Un solo giorno
vissuto consapevoli
della natura fugace della vita
ha più valore
di cento anni
inconsapevoli di nascita e morte
Dhammapada, 113

Alcune settimane addietro pubblicammo la provocatoria proposta da parte di un padre -nonché professore della Luiss- che invitava il proprio figlio a lasciare l’Italia per organizzare il proprio futuro.

Da parte della generazione a cui quella lettera era indirizzata ricevo ora, e vi propongo, un’altra lettera che ritengo particolarmente importante. È un modo molto pragmatico di affrontare “lo stato delle cose”, di un privilegiato se volete, ma -a ben vedere- è una domanda radicale a proposito di che-cosa-stiamo-a-fare-noi-qui.
Se avete risposte: ben vengano.

«Lei alla mia eta non si sentiva “fregato”? nel senso: ho 21 anni, sono giovane e forte, ho voglia di fare, non ho i mezzi per essere indipendente. Non li avrò prima di altri 5-6 anni.
Quando li avrò sarò comunque senza una casa e, a meno di essere un’eccezione, avrò poco denaro. Passerò la mia restante giovinezza

a pagare un affitto salato o un mutuo, la restante vita a lavorare per mantenere la baracca, e poi (voglia il cielo) sarò in pensione, a un’età in cui si preferisce il semolino alla pizza. E questo schifo senza nemmeno considerare il dolore e la frustrazione nei riguardi di politica istituzioni mezze stagioni ecc. E senza includere prole nel progetto!
Quindi? Il tempo che fine fa? La mia vita? Foss’anche il lavoro la mia vita, potessi aver la fortuna di lavorare sull’argomento a me caro, quando, quando si vive invece di “campare”?
E a vantaggio di chi si lavora come dei muli negli anni migliori? Nostro? Il nostro appagamento interiore? mapperfavore.
Facciamo i nichilisti e diciamo che è inutile trovare un senso produttivo a questa vita, che di senso non ne ha? Filosofia alla Vasco Rossi? mapperfavore.
Era questo, che nel ’68 spingeva a lanciare sanpietrini alla polizia? Se si: tutto il mio appoggio. Buona giornata»