Raimon Panikkar, La gioia pasquale, la presenza di Dio e Maria, a cura di Milena Carrara Pavan, Jaca Book 2007.

6985

Un libro scritto da un kalyānamitra. Panikkar è autore di svariate opere, alcune di esse sono complesse e richiedono impegno. Ci sono, poi, altre opere scritte con uno stile più colloquiale, che solo in apparenza chiedono meno impegno. La Gioia Pasquale può essere inserita in quest’ultimo gruppo. Abbiamo detto un libro scritto da un kalyānamitra, “il buon amico” che ci accompagna con l’esempio sulla Via religiosa (Suttanipāta 45 ss.). Spieghiamo…

il motivo di questa scelta: in questa piccola opera Panikkar non utilizza un linguaggio complesso, non richiama altre tradizioni culturali, non utilizza una terminologia articolata, ma ci parla come un buon amico che ci guida attraverso argomenti delicati come la fede, l’amore, la gioia.
Se lo stile è colloquiale, gli argomenti sono estremamente complessi, al centro della riflessione panikkariana nella prima parte del libro vi è l’uomo come essere che ricerca la felicità:
“Perciò l’uomo è infinito da una parte, ma chiuso, radicato, prigioniero, direbbe qualcuno, dello stesso finito. E in questa ricerca dell’infinito nel finito è tutta la tensione, tutta la pericolosità, tutta la bellezza della vita umana. La virtù non è altro che questo, e il peccato non è altro che questo” (pag. 17).
Queste poche righe ci possono dare uno scorcio sulle tematiche del testo. Questa sete d’infinito paradossalmente ricercata da un essere finito è, come scrive Panikkar, la grandezza e miseria dell’uomo.
Se si legge il titolo del libro si coglie in modo immediato questo paradosso, ovvero, la gioia accostata alla Pasqua. La Pasqua rappresenta la resurrezione, ma questa avviene solo dopo la morte, solo dopo il martirio di Cristo. Alla fine di questo percorso vi è la Gioia della risurrezione. Panikkar analizza proprio questo significato di gioia e lo mette in rapporto alla vita quotidiana con tutte le sue problematiche annesse. Arrivando così a riflettere su cosa significa trascendente e che significato questo trascendente ha per la nostra vita:
“Se questa cosa in cui io credo non è superiore a me, più forte di me, allora non può sostenere la mia fede e non può salvarmi dal naufragio giornaliero (1). Un amore, dicevo, può farmi fare un salto in avanti: ma se io poi posso fare con questo amore quello che voglio, se risulta che l’oggetto del mio amore e più debole di me; se il ragazzo o la ragazza, o la scienza, o la disciplina, o lo sport, o qualsiasi valore in cui io credevo risulta più debole di me perché io posso, capovolgendo l’ordine, utilizzarlo per me, per il mio piacere o servizio o utilità, allora ciò che doveva essere un sostegno può servirmi, sì, momentaneamente per arrampicarmi e salvarmi dal pericolo di cadere, ma, una volta utilizzato, diventa un giocattolo nelle mie mani, un oggetto del mio egoismo, una bambola della mia passione, uno strumento per la mia vanità e il mio orgoglio, allora non mi serve più” (pag. 20).
È ciò che ignoriamo, è ciò che non possiamo ridurre a nostro giocattolo ad essere indispensabile per la nostra salvezza. L’ultima parte del testo è molto interessante e riflette sulla figura della Madonna. Panikkar esprime tutto il suo amore per questa figura e non fa un discorso teologico su di essa, ma invita a scoprirne la centralità nel Cristianesimo. Se riflettiamo sono davvero poche le parole riportate dalla tradizione della madre di Gesù, eppure lei è stata madre prima di ogni altra cosa. Il suo fascino,potrebbe essere proprio questo silenzio.

(A cura di Gennaro Iorio)

(1) Questa affermazione di Panikkar mi ricorda un’altra opera, Shōbōgenzō Raihai Tokuzui , di Dōgen, nella quale troviamo un’affermazione opposta, o quasi, a quanto scritto da Panikkar : “La fede sincera non è qualche cosa che viene a voi dall’esterno, e neppure che muove verso l’esterno da dentro di voi, significa semplicemente stimare e onorare il dharma mentre facciamo di noi stessi luce. È voltare le spalle al mondo e considerare la via come propria dimora. Se di voi stessi pensate di essere, anche di poco, più preziosi del dharma, il dharma non passerà in voi e neppure lo raggiungerete. Non vi è neppure un esempio di qualcuno che abbia considerato il dharma come qualche cosa di prezioso”.

mym