La scheda bibliografica offertaci da gi questa volta verte su un testo abbastanza lontano nel tempo che riscosse successo e attenzione. È un tentativo di accostare scienza e religione sul versante dell’epistema, sui rispettivi modi di comunicare “senso”.

Fritjof Capra, Il Tao della fisica, Adelphi 1989.
Atomo o non atomo questo è il problema.

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Lo scienziato Capra è dotato di uno stile piacevole e chiaro; questa dote dona al libro una piacevolezza alla lettura.

L’autore affronta un argomento notevolmente complesso: l’epistemologia e il suo rapporto con la religione. Capra, grazie al suo humus scientifico, riesce ad avere una prospettiva ed una conoscenza elevata della scienza e dei suoi metodi. Spinto dalla curiosità, che uno scienziato non può non avere, allarga il suo sguardo al mondo delle religioni, nello specifico alle religioni orientali.

Non c’è nessun riferimento alle religioni Abramitiche infatti, la comparazione è tra la cultura, nel suo senso più ampio, occidentale e la religiosità -nello specifico la mistica- orientale.
La parte iniziale del testo presenta un’analisi storico-sociologica dell’evoluzione del pensiero occidentale, leggiamola:

La filosofia di Cartesio non fu solo importante per lo sviluppo della fisica classica, ma ebbe anche un’enorme influenza su tutto il modo di pensare occidentale fino ai giorni nostri. La famosa frase di Cartesio “Cogito ergo sum” ha portato l’uomo occidentale a identificarsi con la propria mente invece che con l’intero organismo. Come conseguenza della separazione cartesiana, l’uomo moderno è consapevole di se stesso, nella maggior parte dei casi, come un io isolato che vive «all’interno» del proprio corpo. La mente è stata divisa dal corpo e ha ricevuto il compito superfluo di controllarlo; ciò ha provocato la comparsa di un conflitto tra volontà cosciente e istinti involontari. Ogni individuo è stato ulteriormente suddiviso in base alle sue attività, capacità, sentimenti, opinioni, eccetera, in un gran numero di compartimenti separati, impegnati in conflitti inestinguibili, che generano una continua confusione metafisica e altrettanta frustrazione.

Questa frammentazione interna dell’uomo rispecchia la sua concezione del mondo «esterno», che è visto come un insieme di oggetti e di eventi separati. Si considera l’ambiente naturale come se fosse costituito da parti separate che devono essere sfruttate da vari gruppi di interesse. Questa visione non unitaria è ulteriormente estesa alla società, che viene suddivisa in differenti nazioni, razze, gruppi religiosi e politici. La convinzione che tutti questi frammenti – in noi stessi, nel nostro ambiente e nella nostra società – siano realmente separati può essere vista come la causa fondamentale di tutte le crisi attuali, sociali, ecologiche e culturali. Essa ci ha estraniati dalla natura e dagli esseri umani nostri simili. Essa ha provocato una distribuzione delle risorse naturali incredibilmente ingiusta, che crea disordine economico e politico: un’ondata di violenza, sia spontanea sia istituzionalizzata, che cresce sempre più, e un ambiente inospite, inquinato, nel quale la vita è diventata fisicamente e spiritualmente insalubre.

La separazione operata da Cartesio e la concezione meccanicistica del mondo hanno quindi portato nello stesso tempo benefici e danni; si sono rivelate estremamente utili per lo sviluppo della fisica classica e della tecnologia, ma hanno avuto molte conseguenze nocive per la nostra civiltà.”

L’autore assume una posizione netta e, per noi, non del tutto condivisibile. Non bisogna confondere la filosofia di Cartesio con il cartesianesimo che da essa si è sviluppato. Se si leggono le opere del filosofo francese si può dedurre che questo dualismo, posto nell’opera Meditazioni sulla metafisica, viene spiegato e, in un certo senso, ridotto nelle lettere che il pensatore scrisse alla principessa Elisabetta. Cartesio, vedi Il Discorso sul metodo, era consapevole che il suo pensiero sarebbe, inevitabilmente, stato tradito.

Nell’evoluzione del pensiero occidentale, che ci ha portato alla situazione attuale, non vi è solo Cartesio, ma una molteplicità di eventi, pensieri, che hanno costituito la società attuale. L’autore si serve di una tale argomentazione per proporre il confronto con il pensiero orientale.

