il potere maggiore di generare segue questa dinamica ascendente.
Per l’autore si può iniziare la lettura del Daodeging in vari punti, ma non si possono non comprendere i rapporti che vi sono tra le immagini metaforiche.
Il primo capitolo si occupa proprio di questo problema, fa notare come da un’immagine, la valle, si possono affrontare tante altre immagini.
Successivamente il testo tratta della sessualità nel Daodeging. L’argomento è trattato con un ottimo metodo: si confronta il concetto di eros occidentale con quello di eros presente nel Laozi. Si tracciano delle differenze e grazie ad esse è possibile sviluppare una serie di ulteriori riflessioni. Nello specifico l’autore analizza l’opera platonica del Simposio. Si sofferma su due posizioni: quella di Erisimmaco e quella di Socrate. L’espone e le confronta con quello che vi si può trovare nel Laozi. Nel pensiero platonico possiamo ritrovare una netta divisione tra sfera sessuale e sfera erotica. La prima è legata al corpo, la seconda all’anima, il sapiente deve tendere verso questa forma d’amore. Grazie all’eros l’uomo saggio potrà aderire al bello, al bene, al giusto. Inoltre la sfera erotica è legata all’uomo. Nel Daodeging, di contro, non ritroviamo alcuna divisione tra le due sfere e la sessualità è vista come realtà cosmica. Questa posizione è accostabile, per l’autore, a quella di Erissimaco. Infatti, per entrambe, l’erotismo è il giusto equilibrio di tutti gli elementi del cosmo. Quando non vi è armonia nel cosmo significa che non vi è più ordine tra gli elementi, significa che l’eros non vi è più o non si sta manifestando al meglio. L’elemento uomo-donna, lo possiamo ritrovare riportato nella dualità cielo-terra. La femmina è ciò che sta in basso è la forza passiva, l’uomo è ciò che sta sopra ed è la forza attiva. L’unione dei due elementi è una vera lotta, in cui, l’elemento forte è quello in quiete, ovvero, l’elemento femminile. La donna come l’acqua è l’elemento che cede, ma nel cedere fa sì che le forze si scarichino in essa. L’ideale erotico del Daodeging non è un uomo atletico, né un Don Giovanni, ma più tosto il bambino che si trova ancora nella sua fase pre-sessuale e conserva in lui l’elemento della cedevolezza e della mollezza caratteristica della donna.
L’autore in tutto il testo pone in evidenza un elemento, che poi diviene una vera chiave di lettura del Daodeging, ovvero, non è l’uomo il centro dell’opera. Non lo è quando si tratta dell’erotismo, non lo è quando si tratta di politica, non lo è quando si tratta di etica e non lo è quando si tratta di tempo.
Moeller, occidentale, è consapevole che l’antropocentrismo è una chiave di lettura, quasi inconsapevole, che chi non vive in una determinata cultura utilizza per comprendere ciò che è altro da sé.
Non è facile sostenere questa riflessione, non è così facile gettare dalla finestra l’antropocentrismo come metodo ermeneutico. Trattare, parlare di politica è trattare dell’uomo in relazione ad altri uomini. Sembra quasi impossibile non utilizzare una chiave di lettura che ponga l’uomo stesso al centro delle proprie riflessioni.
Invece, il Daodeging, per l’autore, ci dà proprio questa possibilità. L’uomo politico, chi è al comando, deve mantenere un profilo il più basso possibile, deve apparire il meno possibile, deve governare senza agire. L’agire è visto come un continuo alterare l’equilibrio del cosmo. La politica diventa un elemento che si dissolve nell’armonia del cosmo. Anzi, questa armonia è l’obiettivo a cui tendere e si può tendere solo se non si adotta una politica interventistica.
La chiave di lettura è sempre la medesima: ciò che sta in basso governa e genera, ciò che è flessibile è più forte di ciò che è rigido.
Riportando questa riflessione alla manifestazione più complessa di una politica interventista: la guerra, possiamo notare come le battaglie si vincono senza combatterle.
L’autore è geniale nel trarre un esempio dalla nostra storia, ovvero, dalla campagna russa di Napoleone. Il quale perse non per la forza dell’esercito russo, ma per le avversità ambientali. I Russi non cercarono mai lo scontro, arretrarono è l’esercito francese colpiva nell’acqua, per utilizzare una metafora.
La pena di morte, come prassi politica, dev’essere utilizzata come mezzo passivo di persuasione. Non è una prassi da ostentare, ma è una prassi da tenere aperta come cura delle malattie sociali.
Il governante deve trattare la società come il proprio corpo, tendere sempre all’armonia che è assenza di malattia. La pena capitale è un mezzo da utilizzare solo per ripristinare l’armonia tra cielo e terra.
La malattia apre la via verso la concezione temporale, ovvero, l’inizio e la fine dell’esistenza.
L’autore osserva come la concezione temporale del Daodeging non si possa indicare, come in occidente, con una freccia: passato, presente, futuro. Ma, bisogna, più che altro, simbolizzarlo con una sfera. L’inizio e la fine sono immersi nella vita del cosmo stesso, il nascere ed il morire sono due momenti di questo ciclo. L’anzianità è vista non come decadenza, ma come manifestazione di una costante armonia. Se si preserva il proprio corpo dalla malattia allora si andrà naturalmente verso la propria fine.
L’etica da adottare da parte di un saggio è di aderenza senza un coinvolgimento personale. Non vi sono nell’etica del Daodeging alcun riferimento ad una sfera del buono o a una sfera del malvagio. Ogni cosa può avere una valenza positiva e negativa allo stesso tempo. L’azione del saggio diventa un’azione amorale. Un tale atteggiamento, un tale abito fa sì che si mantenga se stessi in armonia col tutto.

(a c. di Gennaro Iorio)

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