* Il piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci, 1993.

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È un film errato, quasi completamente fuori ruolo, addirittura negativo per l’obiettivo che il regista, per sua ammissione, intende perseguire: far conoscere e apprezzare il buddismo. Il dispendio di mezzi, scene mirabolanti e comparse non fa che aumentare il senso di disagio per chi cerchi un’atmosfera spirituale semplice, priva di enfasi come da sempre è lo sfondo del buddismo. Vi sono diversi errori, sia nel linguaggio che nella costruzione del senso, che squalificano definitivamene ogni velleità di tipo seriamente didattico: l’insistenza nell’uso del termine reincarnazione, completamente incogruo in qualsiasi buddismo che non sia impastato di credenze sciamaniche, dal momento che l’insegnamento base del Buddha verte sulla natura vuota di ogni cosa e di ogni esistenza, dove anche la parte sottile dell’uomo, la mente e lo spirito, sono assemblaggi di elementi che si separano disgregandosi alla nostra morte. L’aver dimenticato, tra gli incontri del principe Siddhartha durante la sua prima e unica uscita in città, quello con l’asceta della foresta, legame con l’antica religiosità indiana e segno dell’idea di una possibile via di salvezza extramondana, dimostra la completa strumentalità della costruzione scenica, l’assenza di una comprensione profonda della struttura della biografia iconografica del Buddha. Questa incomprensione appare lampante quando l’enunciato della “via di mezzo” è collocato prima del nuovo cammino che condurrà Siddhartha a diventare il Buddha proprio nel vedere chiaramente fino in fondo quello che inizialmente è detto “via di mezzo” e poi più articolatamente pratityasamutpada. Nel film, invece, la profondità di tale visione è ridotta a una sorta di filosofia della moderazione: “la corda troppo tesa si strappa, troppo lenta non produce suono…”. Keanu Reeves seduto sotto l’albero della bodhi ha un atteggiamento completamente errato, pare dica: «Guardatemi: io sono il Buddha!». Per cui non lo può neppure sembrare.Dal punto di vista religioso raramente ho visto un film peggiore (ammetto però di non averne visti tantissimi…), completamente privo dell’alludere discreto e preciso, dell’umiltà di chi pur sapendo di non sapere si accinge a mostrare. In questo caso non è solo questione, come nei film di Ki-duk, di un dito che indica il vuoto senza sapere perché: qui non c’è neppure il dito.

mym

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