Nel libro si possono ritrovare delle schede, riassuntive e schematiche, delle religioni con le quali il pensiero scientifico viene messo in parallelo, ovvero, l’induismo, il buddismo e, soprattutto, il taoismo. L’autore vede una analogia tra l’osservazione del mistico e l’osservazione dello scienziato, infatti scrive:

“La corrispondenza suggerita tra gli esperimenti scientifici e le esperienze mistiche può sembrare sorprendente, data la natura molto diversa di questi modi di osservazione. I fisici effettuano esperimenti che richiedono un complesso lavoro di gruppo e una tecnologia altamente raffinata, mentre i mistici ottengono la loro conoscenza semplicemente attraverso l’introspezione, senza alcuna macchina, nell’isolamento della meditazione. Gli esperimenti scientifici, inoltre, sembrano essere ripetibili in qualsiasi momento e da chiunque, mentre le esperienze mistiche appaiono riservate a pochi individui in situazioni particolari. Un esame più approfondito mostra tuttavia che le differenze tra i due tipi di osservazione consistono soltanto nel modo in cui esse affrontano il problema e non nella loro attendibilità o nella loro complessità.

Chiunque desideri ripetere un esperimento della moderna fisica subatomica deve intraprendere molti anni di studio e di addestramento. Solo allora sarà in grado di porre alla natura domande specifiche attraverso l’esperimento e di comprenderne la risposta. Analogamente, una profonda esperienza mistica richiede, generalmente, molti anni di esercizio con un maestro esperto e, come nel caso della preparazione scientifica, il periodo di tempo dedicato all’apprendimento non garantisce da solo il risultato. Tuttavia, se ha successo, l’allievo sarà in grado di «ripetere l’esperimento». La ripetibilità dell’esperienza è in effetti essenziale per ogni apprendimento mistico ed è lo scopo reale dell’insegnamento spirituale del misticismo.”

Questo passaggio dell’opera ci lascia perplessi: la mistica si può considerare un esercizio?

Lasciamo a chi leggerà questo lavoro di Capra il notare, o meno, questo problema che noi abbiamo riscontrato nel leggerlo.

Il testo ha, per noi, nell’analisi dell’evoluzione del pensiero della fisica e nel confronto con un altro modo di vedere il mondo, come quello del pensiero orientale, la sua parte di maggiore interesse. La fisica classica, che ha in Galileo uno dei suoi padri, è stata del tutto rivoluzionata dalle scoperte del secolo scorso, su tutte, potremmo citare la teoria della relatività di Einstein, la scoperta del modello atomico, ecc. Tutte scoperte che hanno fatto rivedere l’intera metodologia scientifica, come scrive Capra:

Tutte le volte che la natura essenziale delle cose è analizzata dall’intelletto, essa non può non apparire assurda e paradossale. Ciò è sempre stato riconosciuto dai mistici, ma solo recentemente è divenuto un problema interno alla scienza. Per secoli, gli scienziati sono andati alla ricerca delle «leggi fondamentali della natura» soggiacenti alla grande varietà dei fenomeni naturali. Questi fenomeni facevano parte dell’ambiente macroscopico degli scienziati e quindi erano direttamente accessibili alla loro esperienza sensoriale. Le immagini e i concetti intellettuali del linguaggio che essi usavano, dato che erano stati tratti da questa stessa esperienza mediante un processo di astrazione, risultavano sufficienti e adeguati per descrivere i fenomeni naturali.

Nella fisica classica, le domande sulla natura essenziale delle cose trovavano risposta nel modello meccanicistico newtoniano dell’universo il quale, in modo molto simile al modello di Democrito nell’antica Grecia, riduceva tutti i fenomeni al moto e all’interazione di atomi duri e indistruttibili. Le proprietà di questi atomi furono ricavate dalla nozione macroscopica di palle da biliardo e quindi dall’esperienza sensoriale diretta. Non ci si chiedeva se questa nozione si potesse effettivamente applicare al mondo atomico. In realtà, questo fatto non poteva essere indagato sperimentalmente.

La fisica contemporanea ha posto e pone nuovi paradigmi i quali, effettivamente, hanno dei paralleli in alcuni passaggi del pensiero orientale. Oggi abbiamo un affascinante problema, ovvero, il linguaggio come mezzo espressivo della teoresi. Ci siamo accorti, e Capra è bravo a metterlo in luce, che il nostro linguaggio ha dei limiti oggettivi nell’esprimere concettualmente determinate categorie fisiche. Quale sarà l’evoluzione del linguaggio e di conseguenza della visione del mondo e se si riuscirà ad attingere ad un altro modo di esprimere e vedere il mondo; è una sfida che l’opera di Capra ben mostra.

(A cura di Gennaro Iorio)