* Commento a margine del film La samaritana,
di Kim Ki-duk, 2004

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E’ un film difficile, prima di tutto da guardare e poi da commentare. E’ difficile da guardare perché, per esprimersi in modo prosaico, è un pugno nello stomaco. Rispetto a Primavera, estate, autunno… troviamo una novità: un elemento proveniente da un’altra religione, rappresentato dal nome “Samaritana” che si sostituisce a “Vasumitra” e soprattutto dalle brevi storie edificanti che il padre racconta alla figlia: mi sembrano, queste, di fronte al fallimento della religione dei padri, vista oramai come un vuoto rito per defunti, un tentativo di coinvolgere lo spirito della figlia in modo positivo aiutandosi con gli elementi di una religione lontana e perciò mitizzabile.

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E’ un film difficile da commentare perché -ritengo appositamente- (quasi) tutto quello che dice lo mostra: vi è ben poco lasciato all’interpretazione. In questo senso mi ricorda un vecchio film di Fellini, Le notti di Cabiria, del 1957, e non me lo ricorda perché anche Cabiria era una prostituta, ma per il senso di sconfitta ineluttabile nella tragedia che ambedue le opere mi comunicano. Un altro ricordo che mi ha suscitato è quello di un libro di Pasolini: Una vita violenta, del 1959. Con due grandi differenze: Fellini e Pasolini sembrano dire che sono i marginali, gli esclusi dal banchetto dell’opulenza sociale ad essere votati al dramma e al dolore mentre nel film di Ki-duk la “quota” di beni posseduti dai personaggi è quella della classe media. E poi sia Pasolini sia Fellini rappresentano in quei lavori qualche cosa che non c’è né in questo né negli altri film del regista coreano: il senso dell’umorismo, anche amaro, la volontà di risorgere caparbiamente, non ostante tutto. Non penso questa differenza dipenda da diverso spirito etnico-caratteriale: l’orientale freddo e fatalista ed il latino che racconta barzellette al funerale. L’atteggiamento da entomologo –seppur dotato di una certa simpatia comprensiva- con cui Kim Ki-duk mostra i personaggi, l’assenza di ogni speranza, di ogni possibilità di redenzione, se non nel perseverare nell’errore che la vita umana incarna. Vasumitra [Amica benefica], pur essendo un veicolo di felicità è una prostituta bambina che distrugge sé stessa sia quando si vende per i soldi sia quando, divenuta Samaritana, lo fa per restituirli; in questo ruolo appare come appagata mentre è perduta, come morta, nella visuale che suo padre ha di lei. Secondo una lettura buddista della vicenda, nel film manca qualsiasi accenno alla via di salvezza, nulla che ci ricordi, come fece Nagarjuna che:

«Tra la trasmigrazione/samsāra [ovvero: “questo mondo”] e il nirvāņa non c’è la più piccola differenza.
Tra il nirvāņa e la trasmigrazione/samsāra non c’è la più piccola differenza»

(Mūlamadhyamakakārikā XXV)
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Invece dell’accenno ad un’ipotesi di via di salvezza è chiaramente evidenziato l’ineluttabile fallimento di ogni via di redenzione attuata secondo parametri interni al pensiero comune. Il padre fallisce nell’educare e proteggere la figlia con le storie edificanti prese dal cristianesimo, fallisce punendo e uccidendo i malvagi, sogna di proteggerla coprendole le orecchie con le cuffie della sua musica preferita mentre la adagia in un sonno eterno, fallisce ancora indicandole la strada e come percorrerla tracciando un cammino di sassi colorati.Che un particolare lo abbia vissuto questa o quella ragazzina, che un atto sia stato solo pensato oppure pensato e compiuto, nell’economia complessiva non fa alcuna differenza: chiunque noi siamo, comunque istruiti non troveremo via d’uscita con i mezzi di questo mondo, riusciremo solo ad impantanarci ancora più intricatamente.

mym

2 Responses to “La samaritana”

  1. fradamiano Says:

    Non sono riuscito a vederlo tutto, troppo crudo. Ma non capisco cosa centri il buddismo .

  2. mym Says:

    Mah, direttamente c’entra poco, come in tutti i film di Duk, a parer mio. Possiamo dire che c’entra come condizionamento ambientale e per le pretese di Duk di richiamarsi -attraverso certi simboli, per esempio il nome Vasumitra- al buddismo, di cui, forse, in questo modo intende presentarsi come esperto, o quantomeno culturalmente partecipe.
    Ciao

    mym

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