San Giovanni della Croce, La notte oscura, a cura di Grazia Sanguinetti in Ferrero de Gubernatis Ventimiglia, presentazione di mons. Santino Chiappe, Piero Gribaudi Editore, Milano 1993

La non paura della notte

S. Giovanni della Croce in quest’opera compie e fa compiere un “cammino”. Non si tratta di un “cammino” semplice, accompagnato da una luce o da una guida. L’uomo è solo in una notte oscura. Capiamo la forza semantica dell’aggettivo oscuro, soffermandoci durante la lettura a riflettere sul suo significato.

Se proviamo un senso di smarrimento significa che stiamo vivendo il testo da un angolatura mistica. Questo testo, come altri appartenenti al campo della mistica, è una spina nel fianco per ogni formalismo religioso; per questo motivo e per altri, la mistica non è stata ben vista dalle gerarchie fino a poco tempo fa.

Lo stile con cui l’opera è scritta è piacevole, semplice, la struttura molto scorrevole. Questa edizione non ha note, non ha una bibliografia, solo una breve introduzione. L’idea di affrontare questo libro senza nessuna altra spiegazione è interessante, la nostra mente non è pronta; forse la condizione migliore per rapportarsi ad una letteratura mistica.

Adesso, dimenticando queste poche righe leggiamo i primi versi di questa opera che poi si svilupperà proprio a partire dalla loro spiegazione.

Strofe dell’Anima

1. In una notte oscura, anelante e infiammata in amori, – oh felice ventura! – uscii senza esser vista, essendosi acquietata la mia casa.

2. Sicura uscii nel buio, per la segreta scala, travestita, – oh felice ventura!- al buio e ben celata, essendosi acquietata la mia casa.

3. Nella notte felice, in segreto e senza essere vista, senza guardare cosa alcuna, senz’altra luce e guida che la fiamma accesa nel mio cuore.

4. La fiamma mi guidava più certa della luce a mezzogiorno… dove mi attendeva Colui ch’io ben sapevo in luogo solitario.

5. Notte che mi hai guidato! Notte più gentile dell’alba! Oh notte che hai unito l’Amato con l’amata, l’amata nell’Amato trasformata!

6. Sul mio petto fiorito che per sé solo aveva custodito rimase addormentato mentr’io lo vezzeggiavo alla brezza dei cedri.

7. L’aria degli alti torrioni quando scioglievo i suoi capelli con la sua mano serena, il mio collo feriva e assopiva così tutti i miei sensi.

8. Dimentica di me ivi rimasi, il volto reclinato sull’Amato, tutto cessò e mi staccai da me, abbandonando i miei pensieri in mezzo ai gigli.

(A cura di Gennaro Iorio)